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A cura di Andrea Bardi

 

La sala dei Fasti Farnesiani

Nel secondo appuntamento dedicato al palazzo di Alessandro Farnese a Caprarola si intende fornire un approfondimento sull’ambiente che meglio di tutti riesce a tradurre visivamente i “fatti degl’uomini illustri di casa Farnese”[1], la sala detta propriamente dei Fasti Farnesiani [Fig. 1].   

Ubicazione e Cronologia

Fig. 1 – La Sala dei Fasti Farnesiani. Credits: https://commons.wikimedia.org.

 

La Sala dei Fasti Farnesiani, collocata al primo piano (o Nobile) del palazzo, ne riempie per buona parte il lato nordorientale, chiuso a sud dalla Cappella e a Nord dall’ Anticamera del Concilio. Inclusa nel complesso di sale detto ‘Appartamento d’Estate’ (corrispondente alla parte destra della grande mole pentagonale) e dunque frequentata dal cardinale e dai suoi illustri ospiti nei mesi più caldi dell’anno, la sua decorazione venne concepita a partire dai primi anni Sessanta del Cinquecento, in un momento in cui la grande macchina decorativa si era messa in moto relativamente da poco. Benedetta dall’arciprete della Collegiata di Santa Maria il 25 aprile 1559[2] , e ultimata nella sua ossatura architettonica al volgere del nuovo anno, l’imponente creatura, che Alessandro voleva nata dal “capriccio, disegno e invenzione”[3] del Vignola si apprestava ad essere rivestita da un manto di affreschi che si sarebbe ben presto guadagnato il ruolo di paradigma figurativo non solo nel Lazio. Una campagna decorativa di così ampia portata comportava un impegno e una supervisione costanti. Fu proprio per questo motivo che il cardinal Alessandro, incassato il rifiuto del bresciano Girolamo Muziano (1528-192)[4], e dirottato il suo sguardo verso il marchigiano Taddeo Zuccari (1529-1566)[5], pretese dall’alter Raphael [6] del secolo un monitoraggio costante del cantiere. Le condizioni contrattuali di Taddeo, fedelmente riportate da Vasari, prevedevano “dugento scudi  l’anno di provisione” (cifra esorbitante ma sicuramente alla portata del cardinale più ricco del XVI secolo), ma l’artista si trovava ad essere “obbligato a lavorarvi egli stesso due o tre mesi dell’anno, et ad andarvi quante volte bisognava a vedere come le cose passavano e ritoccare quelle che non istessono a suo modo”[7]. Le prime sale interessate furono ovviamente quelle del pianterreno (o Piano dei Prelati) [8], mentre per la decorazione del Salone dei Fasti si dovette attendere il 1563. Il ritrovamento, negli anni Sessanta dello scorso secolo, del Libro delle misure del palazzo del Ill.mo e R.mo Farnese a Caprarola, effettuato da Loren Partridge presso l’Archivio di Stato di Roma, ha consentito un arretramento al 20 febbraio 1560 almeno degli studi nella compartimentazione della volta. Tra questo termine e il 15 gennaio 1561, infatti, data della terza misura (documento di pagamento) si dovette perciò procedere allo “sfondato fatto nella volta del salone” [9]. All’estate del 1563, tuttavia, come attestano alcune lettere di Alessandro Farnese (7 e 20 agosto) a Onofrio Panvinio, antiquario di corte e responsabile – insieme all’editore veneziano Paolo Manuzio – della redazione del programma iconografico della sala, alcuni pezzi risultavano ancora mancanti, come alcune iscrizioni di accompagnamento alle scene dipinte e quattro ritratti che comprendevano figure di cardinali e imperatori[10]. Entro la fine dell’anno, tuttavia, il Salone ultimato si presentava nella sua conformazione attuale.

Descrizione della Sala dei Fasti Farnesiani 

La volta

La volta a specchio della Sala dei Fasti Farnesiani è, in ossequio alla tendenza all’horror vacui dei saloni pubblici del palazzo[11], interamente ricoperta da pitture a fresco ed eleganti stucchi policromi la cui fitta trama a motivi geometrici definisce i confini spaziali delle varie scene. Come notato da Hermann Voss nella capitale pittura del tardo Rinascimento a Roma e a Firenze (1920), l’impaginato della volta Farnese calca le orme della Sala Paolina in Castel S. Angelo, altra committenza farnesiana (Paolo III) portata a compimento dalla talentuosissima équipe di Perin del Vaga (1501-1547) tra il 1545 e il 1547[12]. Qui a Caprarola il centro di gravità della volta, l’antico blasone Farnese [fig. 2] a sedici gigli[13] azzurri su campo color oro, dipinto e non a stucco come nella Paolina, è arricchito da una fantasia di piume, completato da un elmo a sua volta sovrastato da un unicorno rampante e inscritto in una cornice, questa sì in stucco, dal cui interno trova posto un ricco bouquet di foglie e piccole bacche.

Fig. 2 – L’arme farnese al centro della volta della Sala dei Fasti Farnesiani (dettaglio). Foto intera, credits: By Livioandronico2013 – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=40936607.

La “sofisticata eleganza neogotica” dell’antica arme familiare[14] è accompagnata da altri due piccoli rilievi in stucco plasmato ancora una volta per realizzare due tra le imprese più care al cardinale, il Giglio della Giustizia [Fig. 3] (in greco ΔΙΚΗΣ ΚРІΝΟΝ), rivolto in direzione del lato corto del camino, e la Freccia nel Bersaglio [Fig. 4] (il motto greco, ΒΑΛΛ’ΟΥΤΩΣ, traducibile in “colpisci così”, è ripreso da un verso dell’Iliade) rivolta invece verso il lato della Cappella.

La Freccia nel Bersaglio, la cui invenzione si deve con ogni probabilità al poeta Francesco Maria Molza[15], venne interpretata da Girolamo Ruscelli come emblema di prontezza politico-militare. Il cardinal Alessandro, del resto – che mai tenne celate le sue mire papali pur mancando ripetutamente l’obiettivo – sentiva sulle sue spalle il destino della cristianità intera. L’Europa cattolica, al tempo, era infatti attaccata su due fronti contemporaneamente: da Nord, i veementi strali antiromani di Martin Lutero avevano fatto breccia tra le popolazioni germaniche; partendo da sud-est, invece, gli Ottomani si erano spinti a ridosso delle mura di Vienna (1529) senza avere successo per poi uscirne sconfitti anche in occasione della battaglia navale di Lepanto (7 ottobre 1571). A questo fuoco incrociato, dunque, Alessandro voleva opporre – e ci provò, effettivamente, da legato di Paolo III – una politica di alleanze tra le due maggiori potenze continentali, la Francia dei Valois e l’Impero Asburgico. Difensori della cristianità anche in seguito allo scisma di Enrico VIII Tudor, i due sovrani avrebbero dovuto, nelle intenzioni del Farnese, accantonare le reciproche tensioni e mettere a disposizione i loro eserciti al servizio di una respublica christiana[16].Potere temporale e potere spirituale di nuovo uniti, dunque, sotto il segno dell’azione diplomatica dei Farnese. Un messaggio già forte come quello trasmesso dall’accostamenti dei due piccoli stucchi veniva trasformato in aperta dichiarazione d’intenti mediante i due riquadri – dipinti – con la Sovranità spirituale [Fig. 5] e la Sovranità temporale [Fig. 6], collocati sulla direttrice del lato lungo rispettivamente in corrispondenza del Giglio della Giustizia e della Freccia nel Bersaglio.

Assisa sui vapori decisamente plastici di una nube, la Sovranità spirituale, o Religione, tiene in mano una grande croce. Simile nell’impianto costruttivo generale, la Sovranità temporale, accompagnata invece da un globo terrestre, è in atto di innalzare al cielo una sfera armillare[17]. Lungo l’asse più corto si oppongono invece, in due ovali, la Fama [Fig. 7] e il Valore [Fig. 8]. La prima, in corrispondenza dell’accesso dal portico, segue il modello iconografico della Victoria Romana[18]. La monumentalità della figura femminile, ritratta in posa frontale nell’atto di suonare una tromba, è stemperata e non tradita grazie al frequente ricorso di arricciature nella definizione dei panneggi. Felice risulta inoltre l’accostamento dello stesso profilo circolare del panno che, avvolgendo il volto della figura a partire dal suo avambraccio, entra in un gioco euritmico di forme con la cornice vera e propria.  

Alla Fama risponde un’allegoria del Valore [Fig. 8], che Vasari identifica con Bellona[19].I “fatti illustri” veri e propri, invece, trovano posto in sei scene corredate da iscrizioni in latino: quattro riquadri, disposti in due coppie sui lati lunghi, e due tondi, uno su ciascun lato corto, illustrano i capitoli iniziali della straordinaria (ma qui non sempre storicamente accurata) epopea dei Farnese. Sulla parete del camino, il primo tondo in ordine cronologico illustra Pietro Farnese che Fonda Orbetello.

L’iscrizione, inserita in una lapide dipinta, recita:

PETRVS FARNESIVS HOSTIBVS S ROMANAE ECCLESIAE FVSIS AC PROFLIGATIS IN VESTIGIIS COSAE VVLCIENTIVM ORBITELLVM VICTORIAE MONVMENTVM CONDIDIT ANNO SALVTIS MC

(“Pietro Farnese, avendo sconfitto e scacciato il nemico della chiesa, fonda a memoria della sua vittoria la città di Orbetello sulle rovine di Cosa, che apparteneva a Volci, nell’anno della salvezza 1100”)

L’evento, narrato da Onofrio Panvinio nella Vita di Paolo III, risulta una completa invenzione dello storico[20], il cui ricorso alla manipolazione della verità storica, ben lungi dal rimanere circoscritto a episodi sporadici, appare nella Sala quanto mai sistematico. In ogni caso, nonostante il formato, inusuale per scene di guerra, e le dimensioni ridotte, Taddeo riesce nell’impresa di far entrare lo spettatore direttamente nel cuore dell’evento. L’arrivo da destra dei reparti di cavalleria, guidati proprio da Pietro, coglie impreparati i “nemici della Chiesa”, riversi a terra sui loro scudi, in una concitazione che, se da un lato riporta alla mente il groviglio di corpi e di scudi della Battaglia di Ponte Milvio, dall’altro ne stempera decisamente le asprezze cromatiche livellando il tutto su una dominante pastello che sarà uno dei leitmotiv di tutto lo spazio della volta. La seconda scena frescata dallo Zuccari, sulla parete opposta, è invece quella con Guido Farnese che porta la pace ad Orvieto.

Il testo dell’iscrizione stavolta è:

GVIDO FARNESIVS VRBISVETERIS PRINCIPATVM CIVIBVS IPSIS DEFERENTIBVS ADEPTVS LABORANTI INTESTINIS DISCORDIIS CIVITATI SEDITIOSA FACTIONE EJECTA PACEM ET TRANQVILLITATEM RESTITVIT AN MCCCXIII

(“Guido Farnese, divenuto principe di Orvieto su richiesta dei cittadini, espulse la fazione sediziosa e riportò pace e tranquillità alla città che era stata turbata da discordie interne nell’anno 1313”).

Guido, mai eletto principe di Orvieto (fu invece vescovo), è l’assoluto protagonista della scena. Seduto su di un alto podio, e tenendo in mano uno scettro, il Farnese colpisce per il senso di sicurezza, al limite della spavalderia, che traspare dai suoi occhi e che risulta confermata dagli sguardi di prostrazione ad esso riservati tanto dalla popolazione di Orvieto, sulla sinistra, quanto dal gruppo di dignitari sul lato opposto. Nella terza scena, sulla parete esterna, il protagonista è Pietro Niccolò Farnese che libera Bologna dall’assedio dei Visconti [Fig. 9].

Fig. 9 – Pietro Niccolò Farnese libera Bologna dall’assedio dei Visconti. Fonte: L. Partridge, Divinity and Dynasty at Caprarola: Perfect History in the Room of Farnese Deeds, in “The Art Bulletin”, 60, New York, 1978, pp. 494-530.

Questo il testo dell’iscrizione:

PETRVS NICOLAVS FARNESIVS SEDIS ROMANAE POTENTISSIMIS HOSTIBVS MEMORABILI PRAELIO SVPERATIS IMMINENTI OBSIDIONIS PERICVLO BONONIAM LIBERAT AN SAL MCCCLXI

(“Pietro Niccolò Farnese, sconfitto un nemico estremamente potente per la Santa Sede in una battaglia memorabile, libera Bologna dal pericolo imminente di un assalto nell’anno di salvezza 1361”).

La maggiore dimensione dello spazio, in aggiunta al formato rettangolare, risulta, in questo caso, vantaggiosa a Taddeo che, per inscenare la liberazione di Bologna all’interno del conflitto che vedeva opposti l’esercito pontificio del cardinal Egidio Albornoz e il Ducato di Milano, sfrutta appieno le suggestioni visive che Francesco Salviati aveva lasciato su una delle pareti dell’omonima stanza nel palazzo di Alessandro a Roma[21](Vittoria di Pietro e Ranieri Farnese sui Pisani).

Fig. 10 – Pietro Farnese entra trionfante a Firenze. Fonte: L. Partridge, Divinity and Dynasty at Caprarola: Perfect History in the Room of Farnese Deeds, in “The Art Bulletin”, 60, New York, 1978, pp. 494-530.

I rimaneggiamenti storici continuano nella scena con Pietro Farnese che entra trionfante a Firenze [Fig. 10] – anche se in questo caso la verità storica viene fatta semplicemente slittare di un anno[22] – e negli ultimi due riquadri (Ranieri Farnese messo a capo dell’esercito fiorentino; Ranuccio Farnese viene nominato capitano generale della Chiesa). L’entrata nella città va letta da destra a sinistra: lo sfondo cittadino, che occupa la metà superiore sinistra, è circondato su ogni lato dai reparti di cavalleria, le cui lance creano una sorta di palizzata che riporta al Quattrocento cavalleresco di Paolo Uccello[23]. Nel riquadro di Ranieri, invece, l’iscrizione, che recita

RAINERIVS FARNESIVS A FLORENTINIS DIFFICILI REIPVBLICAE TEMPORE IN PETRI FRATRIS MORTVI LOCVM COPIARVM OMNIVM DVX DELIGITVR ANNO CHRISTI MCCCLXII

(“Ranieri Farnese è scelto dai Fiorentini in un periodo difficile per la repubblica come comandante dell’esercito al posto del defunto fratello Pietro nell’anno del signore 1362”).

lascia intravedere due errori storici. Il primo riguarda il nome del protagonista. Ranuccio, infatti – e non Ranieri – era il suo nome, cambiato con ogni probabilità per non far confondere lo spettatore con il protagonista della scena successiva[24]. Il secondo, invece, è di collocazione temporale dell’evento: Ranieri/Ranuccio rimpiazzò infatti Pietro solo nel 1363. Nel riquadro il comandante in capo delle guarnigioni fiorentine è ritratto, fresco di nomina, su di un trono rialzato e circondato da una piccola corte di personaggi che gli riservano tutti gli onori del caso: in primo piano, il portastendardo sventola una grossa bandiera sulla quale campeggia fiero il giglio fiorentino; sulla destra, anche un anziano cardinale rivolge lo sguardo allo spettatore. I due pilastri a semicolonne scanalate chiudono la composizione creando una quinta architettonica che, assieme al profilo statuario di un satiro sulla destra, mantiene – nonostante le policromie marmoree forniscano un immediato rimando al contesto toscano – una certa connessione con il mondo antico. Per la scena con Ranuccio Farnese viene nominato capitano generale della Chiesa, Panvinio compone la seguente iscrizione:

RANVTIVS FARNESIVS PAVLI III PAPAE AVVS AB EVGENIO IV P M ROSAE AVRAE MVLIERE INSIGNITVS PONTIFICII EXERCITVS IMPERATOR CONSTITVITVR ANNO CHRISTI MCDXXXV (“Ranuccio Farnese, nonno di Papa Paolo III e insignito della rosa d’oro da Papa Eugenio IV, è nominato comandante dell’armata papale nell’anno del Signore 1435”).

L’episodio dell’elezione di Ranuccio Farnese a gonfaloniere della Chiesa rimane, al netto delle rielaborazioni dello storico di casa Farnese, ancora da provare sul piano documentario. In ogni caso, anche qui la data risulta forzata, essendo la carica in quell’anno ricoperta da Francesco Sforza[25]. Strutturalmente, l’episodio ruota attorno a una diagonale ideale che, rinforzata dai profili emiciclici della scalinata vista da sinistra, continua con la spada di Ranuccio per esaurire la sua forza nel gioco di sguardi tra il capitano dell’esercito e il pontefice stesso. Nella scena anche una piccola finestra quadrata, pretesto sfruttato appieno da Taddeo per l’inserzione di un delicato brano paesistico.

 

Note

[1] G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, p. 701.

[2] S. Mascagna, Caprarola e il palazzo Farnese. Cinque secoli di storia, p. 39; al 31 Maggio dello stesso anno Vignola “dovette trovare una fabbrica già iniziata […]Su una base di tufo non scavata si alzavano i cinque muri perimetrali per l’altezza di un piano e i cinque bastioni con stanze dentro (che furono poi modificate), una porta e cinque finestre nella facciata principale (poi rimosse) e qualche parete interna” (I. Faldi, Il palazzo Farnese di Caprarola, p. 93).

[3] Vasari, pp. 700-701.

[4] Ibidem.

[5] Taddeo era, negli anni Sessanta, uno dei pittori più in voga a Roma (C. Robertson, Il Gran Cardinale. Alessandro Farnese patron of the arts, p. 239).

[6] Tanto da farsi seppellire nel Pantheon affianco all’Urbinate. Vasari, p. 699: “fu da Federigo data Sepoltura a Taddeo, nella Ritonda di Roma vicino al Tabernacolo dove è sepolto Raffaello da Urbino del medesimo stato. E certo sta bene l’uno a canto all’altro, percioche si come Raffaello d’anni 37 & nel medesimo dì, che era nato morì cioè, il Venerdì Santo, così Taddeo nacque a di primo di settembre 1529 & morì alli dui dello stesso mese l’anno 1566.”

[7] Ivi, pp. 692-693. La vita di Taddeo (B. Agosti, sulla biografia vasariana di Taddeo Zuccaro, p. 139) venne redatta a partire dal 1 marzo 1567. A testimonianza, una lettera scritta dall’aretino a Vincenzio Borghini.

[8] P. Portoghesi, Caprarola, p. 55. Taddeo aveva in primis decorato le Sale delle Stagioni al pianterreno per poi passare al soffitto della Sala di Giove.

[9] L. Partridge, Divinity and Dynasty at Caprarola: Perfect History in the Room of Farnese Deeds, p. 494, nota 1.

[10]I ritratti erano del Cardinal Alessandro Vitelli, del Monsignor Luigi di Guisa, dell’imperatore Ferdinando I e di Massimiliano II.

[11] Le stanze private del cardinale erano, al contrario, decorate solo sulla volta.

[12] H. Voss, La pittura del tardo Rinascimento a Roma e a Firenze, p. 282.

[13] Il numero dei gigli, al tempo del cardinale, era stato abbassato a sei.

[14] Faldi, p. 263.

[15] Partridge, p. 496.

[16] Partridge, p. 496.

[17] Per questa Allegoria un disegno preparatorio, a matita rossa e nera, è custodito presso la Biblioteca Reale di Torino.

[18] Ivi, p. 499.

[19] Vasari, p. 701.

[20] Partridge, p. 499.

[21] Partridge, p. 503.

[22] L’evento avvenne nel 1363 e non nel 1362.

[23] Si veda a proposito Portoghesi, p. 58: “I momenti storici che si vogliono richiamare alla vista sono rivissuti con lo spirito neofeudale […] che il casato farnesiano stava recuperando”.

[24] Partridge, p. 504.

[25] Ibidem.

 

Bibliografia

Agosti, sulla biografia vasariana di Taddeo Zuccaro, in “Prospettiva”, 153/154, Firenze, Centro Di della Edifimi, 2014, pp. 136-157.

Faldi, Il palazzo Farnese di Caprarola, Torino, SEAT, 1981.

Labrot, Le Palais Farnese de Caprarola, Parigi, Klincksieck, 1970.

Mascagna, Caprarola e il palazzo Farnese. Cinque secoli di storia, Viterbo, Quatrini, 1982.

Partridge, Divinity and Dynasty at Caprarola: Perfect History in the Room of Farnese Deeds, in “The Art Bulletin”, 60, New York, 1978, pp. 494-530.

Pierguidi, Disegnare e copiare per imparare: il trattato di Armenini come fonte per la vita di Taddeo Zuccari nei disegni del fratello Federico, in “Romagna Arte e Storia”, 92/93, Rimini, Panozzo, 2011, pp. 23-32.

Portoghesi (a cura di), Caprarola, Roma, Manfredi, 1996.

Robertson, Il Gran Cardinale. Alessandro Farnese patron of arts, New Haven-Londra, Yale University Press, 1992.

Trasmondo Frangipani, Descrizione storico-artistica del r. palazzo di Caprarola, Roma, coi tipi della civiltà cattolica, 1869.

Vecchi, P. Cimetta, Il palazzo Farnese di Caprarola, Caprarola, Il Pentagono, 2013.

Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze, Giunti, 1568.

Voss, La pittura del tardo Rinascimento a Roma e a Firenze (1920), Roma, Donzelli, 1994.

 

Sitografia

http://www.bomarzo.net/palazzo_farnese_caprarola_04_sala_fasti_farnesiani_it.html

https://www.britannica.com/biography/Taddeo-Zuccaro

www.culturaitalia.it

Villa Farnese a Caprarola pt 1

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