LA FONTANA PRETORIA, SIMBOLO DELLA CITTA’ DI PALERMO

A cura di Adriana d'Arma

 

 

A pochi passi dai Quattro Canti di Palermo, esattamente nel quartiere Kalsa, si trova una delle più belle e popolari piazze della città: Piazza Pretoria (Fig. 1), al centro della quale si colloca l’omonima fontana, così chiamata per via del principale ingresso del Palazzo municipale – già residenza del Pretore cittadino -  che si apre su di essa.

La Fontana Pretoria

La Fontana Pretoria si presenta circondata su tre lati da antichi edifici: il Palazzo Pretorio, la chiesa di Santa Caterina e due palazzi baronali, Palazzo Bonocore e Palazzo Bordonaro (quest’ultimo tristemente abbandonato). Il quarto lato, infine, si affaccia su via Maqueda.

Considerata uno dei monumenti più iconici della città, la fontana Pretoria narra al visitatore che si approccia ad essa una storia lunga ed appassionante, che tuttavia in pochi conoscono (Fig. 2).

 

La sua costruzione risale al 1554 ad opera del famoso architetto e scultore italiano Francesco Camilliani. Tuttavia tale fontana non è stata progettata per l’attuale piazza in cui si trova, bensì per decorare il giardino della villa fiorentina di don Luigi di Toledo, fratello della granduchessa Eleonora di Toledo. Per il progetto della fontana fu scelto un materiale di grande effetto scenico nel verde dei giardini: il marmo bianco di Carrara.

Spinto dai debiti, don Luigi fu costretto a vendere la fontana al Senato palermitano. L’idea del Senato era quella di collocare la fontana nel piano del Pretorio, abbattendo alcune case per recuperare spazio, arredandolo prestigiosamente in un periodo in cui si stavano effettuando degli interventi urbani migliorativi, che includevano tra l’altro l’ampliamento del Cassaro.

Quella per la fontana fu sicuramente una spesa non indifferente, e in un momento in cui la città versava in uno stato di miseria essa divenne il monumento simbolo della corruzione politica e civile della città acquisendo il non gradito appellativo di Fontana della Vergogna.

Tale epiteto si lega, tuttavia, anche ad altre dicerie: la “Vergogna” a cui ci si riferisce sarebbe anche quella delle suore di clausura dell’adiacente monastero di Santa Caterina, costrette a coprirsi ripetutamente il volto ogni volta che attraversavano la piazza per non osservare le nudità delle statue. Si narra infatti che che le stesse suore, una notte, uscirono dal convento per distruggere le parti intime maschili e per non dover più tollerare tale visuale.

 

Il complesso, trasportato su una nave, approdò nella città di Palermo, smembrato in 644 pezzi, nel 1573; tuttavia, il gruppo scultoreo che giunse in città era incompleto, mutilo di alcune statue che in parte vennero danneggiate durante il tragitto, in parte furono trattenute dal proprietario.

Il complesso monumentale è ricco, e conta ben trentasette statue in marmo di Carrara, alcune delle quali sono rappresentazioni di divinità (Fig. 3).

 

Tra le figurazioni scultoree umane trovano spazio anche delle figure animali (Fig.4), divinità pagane ed eroi mitologici (Orfeo con Cerbero, Ercole e l’Idra trifauce ecc.), mostri e ninfe del mare, creature per metà uomini e per metà pesci, come i Tritoni e le Nereidi, una ninfa d’acqua dolce con Pegaso. Completano la curiosa rassegna di animali fantastici cariatidi, satiri, pesci-cavalli emergenti dalle nicchie.

 

La fontana Pretoria presenta una pianta ellittica, con vasche d’acqua concentriche sul cui bordo giacciono statue allegoriche dei fiumi di Palermo: l’Oreto, il Papireto, il Gabriele e il Kemonia. Essa si sviluppa in più livelli ai quali si accede attraverso delle piccole scalinate, dove si possono ammirare teste di animali e mostri mitologici, dalla cui bocca sgorga acqua (Figg. 5-6) nonché altre figure mitologiche tra cui si riconoscono Venere, Adone, Ercole, Apollo, Diana e Pomona.

 

Probabilmente lo stesso architetto Camilliani fu fonte di ispirazione per Gianlorenzo Bernini il quale, circa cento anni dopo in Piazza Navona a Roma, realizzò la celeberrima Fontana dei Quattro Fiumi nella quale quattro statue raffigurano i principali corsi d’acqua di ogni continente: il Gange per l’Asia, il Rio della Plata per l’America, il Danubio per l’Europa, il Nilo per l’Africa.

 

Il giardino di don Luigi di Toledo costituisce un esempio eloquente di quel passaggio dal gusto rinascimentale – tra la fine del Quattrocento e gli inizi del Cinquecento - a quello più propriamente manierista, in cui l’arte e la natura si confrontavano, all’interno dei giardini, a creare uno scenario magico fatto di allegorie, giochi d’acqua e percorsi labirintici che avevano lo scopo di coinvolgere il visitatore tanto nella sua sfera emozionale quanto in quella intellettiva.

Ad oggi la fontana Pretoria è protetta da una cancellata in ferro battuto concepita e realizzata dall’architetto Giovanni Battista Filippo Basile nel 1858.

 

La fontana pretoria, uno dei simboli più rappresentativi di Palermo che ancora oggi si manifesta agli occhi dei visitatori in tutta la sua meravigliosa imponenza architettonica e decorativa (Fig. 7), venne celebrata, del resto, anche dallo stesso Giorgio Vasari nella Vita dell’architetto Camilliani:

 

“Fonte stupendissima che non ha pari in Fiorenza, né forse in Italia: e la fonte principale, che si va tuttavia conducendo a fine, sarà la più ricca e sontuosa che si possa in alcun luogo vedere, per tutti quegli ornamenti che più ricchi e maggiori possono immaginarsi, e per gran copia d’acque, che vi saranno abbondantissime d’ogni tempo”. (Vasari-Milanesi, IVV. P. 628).

 

 

Tutte le fotografie sono state scattate dalla redattrice dell'articolo.

 

 

 

Bibliografia

De Castro e M. R. Nobile, L’eroico e il meraviglioso. Le donne, i cavalier, l’arme…in Sicilia. Un mondo di immagini nel V centenario dell’Orlando Furioso, Palermo, Caracol, 2017.

La Monica, La Fontana pretoria di Palermo analisi stilistica e nuovo commento, Palermo, Pitti, 2006.


LA FONTANA DEL NETTUNO E ALTRE FONTI DELLA CITTÀ DI TRENTO

A cura di Alessia Zeni

 

La scelta di porre l’attenzione sulla Fontana del Nettuno in Piazza Duomo a Trento è stata favorita dal recente restauro che ha riportato alla luce l’antico splendore del monumento. Ma non è l’unica fontana che rinfresca i cittadini di Trento, nelle afose giornate d’estate, altre fonti sono sparse per la città, le più singolari le vedremo in questo contributo.

 

Fontana del Nettuno

 

 

Magnificum hunc fontem

cum acquarum perpetuo cursu,

desperantibus omnibus,

Franciscus An[tonius] Iongo tri[dentin]us fecit.

 

Questa è la frase che è stata scolpita sul fusto della fontana ad indicare l’autore dell’opera, Francesco Antonio Giongo, ma anche la data «MDCCLXVIII» (1768) e «SPQT» (Senatus Popolusque Tridenti). Una frase di augurio affinché da questa grande fonte possa sgorgare acqua in eterno: acqua segno di vita all’interno della città. L’idea di sistemare una fontana nel centro partì proprio dal bisogno di rifornire i cittadini di acqua corrente, sana e di sorgente, dato che fino ad allora l’approvvigionamento avveniva tramite pozzi.

 

La scelta di costruire una fontana nella piazza principale della città fu ordinata dal Magistrato Consolare di Trento nel 1767, all’interno di un ampio progetto di riqualificazione urbana che mirava a dare nuovo splendore al centro cittadino. La progettazione e la realizzazione fu affidata allo scultore e architetto trentino Francesco Antonio Giongo di Lavarone (1723-1776)[1] che realizzò il progetto e scolpì vasche e fusto, mentre Stefano Salterio da Como (1730-1806) scolpì la statua del Nettuno e gli altri gruppi scultorei. La fontana è stata ultimata nell’arco di un anno, nell’ottobre del 1768, e l’acqua è stata portata alla fonte solo nell’anno successivo, l’8 luglio del 1769, dopo una complessa opera di canalizzazione delle acque di sorgente e del torrente Fersina[2]. La fontana è stata costruita tra Piazza Duomo e l’imbocco di Via Belenzani, la principale via di collegamento con il centro, per dare unità spaziale alla piazza e spezzare il conoide di via Belenzani[3].

Il Nettuno è rappresentato in piedi in tutta la sua imponenza e fierezza è accompagnato dal tridente che può essere considerato il simbolo della città. Il tridente che porta nella mano sinistra rappresenterebbe l’antico nome della città, Tridentum, ovvero il nome dato dai romani quando si insediarono tra i tre denti della piana dell’Adige, cioè i tre colli del Verruca (oggi Doss Trento), di Sant’Agata e di San Rocco.

 

La fontana è divisa su tre piani sistemati lungo un fusto che ricorda la forma di un albero e sulla cui vetta il Dio Nettuno è coronato con il tridente. Il Dio cavalca tre delfini, le cui code sono avvolte nelle gambe del Dio Nettuno e dalle loro bocche si riversano zampilli di acqua in una vasca rotonda sagomata, ricavata in un calcare di rosso ammonitico proveniente da cave trentine, di tre metri di diametro. Questa vasca appoggia sulla sommità del fusto che si innalza al centro di una grande vasca formata da otto catini, quattro dei quali a forma di tinozza e gli altri a forma di conchiglia. Da ogni catino altre quattro divinità mitologiche gettano acqua nella grande vasca: due tritoni su cavalli marini e due tritoni con in mano un pesce e un vaso. Nel piano intermedio del fusto, appoggiati su quattro mensole, altri due tritoni e due delfini mitologici cavalcati da putti lanciano dalle loro bocche zampilli d’acqua nella grande vasca.

 

Tutta la costruzione, alta oltre 12 metri, appoggia su una scalinata poligonale che una trentina di anni fa era cinta da un festone di catene sostenuto da pilastrini di pietra bianca. Oggi la fontana è accessibile al pubblico ed è il principale luogo di ritrovo nel centro della città di Trento.

Nel 1871 sono stati sostituti tutti i gruppi scultorei della fontana per opera dello scultore trentino Andrea Malfatti (1832-1917) e del pittore Ferdinando Bassi (1819-1883) che studiò le forme e i disegni originali della fontana. Invece la statua in pietra del Nettuno è stata sostituita da una in bronzo, nel 1945, per il cattivo stato di conservazione della statua. L’originale si trova oggi nel cortile del comune di Trento in Palazzo Thun.

 

 

Fontana dell’aquila

 

 

Sempre all’interno di Piazza Duomo, sull’angolo di Casa Rella, un’altra fonte rinfresca i cittadini di Trento durante le giornate estive e primaverili della città: è la Fontana dell’aquila che reca sulla cima del pilastro da cui sgorga l’acqua, l’aquila simbolo di Trento, ovvero l’aquila di San Venceslao.

La fontana fu progettata dall'ingegnere Pietro Leonardi, ma fu portata a termine nel 1850 dallo scalpellino di Trento Stefano Varner (1811-1887). La Fontana dell’aquila ha una vasca di forma ovale e una colonna ha base fogliata al di sopra della quale è sistemata l’aquila intenta a spiumacciarsi. L’ugello da cui sgorga l’acqua è circondato da una corolla di foglie e dalla bocca di una testa leonina fuoriesce l’acqua.

Una curiosa leggenda legata all’aquila della fontana racconta che un uomo di Sardagna (frazione di Trento) venne condannato ingiustamente a morte e condotto alle prigioni della Torre Civica in Piazza Duomo per essere portato al patibolo. Qui vide un’aquila che voleva sulla Torre e disse alla sua vista che se era innocente l’aquila sarebbe diventata di pietra. L’aquila si tramutò in pietra e l’uomo venne liberato; da allora l’aquila è nel luogo dove si posò, ovvero sulla fontanella di Piazza Duomo.

 

Fontana dei “do’ castradi”

 

Fig. 10 – Piazza delle Erbe a Trento, Fontana dei “do’ castradi”. Credits: Di Chryspa - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=62937776.

 

In Piazza delle Erbe, nel centro di Trento è collocata la fontana chiamata volgarmente dei “do’ castradi” poiché l’acqua esce dalle teste di due arieti in bronzo. La fontana è stata disegnata dall'ingegnere Saverio Tamanini ed è stata realizzata nel 1867 dallo scultore Stefano Varner (1811-1887).

Il basamento in pietra ha una pianta mistilinea e sulla sommità due conchiglie in bronzo accolgono l’acqua dei “do’ castradi”. Le teste dei due arieti sono sistemate su una colonna in pietra a base quadrata, decorata sugli altri due lati da due teste femminee. Sulla sommità della colonna è sistemata una statua in bronzo copia di un’opera di Andrea Malfatti (1832-1917) che raffigura una donna inginocchiata accanto ad un serpente.

 

Fontana di Bacco

 

La fontana di Piazza Pasi, sempre nel centro cittadino è decorata da una pregevole opera scultorea che raffigura il Dio Bacco dello scultore Andrea Malfatti (1832-1917). È stata realizzata nel XIX secolo ed è stata sistemata in un angolo della piazza; è un’opera di pregevole bellezza che emerge tra le case che circondano la piazzetta.

Il Bacco è stato scolpito nella pietra bianca e la vasca della fontana ha la forma di una coppa circolare, baccellata, che è stata sistemata su un piedistallo ottagonale appoggiato su una basa rialzata a due gradini. Al centro della coppa è collocata la statua del giovane Bacco scolpito su di una roccia, vestito con pelle leonina che gli cinge la vita, sostenuta da una cinghia, porta in testa un festone di vite e in mano un otre dal quale sgorga l’acqua nella coppa. Tutti elementi che richiamano in maniera sintetica e artistica la sua classica iconografia.

 

Fontana dei delfini

 

 

La fontana dei delfini situata verso la periferia di Trento, di fronte alla chiesa sconsacrata di S. Croce, in Corso 3 Novembre. È una fonte che passa inosservata alla gente di passaggio, ma meriterebbe la giusta considerazione per la particolarità delle sue forme artistiche: una vasca ellissoidale baccellata e la  colonna da cui esce l’acqua è a pianta quadrilobata sormontata da un cesto di frutti. Gli ugelli escono dalle teste di tre delfini, scolpiti sui tre lati della colonna, che sono stati eseguiti con grande maestria e attenzione del dettaglio. La fontana risale al XIX secolo.

 

Fontana in Piazza Diego Lainez

 

 

La fontana in Piazza Diego Lainez, nei pressi del centro cittadino è qui ricordata perché ritorna il simbolo della città, ovvero il tridente. Eseguita nel XIX secolo, è stata sistemata sul muro che fronteggia l’abside della chiesa di Santa Maria Maggiore a Trento. È in marmo bianco, dalle forme semplici, ma eleganti e ben eseguite. È qui segnalata per il tridente scolpito sulla sommità dello specchio della fontana, all’interno di una conchiglia, elemento che riprende il simbolo della città, il tridente del Dio Nettuno.

 

Fontana di Piazza Venezia

Fig. 14 – Piazza Venezia a Trento, Fontana dei cavalli. Fonte: https://spazicomuni.comune.trento.it/Aree-tematiche/Cultura-e-turismo/Visitare/Altri-siti-di-interesse-turistico/Fontana-dei-Cavalli.

 

In ultimo voglio ricordare una fontana dell’era moderna, ovvero la fontana di Piazza Venezia celebre agli automobilisti che dal centro si recano sulle colline o si spostano verso il sud della città.

L’opera è meglio conosciuta come “lavamàn del sindaco” per la sua grande forma a catino e la grande statua dei cavalli.

La fontana è una grande vasca in pietra con 150 getti sistemati lungo il perimetro che spruzzano l’acqua verso il centro con la statua in bronzo di due cavalli stilizzati. I cavalli sono opera dello scultore trentino Eraldo Fozzer (1908-1995) che sistemò la statua nel 1983, in sostituzione di un’altra sua opera raffigurante i corpi nudi di due Naiadi, le ninfe dell'acqua portatrici di fecondità. Le loro nudità furono oggetto di molte proteste che per cui vennero sostituite dall’attuale statua dei cavalli. La fontana è stata realizzata nel 1954 e nel 1956 è stata sistemata la prima scultura di Eraldo Fozzer, poi sostituita dall’attuale.

 

In questo contributo sono state descritte le fontane artisticamente particolari, ma molte altre sono disseminate tra le vie e le piazze della città che nella loro semplicità costituiscono un pezzo della storia e dell’arte di Trento.

 

 

Note

[1] Francesco Antonio Giongo nacque a Lavarone nel 1723 e morì a Trento nel 1776, studiò disegno e pittura a Trento e realizzò diverse opere scultoree nelle chiese trentine, ma la sua opera più famosa rimane la Fontana del Nettuno in Piazza Duomo a Trento.

[2] Oggi la fontana è alimentata dall'acquedotto cittadino attraverso un sistema a ricircolo  che filtra e decalcifica l’acqua; un sistema che è stato introdotto nei restauri del 1989-1990.

[3] È importante il significato urbanistico di questa fontana, sistemata sugli assi prospettici di via Belenzani, via Cavour, via Verdi di Trento che si incrociano nello spazio di Piazza Duomo. La fontana si interpone fra il protiro della facciata settentrionale del Duomo di Trento e l’ingresso di via Belenzani, abolendo del tutto il rapporto diretto fra la strada e la Cattedrale di San Vigilio. Inoltre la statua del Nettuno, rivolta verso via Belenzani, guarda verso la mano tesa della statua di San Francesco Saverio, posta in fondo alla via, sulla chiesa omonima, creando così lungo via Belenzani una fuga prospettica bidirezionale fra i due poli visivi. (Bocchi Oradini 1989)

 

 

Bibliografia

Bocchi Renato, Oradini Carlo, Trento, Roma, Bari, Laterza, 1989

Bocchi Renato, Trento. Interpretazione della città, Trento, Saturnia, 1989

Mayr Anna, Le fontane di Trento, Trento, Publiprint, 1989

Pancheri Roberto, La fontana del Nettuno. Salute e decoro della città, Trento, Temi, 2004

 

Sitografia

https://www.comune.trento.it/Aree-tematiche/Cultura-e-turismo/Conoscere


LA FONTANA DELLE NAIADI DI LUIGI PAMPALONI

A cura di Luisa Generali

 

 

Breve storia di Empoli

La città di Empoli si trova in provincia di Firenze, nell’area del Valdarno inferiore, lambita dal fiume Arno e attraversata da secoli di storia. Gli antichi insediamenti etruschi e romani, che testimoniano una prolifica e precoce attività antropica in questa zona, portarono fra il VIII e il X secolo d. C all’incastellamento con la costruzione di una cinta muraria che definì i confini urbani della cittadina. Sottomessa precocemente alla supremazia di Firenze già nel XII secolo, Empoli fu sede nel 1260 del famoso Congresso (o dieta) di Empoli tenuto dai ghibellini (sostenitori dell’impero) dopo la disfatta di Montaperti, in cui la guelfa Firenze (sostenitrice papale) subì una violenta sconfitta. Qui il condottiero di parte imperiale, nato fiorentino ma esiliato a Siena, Farinata degli Uberti  (1212 c.,- 1264), determinò le sorti di Firenze votando contro la sua distruzione, che secondo l’opinione comune della fazione ghibellina doveva essere invece “ridotta a borgo”: tuttavia questo non bastò a redimere Farinata dai peccati di tradimento e di infedeltà a cui lo condannò Dante, collocandolo nel canto X dell’Inferno nel girone appunto degli eretici. È proprio intitolata a questa personalità la piazza storica nel cuore dell’attuale centro, Piazza Farinata degli Uberti, anche detta Piazza dei Leoni dove si erge la collegiata di Sant’Andrea, risalente al 1093 e che risponde nella decorazione marmoree ai canoni dell’architettura romanica fiorentina sugli esempi del Battistero di San Giovanni e San Miniato al Monte (fig.1).

Fig. 1 - Veduta Piazza Farinata degli Uberti anche detta Piazza dei Leoni, Empoli. Credits: Di mockney piers - https://www.flickr.com/photos/piers_canadas/542766515/sizes/o/, CC BY 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=5646758.

La crescente ricchezza del castello empolese che prese principio fra il Trecento e il Quattrocento si tradusse anche in una prolifica attività artistica sostenuta da un significativo via vai di artisti principalmente fiorentini. Questo fermento culturale e artistico è da ricondursi a doppio filo sia all’importante snodo mercantile venutosi a creare a Empoli (il cui nome forse deriva non a caso da emporium cioè mercato), che permise il benestare di alcune distinte famiglie, sia a un significativo exploit di chiese e conventi, comunità monastiche e compagnie religiose di misericordia che contestualmente fiorirono sul territorio. Alle consuete commissioni ecclesiali e laiche delle confraternite, che spesso trovavano sede negli oratori annessi agli stessi edifici sacri, si aggiunse l’ausilio dei patroni (facoltose famiglie che in cambio di benefici possedevano spazi liturgici e altari all’interno delle chiese), mecenati in prima persona delle opere d’arte che avrebbero adornato e nobilitato le cappelle di famiglia. Tali testimonianze visive, ancora oggi in gran parte conservate nei loro contesti originari, raccontano per immagini il passato di Empoli e la sua partecipata devozione, che oltrepassando la storia si protrasse dagli inizi del Trecento fino all’inoltrato Settecento.

 

La Fontana delle Naiadi

Intorno al secondo decennio del XIX secolo, dopo la fase di dominio napoleonico, nacque l’esigenza da parte degli empolesi di realizzare in piazza Farinata egli Uberti, in posizione leggermente decentrata, una fontana monumentale, che oltre a impreziosire lo spazio aveva anche l’importante funzione pratica di rifornire d’acqua il centro cittadino (fig.2-3). Il progetto venne affidato all’architetto Giuseppe Martelli, di scuola neoclassica francese-napoleonica, stimato allievo di Luigi de Cambray Digny, al tempo direttore delle fabbriche granducali fiorentine, che probabilmente favorì Martelli per l’assegnazione di questo ruolo.

In un primo momento fu pensata con un perno centrale a candelabra sormontato da un grande bacino da cui doveva sgorgare l’acqua secondo un’impostazione in linea col rigore neoclassico, successivamente il progetto mutò verso un modello più articolato, dove il centro visivo e decorativo dell’opera ruotava attorno alle figure scolpite delle Naiadi. Queste presenze femminili erano considerate nell’antica Grecia le ninfe protrettici dei corsi d’acqua dolce, reinterpretate nell’Ottocento come emblemi femminili dell’universo acquatico, modelli ideali di classicità e quindi frequentemente utilizzate come elemento figurativo-simbolico delle fontane. Un esempio coevo di Fontana con Naiade è la cosiddetta “Pupporona” in piazza San Salvatore a Lucca (così chiamata per le evidenti nudità della ninfa), realizzata tra il 1838 e il 1840 dallo scultore Luigi Camolli su disegno di Lorenzo Nottolini (1787-1851), architetto neoclassico molto attivo nel territorio lucchese (fig.4). La figura della Naiade è ispirata ai modelli iconografici antichi della Venere al Bagno: qui la figura femminile, appoggiata all’anfora, è colta in movimento mentre ruota leggermente il busto per alzare il drappo dietro la schiena. La veste sottile crea sul busto un panneggio ad effetto bagnato che evidenzia le sinuosità del corpo femminile, mentre una vasca dal sapore arcaico decorata con due teste di leone e zampe leonine accoglie l’acqua che scorre dalla fonte.

Fig. 4 - Fontana della Naiade anche detta della “Pupporona”, Lucca, Piazza San Salvatore. Credits: By LivornoDP - Own work, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=32599603.

Ritornando a Empoli, la fontana marmorea di Piazza Farinata degli Uberti si sviluppa su un podio circolare composto di tre gradini su cui sorgono simmetricamente quattro pilastri dove sono accovacciati i leoni da cui in gergo prende il nome la piazza, realizzati dal poco noto scultore Luigi Giovannozzi. Questi animali, oltre a ricordare la classicità nel significato di potenza e regalità, sembrano qui presiedere alla difesa del luogo con i loro musi profondamente solcati; dalle fauci dei leoni esce inoltre un getto di acqua che crea in prossimità dei pilastri altre quattro piccole fontanelle (fig.5). Al centro si alza il fulcro del monumento composto da due bacini uniti dal gruppo delle tre Naiadi, che con una leggiadra sintonia di pose e gesti scandiscono armonicamente lo spazio circolare: tutte, infatti, pongono un piede su basamento mentre l’altra gamba avanza verso l’esterno e all’unisono alzano il braccio destro nel gesto di toccarsi i capelli e sorreggere la vasca soprastante (fig.6-7). Le ninfe interamente nude, memori di una bellezza all’antica, siedono su un muricciolo composto da pietre squadrate, mentre man a mano che la candelabra sale verso il vertice la decorazione a rilievo diventa sempre più definita, ornata da foglie vegetali e baccellature in rilievo. Le pietre che compongono il muretto mostrano un effetto volutamente grezzo affinché la lavorazione restituisca veridicità all’insieme: inoltre sporadicamente tra le rocce del basamento si aprono dei fiori dai grandi petali, forse delle ninfee, piante acquatiche per eccellenza, oppure dei gigli, per il legame del comune empolese con Firenze (fig.8).

Luigi Pampaloni

L’artefice del gruppo scultoreo delle Naiadi fu Luigi Pampaloni (1791-1847) allievo di Lorenzo Bartolini, massimo esponente del purismo in scultura, un movimento artistico pienamente ottocentesco che traeva esempio da un tipo di bellezza naturale, discostandosi dall’idealizzazione. Pampaloni persegue e allo stesso tempo mitiga questa tendenza unendo al decoro neoclassico espresso nei corpi delle Naiadi la verosimiglianza dei dettagli naturali in modo da mantenere un tenore molto misurato, visto anche il carattere istituzionale del monumento pubblico e il confronto obbligato dell’artista con i massimi esempi rinascimentali e manieristi presenti a Firenze.

Sono invece più in linea con lo stile purista i celebri ritratti scultorei di Filippo Brunelleschi e Arnolfo Cambio (anni 30’ dell’Ottocento) per il Palazzo dei Canonici a Firenze, così come la scultura raffigurante Leonardo da Vinci (1837-39) per il palazzo degli Uffizi (fig.9-10): qui l’ufficialità del ruolo dell’artista è sempre restituito attraverso una ritrattistica che vuole avvicinarsi il più possibile al dato reale e umano di questi personaggi. Famosissima è l’immagine di Brunelleschi collocata nella nicchia sottostante la cupola di Santa Maria del Fiore, che raffigura l’architetto nel pieno del suo mestiere, mentre osserva e sembra perennemente controllare il suo massimo capolavoro. Ma sono senz’altro le piccole operette a tema fanciullesco-bucolico in cui emerge l’insegnamento di Bartolini e quella leggiadra naturalezza di cui si nutriva il purismo: un esempio è il piccolo gruppo scultoreo Putto con un cane, realizzato per un collezionista inglese nel 1827 e che vediamo nel bozzetto in gesso alle Galleria dell’Accademia di Firenze (fig.11). Ispirato ai soggetti degli amorini, la scultura vuole restituire la tenerezza di un momento giocoso tra un bambino e un cane, cogliendo gli aspetti più naturali di entrambi i protagonisti, come la posa tipicamente puerile del fanciullo, il suo volto pingue e sorridente, il manto fluente dell’animale e la sua docile espressione. Proprio per la particolare inclinazione nell’esprimere con naturale bellezza queste operette Luigi Pampaloni è stato definito l’”Anacreonte della scultura”, alter ego in arte dell’antico poeta greco celebre per un tipo di componimento lirico dai toni leggeri e disimpegnati.

 

Bibliografia

A.Natali, La "Fontana dei leoni" patrimonio e responsabilità, Firenze 2018

A.Naldi, Empoli. I luoghi e i tesori della storia Empoli 2012

 

Sitografia

https://www.quinewsempolese.it/empoli-torna-a-zampillare-la-fontana-delle-naiadi.htm

https://www.gonews.it/2019/12/14/fontana-dei-leoni-restauro-avverra-destate/

https://www.luccaindiretta.it/dalla-citta/2020/08/07/nuova-vita-per-la-pupporona-in-piazza-del-salvatore/191219/

https://www.treccani.it/enciclopedia/luigi-pampaloni_%28Dizionario-Biografico%29/

https://www.galleriaaccademiafirenze.it/opere/fanciullo-che-scherza-con-un-cane/