PIRANESI, ARCHITETTO SENZA TEMPO

Recensione della mostra "Giambattista Piranesi, architetto senza tempo" a cura di Mattia Tridello

La mostra a Palazzo Sturm

Trecento anni fa, precisamente il 4 Ottobre 1720, nasceva Giambattista Piranesi, un artista che con le sue opere incisorie ha regalato al mondo vedute straordinarie dei più importanti monumenti della classicità romana, visioni sublimi dell’antico da lui tanto amato e studiato.  Con la volontà di rendere omaggio a quest’ultimo, in occasione del trecentenario dalla nascita, nell’incantevole scenario del settecentesco Palazzo Sturm, sulle sponde del Brenta, dal 21 Giugno 2020 si apre al pubblico un’esposizione che, ad oggi, non ha avuto eguali nella storia museale bassanese. Giambattista Piranesi, architetto senza tempo” è infatti la prima grande mostra della collezione delle incisioni di Piranesi presenti nel comune di Bassano del Grappa, ed è quindi la prima occasione per poter vedere e apprezzare una raccolta che, grazie ai prestiti della Fondazione Cini di Venezia, si può definire completa, satura di tutta l’opera artistica e grafica prodotta da Piranesi nel corso della sua vita, cronologicamente dettagliata e ampia tanto da creare un concentrato incisorio unico nella città veneta.  L’esposizione si configura come la concreta risposta all'esigenza di esporre ai visitatori i tesori che si trovano aprendo semplicemente i cassetti della sala stampe o della biblioteca della città, alla necessità di sensibilizzare pubblicamente la vastissima e pregevole quantità di opere che troppo spesso stanno in disparte e giacciono nei depositi museali, alla volontà di ribadire il primato storiografico e culturale portato da un artista del quale, per via di malintesi e fraintendimenti, per molto tempo si è conosciuto pochissimo della sua vita giovanile, in particolare sul luogo di nascita.

Giambattista Piranesi: gli anni giovanili

Risulta veramente singolare constatare dunque che, pur essendo uno dei maggiori protagonisti dell’arte incisoria europea del Settecento, Piranesi non nacque, come da decenni è stato pensato, a Mogliano veneto, bensì a Venezia. Proprio nella città lagunare egli trascorse l'infanzia e i primi anni della giovinezza accanto al padre Anzolo, un tagliapietre che proveniva dall’Istria, precisamente dalla città di Pirene. Venezia, come è noto, utilizzava per la costruzione dei suoi edifici enormi quantità di pietra d’Istria poiché, già a partire dal governo del Doge Orseolo, il territorio, ora facente parte della Slovenia, risultava annesso alla Serenissima. E’ dunque facile comprendere da dove derivi il cognome della famiglia Piranesi e perché quest’ultima si sia stabilita, negli anni, proprio nella laguna.  All'età di vent'anni Giambattista parte alla volta della Città Eterna in qualità di disegnatore nella spedizione diplomatica di Francesco Venier (ambasciatore veneziano). Nel 1743 pubblica a Roma “La prima parte di architetture e prospettive” (1743), il suo primo catalogo di incisioni, a cui ben presto si susseguono altri volumi, primi fra tutti le “Vedute di Roma” (1748) e “Le carceri”(1749 prima edizione, 1761 seconda edizione). Da lì a pochi anni, nel 1778, Piranesi si spegne lasciando però acceso un nutrito e intimo desiderio di continuare l’opera da lui iniziata spingendo così numerosi artisti italiani e europei a imitare le sue vedute, i suoi sguardi sull'antico, i suoi occhi sul tempo passato.

E’ dunque per questo che il sottotitolo stesso dell’esposizione, “architetto senza tempo” vuole rimarcare quanto appena illustrato sottolineando come lo stesso artista, seppur con una basilare formazione architettonica, non produsse, da architetto, molti progetti. Della sua attività costruttiva ci rimane solamente la ristrutturazione della chiesa di Santa Maria del Priorato a Roma e il completamento assiale del famoso portale con “il buco della serratura” situato accanto al luogo sacro e sempre sull'Aventino.  Una nuova e veramente interessante riflessione sul tema temporale legato al rapporto tra la contemporaneità settecentesca, in cui viveva Piranesi, e l’epoca romana, ben più distante, viene fornito già dalla prima sala al piano terra (Fig. 1) dell’edificio dove, per la prima volta, viene esposta un’opera di un artista vivente in relazione al tema centrale della mostra. Luca Pignatelli, infatti, propone una stampa di dimensioni notevoli riproducente una veduta di Piranesi, “La veduta del castello dell’acqua felice” (Fig. 2). Su quest’ultima egli inserisce volontariamente orologi di diversa tipologia e grandezza per rimarcare come lo scorrere del tempo, ieri come oggi, sia inesorabile, continuo nel rivestire con la sua patina le città odierne e quelle antiche.

Il percorso della visita

Sfruttando l’ordine cronologico-biografico la mostra si articola negli ultimi due piani del palazzo bassanese che, dopo il recente restauro, sono stati riportati all'originario splendore. Tra stucchi e soffitti dagli echi neoclassici trova sistemazione la ricca e completa collezione incisoria della città, ben custodita grazie a contenitori protettivi  e termoisolanti. Un occhio di attenzione e riguardo è stato posto anche nella sistemazione dei punti di illuminazione naturale e artificiale, che permettono una buona lettura delle opere evitando riflessi sul vetro protettivo, utilizzato per non compromettere la perfetta condizione delle incisioni e che garantisce la focalizzazione dell’osservatore sulle stampe, sia singole che rilegate.

Sala 1 e sala 2

Nella prima sala del quarto piano di Palazzo Sturm (Fig. 3), l’esposizione si apre con un’assai piccola stampa risalente al 1757. L’elemento raffigurato e adottato come logo della mostra è un “Occhietto con uroboros”(Fig. 4). L’immagine, seppur di ridotte dimensioni, racchiude un preciso significato, che ancora una volta può far riflettere sulla vita e sui desideri dell’artista. Noto soprattutto per le sue incredibili incisioni, il vero sogno di Giambattista Piranesi rimase sempre quello di essere architetto. In vita, come accennato precedentemente, ottenne un solo incarico in questa veste: il rifacimento della Chiesa di Santa Maria del Priorato a Roma. Questo suo desiderio si riflette sia nel fatto che si firmasse come “architetto veneziano”, sia che usasse come occhietto, in cui collocare il nome della persona alla quale veniva dedicato un determinato volume, un’incisione con gli strumenti di tale disciplina: la penna, la squadra e il compasso.

Questi utensili sono legati insieme fra loro dall’uroboros: un serpente che, mordendosi la coda, forma un cerchio senza inizio né fine. Presente nella cultura di molti popoli ed epoche, l’uroboros, apparentemente immobile ma in eterno movimento, rappresenta l'energia universale che si consuma e si rinnova di continuo, la natura ciclica del mondo, l'unità, l'infinito e l'eternità. Un rimando quindi all'antico di cui Piranesi fu fervente sostenitore e studioso, e una raffigurazione che verrà ripresa in altri contesti ma simili significati anche dal Canova nel monumento funebre per Maria Cristina d’Austria nella Chiesa degli Agostiniani a Vienna (Fig. 5).

Il resto dell’ambiente risulta occupato da alcune delle primissime incisioni, perlopiù frontespizi (Fig. 6), del giovane Piranesi, che proseguono poi anche nella sala successiva.

Fig. 6

Sala 3-4-5

La terza sezione del percorso espositivo (Fig. 7) è completamente dedicata a una delle raccolte che, senz'altro, resero celebre Piranesi sia in Italia che all'estero: si tratta di stampe singole o rilegate in volumi eccezionalmente aperti e visibili interamente riproducenti visioni, scorci, vedute della Roma sia antica che contemporanea all'artista, con la popolazione ritratta nelle normali attività quotidiane. Non deve stupire, quindi, vedere come nella “Veduta del Ponte e Castel Sant’Angelo” (Fig. 8), oltre ai meravigliosi monumenti cittadini, non manchino navigatori, pescatori con le loro piccole imbarcazioni intenti a sistemare le reti nel Tevere. Come fa notare uno dei curatori della mostra e del catalogo, Pierluigi Panza, “ … nelle sue vedute vi è un’umanità piccolissima ma sempre indaffarata … è un gran teatro veneziano e umano” .

Nelle numerose vedute presenti (Fig. 9-15), sia in quelle che rappresentano la Roma moderna, sia in quelle legate al ricordo e alla memoria della città imperiale romana, l’indiscussa protagonista è la storia. Attraverso il disegno delle architetture classiche e delle rovine, Piranesi vuole enfatizzare quelle sopravvissute testimonianze di un passato ormai irraggiungibile, di un passato antico ricoperto dalla natura che prosegue nel suo intento corrosivo e al contempo poetico.

Sala 6 a

Terminata la visita alla prima parte dell’esposizione, salendo l’elegante scalinata settecentesca del palazzo, si giunge alla seconda e ultima sezione della mostra. L’ambiente al quinto piano è diviso in due differenti zone di interesse. La prima di queste ospita alcune sedute per poter guardare il filmato che viene proiettato tramite uno schermo alla parete (Fig. 16). Il cortometraggio, realizzato da Grègoire Dupond per factum Arte, ricostruisce tridimensionalmente ogni ambiente delle sedici tavole delle cosiddette “Carceri”(ospitate nella sala successiva) portando così il visitatore all'interno di un viaggio virtuale nelle famose e altrettanto singolari ultime incisioni dell’artista (Fig. 17).

Sala 6 b

L’ultima sala dell’esposizione (Fig. 18) è interamente dedicata all'esposizione dell’importante prestito concesso dalla Fondazione Giorgio Cini di Venezia: le stampe delle “Carceri d’Invenzione”(Fig. 19-23). Per la loro straordinaria libertà di immaginazione e per la capacità di trasferire nel segno grafico una sensibilità pittorica, le incisioni rivelano l’influenza dei Capricci di Gianbattista Tiepolo, incontrato da Piranesi presumibilmente nel 1747, poco prima della sua ripartenza per la Città Eterna. Descritte da Victor Hugo come “l’orribile Babele sognata dal Piranesi” , le sedici tavole esposte vennero incise dall'artista dopo un delirante attacco di febbre. In queste, il carattere ancora rococò del capriccio piranesiano si unisce alle cupe visioni dell’eccesso barocco, con quel susseguirsi di scale che non portano in alcun luogo, i ponti sospesi, le grate, gli antri bui, gli strumenti di tortura e le figure minuscole che si agitano all'interno. Esse sono il contributo dell’artista al dibattito dell’epoca sui sistemi di tortura e sulla pena capitale, un’espressione di angoscia interiore che anticipa egregiamente le raffigurazioni di Escher e le scomposizioni volumetriche dell’architettura decostruttivista, oggi affermata in tutto il mondo.

Dalle architetture visionarie, stravaganti, per certi versi veramente immaginarie, si ritorna quindi al tema su cui si fonda la mostra stessa. Piranesi, architetto senza tempo, incisore, amante dell’arte antica tanto da essere conosciuto principalmente per quest’ultima, invece che per la sue opere architettoniche, a trecento anni dalla nascita, viene omaggiato e dovremmo dire, ringraziato per la sua straordinaria capacità di captare, raggruppare, immortalare la realtà a lui contemporanea e quella antica in un corpus artistico straordinario, in stampe realizzate sotto un’unica mano, sotto un tratto abile e veloce nel carpire e imprimere nella carta il respiro del passato, la voce dell’antico, l’eco del tempo.

 

Informazioni per la visita:

PALAZZO STURM

Via Schiavonetti, 40

36061 Bassano del Grappa (VI)

 

21.6.2020 — 19.10.2020

 

ORARI

Tutti i giorni, 10-19

chiuso il martedì.

La biglietteria chiude alle 18.

 

BIGLIETTI

Ingresso compreso nel prezzo del biglietto

7 € intero, 5 € ridotto

 

CONTATTI

T +39  0424 519 940

[email protected]

*Il catalogo scientifico della mostra edito da Silvana Editore, a cura di Chiara Casarin e Pierluigi Panza, presenta tutte le opere e le incisioni di Piranesi esposte a Palazzo Sturm con i testi di Chiara Casarin, Pierluigi Panza, Luca Massimo Barbero, Enzo Di Martino, Manlio Brusatin e Stefano Pagliantini.


IL "CASO" DI SIMONINO DA TRENTO

Una vera mostra “di ricerca”, o comunque una mostra davvero riuscita, può essere il più concreto atto di fede nella vitalità, nel valore oggettivo, nella serietà e nell’utilità sociale della storia dell’arte: come disciplina scientifica, ma anche come insostituibile mediatrice per l’amore, la comprensione, il godimento delle opere d’arte da parte di un pubblico più vasto.

TOMASO MONTANARI, Contro le mostre, 2017

Con questa citazione di Tomaso Montanari, vorrei parlare di una “mostra riuscita” e di “utilità sociale” che è L’Invenzione del colpevole. Il caso di Simonino da Trento dalla propaganda alla storia. La mostra,ospitata dal Museo Diocesano Tridentino dal 14 dicembre al 13 aprile 2020 (già prorogata all’11 maggio 2020), è a cura di Domenica Primerano con Domizio Cattoi, Lorenza Liandru, Valentina Pedri con la collaborazione dei docenti dell’Università degli studi di Trento, Emanuele Curzel e Aldo Galli.

La mostra si pone l’obiettivo di analizzare tramite documenti e opere d’arte, la vicenda di Simonino da Trento.

Ma chi era Simonino da Trento?

Bottega di Daniel Mauch, Martirio di Simonino da Trento, primo decennio del XVI sec., Trento, Museo Diocesano Tridentino

Tutto ebbe inizio il 23 marzo 1475, Giovedì Santo, quando dalla città di Trento scomparve Simone, un bambino di soli due anni. Il corpo venne ritrovato il giorno di Pasqua in un canale nei pressi della casa di Samuele di Norimberga, uno dei maggiori esponenti della comunità ebraica della città. Dato il luogo del ritrovamento, vennero immediatamente incarcerati e processati per rapimento e omicidio gli ebrei trentini, che poco dopo furono condannati a morte. Uno degli obiettivi della mostra è rianalizzare come il processo fu basato su confessioni estorte con la tortura, rendendo il caso di Simonino da Trento quella che oggi potremmo definire una clamorosa fake news.

L’accusa è stata fatta perché la propaganda antisemita del tempo alimentava un’idea diffusa nell’Occidente medievale già dalla metà del XII sec.,ovvero che durante la Settimana Santa, fosse una consuetudine il “sacrificio rituale”. Secondo la credenza, gli ebrei sacrificavano bambini cristiani con l’obiettivo di reiterare la crocifissione di Cristo, adoperando il sangue della vittima per scopi magici e medico-curativi.

Un ruolo cruciale in questa vicenda fu quello del principe vescovo di Trento, Johannes Hinderbach, il quale da un lato ebbe un controllo diretto sugli interrogatori “pilotati” con lo scopo di far confessare il delitto agli ebrei, dall’altro lato gestì la nascita del culto di Simonino, organizzando pellegrinaggi verso il corpo, registrando i miracoli, commissionando e scrivendo opere agiografiche e soprattutto promuovendo una campagna di immagini che portò zone dell’Italia settentrionale fino alla Germania a un culto di questo “martire”.

Hartmann Schedel, Liber Chronicarum, Nürnberg, Anton Koberger, 23 dicembre 1493. Trento, Biblioteca Comunale

Il Simonino infatti, dopo il fatidico marzo 1475, venne subito considerato un martire cristiano divenendo oggetto di un culto intenso, grazie anche alle immagini e soprattutto alla stampa tipografica. La devozione si diffuse rapidamente;solo papa Sisto IV (1414-1478) provò a fermare questa tendenza, proibendo il culto sotto pena di scomunica.

Il tentativo del papa non ebbe grandi risultati, infatti solamente nel Novecento vennero rilette le fonti da W. P. Eckert, per volontà di Monsignor Iginio Rogger e del vescovo Alessandro Maria Gottardi, stabilendo la verità storica e dimostrando come le accuse di omicidio rituale rivolte agli ebrei fossero infondate. La vicenda si concluse il 28 ottobre 1965, negli anni del Concilio Vaticano II (1962-1965), quando la Chiesa decise di abrogarne definitivamente il culto.

La mostra su Simonino da Trento e “L’invenzione del colpevole”

La mostra occupa due piani del Museo Diocesano Tridentino, il quale ha sede in Palazzo Pretorio, la prima residenza vescovile eretta nel centro della città. La visita comincia al piano terra: qui è possibile capire il contesto in cui nacque l’accusa per omicidio rituale, i meccanismi con cui gli ebrei furono accusati di tale crimine per poi, nell’ultima sala, ripercorrere le fasi che portarono all’abrogazione del culto nel 1965.

Il percorso prosegue poi al secondo piano, dove sono esposte opere di tipo eterogeneo (dipinti, sculture, reliquiari, incisioni, fotografie…), concesse in prestito da importanti musei e istituti culturali nazionali e stranieri come le Gallerie degli Uffizi, la Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli di Milano, l’Abbazia di Wilten ad Innsbruck e tanti altri. Questa parte di esposizione ha l’obiettivo di dimostrare la fortuna e la diffusione di un culto che durò più di Cinquecento anni, basato, come abbiamo visto, su una fake news.

Concludo con la citazione dell’augurio dell’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi, un pensiero che non si può non condividere dopo la visita a questa importante mostra: “Mi auguro che questa meritevole iniziativa, organizzata dal nostro Museo Diocesano, possa divenire per tutti, a cominciare dalle comunità cristiane, un monito fortissimo a vigilare perché nessuno osi ammantare del nome di Dio ciò che invece ferisce inesorabilmente l’uomo e il credente”.

“La difesa della razza”, V, n.6, 20 gennaio 1942

Bibliografia e sitografia

 

 

Immagine tratte da:

  • Simone da Trento nella tradizione agiografica: i testi latini, catalogo della mostra (Trento, Museo Diocesano Tridentino, 14 dicembre – 13 aprile 2020), a cura di D. Primerano, Trento 2020.