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A cura di Silvia Donati

 

L’olandese volante di Fabrizio Cotognini approda a Macerata

E’ stata inaugurata il 17 luglio e rimarrà fruibile fino al 30 ottobre 2021, nelle sale del piano nobile dei Musei Civici di Palazzo Buonaccorsi a Macerata, la mostra “The Flying Dutchman” di Fabrizio Cotognini curata da Riccardo Tonti Bandini.
Il motore di tutto è la ricorrenza dei 100 anni dalla prima rappresentazione lirica dello Sferisterio, nella stessa Macerata che diversi anni fa vide muovere i primi passi dell’artista all’Accademia di Belle Arti, diplomandosi prima in pittura e poi in scultura. Cotognini abbondonerà “il porto sicuro” per scoprire e ri-scoprire se stesso e la propria espressione artistica viaggiando ed esponendo soprattutto all’estero: “Sono fuggito anni fa da Macerata per poi ritornare in una veste più consapevole” è quello che dichiarerà all’inaugurazione della mostra.

Il tema dell’Olandese volante (Der Fliegende Hollander) di Richard Wagner è il filo del percorso multisensoriale che l’artista ci propone, il suo è un linguaggio artistico che spazia dal disegno alla scultura tattile, dall’installazione all’immersione nell’animazione che sia essa sonora o creazione di un ambiente marino. La sensibilità di Fabrizio emerge anche nei confronti del mondo del teatro, mostrandoci una notevole dimestichezza nella realizzazione di un modello di scenografia estremamente coerente con la tematica generale ma allo stesso tempo di un’originalità spiazzante.

E’ costante la metafora del vascello condannato a navigare all’infinito senza mai trovare approdo, che ovviamente si allarga alla vita dell’individuo e tanto più alla figura dell’artista. Gli artisti che hanno attraversato la nostra storia, nel tempo, sono stati tutti dei naviganti in balia del destino, con la loro forza espressiva hanno mostrato, in svariate forme, il loro viaggio tormentato che si riscoprirà essere, nei secoli, il tragitto che compiamo all’interno di noi stessi.

In questo contesto Cotognini diventa perciò il Virgilio che accompagna la nostra anima da fruitori negli abissi dell’inconscio, del sogno, dell’inesplorato, per farci comprendere che ci sono differenti modi di comunicare ma un solo modo di sentire, attraverso l’opera, noi e gli altri che risuonano intorno. E’ il motivo per cui tutto il percorso espositivo può tranquillamente definirsi un’opera corale, in senso musicale, teatrale e soprattutto introspettivo.

La particolarità del lavoro esposto è il costante rimando all’antico rivisitato in chiave contemporanea, non è un caso che si adatti perfettamente alla già esistente collezione permanente di Palazzo Buonaccorsi. Nella sala del Crivelli, ad esempio, Cotognini dialoga con la Madonna di Macerata (1470 circa) attraverso l’installazione “Bird 1-2”, due sculture di uccellini che rimandano ai motivi decorativi dell’opera pittorica.

 

Le trasposizioni materiche sono varie e minuziosamente lavorate, come la foglia oro che troviamo nel “Trittico Van Der Decker” nella Sala Bacco, utilizzata all’interno di tre ritratti estremamente emblematici.

A concludere un già ricco linguaggio espositivo ci sono i taccuini dell’artista, affiancati ad alcuni disegni che lo vanno, nell’immaginario comune, immediatamente ad affiancare alla genialità progettuale Leonardesca, dove la parola, il pensiero, lo sguardo alla natura completano l’immagine e viceversa.

Se tutta questa storia che Fabrizio ci racconta, racchiude in sé la metafora dell’uomo intento a contrastare la propria natura cercando di superare i suoi limiti, ne abbiamo la testimonianza nelle parole del curatore Riccardo Tonti Bandini: “Ogni volta che l’arte del presente incontra i luoghi suggestivi del nostro patrimonio museale, si costruiscono delle relazioni, dei legami simultanei tra la cultura del nostro tempo e la civiltà del passato. L’opera d’arte è un atto di resistenza: è un atto di resistenza contro il tempo e contro la morte.
Il lavoro di Cotognini è una grande ouverture sinfonica che introduce il racconto dell’immensa opera dell’Olandese volante, ne traccia già delle caratteristiche, è lo scenario di una geografia semi-reale e semi-immaginaria allo stesso tempo”:

 

Fiore all’occhiello dell’esposizione, a mio parere,  è l’immersione multisensoriale che si attua in uno dei corridoi di collegamento delle sale in cui si è intervenuti sui vetri delle finestre schermandoli di una pellicola celeste ed attuando un sottofondo sonoro che rimanda a quel rumore del mare che a volte spaventa ma sa come avvolgerci.

In riferimento al percorso espositivo e alla difficoltà che concerne l’attività di curatela sono sorte alcune domande che abbiamo posto a Riccardo, figura indispensabile per l’attuazione di questo racconto per immagini.

Cosa significa realizzare un percorso “a tema” conciliando diverse tecniche artistiche come quelle di Fabrizio?

“L’universo che abbraccia i continenti e le isole è da sempre l’immensa fonte di racconti, di immagini e di visioni che hanno contribuito a costruire la cultura occidentale. L’abisso degli oceani cela ancora i segreti più nascosti. I mari spiegati pongono gli equipaggi dei natanti nelle condizioni di isolamento umano nella percezione dell’ignoto”.

Come si possono far dialogare questo tipo di opere con la collezione permanente?

“La navigazione lascia l’essere umano all’incertezza della sorte, ognuno è affidato al proprio destino, ogni imbarco potrebbe essere l’ultimo viaggio. Nel periodo tra il Basso Medioevo e l’Età moderna, i fiumi, i laghi e i mari europei erano solcati da navi cariche di folli e di malati senza più speranze. La Stultifera navis era una sorta di prigione galleggiante dove vi erano rinchiusi i “diversi”. Un’anima-navicella abbandonata sul mare infinito dei desideri nella speranza che il soffio di Dio la conduca in porto. Un manicomio natante o un meccanismo di esclusione, per come potremmo intenderlo noi oggi”.

 

Si sente spesso dire che l’arte contemporanea è di difficile comprensione, bene, tu cosa ti aspetti dal tuo pubblico?

  • “La mostra di Fabrizio Cotognini è da leggere come un corpus unicum formato da arcipelaghi. In ogni opera d’arte, il suo porsi come forma e come organicità è testimonianza di una legge interna che la costituisce, più o meno rigidamente, e che possiamo chiamare “unità dell’opera d’arte”. Ogni parte è in relazione con il tutto con duplice funzione: di costruirlo e di esserne costituita, in una specie di movimento verso il centro, verso la Galleria dell’Eneide, l’opera d’arte diventa qualcosa di più di dei suoi elementi.Da parte del pubblico mi aspetto che capisca quanto è profondo il mare.”

 

 

Le foto scattate sono state realizzate dalla redattrice dell’articolo

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