LA PIETA' DEL BATTISTELLO A BARANELLO

Introduzione

Il piccolo comune molisano di Baranello, in provincia di Campobasso, ospita la Parrocchiale di San Michele Arcangelo che domina su Largo Conte Zurlo. La chiesa più antica, databile intorno al XIII secolo d.C., viene distrutta nel 1805 da un forte terremoto, i cui effetti devastanti sull’edificio sacro impongono la stesura di un progetto di ricostruzione, affidato all’architetto Musenga, autore tra l’altro del progetto per la cattedrale del capoluogo della regione.

La nuova chiesa, consacrata tredici anni dopo il progetto, presenta una candida facciata di impianto neoclassico, tripartita da quattro colonne in ordine tuscanico, dal modulo gigante. Tre portali gemelli identificano la ripartizione interna della pianta in tre navate, distinte da colonne e paraste di ordine ionico. La pianta basilicale è inoltre priva di transetto.

Gli interni dell’edificio sacro custodiscono capolavori come le due tele seicentesche attribuite al pittore Francesco Inchingolo, la Strage degli Innocenti e l’Adorazione dei Magi, l’Ecce Homo, di un anonimo maestro di formazione napoletana, accanto ad una serie di dipinti attribuiti all’artista Trivisonno, di epoca recente. La navatella destra della chiesa conserva invece un piccolo gioiello, un olio su tela noto come la Pietà del Battistello.

La Pietà del Battistello

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La tradizione storica e artistica vuole che quest’ultima opera sia ricondotta all’artista caravaggista Giovanni Battista Caracciolo (1578 – 1635) più noto come il Battistello. La paternità dell’opera è suggerita dalle diverse corrispondenze formali, cromatiche e compositive che si riscontrano in altre opere dello stesso autore.

Nota anche come Deposizione la scena è tuttavia priva di croce, elemento imprescindibile per quel soggetto; dunque si tratta di un Compianto o di una Pietà: il corpo esanime del Cristo è steso su di un lenzuolo, con la testa reclinata e le braccia abbandonate. Lo circondano nel dolore la Vergine, San Giovanni e la Maddalena, inseriti nella scena come se emergessero dalle tenebre.

L’artista, interpretando la lezione del luminismo caravaggesco, isola le figure su di uno sfondo scurissimo, l’oscurità le fa risaltare e i protagonisti vengono rivelati dagli squarci di luce: se però in Caravaggio la luce è una componente essenziale della materia stessa delle cose, in Battistello questa diventa uno strumento per vitalizzare le forme plastiche costruite con un disegno energico, preciso e accurato.
L’essenzialità della composizione, dal numero esiguo di personaggi, è però impreziosita dalla gamma cromatica, in cui il grigio-bianco delle maniche della Maddalena, il rosso smaltato del manto di San Giovanni, l’azzurrite della veste della Vergine, emergono dal vasto sfondo scuro.

In assenza di notizie certe sulla provenienza della Pietà del Battistello, le fonti letterarie fissano la datazione dell’opera intorno al primo ventennio del XVII secolo. Altri lavori ad essa contemporanei e dello stesso artista, presentano analogie nella composizione (pochi personaggi), nelle scelte formali (l’uso attento del chiaroscuro) e poetiche (realismo seicentesco), di chiaro gusto antiaccademico: si pensi all’olio su tela Cristo e la samaritana al pozzo, 1620 circa, conservato nella Pinacoteca di Brera a Milano o alla Liberazione di San Pietro, 1615, conservato nel Museo Pio Monte della Misericordia a Napoli, per citarne solo alcuni.

Bibliografia

  • ROBERTO LONGHI, Disegno della pittura italiana. 2 – Da Leonardo al Canaletto, a cura di Carlo Volpe, Scansioni, Firenze, 1979
  • LUISA MORTARI, Molise. Appunti per una storia dell’arte, De Luca editore, Roma, 1984
  • FRANCESCA CAPPELLETTI, Caravaggio e i caravaggeschi, a cura di Laura Bartoni e Francesca Cappelletti, Il Sole 24 ore, Milano, 2007, pp. 275-276
  • ALESSANDRO CIMMINO, Un capolavoro sconosciuto, Il Ponte, 20, n.5 (2008), pp. 40-41
  • VIVIANA FARINA, Intorno a Ribera. Nuove riflessioni su Giovanni Ricca e Hendrick van Somer e alcune aggiunte ai giovani Ribera e Luca Giordano, Rivista di Storia Finanziaria, Università degli Studi Federico II di Napoli, luglio-dicembre 2011, n.27, pp. 155-194

 


IL DUOMO DI TERMOLI

Introduzione

È un magnifico tempio quello della Cattedrale. In mezzo alle case basse della vecchia Termoli si eleva come un gigante ad attestare la fede e la religione delle passate generazioni, e il genio che, nel secolo XII, nel nostro Paese, si librava a voli altissimi e si manifestava in forme architettoniche, così come Dante nel Trecento si esprimeva in nuove forme linguistiche.

Il Duomo di Termoli occupa una posizione predominante nel tessuto urbano del borgo antico: rivolta ad oriente, secondo le antiche consuetudini e con un significato teologico molto preciso, la maestosità della fabbrica domina e determina tutta la struttura urbanistica. La piazza antistante, gli assi viari che tagliano il brano edilizio del borgo, le vicine piazzette, sono in funzione del tempio, centro propulsore della vita religiosa e civile.

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Nel corso della quarta crociata in Terra Santa (1202 – 1204), le reliquie di San Timoteo (discepolo di Paolo) vengono trafugate a Costantinopoli e trasferite nella cittadina termolese: il conseguente prestigio religioso della città attira l’attenzione dei pellegrini diretti ai santuari del Gargano e ai porti di imbarco delle crociate. Si rende allora necessaria la realizzazione di un imponente edificio di culto che potesse conservare la reliquia, assieme a quella del patrono della città, San Basso, già presente nel XII secolo e, allo stesso tempo, accogliere i fedeli in sosta dal pellegrinaggio.

A quel tempo, l’influenza della cultura orientale è riccamente testimoniata in tutto il meridione: se la dominazione bizantina sulle coste pugliesi e quella mussulmana in Sicilia hanno fortemente segnato la storia di quei luoghi, dall’altra parte si assiste ad una graduale commistione delle culture straniere con il patrimonio di conoscenze artistiche locali. Non è estraneo alle esperienze artistiche delle altre regioni meridionali, il cantiere della Cattedrale, di stampo federiciano, contrassegnato, inoltre, da una graduale acclimatazione delle novità gotiche.

Un altro elemento che favorisce lo scambio culturale, anche con l’importazione di opere d’arte e maestranze dell’oriente, è costituito dalla presenza nel territorio di numerose colonie ravellesi, che di fatto costituiscono una vera e propria aristocrazia di grandi commercianti, promotori di iniziative dal carattere religioso ed artistico. Documenti affidabili testimoniano la presenza di una colonia ravellese nella città di Termoli, intorno al XII – XIII secolo; sono due nobili famiglie in particolare a finanziare la costruzione della nuova cattedrale, i Grimaldi e i De Afflitto, i cui nomi sono riportanti in iscrizioni incise sulla base delle statue, collocate sulla facciata della fabbrica sacra.

Il Duomo di Termoli: l'esterno

Ed è proprio la facciata principale a mostrare questo connubio di esperienze artistiche di diversa provenienza: una polifonia, in cui mantengono la propria individualità, le mani di tre maestri: il magister bizantino che si attiene ai canoni estetici bizantini, pur perseguendo alcune novità gotiche; il magister francese che ha portato le novità del gotico dell’Ile de France ed è l’autore delle statue a tutto tondo sulle mensole e dei capitelli dei montanti del portale d’ingresso, nonché delle decorazioni delle bifore centrali e probabilmente del rosone originale, andato in seguito distrutto e, in ultimo, il magister romano dei cui lavori è rimasto ben poco, ovvero le tarsie marmoree.

Di Luca Aless - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=67341602

Un particolare che accomuna l’architettura religiosa termolese e quelle abruzzesi e pugliesi, è il tralcio cosiddetto “gerosolimitano”, costituito da foglie di palma bombate, fortemente a rilievo in cui è evidente il dettaglio naturalistico del vegetale. Assume la funzione di elemento guida della decorazione architettonica in molteplici variazioni, sui capitelli delle paraste, sulla fascia orizzontale che marca il davanzale delle finestre, sul portale principale e intorno alla mostra di alcune bifore esterne. Quando invece percorre le cornici dei davanzali delle bifore e i capitelli delle paraste, è orlato da un bordo di palmette o da una fascia di ovuli.

Altra testimonianza degli influssi orientali nel cantiere è il fulgore cromatico degli elementi di facciata: applicando una tecnica simile all’incastonatura delle pietre preziose, di cui gli orientali erano esperti, sono ottenuti i meravigliosi rosoncini incastonati tra le ghiere esterne delle bifore, i marmi policromi negli archi del portale e della bifora di destra, le tarsie colorate triangolari, in terracotta invetriata, che profilano le ghiere degli archi delle bifore e il piombo applicato nelle incisioni.

Da ricordare infine sono la perfetta simmetria e la corrispondenza tra le parti dell’apparato scultoreo della facciata, chiavi interpretative singolari nella cultura araba e bizantina. Si osservino le sei bifore laterali al portale, dalla corrispondenza perfetta sia nei motivi decorativi che iconografici: le due bifore più esterne ad esempio sono caratterizzate oltre che dalle due paraste angolari più ampie, dalla stessa cornice con il tralcio sopra citato e dalla presenza di sculture a tutto tondo, leoni stilofori sovrastati da grifi. Le due bifore centrali erano probabilmente a giorno, per l’illuminazione degli interni, mentre le due adiacenti al portale presentano le ghiere degli archi privi di decorazione che poggiano su preziosi capitelli sorretti da eleganti colonnine tortili e poligonali.

Il tema religioso illustrato in facciata è il ciclo del mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, che si ritrova puntualmente in tanti altri edifici coevi e che dimostra come l’iconografia bizantina sia fortemente debitrice dei vangeli apocrifi. Del ciclo sono sopravvissute solo due scene, probabilmente di mano del magister bizantino, l’Annunciazione, nella prima bifora a sinistra e la Presentazione al Tempio di Gesù, nella lunetta del portale. Nella prima, la Vergine, seduta su un trono senza schienale, sostiene due fusi, uno per ogni mano e collegati dal dettaglio naturalistico del filo, mentre l’Arcangelo Gabriele, con le ali spiegate, ha in mano uno scettro fiorito quale simbolo di pace.

Nella seconda, lo schema iconografico ricalca quello diffuso a seguito di quanti si muovevano nella cerchia artistica di Bisanzio ed è impostato sulla simmetria: intorno al Cristo sono disposti da un lato Simeone ed Anna, dall’altro Maria e Giuseppe. Di questa purtroppo, molto deteriorata e di difficile lettura, restano solo frammenti di immagini che hanno perso l’originario rilievo.

Il terremoto del dicembre 1456 ha provocato il crollo dell’intero ordine superiore dell’edificio sacro e per la ricostruzione, in epoca aragonese, sono stati utilizzati conci di misura inferiore e di materiale differente dall’originale. La differenza stilistica e di materiale dei due ordini è tanto evidente che un articolo degli anni trenta riporta: “mentre la zona inferiore è costituita da grossi conci quadrati di bianca pietra calcarea senza malta, in quella superiore sono conci più piccoli di pietra bruna con grosso strato intermedio di malta”. Oggi la differenza è attenuata dagli effetti del tempo sui materiali di costruzione.

Il Duomo di Termoli: l'interno

L’interno conserva le tracce dell’edificio religioso preesistente, probabilmente risalente alla prima metà del IX secolo, di cui sono testimonianze evidenti il giro di tre absidi e brani di mosaico pavimentale, collocati ad un livello inferiore rispetto la chiesa attuale, comunemente chiamato cripta.

Di Luca Aless - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=67341604

Le rappresentazioni dei mosaici, ridotti ormai a due frammenti, riprendono tematiche molto note al Medioevo, diffuse attraverso i Bestiari, che non solo manifestano la concezione cristiana del mondo come foresta di simboli, ma si propongono come guide alla comprensione delle numerose immagini zoologiche presenti nei testi sacri. Il primo occupa l’abside sinistra dell’antica chiesa: un motivo geometrico a scacchiera, con andamento indipendente rispetto il profilo absidale, inquadra la parte figurata; nella parte mediana, sul fondo bianco, è presentato un gruppo di animali stretti in un vitalissimo intreccio.

La figura maggiore è un quadrupede, forse un cervo, con le gambe divaricate in atteggiamento di corsa, la testa rivolta, dalla cui bocca fuoriesce la coda sinuosa e anguiforme di un uccello mostruoso che si riflette ad arco, ingoiando a sua volta l’estremità della coda del cervo. Il secondo mosaico, più esteso, è nella navata mediana; raccoglie in libero accostamento più figure di animali: due quadrupedi simmetrici ai lati dell’albero della vita; una sirena bicaudata circondata da pesci, un leone che ingoia un minuscolo animale, un quadrupede alato.

Dai rilievi effettuati durante il restauro degli anni trenta si deduce come la pianta della costruzione abbia conservato nelle linee generali l’impostazione originaria: priva di transetto e divisa in tre navate, scandite da una doppia serie di pilastri cruciformi e terminanti con tre absidi semicircolari. Si nota un evidente contrasto tra le conformazioni delle due absidi minori; quella meridionale, accostata ad altre costruzioni, risulta fortemente manomessa, tanto da uscire fuori dal perimetro dell’edificio, mentre l’abside settentrionale sembra aver mantenuto la primitiva conformazione.

La parete meridionale, inglobata nel palazzo vescovile, adiacente l’edificio sacro, ha subito notevoli trasformazioni ed è considerata alla stregua di un semplice muro divisorio, da cui accedere alla cappella del S.S. Sacramento, incorporata nell'attuale palazzo, mentre, in prossimità della terza campata, su entrambi i lati, sono situate le scale di accesso alla cripta (o chiesa inferiore). Proseguendo, dopo la terza campata, a sinistra, s'innalza la torre campanaria a base quadrata, su di una volta a botte e con copertura a cella ottogonale cuspidata; a questa segue la sagrestia. Se la navata centrale, più larga, è coperta a capriate, le due navate laterali sono sormontate da volte a crociera, con chiave leggermente rialzata.

Bibliografia

  • LUIGI RAGNI, Il Duomo di Termoli, Stab. Tipografico Sorrentino, Napoli, 1907
  • a cura di MARIA STELLA CALÒ MARIANI, Due Cattedrali del Molise, Termoli e Larino, Cassa di Risparmio Molisana, 1979
  • MARCELLO PARADISO, La fede sullo scoglio. La Cattedrale di Termoli e i suoi santi, Termoli, 1993
  • NICOLA DI PIETRANTONIO, Segni d’Oriente. La Cattedrale di Termoli. Influssi, maestranze e crociati sulla via del pellegrinaggio, Ediduomo, Termoli, 2002
  • GABRIELE PALMA, La Cattedrale di Termoli: studi di estetica medievale, Tipografica Adriatica Edizioni, Termoli, 2004

Sitografia

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Trittico di Beffi

Il Trittico prende il nome dal paesino abruzzese di Beffi, situato nei pressi di Tione, in provincia dell'Aquila. Conservato nella chiesa di Santa Maria del Ponte fino al 1915 fu poi ritirato per motivi di sicurezza e sottoposto a restauro. Dopo il restauro fu trasferito nel Museo Nazionale dell'Aquila.

Era esposto nel Museo Nazionale d’Abruzzo quando L’Aquila fu colpita dal terribile terremoto del 6 aprile 2009, che ha distrutto il centro storico del capoluogo abruzzese. "Sopravvissuto" al terremoto non riportò danni.

Fu scelto come ambasciatore dell'arte italiana negli Stati Uniti, simbolo della rinascita e dello straordinario patrimonio culturale nazionale: grazie al tour americano fu ammirato da oltre un milione di visitatori.

Dall’8 febbraio 2011 è di nuovo esposto a L’Aquila nel salone della Banca D’Italia. E’ un segnale di ripresa e di rivincita nei confronti dei problemi causati dal terremoto.

L'alta qualità della realizzazione suggerisce che l'opera sia stata realizzata da un maestro di chiara fama, molto esperto nella tecnica pittorica e nella preparazione dei pigmenti cromatici. L'autore viene identificato come il "maestro di Beffi" e operò in Abruzzo tra la fine del XIV e gli inizi del XV secolo.

Nel tempo sono stati suggeriti diversi nomi, soprattutto di artisti di scuola senese; più di recente è stato avanzato il nome di Leonardo Savini da Teramo, un abile maestro molto documentato a Sulmona (nativo di Teramo divenne in seguito cittadino sulmonse).

Il Trittico, opera a tempera su tavola, propone il racconto di alcuni episodi salienti della vita della Madonna; nella tavola centrale cuspidata è rappresentata la Madonna col Bambino in trono e due angeli; sullo sportello di sinistra sono raffigurate la Natività e l’Adorazione dei pastori con un donatore, su quello di destra la Dormitio e l’Incoronazione della Vergine. Si tratta di un’opera d’arte di grande raffinatezza, fascino ed eleganza.

È un capolavoro corrispondente a un gusto molto preciso, quello tipico del gotico internazionale. Altissima è la qualità della manifattura, che si manifesta nei pigmenti brillanti d’origine naturale, rimasti inalterati dopo sei secoli, nell’oro zecchino, utilizzato come fondo e per sottolineare precisi dettagli (come ulteriore colore e fonte di luce) e nella sofisticata punzonatura delle aureole, impresse con straordinaria professionalità.

Bibliografia
L. Arbace, Viaggio intorno al Trittico di Beffi: Arte come libertà, il fascino del tardo gotico italiano.
C. Pasqualetti, «Ego Nardus magistri Sabini de Teramo»: sull’identità
del ‘Maestro di Beffi’ e sulla formazione sulmonese di Nicola da Guardiagrele.

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LA SANTISSIMA ANNUNZIATA DI SULMONA

 

Introduzione: la Santissima Annunziata

Il complesso della Santissima Annunziata di Sulmona, costituito da una chiesa e un palazzo adiacenti, sorge sulla piazza omonima ed è considerato il monumento più significativo della città. Risale al 1413, ma la sua costruzione si è protratta per quasi due secoli. Il terremoto del 1706 e i rifacimenti dell'Ottocento sino all'ultimo del 1968, hanno profondamente modificato la parte interna dell'edificio. Tuttavia la struttura architettonica globale, in particolare la facciata e la planimetria generale, sono rimasti più o meno inalterati e mostrano i vari stili che si sono succeduti durante l'edificazione, dalle forme medievali a quelle rinascimentali.

Di Mattia Felice Palermo - Opera propria, CC BY-SA 3.0, https://it.wikipedia.org/w/index.php?curid=4678007

Svariate furono le destinazioni che l'edificio ebbe nel corso dei secoli. Il palazzo soprattutto fu adibito a Ospedale Civile sino al 1960, mentre ora è sede del Museo Civico suddiviso in tre sezioni: il museo in situ realizzato sui resti di una domus romana del I secolo a.C./II secolo d.C., la sezione archeologica (con reperti preistorici, italici e romani), e infine quella medievale-moderna.

Il palazzo adiacente

Al 1415 risale la costruzione della parte sinistra della facciata del palazzo. Presenta un portale ogivale di stile gotico nella cui nicchia è collocata la statua della Vergine con il bambino, in origine dorata e policroma. I decori del portale culminano con la statua di San Michele Arcangelo. Questa porzione termina con l'orologio incastonato nella pietra.

All'ultima parte del XV secolo risale la parte centrale della facciata di chiara derivazione rinascimentale, con il suo portale sormontato da un timpano (sul quale è visibile un altorilievo raffigurante una Madonna con Bambino e quattro Angeli oranti). Al di sopra vi è una bifora con due angeli che reggono uno stemma con la sigla A.M.G.P. (Pio Ente della Casa Santa dell'Annunziata) e alla sua sinistra una trifora quattrocentesca, con ornamenti di colonnine tortili che insistono su figure leonine e una scultura raffiguranti le Virtù.

La parte laterale del prospetto, la cui edificazione fu eseguita tra il 1519 ed il 1522, presenta una bifora che sovrasta il portale dell'antica spezieria, senza timpano con decorazioni anch'esse di impronta rinascimentale che raffigurano, in bassorilievo, l'Angelo e la Vergine.

Infine su tutta la facciata corre una cornice (decorata con putti, araldi, animali fantastici, figure sacre e profane) e alloggiano sette statue che rappresentano, nell'ordine, da sinistra a destra: San Gregorio Magno, San Bonaventura, Sant'Agostino, San Girolamo (dottori della Chiesa), San Panfilo (patrono di Sulmona), San Pietro e San Paolo.

La chiesa della Santissima Annunziata

Per quanto riguarda la chiesa l'atto di fondazione è datato 20 marzo 1320, ma l'edificio non conserva tracce della originaria costruzione medievale che fu rasa al suolo dal terremoto del 1456. La ricostruzione della chiesa terminò probabilmente nel 1590. Risalgono a quel periodo e a quella ricostruzione l'abside poligonale e il coro ligneo di Bartolomeo Balcone. Nello stesso periodo furono intrapresi i lavori per l'imponente campanile che sovrasta il complesso con la sua altezza complessiva di 65,50 metri. A base quadrata, è costruito a due piani con cuspide piramidale e quattro bifore per ciascun piano. A seguito del disastroso sisma del 1706 la chiesa fu danneggiata di nuovo e nel 1710 iniziarono i lavori di ristrutturazione ad opera dell'architetto bergamasco Pietro Fantoni. Fu questo intervento che diede alla chiesa l'attuale aspetto barocco, con una facciata imponente a due ordini di colonne, opera, quest'ultima del Maestro Norberto Cicco di Pescocostanzo.

Di Ra Boe - selbst fotografiert DigiCam C2100UZ, CC BY-SA 2.5, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=2763123

L'interno si presenta suddiviso in tre navate ed è rivestito da stucchi. Quella centrale è coperta da una volta a botte affrescata. Sull'incrocio della navata centrale con il transetto si innalza l'ampia cupola estradossata con lanterna.

Tra i dipinti che abbelliscono la chiesa vanno segnalati gli affreschi di Giambattista Gamba sulle volte e le tele sugli altari laterali, tra le quali spicca per qualità la Pentecoste del 1598 di un maestro fiorentino e la Comunione degli Apostoli di Alessandro Salini. L'abside presenta invece due opere di Giuseppe Simonelli, allievo di Luca Giordano, la Natività e la Presentazione al tempio, e una Annunciazione di Lazzaro Baldi, artista toscano allievo di Pietro da Cortona.

Di Mongolo1984 - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=76864084

Da ricordare gli organi in stile rococò e l'altare della Vergine (sul fondo della navata destra), in marmo policromo, opera in parte eseguita dall'artista romano Giacomo Spagna (1620), con successivi contributi di artisti di Pescocostanzo.

 

Bibliografia
E. Mattiocco "Sulmona, guida Storico - artistica della città e dintorni".
"Guida storica artistica di Sulmona" ad opera del Prof. L. De Dominicis e degli alunni delle classi VB e VD del Liceo Scientifico E. Fermi di Sulmona (2007).

(fonte Wikipedia)

GALLERIA FOTOGRAFICA

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