GIOVANNI FRANCESCO BARBIERI DETTO IL GUERCINO

Giovanni Francesco Barbieri detto il Guercino nacque a Cento il 2 Febbraio 1591 e verrà considerato uno degli artisti più rappresentativi della fase matura del Barocco. Venne nominato il Guercino a causa di uno strabismo congenito. Verso i 6 anni mostrò una particolare inclinazione al disegno quindi il padre lo fece studiare presso vari maestri minori emiliani come Bartolomeo Bozzi (1600), Benedetto Gennari (1607) e Giovan Battisti Cremonini (1610). Lo stile del Guercino andò piano piano definendosi rimanendo colpito dallo stile di Ludovico Carracci (ebbe modo di ammirare le sue opere durante il soggiorno bolognese), dello Scarsellino, di Carlo Bononi e dopo il soggiorno veneziano (1618) anche di Tiziano. Gli esordi del Guercino avvengono nei primi anni dopo il soggiorno bolognese, con la realizzazione di 3 tele per la chiesa di San Sebastiano a Renazzo; la Madonna col Bambino in trono tra i Santi Francesco, Antonio Abate e Bovo1 (1611-12) stilisticamente ispirato a Carlo Bononi, Il miracolo di San Carlo Borromeo2 (1612-13) ispirato in particolare per i giochi di luce allo Scarsellino e La Madonna col Bambino in gloria tra San Pancrazio e una monaca3 (1615-16) influenzato dal Carracci.

Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3

Nel 1616 il pittore centese inaugurò a Cento l’Accademia del Nudo, portando 23 alunni provenienti da tutta Italia a studiare sotto il Guercino.

Due anni più tardi per le chiese di Cento realizzò quattro pale d’altare come la Madonna della Ghiara con i Santi Pietro, Carlo Borromeo e il committente4 (riproduzione della Vergine di Reggio tratto da un disegno cinquecentesco di Lelio Orsi) dove si nota come il committente assomigli a Ludovico Carracci e il paesaggio crepuscolare circondato da rovine e alberi si rifaccia allo stile di Dosso Dossi; Sant’Alberto che riceve lo scapolare dalla Madonna del Carmine5 per la chiesa della Santissima Annunziata, San Bernardino da Siena che prega la Madonna di Loreto6 e San Pietro che riceve le chiavi da Cristo7 per la Basilica della Collegiata di San Biagio.

Fig. 4
Fig. 5
Fig. 6
Fig. 7

Queste ultime due pale d’altare sono state compiute dopo il soggiorno a Venezia, infatti nella pala di San Bernardino si nota come il Guercino si sia rifatto ai suggestivi effetti di luce di Tiziano e Veronese, mentre in quella di San Pietro l’influenza è dovuta allo studio della Pala Pesaro di Tiziano. Altri dipinti del Guercino legati alla pittura veneta sono La vestizione di San Guglielmo8 per la chiesa di San Gregorio e Siro e San Francesco in estasi con San Benedetto e un angelo9 per la chiesa di San Pietro a Cento dipinti entrambi nel 1620.

Fig. 8
Fig. 9

L’anno successivo Alessandro Ludovisi, divenuto papa Gregorio XV chiamò il Guercino a Roma, ricevendo come primo incarico la decorazione del Casino Ludovisi appena comprato dal nipote del papa. Assieme ad Agostino Tassi realizzò gli affreschi della villa, quali L’aurora10 e La Fama11 (1621). Successivamente realizzò il Ritratto di Gregorio XV12 (1622) e l’enorme pala commissionata per un altare della Basilica di San Pietro raffigurante la Sepoltura e gloria di Santa Petronilla13 (1623), rimossa poi nel 1730 per essere sostituita da una copia a mosaico di Pietro Paolo Cristofari. Il Guercino durante il soggiorno romano esegui pochi altri dipinti commissionati da personaggi come il cardinale Scipione Borghese, ma dopo la morte di Gregorio XV nel  1623 il pittore centese decise di tornare nella sua città natale. Da questo soggiorno lo stile del Guercino muta in parte assimilando uno stile classico di Guido Reni attenuando l’uso del chiaroscuro.

Fig. 10
Fig. 11
Fig. 12

 

Fig. 13

Tornato a Cento nel 1624, gli venne commissionato una Semiramide14 per Daniele Ricci poi donato a Carlo I d’Inghilterra. Questo dipinto impressionò moltissimo il sovrano inglese portandolo ad offrirgli un posto presso la corte inglese, rifiutata dal pittore. Questo non fu l’unico invito che ricevette: venne invitato dagli Estensi a Modena nel 1633 per dipingere i ritratti della famiglia, nel 1639 ricevette un simile incarico da Luigi XIII re di Francia e prima ancora per la regina di Francia. Tutti questi inviti furono declinati dal pittore preferendo una vita più tranquilla. Verso la fine degli anni 20 del 1600 il processo di transizione dell’artista alla fase matura delle sue produzioni è evidente nelle opere de La Madonna col Bambino benedicente15 (1629) e il Cristo risorto che appare alla Madonna16 (1628-30). Negli anni 40 del 1600 acquistò una cappella nella chiesa del Rosario di Cento, dove nel decennio successivo collocò alcuni dipinti in cui è chiaro il raggiungimento della fase matura del suo stile come San Giovanni Battista nel deserto17 (1650) e La Madonna col Bambino che appare al San Girolamo18 (1650-55), portata in Francia con le requisizioni napoleoniche (lo stile maturo del Guercino lo si riconduce alla composizione lineare, all’espressione emotiva dei soggetti e nell’uso di colori chiari e brillanti).

Fig. 14
Fig. 15
Fig. 16
Fig. 17
Fig. 18

Con la morte di Guido Reni avvenuta a Bologna l’8 Agosto del 1642 il Guercino vi si trasferì con la famiglia, ricevendo ben presto la richiesta da parte dei monaci della Certosa di Bologna di completare l’opera di San Bruno lasciata incompiuta dal pittore felsineo. Il Guercino la rifiutò proponendo un’opera fatta di sua mano raffigurante il santo, dipingendo così nel 1647 La Visione di San Bruno19. Due anni più tardi il fratello Paolo Antonio Barbieri morì portando il pittore in un profondo stato di malinconia. Il duca di Modena, Francesco I d’Este lo invitò nella sua tenuta estiva di Sassuolo facendogli superare questo momento di depressione. Dal suo rientro a Bologna subentrò la figura del cognato, Ercole Gennari che collaborò con il Guercino occupandosi dei suoi affari. Prima che giunga la morte il pittore porterà a compimento altre opere, una tra le tante il San Giovanni Battista20 del 1654. Morì l’11 Dicembre 1666 per un grave malore e verrà sepolto nella chiesa di San Salvatore.

Fig. 19
Fig. 20

 

Bibliografia

Il Guercino a Cento. Emozione barocca. Silvana Editoriale, 2019

Sitografia

http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-francesco-detto-il-guercino-barbieri_%28Dizionario-Biografico%29/


LA CHIESA DI SOTTERRA A PAOLA

Una chiesa sotto un'altra chiesa

La chiesa ipogea di Sotterra si trova in località Gaudimare, a pochi passi dal centro storico di Paola, in prossimità della chiesa del Carmine che la sovrasta. La chiesetta è infatti una delle più antiche della Calabria è stata dimenticata per secoli non solo “sotto” la terra, ma anche “sotto” il luogo scelto per la chiesa del Carmine. La sua datazione è incerta, ma secondo alcuni studiosi potrebbe risalire all’ VIII secolo. Subì diversi rimaneggiamenti nel corso del tempo, fino a scomparire, forse in epoca cinquecentesca, a causa di eventi franosi o per una grande alluvione del torrente Palumbo. Dopo la riscoperta nel 1876, in modo fortuito, si sono moltiplicati gli studi e le teorie sulla chiesetta.

La chiesa si incrocia con la sovrastante chiesa del Carmine, dalla quale si accede per mezzo di una scala del portico. Per scendere più agevolmente nella cripta fu praticata un’apertura nel pavimento della chiesa superiore. Di questo accesso è rimasta l’apertura in fondo alla attuale scala, ora trasformata in un finestrone con inferriata. Secondo alcuni, l’edificio era una cripta, secondo altri era l’oratorio di eremiti. Due importanti monografie presentano differenze fondamentali: secondo le osservazioni di Francesco Ruffo la chiesa di Sotterra è bizantina, mentre per Rubino essa ha solo tracce bizantine. Nel catalogo degli edifici monumentali del Francipane, si trovano osservazioni che fanno capo dell’attività della Soprintendenza ai monumenti del successore di Paolo Orsi, Edoardo Galli, in base ai rilievi e grafici dell’assistente Ricca. Queste osservazioni sono di grande pregio. Nel primo elenco del 1929-1933, viene descritta: “chiesa del Comune di Sotterra in contrada Gaudimare, di origine basiliana (VII-VIII) ma ricostruita, con cripta medievale affrescata”.

Nel secondo elenco, molto più curato, è del 1938 viene riportato: “Santuario Ipogeo di origine bizantina, ricostruito nel XIV. Interno della cripta a tipo basilicale, con presbiterio e abside decorati da un ciclo di affreschi in parte di età bizantina e in parte iconografia benedettina del XIV secolo”. L’edificio si presenta come una semplice aula rettangolare monoabsidata, orientata lungo l’asse nord-sud e preceduta da un endonartece. È sormontata da volte a botte, suddivisa da tre archi in quattro campate, e un’abside semicircolare.

Fig. 1- Chiesa di Sotterra, la Vergine e gli Apostoli nel semicilindro, il Cristo in gloria, nel catino.

Nonostante secoli di oblio, sono arrivati fino a noi bellissimi affreschi. Le più antiche pitture secondo Pace risalgono all'età normanna ed in particolare alla fine del XI-XII secolo. La stessa datazione è stata proposta anche da Falla Castelfranchi.

La chiesa di Sotterra a Paola: descrizione

Gli affreschi sono distribuiti all'interno dell’abside dove, al di sopra di una zoccolatura dipinta a motivi geometrici romboidali, trovano un’ascensione suddivisa in due registri: la Vergine e gli Apostoli, nel semi-cilindro; il Cristo in gloria, nel catino. Quest’ultimo soggetto parrebbe contaminato dal tema occidentale della Majestas Domini. Una fascia orizzontale divide e nello stesso tempo fa convergere le due parti, superiore e inferiore, dell’icona. Gli Apostoli nonostante debbano essere undici, perché l’Ascensione avviene prima dell’elezione di Mattia al posto di Giuda, sono sempre dodici per esprimere la totalità della chiesa, con la Vergine al centro spesso affiancata da due candidi angeli. Alcuni Apostoli indicano con il dito alzato il trono di Cristo e le palme proiettate verso l’alto contribuiscono a rendere l’idea del congiungimento fra terra e cielo. I dodici Apostoli anziché raggruppati sono allineati in maniera semplice ma pieni di pensiero e carattere. Non si capisce perché qualcuno scriva che sono un uomo e una donna in maniera alternata quando è evidente come donna solo la Vergine. Forse perché nei moduli bizantini due Apostoli sono sempre raffigurati senza barba come si può notare anche nell'icona di Recklinghausen. Le due zone sono divise dalle fasce orizzontali e dalla mandorla entro la quale è il Cristo eppure hanno un punto di convergenza. Accanto alla zona delimitata della mandorla si osservano i resti dei panneggi dei due angeli. Ai lati dell’abside si svolge il tema dell’Annunciazione, con l’angelo (fig.2) a sinistra che annuncia il divino concepimento e la Madonna (fig.3) sul lato opposto.

 Fig. 2- Chiesa di Sotterra, affresco, angelo dell’Annunciazione.

Fig. 3- Chiesa di Sotterra, Madonna.

L’angelo, che, volando è già prossimo alla terra, ma non la tocca, ha le braccia incrociate sul petto e larghe ali a ventaglio che sconfinano dalla cornice. In posizione aerea, con una lunga stola tramezzata da numerose crocette di forma latina, con leggera torsione si protende verso la Madonna. Tutte e due le figure sono in una parete liscia con sfondo a tappeto di stile cosmatesco. Il movimento del panneggio, con un dinamico rigonfiamento che lo solleva dal fondo, ed una stola come agitata dal vento, contrastano con il pacato incrociare delle braccia sul petto. La Madonna è in piedi, con veste sobria e manto orlato. Una mano è sul petto e l’altra sorregge un libro, la testa leggermente piegata verso l’angelo. Queste due figure dipinte da un artista ignoto sono datate XIV-XIV secolo. Sulla parete di sinistra ci sono altri due affreschi più recenti, risalenti al Quattrocento: una Madonna con Bambino e la figura di un santo (fig4).

Fig. 4- Chiesa di Sotterra, Madonna con il Bambino e Santo.

Bibliografia

Cuteri, A., Percorsi della Calabria bizantina e normanna, itinerari d’arte e architettura nelle provincie calabresi, Roma, 2008.

Falla Castelfranchi, M., Disiecta membra. La pittura bizantina in Calabria (secoli X-XIV), in Calabria bizantina. Testimonianze d’arte e strutture di territorio. VIII Incontro di studi bizantini (Reggio Calabria- Vibo Valentia-Tropea, maggio 1985), Soveria Mannelli 1991, pp. 21-61.

Musolino, G., Calabria Bizantina, Venezia 1966, pp.341-342.

Russo, F., La chiesa bizantina di Sotterra (storia e arte), Roma 1949, p.14.

Venditti, A., Architettura bizantina nell’Italia meridionale, Campania, Calabria e Lucania, Napoli 1967, p.221

Verduci, R., La chiesa di Sotterra di Paola, Reggio Calabria, 2001, pp. 9-64.

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IL SANTUARIO DEL SACRO SPECO DI SUBIACO

IL "NIDO DI RONDINI"

Incastonato nella roccia del Monte Taleo e a strapiombo sulla valle, nel comune di Subiaco, si trova il Santuario del Sacro Speco, luogo di culto della spiritualità benedettina. In questo luogo San Benedetto trascorse un periodo della sua vita, precisamente in una grotta. Il santuario è composto da due chiese sovrapposte, da cappelle, da volte, tutte incastonate nelle pareti irregolari della roccia.

LA CHIESA SUPERIORE

La Chiesa Superiore è stata costruita per ultima, ed è formata da campate irregolari: la prima che si incontra è più alta della seconda e sono separate l'una dall'altra da un arco, al di sopra del quale vi è l'affresco della "Crocifissione". Opera imponente, quest'ultima, il corpo del Cristo è delineato con grande accuratezza e accompagnato da dettagli, il volto di Gesù appare sereno e lo spettatore ne resta coinvolto.

Vi sono altri elementi che raccontano altri episodi: il gruppo delle Pie Donne, i ladroni, la Maddalena. La parete di destra è divisa in tre registri: nel primo sono rappresentati "Il tradimento di Giuda", la "Fuga degli Apostoli" e "La Flagellazione". Nel secondo registro sono rappresentati "Il giudizio di Pilato" e il "Viaggio al Calvario". Sono affreschi ricchi di dettagli, ad esempio ne "Il Giudizio" vediamo rappresentata una città trecentesca con mura merlate alla guelfa, terrazze e loggette. Nel terzo registro è raccontata "La Pentecoste". Allo stesso modo la parete di sinistra è divisa in tre zone, nella parte inferiore è raffigurata "L'entrata in Gerusalemme di Gesù" e le "Marie al Sepolcro", nel secondo registro si trovano "L'incontro di Cristo con la Maddalena" e "L'incredulità di Tommaso". Infine nell'ultimo spazio vi è rappresentata "L'Ascensione, tra Angeli in festa, Maria, i Discepoli e le Pie Donne".

La seconda campata è, probabilmente, il nucleo originario della costruzione, qui gli affreschi avvolgono completamente lo spettatore e sono attribuiti ai pittori della Scuola Umbro-Marchigiana. Nella parete di fondo troviamo un affresco, ormai deteriorato, che rappresenta "San Benedetto in cattedra". Nella parete a sinistra, tre affreschi: “San Benedetto tentato dal diavolo”, “San Benedetto che rotola fra le spine” e “San Benedetto che prega nella grotta”. Nella lunetta, vicino all'ingresso, si vede, a destra, “Il miracolo del veleno” e a sinistra “La guarigione del monaco indemoniato”. Attraverso dei gradini, dalla seconda campata, si accede al transetto, e quindi all'abside, che è interamente scavata nella roccia.

LA CHIESA INFERIORE

L’accesso alla Chiesa Inferiore avviene oggi dal transetto della Chiesa Superiore tramite una scala, a sinistra della quale si trova un affresco di origine bizantina, che raffigura il testo della bolla del 4 Luglio 1202, con cui il papa Innocenzo III concedeva speciali favori ai monaci residenti nello Speco. La prima campata della Chiesa Inferiore è situata vicino alla Scala Santa, posta sulla sinistra di chi si mette di fronte alla Chiesa. Nella parete di fondo sono rappresentati gli episodi de “L’offerta del pane”, “Il pane avvelenato sottratto dal corvo” e “Cristo benedicente tra angeli, con San Benedetto e Santa Scolastica”. Il primo è ambientato in una grotta, dove San Benedetto, seduto, riceve il pane avvelenato, dono del prete Fiorenzo, con grande sconcerto di Mauro e di Placido. Nella lunetta della parete dove si apre la porta del Coro è raccontato il “Miracolo del salvataggio di San Placido”. Viene descritto San Mauro, che inconsapevolmente corre sull'acqua del lago, appena San Benedetto gli fa cenno di salvare San Placido. Ne “Il Miracolo del falcetto” il lago è rappresentato come una bianca macchia rettangolare, dai bordi ondulati: a sinistra vi è il Goto che porge al santo il bastone senza falcetto, a destra San Benedetto immerge nell'acqua il bastone, al quale il falcetto miracolosamente si unisce. La seconda campata della Chiesa Inferiore si trova allo stesso livello della prima campata, all'interno di essa si trova l'accesso alla Grotta della Preghiera. Nella terza campata della Chiesa Inferiore, a sinistra, si trova una grotta nella quale è allestito permanentemente un presepio. Nella parete a destra sono dipinte le storie di San Benedetto: “Il miracolo del vaglio”, “Il viaggio verso la chiesa di Affile” “La vestizione”, “Il ritiro in orazione dentro la grotta”. Nell'ultimo episodio San Benedetto è descritto in preghiera, dentro la grotta immersa in un paesaggio realisticamente rappresentato, del quale sono con accuratezza descritti gli alberi e la campagna circostante.

LA GROTTA DELLA PREGHIERA

La Grotta di San Benedetto, chiamata anche “Grotta della Preghiera”, è il principale  punto di riferimento di tutto il sacro complesso. E’ un anfratto del monte Taleo, dove, come dice san Gregorio Magno nel II libro dei “Dialoghi”, San Benedetto si ritirò a vita eremitica per tre anni, ignoto a tutti, fuorché a Dio e al monaco Romano, che dall'orlo della roccia sovrastante, mediante una lunga corda, mandava al Santo il cibo essenziale per la sopravvivenza. In seguito al tentativo di avvelenamento da parte di Fiorenzo, parroco della chiesa di San Lorenzo, situata sulla riva sinistra dell’Aniene, San Benedetto abbandonò la grotta ed essa rimase per circa seicento anni solo luogo di preghiera. Dopo il 1193 al Sacro Speco si insediò una comunità di dodici monaci, con una propria amministrazione, guidati da un priore dipendente dall'abate di Santa Scolastica, e la roccia in cui la grotta è inserita subì adattamenti e modifiche strutturali, per agevolarne l’accesso e consentire il normale svolgimento della vita monastica. Il papa che, in quel periodo, maggiormente ebbe a cuore l’esperienza benedettina, fino a riformarla, fu Innocenzo III, che andò spesso a Subiaco e valorizzò lo Speco.

LA CAPPELLA DI SAN GREGORIO

La Cappella di San Gregorio è un piccolo ambiente absidato costolonato, e vi si accede dalla Chiesa Inferiore attraverso una scala a chiocciola. A destra della finestra si trova, in un pannello rettangolare, l’affresco che rappresenta San Francesco d’Assisi, che ha in mano una carta, nella quale si legge: PAX HUIC DOMUI. Ai suoi piedi è raffigurato un piccolo monaco, con tonaca rosso cupo, che è, forse, il committente dell’opera. L’opera è anteriore al 1224, anno in cui San Francesco ebbe le stimmate, che qua non appaiono, come non figura l’aureola, ad indicare che il santo, in quel tempo, era ancora vivo.  Un altro affresco,che è posto a sinistra della finestra, rappresenta il cardinale Ugolino, vescovo di Ostia, divenuto poi papa col nome di Gregorio IX, dipinto nell'atto di consacrare la cappella a San Gregorio Magno. Molti riconoscono nella figura che si trova accanto ad Ugolino lo stesso San Francesco, che avrebbe assistito a tale consacrazione. Ugolino è dipinto secondo una formula compositiva, cara al Maestro di frate Francesco, desunta da una matrice culturale bizantina: la curvatura della figura nel rispetto della cornice d’arco.

Il monastero merita di essere visitato,è un gioiello dell'architettura, uno scrigno di tesori artistici ed un luogo suggestivo.

Papa Pio II lo definì il "nido di rondini".

 

sitografia:

https://benedettini-subiaco.org/index.php/monastero-san-benedetto[/vc_column_text][/vc_column]

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IL CONVENTO DOMENICANO DI SORIANO CALABRO

La nascita di un paese: Soriano Calabro e il suo convento

Soriano Calabro è un piccolo paese montano del vibonese che deve la sua fondazione prevalentemente alla realizzazione del Convento domenicano nel 1510. Il Santuario raggiunse il suo massimo splendore tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà del secolo XVII, soprattutto grazie alla miracolosa apparizione del Quadro di San Domenico, ritenuta un’opera di origine divina consegnata dalla Madonna ad un frate il 14 settembre 1530. Uno dei maggiori centri di culto domenicano, non solo nel Meridione ma a livello europeo, rimase distrutto nel 1659 durante uno dei terremoti che nei secoli hanno segnato la Calabria. Sui resti dell’antico santuario ne fu edificato un nuovo per volere del Re di Spagna Filippo IV. Lo studio fu affidato al certosino e architetto Padre Bonaventura Presti che basò il progetto sul modello dell’Escorial di Madrid.

Il convento domenicano di Soriano Calabro: descrizione

L’imponente convento si estendeva per una superficie di oltre ventimila metri quadrati, distribuiti in quattro edifici claustrali. La basilica, immensa, culminava in una cupola ottagonale che si innalzava sul transetto raggiungendo un’altezza di oltre cento metri. La navata centrale era a croce latina e ai sui suoi lati si sviluppavano quattro cappelle a destra e quattro a sinistra, comunicanti, ed intervallate da pilastri cruciformi con basi in granito dalla chiusura ad archi e, infine, un'ampia abside. Al presbiterio si accedeva attraverso dei gradini, qui si trovava l’altare maggiore e subito dopo la cappella del santo Gusmano dove era stato collocato il Quadro di San Domenico.

L’interno e la facciata rispecchiavano la maestosità della complessa struttura; le pareti erano finemente decorate da stucchi e rivestite con marmi pregiati sormontate da capitelli, medaglioni con Santi e Beati dell’Ordine, bassorilievi, puttini, statue, pale d’altare,cherubini e da motivi ornamentali tipici del Seicento barocco. Nel 1783 un altro terremoto rase al suolo l’edificio riducendolo al rudere che è oggi.

Una parte è stata recuperata per riedificare la chiesa che custodisce il quadro del santo, inoltre ivi si trova il MuMar, un museo in cui sono custoditi i marmi provenienti dagli scavi effettuati nel rudere, tra cui è presente una testina femminile attribuita al Bernini.

    

 

Bibliografia

https://turismosorianocalabro.org/2014/06/16/i-ruderi-dellantico-convento-di-san-domenico-in-soriano-calabro-tra-storia-e-innovazione/

DOPPIA CORSIA n. 25 (lug-ago 2013) TESTO DI Giovanna Tenuta[/vc_column_text][/vc_column]

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L'EX CHIESA DI SANTA MARGHERITA A SCIACCA

Una delle chiese più ricche di Sciacca

L’originaria chiesa di Santa Margherita fu fondata nel 1342 per volere dei Cavalieri Teutonici, che ne mantennero il possesso fino al 1492, anno in cui l’ordine abbandonò la Sicilia; da questo momento in poi la chiesa fu aggregata alla chiesa della Magione di Palermo, al cui Regio Abate era soggetta. Erroneamente si faceva risalire la sua costruzione ad Eleonora d’Aragona, nipote del re di Sicilia Federico III d’Aragona e moglie di Guglielmo Peralta, conte di Caltabellotta. Nel 1594, grazie a un ingente lascito da parte di un ricco mercante catalano, Antonio Pardo, iniziarono le opere d'ampliamento e di ristrutturazione, ed infatti, la struttura pervenutaci risale a quest'intervento espresso dalla volontà del Pardo in punto di morte. Alcune tracce della struttura originaria ,che si presenta come unico blocco, sono ancora visibili sulle mura perimetrali sul lato meridionale del complesso monumentale.

L'ex chiesa di Santa Margherita a Sciacca: descrizione

Il prospetto principale ricade su Piazza Carmine, dove si trova uno dei due portali in chiaro stile gotico-catalano, costituito da due pilastri ottagonali supportati da una triplice ghiera. In alto due finestre, un rosone e un poderoso cornicione lapideo dal quale sporgono grondaie in pietra simili a bocche di cannoni. Sul lato sinistro della Chiesa, che prospetta su via Incisa, vi è un secondo portale in marmo bianco, impreziosito dalla presenza di alcune sculture a basso rilievo, realizzato nel 1468 da Pietro de Bonitade su disegno del famosissimo scultore, di origine dalmata, Francesco Laurana. Questo portale, quasi certamente, apparteneva alla prima chiesa e fu poi adattato alla seconda. Salta agli occhi la discordanza stilistica tra l'arco inflesso del fastigio, che è gotico, e l'arco della lunetta che è rinascimentale. L'arco rinascimentale è un'aggiunta posteriore (in origine circoscriveva la lunetta l'arco inflesso) e il suo inserimento tra l'arco inflesso e l'architrave ha determinato lo spostamento dei due pilastrini e l'aggiunta di lastre di marmo tra pilastrini e stipiti del portale. Entrando all'interno della chiesa si è subito colpiti dalla sua magnificenza. Essa è a navata unica e mostra una ricca decorazione in stucco in stile barocco (angeli, putti, arabeschi, figure esoteriche, volute e medaglioni), policromata ed affrescata da Orazio Ferraro nel XVII secolo. Appartengono allo stesso autore gli affreschi con la Crocifissione e la Madonna dell’Itria in prossimità dell’altare. Sull'altare principale è posta una statua lignea di Santa Margherita datata 1544 opera del maestro Alberto Frixa (o Frigia). Una serie di medaglioni, raffiguranti episodi della Via Crucis opera di Giovanni Portaluni, ornano l'intradosso dell'Arco Trionfale. Nel transetto vi sono inoltre due quadroni con l’Adorazione dei Magi e la Nascita di Gesù dell’artista Gaspare Testone e un sarcofago con un’iscrizione latina, recante la data 1602, nel quale sono conservate le ceneri di Antonio Pardo che prima erano nella vicina chiesa di S. Gerlando.

Passando dal transetto alla navata, la decorazione in stucco si attenua, la plastica si appiattisce, le statue a tutto tondo cedono il posto a figure di minore rilievo. Qui, sulle pareti spaziose della navata, vi sono sei grandi quadri dipinti a olio del celebre pittore licatese Giovanni Portaluni con varie scene: il martirio di S. Oliva, l'Adorazione della Croce con tutto il popolo, S. Elena e Costantino, la liberazione della peste con l'intercessione della Maddalena, S. Calogero e S. Rosalia, scene della vita di S. Gerlando e il martirio di S. Barbara. Nel quadro raffigurante S. Gerlando, alla destra del Santo che distribuisce il pane ai poveri, è ritratto Antonio Pardo, il munifico benefattore della chiesa. I restanti medaglioni sono stati realizzati dal pittore saccense Michele Blasco. Alla titolare della chiesa, invece, è dedicato un altare sul lato destro in marmo scolpito a bassorilievo databile tra il 1504 e il 1512, che descrive la vita e il martirio di Santa Margherita, opera attribuita al carrarese Bartolomeo Birrittaio e al suo collaboratore Giuliano Mancino. La parte posteriore della chiesa è dominata da un maestoso organo di legno a canne decorato con sculture di santi e angeli, opera di La Grassa del 1641, posto dentro un tabernacolo ligneo. Il soffitto è ligneo a cassettoni ed è stato realizzato nel 1630 dal maestro saccense Antonio Mordino. Al centro del soffitto a cassettoni trova posto una tela di buona mano e in buono stato di conservazione, raffigurante l'Immacolata, di cui si ignora l'autore. La pavimentazione attuale è composta da maioliche smaltate bianche e nere che riprendono il modello originario trovato durante gli scavi condotti dalla Soprintendenza.Dopo anni di incuria e di totale abbandono (dal 1907 fino alla fine degli anni '80) è stata restaurata e riaperta al pubblico, anche se non più adibita alle funzioni religiose, e per un breve periodo ha ospitato mostre ed eventi vari. Dal 2017 a causa di infiltrazioni d’acqua l'ex chiesa di Santa Margherita a Sciacca è nuovamente e tristemente chiusa al pubblico.

Cappella dedicata a S. Margherita

Organo e tabernacolo ligneo con sculture di santi e angeli.

Navata e altare principale

Dettaglio altare con statua lignea di Santa Margherita dello scultore A. Frixa

Soffitto a cassettoni con tela dell’Immacolata di autore ignoto

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