“Nel cuore della vecchia Triggiano, nei vasti meandri tufacei del sottosuolo, ove oggi ergesi la bella mole architettonica della chiesa dedicata a Santa Maria Veterana, disimpegnossi nel più fosco Medioevo, il culto cattolico”.

La Chiesa di Santa Maria Veterana, grazie alla sua evoluzione artistica, nel corso dei secoli ha segnato la storia di Triggiano, paese a pochi chilometri da Bari, che a cavallo tra il 1600 e il 1700 divenne un centro artistico molto attivo e molto apprezzato, anche per il nutrito numero di artisti locali che vi operavano (i due fratelli De Filippis, discenti della scuola napoletana, il fiammino Hovic e un non meglio identificato “pittore di Triggiano”).

L’attuale costruzione è stata innalzata nel 1580 su una chiesa medievale preesistente: questa, fondata probabilmente intorno al 1080, per volere di un sacerdote barese, abbracciava il castrum Triviani e presentava la facciata rivolta verso Ovest – esattamente opposta a quella moderna -.

La chiesa infatti, nei vari secoli, ha subìto trasformazioni e ampliamenti conseguenti all’incremento demografico e urbanistico che il paese man mano attraversava, e che la rendevano incapiente alle esigenze liturgiche dettate all’indomani del Concilio di Trento; tra queste trasformazioni possiamo ricordare quella avvenuta tra il 1908 e il 1913 durante la quale, per l’appunto, venne rimossa la facciata dal lato Ovest e trasportata sul lato Est. Qui fu dotata di maggiore decoro artistico, del tutto differente da quello iniziale. Un’altra trasformazione è quella del 1982, grazie alla quale venne recuperato l’ipogeo della chiesa medievale sottostante ed originaria, i suoi affreschi, le tombe e i sepolcreti.

Santa Maria Veterana a Triggiano: descrizione

La descrizione architettonica ed estetica della fabbrica comincia dalla facciata, che si innalza maestosa e tripartita – esattamente come le navate interne – in pietra bianca, chiusa, secondo una lettura verticale, da due paraste ioniche che scaricano il loro peso su due piedistalli.

La parte centrale, ospitante il portale maggiore e corrispondente internamente alla navata centrale, presenta due colonne corinzie che sorreggono un ampio arco a tutto sesto, nel quale trova spazio anche una piccola finestra ogivale ornata a losanghe e poggiata – lieve – sulla cornice dell’architrave del portale. Le due porzioni laterali della facciata ospitano due portali più piccoli; sormontate da ogive dentellate  di piccole dimensioni, presentano due rosoni di dimensioni inferiori rispetto al principale.

Se si volesse seguire una lettura orizzontale della facciata, si noterebbe come essa sia divisa su due livelli: quello inferiore, più quadrato e compatto, in cui sono presenti gli elementi appena descritti, e quello superiore, cuspidato, che accoglie il prezioso rosone ricamato nella pietra con motivi curvilinei.

Risalente nel 1500, con un diametro di ben 3.80 mt, ha “seguito” lo spostamento della facciata. Inscritto in uno spazio quadrato è sormontato, a sua volta, da uno spiovente a timpano riccamente decorato con festoni di alloro che scandiscono perfettamente lo spazio della cornice. Ai lati del corpo quadrato troviamo due lunette a forma di conchiglia che poggiano su una fuga di archetti, tutti a sesto acuto, stretti da pinnacoli che chiudono l’intera struttura.

E’ interessante soffermare l’attenzione e notare come la forma a conchiglia di queste due lunette rimanda, visivamente, alle decorazioni presenti ai lati della finestrella ogivale, di cui prima. Possiamo tracciare, quindi, delle linee diagonali che regolano lo spazio, organizzandolo in maniera geometrica: il rosone centrale è collegato da rette, immaginarie, ai due piccoli laterali, formando insieme un triangolo volto verso l’alto. Di conseguenza le due lunette a conchiglia del registro superiore legano con quelle della finestrella, formando un triangolo volto verso il basso.

Attraversando il portale centrale, l’interno si apre e si mostra con un tipico impianto basilicale, a tre navate e catino absidale sopraelevato.

I pilastri presenti nella navata centrale intervallano le quattro campate e presentano scanalature frontali terminanti con ricchi capitelli che, a coppie simmetriche, rappresentano (dall’ingresso verso il fondo): due allegorie musicali – ad delimitare l’organo e il coro -, la cacciata dal Paradiso e l’Arcangelo a guardia, la vita e la morte, le quattro stagioni e il cielo  e la terra – ai lati dell’arco absidale -. Questi pilastri sorreggono archi a tutto sesto risalenti al 1500.

L’altare maggiore, monumentale, dell’inizio del XX secolo, consacrato al culto della Vergine, è in marmi pregiati in stile bizantino-pugliese, disegnato da Corradini.

Dominato dalla tela raffigurante l’ “Esaltazione della Vergine” di Vitantonio De Filippis (XVII secolo), risente nel modulo compositivo della Controriforma.E’ ripartita in due piani: in alto domina la figura della Vergine, sorretta da un coro di putti e totalmente immersa nella luce, mentre in basso presenziano alla scena (da sinistra a destra) San Sabino, San Vito, San Nicola (in abito episcopale), Sant’Antonio da Padova e San Filippo Neri.

Lungo tutto l’asse longitudinale dell’altare, corrono, una serie di bassorilievi in bronzo simboleggianti la vita della Vergine, dalla nascita all’Assunzione, per mano del Sabatelli.

Lungo le navate laterali, più piccole, si aprono una serie di cappelle volute sul finire del 1500 da associazioni di fedeli per l’esercizio di opere di carità e di pietà. Particolarmente degno di nota è il cosiddetto Cappellone dedicato a Maria SS di Costantinopoli (seconda cappella nella navata di sinistra): articolata su un piano terra e un piano superiore, a cui si accede tramite due scalinate laterali.

Al piano terra, l’altare di inizio 1900 è devoto al Santissimo Sacramento, è in marmo bianco con due angeli ai lati, anch’essi in marmo. Il piano superiore presenta un secondo altare, del 1832 per mano di Pollenza di Napoli, sovrastato da un affresco del 1500 raffigurante la Madonna Odegitria di Costantinopoli ridipinto, purtroppo, per rispondere ai diversi gusti delle epoche attraversate: la Vergine in trono con abito rosso e mantello blu, ha il capo inclinato e sostiene con entrambe le mani il Bambino che, avvolto in un drappo, porta tra le mani un uccellino (probabilmente un cardellino, simbolo della Passione, futuro destino del fanciullo).

In qualsiasi direzione il nostro occhio si posi, l’interno è ricco di tele databili tra il XVI e il XIX secolo, anche se ha perso molto della sua atmosfera rinascimentale, per via delle sovrapposizioni con decori liberty, portate dal restauro del 1908-1913. Come ad esempio quelle del soffitto.

Il soffitto è a tavolato con tele mistilinee, un tempo raccordate tra loro da decorazioni a racemi rocaille, rimosse e perdute durante i restauri. Le tele raffigurano il ciclo pittorico della vita della Vergine Maria: la Presentazione al tempio, Natività, Incoronazione, Sposalizio e I Santi Evangelisti.

La prima tela Presentazione al tempio, Maria in ginocchio sulla gradinata viene ritratta nel momento in cui viene presentata al Sommo Sacerdote da parte dei genitori Sant’Anna e san Gioacchino, mentre all’estrema destra due donne sembrano commentare quello che sta avvenendo. Il tutto inserito in una composizione di angeli e putti.

La Natività invece è una tela tripartita in registri orizzontali e paralleli: dal basso c’è il momento della nascita, al centro San Gioacchino e Sant’Anna, distesa su dei cuscini assistita da ancelle, in alto gli angeli festeggiano l’avvenimento.

Nell’Incoronazione, la tela più grande del ciclo pittorico la Vergine occupa la scena centrale in attesa dell’incoronazione da parte del Padre Eterno e del Figlio, poco al di sopra di lei.

La scena dello Sposalizio è occupata da Maria e San Giuseppe che, uniti in matrimonio, sono benedetti dal sacerdote alle loro spalle. Sul primo gradino si legge R.D Nicolò De Filippis P(inxit) A.D 1746.

I Santi Evangelisti sono racchiusi singolarmente e in maniera plastica, seppur immersi nella luce, in piccole tele triangolari e lobate, accompagnati dai loro simboli: aquila per San Giovanni, leone per San Marco, bue per San Luca, uomo per San Matteo.

L’ultimo apparato, separato dal perimetro chiesastico e collocato dietro l’abside, è la torre campanaria del 1580, che danneggiata dal nubifragio del 1681 è arrivata a noi senza la cuspide piramidale di cui era dotata.

Come detto all’inizio, l’attuale chiesa sorge sulla prima chiesa medievale, riportata alla luce nel 1982 durante i lavori di restauro sul pavimento attuale, dando una forte conferma a quello che sino ad allora si era solo ipotizzato; dedicata alla Madonna della Grazia, fu parzialmente abbattuta cinque secoli dopo la sua costruzione per fare spazio al nuovo tempio più ampio. L’ipotesi di datazione alla metà dell’XI secolo della chiesa è confermata anche da un’iscrizione lapidea ritrovata durante i lavori che ha permesso di risalire a colui che ne volle l’edificazione.

[ MAGISTER ] LEO DIALECTIEUS ATQUE SACERDOS

[ HANC] AD LAUDEM XPI GENETRICIS AMANDE

[D] EDI MAGNI PRECURSORIQUE IOHANNIS

[ BA] SII SACRI SIMUL ET CUM MATREQUE NATIS

[ S.S.] LEONUM CONFESSORUMQUE DUORUM

 

Dettata quindi da Leone, dialettico e sacerdote, molto probabilmente barese.

Oggi, scendendo al piano inferiore della Chiesa Madre, ci si trova immersi in un percorso sotterraneo i cui resti di epoche differenti si mescolano e convivono perfettamente: a sinistra le mura perimetrali cedono il passo alle fondamenta dell’edificio superiore sul lato destro. Dagli elementi architettonici presenti e rimasti fino a noi si capisce come, anche il corpo medievale, era concepito su tre navate, con l’abside posto in corrispondenza della centrale.

Dal sagrato medievale si giunge, attraverso il percorso creato per i visitatori, ad ammirare un pozzo ed una cisterna scavati nel sottosuolo fino ad uno spesso strato di argilla, che, da materiale impermeabile quale è, avrebbe protetto la costruzione da eventuali penetrazioni di acqua.

Il perimetro racchiude ben 19 tombe, alcune ancora integre ed altre solo parzialmente, distrutte in seguito alla costruzione dei pilastri di sostegno dell’attuale costruzione. Con pianta rettangolare e scavate nella roccia sono disposte lungo tutta la navata centrale sino a raggiungere l’abside. Dalle tombe a fossa, presenti al di sotto delle tombe normali, sono state ricavate le camere sepolcrali, costruite a fine 1500 durante la realizzazione della chiesa superiore ed utilizzate come sepolcreti fino al XVIII secolo, quando l’editto di Napoleone sancì il divieto di seppellire i defunti negli edifici sacri. Qui, infatti, fino a quel momento erano sepolti non solo gli appartenenti alle confraternite, ma anche i loro famigliari. Da un’analisi specifica le pareti e le volte dei sepolcreti appaiono molto deteriorati a causa del gas che i corpi in decomposizione hanno emanato nell’arco dei secoli.

Completamente affrescata – ipotesi molto probabile – come anche testimoniano i frammenti a tre strati arrivati sino a noi, nel vano absidale è stato ritrovato un frammento a massello raffigurante il volto, di tre quarti, del Bambino, con incarnato roseo ombreggiato da toni verdastri e capelli lisci, contornato da una forte linea nera.

Sulla parete destra è apprezzabile, seppur mutila, la raffigurazione di San Leonardo, con le sue catene pendenti dal braccio sinistro, accompagnato, sul secondo strato, dalla testa di un animale con fauci aperte (forse un cane o un leone). A questo, su un ulteriore strato sovrapposto, si riconosce la figura di San Vito, con un gonnellino da centurione, gambe calzate e due cani ai suoi piedi: palesemente posteriore all’affresco di San Leonardo, è databile nella seconda metà del XVI secolo. Caratteristica comune ad entrambe è il carattere votivo.

Questa fabbrica d’altronde ci consente di affermare come, in ogni tempo, sia possibile conservare e preservare l’antico e il moderno, il medievale e il rinascimentale, racchiudendo in maniera naturale le sue anime al servizio del culto cristiano.

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