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A cura di Arianna Marilungo

 

Introduzione. Carlo Crivelli e la committenza francescana nelle Marche: il caso del trittico di Montefiore dell’Aso

“[ Carlo Crivelli ] È pittor degno che si conosca per la forza del colorito più che pel disegno; e il suo maggior merito sta nelle piccole istorie, ove mette vaghi paesetti, e dà alle figure grazia, movenza, espressione, e talora qualche colore di scuola peruginesca. Quindi qualche sua opera è passata in certi tempi per lavoro di Pietro, come udii di quella di Macerata. […]

Ciò che più monta, si è che per il succo delle tinte e per un nerbo di disegno questo pittore può a buon diritto chiamarsi pregevolissimo fra gli antichi. Si compiacque d’introdurre in tutti i suoi quadri delle frutta e delle verdure, dando la preferenza alla pesca ed al citriolo; quantunque trattasse tutti gli accessorj con bravura tale che in finitezza ed amore non cedono al confronto de’ fiamminghi. Non sarà inutile l’accennare che i suoi quadri sono condotti a tempera e perciò a tratti, -e sono impastati di gomme sì tenaci che reggono a qualunque corrosivo, motivo per cui si mantennero lucidissimi.” (Luigi Lanzi, Storia pittorica della Italia dell’abate Luigi Lanzi antiquario della R. Corte in Toscana).

Il breve estratto appena riportato è la prima vera fonte storico-critica relativa all’arte di Carlo Crivelli, artista vissuto nel XV secolo, veneziano di nascita ma marchigiano d’adozione. L’abate Luigi Lanzi (Treia, 14/06/1732 – Firenze, 30/03/1810) fu il primo vero studioso del Crivelli e ne tentò un recupero della personalità dopo secoli di oblio. Questo grande pittore, infatti, ha attraversato secoli di silenzio e dimenticanza: non è stato citato neanche dagli storici veneziani a lui contemporanei. La mancanza di notizie sulla vita del Crivelli e la dispersione delle sue opere hanno provocato l’assenza del Crivelli anche nelle “Vite” del Vasari, che probabilmente non lo conobbe né vide le sue tavole: nel XVI secolo queste erano ancora intatte, sparse nei piccoli paesi marchigiani e costituivano oggetto di devozione popolare quindi lontane da ogni interesse di critica storico-artistica[1].

La vita e le opere

Prima del Lanzi solo i veneziani Ridolfi e Boschini citano il Crivelli, ricordandone alcune opere giovanili lasciate a Venezia, ma oggi perdute. L’esodo delle opere crivellesche verso Roma iniziò già ai tempi del Lanzi quando l’alta gerarchia ecclesiastica iniziò la sistematica spoliazione delle chiese marchigiane.

Poche sono le notizie relative alla sua vita: Carlo Crivelli nasce a Venezia negli anni tra il 1430 ed il 1435, figlio di Jacopo Crivelli, anch’egli pittore. Gli anni della sua formazione non risultano ben documentati, ma è probabile che Carlo appartenesse a quel gruppo di pittori legati alla tradizione tardo-gotica attivi alla scuola dello Squarcione: Mantegna, Schiavone, Marco Zoppo, Gentile e Giovanni Bellini e Bartolomeo Vivarini.

Il 5 marzo 1457 viene condannato a 6 mesi di carcere e 200 lire di multa per aver condotto a casa propria Tarsia, una donna sposata con cui aveva convissuto per lungo tempo. Da questo episodio è possibile dedurre che Carlo Crivelli all’epoca dei fatti era già attivo come pittore poiché era in grado di mantenere una donna in casa propria. Inoltre questa vicenda fu, probabilmente, la causa dell’allontanamento del pittore da Venezia. Da qui ha inizio la sua peregrinazione, sempre accompagnato dal fratello Vittore. Negli anni Sessanta del secolo si trasferisce a Zara, in Dalmazia, presumibilmente per seguire il pittore Giorgio Schiavone. Alla fine di questo decennio, invece, si sposta nelle Marche, operando in diverse località tra Fermo ed Ascoli Piceno, dove rimarrà fino alla fine della sua vita.

In questo territorio la sua carriera prende uno slancio rinnovato e numerosissime furono le commissioni: nel 1468 firma e data il polittico di Massa Fermana, due anni più tardi dipinge e data il Polittico di Porto San Giorgio, oggi smembrato e disperso in diversi musei[2]. I primi cinque anni marchigiani del Crivelli sono i più fecondi: nelle opere prodotte in questo periodo (dal Polittico di Massa Fermana a quello di Ascoli Piceno) elabora ed arricchisce di nuove modulazioni il suo raffinato ed accentuato linearismo. Nonostante ciò, il segno crivellesco è caratterizzato da un netto distacco dalla cultura classica. Per il Crivelli il riferimento costante all’antico non è essenziale, anche se certamente è un pittore conservatore e assolutamente non reazionario.

L’arte di Carlo Crivelli

Oltre all’accentuato linearismo l’arte del Crivelli si caratterizza per l’uso costante dell’oro nel fondo e della luce naturale quale valore di sintesi formale della composizione. Altro elemento degno di nota è lo studio dal vero, che trascende in un contesto fantastico, inducendo alcuni critici d’arte a parlare di effetto surreale o, addirittura, espressionismo[3].

Dal 1473 l’artista è ad Ascoli Piceno, come dimostra l’acquisto di una casa avvenuto nel 1478. In questi anni il Crivelli è mosso da una profonda irrequietezza che lo spinge ad operare in città e luoghi diversi per trovare nuove commissioni: inizia così il suo rapporto con Camerino, città culturalmente viva e per cui firma numerose tavole, tra cui il trittico per la Chiesa di San Domenico.

Negli anni Ottanta del XV secolo il Crivelli si divide tra Ascoli e Camerino.

Nel 1487 risulta nuovamente ad Ascoli al funerale del figlio, di cui non si conosce neppure il nome, ma dall’anno successivo risulta “commorante”, ossia abitante della città di Camerino.

Il 2 aprile 1490 il principe Ferdinando di Capua, futuro re Ferdinando II di Napoli, conferisce al Crivelli il titolo di “Miles”, accettandolo quale familiare a causa della sua “probitate”. Gli ultimi anni di vita del Crivelli lo vedono spostarsi frequentemente tra Fabriano, Matelica e Camerino.

È tuttora sconosciuta la data esatta della sua morte, comunque avvenuta dopo il 7 agosto 1494 e prima del settembre 1495, quando sicuramente non si trovava a Fermo[4].

Vicenda storico-critica del Trittico di Montefiore dell’Aso

Il Trittico di Montefiore dell’Aso, piccolo borgo collinare situato in provincia di Ascoli Piceno, è una tavola che rientra a pieno titolo nel cosiddetto “Caso Crivelli”, ovvero la vicenda, unica nella storia, di un pittore che nel momento stesso della sua riscoperta e valutazione critica veniva messo nelle condizioni di essere umiliato attraverso la dispersione delle sue opere[5]. Il Trittico conservato presso il Polo Museale di San Francesco[6] di Montefiore dell’Aso, infatti, è un assembramento arbitrario di parti di un polittico che sono collocate in collezioni geograficamente molto distanti tra di loro. Questo Polittico è forzatamente diventato Trittico: il Crivelli e la sua committenza, per lo più formata dagli ordini mendicanti della famiglia Francescana e Domenicana, amavano i grandi Polittici verticaleggianti di stampo gotico in cui inserire i grandi Santi francescani o domenicani. Originariamente, quindi, anche l’attuale Trittico era nato come Polittico commissionato dalla comunità francescana di Montefiore dell’Aso e destinato ad adornare la Chiesa di San Francesco, attualmente chiusa[7]. Venne eseguito poco dopo il 1470 e rimase nella sede originaria fino alla metà del XIX secolo quando numerosi pannelli vennero ceduti all’antiquario romano Vallati che, dal 1859 al 1862, li disperse fra diversi acquirenti. A tutt’oggi risultano smarriti tre pannelli della predella e uno dei santi a mezza figura della cimasa[8].

Il Trittico, oltre ad aver subito lo smembramento, è stato oggetto di numerose discussioni circa la sua paternità: la prima attribuzione al pittore veneziano Carlo Crivelli la si deve al Cantalamessa nel 1907, ma questa proposta non venne più presa in considerazione tanto da essere contestata dallo stesso Lionello Venturi. Ciononostante nel 1908 il Bollettino d’Arte del Ministero della Pubblica Istruzione ne vietò la vendita con un apposito decreto. Negli anni successivi altri autorevoli critici ne disconobbero la paternità crivellesca: per citare un esempio, nel 1913 il Geiger assegnò l’opera a Vittore Crivelli, fratello di Carlo, o ad altro imitatore. Solo nel 1925 il Serra confermò l’originaria attribuzione del Cantalamessa. In seguito, nel 1932 e nel 1936, anche il Berenson assegnò l’opera al Crivelli riconoscendo però nell’esecuzione interventi di collaboratori.

L’opera venne definitivamente attribuita a Carlo Crivelli nel 1950 dal critico Pietro Zampetti, attribuzione approvata anche dal Pallucchini, riconoscendone l’altissima qualità.

Descrizione del Trittico

Nella facies attuale il Trittico presenta tre figure di santi a mezzo busto nell’ordine superiore e tre figure di santi ad altezza completa nel registro centrale.

Carlo Crivelli, “Trittico di Montefiore dell’Aso”, tempera su tavola, 206×145 cm, post 1470, Polo Museale San Francesco, Montefiore dell’Aso (AP). Credits: www.wikipedia.org.

Nelle cuspidi i soggetti rappresentati sono, da sinistra a destra, santo francescano, Santa Chiara d’Assisi e San Ludovico da Tolosa. Nel registro centrale, invece, sono rappresentati: Santa Caterina d’Alessandria, San Pietro Apostolo e Santa Maria Maddalena.

Carlo Crivelli, “Trittico di Montefiore dell’Aso”, particolare del registro superiore, tempera su tavola, 74×162 cm, post 1470, Polo Museale San Francesco, Montefiore dell’Aso (AP). Credits: www.regione.marche.it.

Il primo santo francescano del registro superiore è stato oggetto di un dibattito circa la sua identità. Alcuni appassionati studiosi hanno cercato di sciogliere questo enigma. Una delle tesi più accreditate è quella di da padre Silvano Bracci che ha ipotizzato si trattasse del Beato Giovanni Duns Scoto (Duns, 1266 – Colonia, 8 novembre 1308), identificazione provata per esclusione. Nel XV secolo, infatti, i Santi francescani erano: San Francesco d’Assisi, Sant’Antonio da Padova, San Ludovica da Tolosa, San Bernardino da Siena, i Santi protomartiri dell’ordine e San Bonaventura. Analizzando i tratti iconografici del Santo in questione non vi è stata ravvisata una corrispondenza con il consueto lessico utilizzato dal Crivelli per rappresentare San Francesco, Sant’Antonio, San Bernardino o San Bonaventura. I tratti iconografici dei Santi, infatti, erano molto importanti nella pittura del Quattrocento: ogni artista era tenuto a rispettarli per garantire una precisa e chiara decodificazione da parte dei fedeli e, quindi, una corretta e agile lettura dell’opera. I tratti del misterioso santo francescano hanno condotto il Bracci ad identificarlo con il Beato Duns Scoto per numerosi riscontri positivi: “È un frate dai capelli neri, il che dice l’età non avanzata del personaggio, e con il copricapo dottorale in testa che costringe a pensare a un dottore universitario – ed infatti Duns Scoto era detto dottor sottile – … a questo punto la mente corre verso Giovanni Duns Scoto accolto molto giovane nell’Ordine francescano, dottore a Cambridge, Oxford, Parigi e Colonia, deceduto poco più che quarantenne l’8 novembre 1308” (Padre Silvano Bracci, 1997).

Il Beato Giovanni Duns Scoto è stato rappresentato in atto di leggere. La luce, che proviene da destra, illumina in pieno la figura del Beato creando una zona d’ombra nettamente definita al di sotto del libro aperto per poi ruotare intorno al suo volto accentuandone il valore plastico e la grande forza espressiva. Questa figura è una chiara prova del sapiente uso della luce di cui era capace Carlo Crivelli[9].

Carlo Crivelli, “Trittico di Montefiore dell’Aso”, particolare del Beato Giovanni Duns Scoto, tempera su tavola, 74×54 cm, post 1470, Polo Museale San Francesco, Montefiore dell’Aso (AP). Credits: www.wikipedia.org.

Accanto al Beato Giovanni Duns Scoto ed al centro del registro superiore vi è Santa Chiara d’Assisi (Assisi, 16 luglio 1194 – 11 agosto 1253), rappresentata con il saio nero e marrone dell’Ordine delle Clarisse, il giglio simbolo della purezza ed il libro della Sacra Scrittura. La Santa fondatrice delle Clarisse è caratterizzata da una sapiente modulazione delle linee curve su cui dolcemente scivola la luce[10].

Carlo Crivelli, “Trittico di Montefiore dell’Aso”, particolare di Santa Chiara d’Assisi, tempera su tavola, 74×54 cm, post 1470, Polo Museale San Francesco, Montefiore dell’Aso (AP). Credits: www.frammentiarte.it.

Ultimo elemento del registro superiore è San Ludovico da Tolosa (Brignoles, febbraio 1274 – Tolosa, 19 agosto 1297), riconoscibile dal manto gigliato sulla tonaca francescana, decorata a rilievo. Rappresentato di profilo in abiti vescovili e con mitra sul capo: la mano destra è stata colta in atto benedicente e la sinistra poggiata sul bianco pastorale.

San Ludovico da Tolosa era figlio di Carlo d’Angiò, re di Napoli. Conobbe la spiritualità francescana quando fu fatto prigioniero presso il re d’Aragona. Una volta riacquistata la libertà rinunciò al trono per entrare nell’ordine serafico. Venne ordinato sacerdote nel 1296 e vescovo della diocesi di Tolosa l’anno successivo; morì dopo pochi mesi di malattia.

Santa Caterina d’Alessandria (III-IV secolo) è la prima figura a sinistra della predella. La santa, rappresentata a figura intera, reca i propri tratti iconografici: la ruota dentata, simbolo del miracolo avvenuto per suo tramite, e la palma, simbolo del suo martirio. L’eleganza lineare, l’opulenza decorativa e la sottile indagine psicologica sono i tratti distintivi di questa figura[11]. Santa Caterina è rappresentata con il viso leggermente rivolto verso il centro e con in testa la corona, simbolo, secondo la tradizione, della sua origine principesca. Indossa una lunga veste scura damascata che copre l’abito arricchito sul petto da motivi vegetali fantastici e fermato in vita da una fascia d’oro decorata al centro con un rubino. Secondo la tradizione agiografica, Santa Caterina d’Alessandria avrebbe subito il martirio all’inizio del IV secolo per essersi rifiutata di adorare le divinità pagane. L’imperatore Massenzio la condannò al supplizio della ruota dentata, ma la Santa, riuscita a scampare a questa sorte, venne decapitata. Al momento dell’uccisione, al posto del sangue, sgorgò latte.

Al centro c’è la figura di San Pietro Apostolo che si presenta in assoluta, arcaica frontalità caratterizzata da un’aspra modellatura a piani scheggiati. Il Santo è rappresentato in età avanzata con un libro chiuso in mano, probabilmente la Sacra Scrittura, ed il mazzo di chiavi, simbolo della sua autorità sulla Chiesa.

Ultima figura del registro centrale è Santa Maria Maddalena: l’impostazione di profilo della Santa ne esalta la tensione lineare e l’anticlassica eleganza che ci riporta ad una tipica figura di donna sacra e profana al tempo stesso[12]. Maria Maddalena è rappresentata di profilo, ma con lo sguardo rivolto verso lo spettatore. Nella mano destra reca un vaso, reso attraverso la semplice incisione della superficie dorata, mentre con la sinistra sostiene il manto rosso che copre tutta la parte inferiore del corpo della Santa, lasciando scoperto solo il piede calzato dal sandalo. L’abito presenta una fitta decorazione, tra cui è evidente la fenice. I capelli sono annodati sulla nuca con un nastro giallo e sciolti sulle spalle per evidenziare la condizione nubile della donna. La fronte della Santa è adornata da un diadema con al centro un rubino rosso.

Osservando attentamente il Trittico si nota come in basso la terminazione sia incompleta essendo privo di predella, inoltre le strutture lignee sono irregolari e combaciano male: le colonnine tortili centrali proseguono sbilenche sino alla sommità, mentre quelle laterali sono interrotte da capitelli. Questo dimostra lo smembramento dell’originario polittico a cinque scomparti con predella e di un ricongiungimento giustapposto nel Trittico del Polo Museale di San Francesco.

Nella sua esecuzione originaria il polittico comprendeva, secondo la ricostruzione proposta dalla critica a partire dallo studioso Pietro Zampetti, le seguenti figure secondo un ordine di lettura da sinistra a destra:

Predella:

  • San Giovanni Evangelista, conservato presso l’Institute of Arts di Detroit a partire dal 1936;
  • San Luca, conservato al National Trust in Upton House (Banbury) dal 1948;
  • Apostolo con rotulo, conservato al National Trust in Upton House (Banbury);
  • San Pietro Apostolo, conservato presso l’Institute of Arts di Detroit dal 1936;
  • Cristo Benedicente, conservato presso lo Sterling and Francine Clark Art Insitute a Williamstown;
  • Sant’Andrea, conservato presso l’Academy of Arts di Honolulu;
  • Santo Apostolo, conservato presso l’Academy of Arts di Honolulu;
  • Apostolo con rotulo, conservato presso la raccolta di R. Lehman a New York.

Registro centrale:

  • Madonna con Bambino, in posizione centrale ed ora conservata nei Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles. Questa tavola risulta firmata sul gradino del trono: “CAROLVS CRIVELLVS VENETVS PINSIT”. Nel 1862 è stata venduta dal Vallati al museo di Bruxelles.
  • San Francesco, anch’esso conservato presso i Musées des Beaux-Arts des Bruxelles. Fu allargato lateralmente nel XIX secolo, senza pregiudicarne la severità strutturale. Secondo Federico Zeri la figura del San Francesco è ispirata a “moduli figurativi che, a un deciso verticalismo alla gotica, intrecciano snodi anatomici di linearità secca e quasi anchilosata” (Zeri, 1961).

Cuspidi:

  • Pietà (Cristo morto sorretto da Angeli), tavola conservata presso la National Gallery di Londra e che costituiva il pannello centrale della cimasa. Anch’essa presenta la firma a sinistra: “CAROLVS CRIVELLUS PINSIT”, ma secondo il Davies si tratta di un’aggiunta ottocentesca seguita allo smembramento del polittico[13].
Ricostruzione del Polittico di Montefiore dell’Aso ad opera della Scuola di Conservazione e Restauro dei Beni Culturali dell’Università di Urbino “Carlo Bo”, 2014. Credits: www.primapaginaonline.org.

 

Note

[1]Pietro Zampetti (a cura di), Carlo Crivelli, Nardini Editore, Firenze, 1986, p. 20

[2]Ibidem, pp. 11-12

[3]Anna Bovero (a cura di), L’opera completa del Crivelli, Rizzoli Editore, Milano 1974, pp. 6-7

[4]Pietro Zampetti (a cura di), cit., pp. 11-12

[5]Pietro Zampetti (a cura di), cit., p. 22

[6]Il Polo Museale di San Francesco di Montefiore dell’Aso nasce nell’ex sede conventuale della comunità francescana, ormai non più presente nel borgo marchigiano a seguito della soppressione degli ordini monastici. Il vecchio convento è stato convertito in istituzione culturale a seguito del sisma del 1997 per conservare il patrimonio storico-artistico del territorio ed ospita, oltre alla Sala Carlo Crivelli, il Centro di documentazione scenografica “Giancarlo Basili”, il Museo “Adolfo De Carolis” e la Collezione “Domenico Cantatore”.

[7]Anna Bovero (a cura di), cit., p. 87

[8]Pietro Zampetti, Carlo Crivelli nelle Marche, Istituto Statale d’Arte, Urbino, 1952, pp. 26-27

[9]Ibidem, p. 28

[10]Anna Bovero (a cura di), cit., p. 87

[11]Ibidem

[12]Guido Perocco (testi di), Carlo Crivelli, Collana I maestri del colore, Fratelli Fabbri Editore, Milano, 1964, p. 6

[13]Anna Bovero, Idem, pp. 87-88

 

Bibliografia

Silvano Bracci, L’anonimo frate del polittico crivellesco di Montefiore dell’Aso, in Studia Picena, vol. 62, Ancona, 1997

Anna Bovero (a cura di), L’opera completa del Crivelli, Rizzoli Editore, Milano, 1974

Francesco De Carolis, La rappresentazione della santità tra realismo e devozione nel polittico di Montefiore dell’Aso di Carlo Crivelli, in “Venezia Arti”, Nuova Serie 1, vol. 28, Edizioni Ca’ Foscari, Venezia, Dicembre 2019

Luigi Lanzi, Storia pittorica della Italia dell’abate Luigi Lanzi antiquario della R. Corte in Toscana, a spese Remondini di Venezia, Bassano, 1795-1796

Guido Perocco (testi di), Carlo Crivelli, Collana I maestri del colore, Fratelli Fabbri Editore, Milano, 1964

Pietro Zampetti (a cura di), Carlo Crivelli, Nardini Editore, Firenze, 1986

Pietro Zampetti, Carlo Crivelli nelle Marche, Istituto Statale d’Arte, Urbino, 1952

 

Sitografia

www.regione.marche.it

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