NICOLA DI ULISSE DA SIENA: TRACCIA DI UN PITTORE TOSCANO NELLA MARCA D’ANCONA

A cura di Arianna Marilungo

 

 

Note biografiche su Ulisse da Siena

Il recupero della personalità artistica di Nicola di Ulisse da Siena è dovuto a importanti storici dell’arte che si sono impegnati nello studio delle sue opere e del loro legame con il territorio di appartenenza. Tra questi vi sono Federico Zeri, Roberto Longhi e l’erudito Romano Cordella, che hanno saputo ricostruire il percorso geografico, umano e artistico di questo importante pittore nonché creatore di una vivace bottega pittorica nel cuore dell’Italia: a Norcia, in Umbria.

È sconosciuta la data di nascita di Nicola di Ulisse da Siena attivo per tutto il secolo XV non solo in Umbria e in Toscana, ma anche nelle Marche e nell’Abruzzo. Già dal 1442 risiedeva stabilmente a Norcia, nell’attuale territorio della provincia di Perugia. Nello stesso anno assunse due commissioni che segnarono profondamente la sua carriera artistica: la decorazione della camera di Francesco Sforza nel castello del Girfalco di Fermo e la decorazione ad affresco della tribuna di Sant’Agostino a Norcia, in collaborazione con Bartolomeo di Tommaso, Andrea Delitio, Luca Alemanno e Giambono di Corrado. L’arte di Bartolomeo di Tommaso influenzò in maniera evidente la tecnica di Nicola di Ulisse soprattutto nella propensione a rendere i volumi attraverso un accentuato grafismo e nella linearità delle ornamentazioni[1]. Due anni dopo, ancora a Norcia, dipinse un’ancona per l’altare maggiore della Chiesa di San Benedetto, oggi perduta. La stessa sorte toccò ad un’altra sua opera, questa volta però a Siena: nel 1452, infatti, dipinse per il Palazzo Pubblico della sua città natale un’Assunta con angeli e santi che avrebbe dovuto decorare la residenza degli esecutori di Gabella[2]. Da questo anno tornò in quella che aveva già eletto sua residenza ufficiale, Norcia, ma intensificò gli incarichi soprattutto nelle limitrofe regioni delle Marche e dell’Abruzzo nel decennio 1460-1470. Queste due regioni, infatti, conservano molte sue opere, anche se il suo lascito artistico di maggior consistenza si trova in Umbria.

Non è noto con precisione quando morì, ma presumibilmente la morte lo colse tra il marzo del 1476, quando era impegnato a dipingere tre cappelle della pieve di Santa Maria a Norcia, e il 2 maggio 1477, quando la moglie risultava già vedova.

 

Il quadro di Sant’Andrea a San Ginesio

Una delle opere marchigiane più conosciute attribuite a Nicola di Ulisse da Siena è il Quadro di Sant’Andrea, conosciuto anche come Sant’Andrea e la battaglia tra Fermani e Ginesini [fig. 1]. Si tratta di una tempera su tavola presumibilmente datata attorno al 1463 e conservata presso la Pinacoteca Civica di San Ginesio, in provincia di Macerata. Attualmente, a causa delle lesioni subite dalla Pinacoteca a seguito del sisma del 2016, la Pala è esposta nell’Auditorium di Sant’Agostino, ex Chiesa di Sant’Agostino. La Pala fu pensata per questa stessa chiesa e, una volta ultimata, venne collocata nell’altare della seconda cappella di sinistra di giuspatronato della Comunità.

 

La tavola è stata commissionata proprio dalle autorità municipali di San Ginesio per ricordare un evento risalente al 1377: la vittoria dei ginesini all’assalto della città da parte dei fermani. Inoltre con quest’opera si intendeva rendere omaggio a Sant’Andrea, a cui tutta la comunità era molto devota poiché lo si riteneva protettore della città durante la già citata battaglia. In un manoscritto del XVI secolo si descrive così questo attacco:

“in una certa notte […] i Fermani […] inaspettatamente e senza farsi scorgere arrivando per la porta Brugiano al fine di occupare la fortezza e il colle lì prossimo, […] si erano proposti di mettere fuoco ad ogni cosa ma, saputosi il fatto e dato l’allarme, i Ginesini […] aggrediscono i nemici dispersi qua e là perché non pratici del luogo e li cacciano fuori dalla porta. Nella vicina pianura inizia la battaglia e, fatta una strage, essi sono respinti […]. E fu eretto un trofeo nella chiesa di S. Agostino, […] con la descrizione di quella circostanza, nella cappella di Sant’Andrea apostolo dal cui intervento i Ginesini affermano essere stati più volte protetti; ed ogni anno, con grande e pubblica solennità, essi riveriscono il suo altare” (da Armellini, 1994)[3].

È ipotizzabile che il fatto sia avvenuto diversamente: Fermo all’epoca era assoggetta dal tiranno Rinaldo da Monteverde e l’attacco contro San Ginesio potrebbe essere stato perpetrato da truppe mercenarie raccolte dal tiranno. Nel dipinto, infatti, mancano emblemi araldici e divise appartenenti a Fermo, al contrario lo stemma della città di San Ginesio, una squadra bianca su campo rosso, è ripetuto per ben cinque volte: sopra gli archi della porta e dell’antiporta delle mura, sul drappo pendente della tromba del soldato che si sporge da una torre, sullo scudo di un altro soldato situato sui camminamenti delle mura e sul vessillo impugnato da Sant’Andrea[4].

La scena si compone di due parti: quella superiore in cui è rappresentato il Santo apostolo protettore della città e quella inferiore in cui, al di là delle mura della città, imperversa la cruenta battaglia tra fermani e ginesini.

La fazione dei fermani è riconoscibile da una “M” sormontata da una corona raffigurata sullo scudo di un soldato, probabile allusione al tiranno Monteverde, che era a capo anche di Loro Piceno, piccolo borgo nemico di San Ginesio [fig. 2]. Altri soldati, invece, indossano dei turbanti e uno impugna una scimitarra, chiari simboli evocativi di mercenari stranieri [figg. 3 e 4]. Su due scudi dipinti di rosso campeggiano due cartigli, con motti e incitazioni in lettere gotiche: “memini” [fig. 5] e “non ti fidare e non sarai ingannato” [fig. 3]; su uno è raffigurata un’insegna guerresca e su un altro una “G” gotica minuscola al centro di una ghirlanda di rametti e foglie di alloro. La scena raffigurata è il momento decisivo della battaglia: i due schieramenti combattono senza posa e con molta forza [fig. 6].

 

Lo scontro tra le due fazioni è incorniciato dalle mura della città alternate da alte torri, porta urbica e antiporta, costruite con blocchi squadrati di pietra grigia, e percorse da strette feritoie per gli arcieri. Dagli spalti i soldati lanciano palle o tirano frecce con la balestra [figg. 7 e 8] incitati da un trombettiere e da un tamburino [fig. 9]. Le case, gli ospizi, le chiese con alti campanili cuspidati caratterizzano la città protetta da Sant’Andrea, raffigurato in atto benedicente ed identificato dalla scritta in latino a sinistra SCS ANDREAS[5][fig. 10]. Il Santo apostolo è ritratto frontalmente, come un’enorme icona che ricorda i monumentali mosaici ravennati di derivazione bizantina, con un mantello che ondeggia al vento in numerose pieghe e volute ed è affiancato da un angelo che sorregge una candela accesa, simbolo della vittoria dei Ginesini sui Fermani[6]. La ieratica fissità del Santo protettore di San Ginesio contrasta in maniera evidente con l’agitazione e la concitazione che caratterizzano la battaglia sottostante. La soluzione adottata al problema prospettico della scena ed il tono fantastico con cui viene raccontato lo scontro sono tutti evidenti richiami arcaizzanti che si affiancano agli elementi tipici del gotico fiorito – i caratteri delle scritture dei cartigli, la luminosità dei colori, il volo legnoso del panneggio della veste del Santo – presenti nella Pala.

 

Il pittore descrive accuratamente la città, riproducendo con fedeltà tutti i dettagli degli edifici, degli alberi all’interno del giardino e della donna vestita di bianco – la Fornarina – intenta ad infornare il pane e artefice della salvezza di San Ginesio: fu lei ad accorgersi dell’arrivo dei nemici e a dare per prima l’allarme dell’imminente attacco [fig. 11].

 

Questa pala d’altare è stata oggetto di numerose analisi stilistiche e critiche per le sue peculiarità derivanti dalla commistione di richiami arcaizzanti e tardo gotici riscontrabili nella resa dei dettagli naturalistici e nella precisa descrizione delle armature e dei cavalli in primo piano. In particolare i maggiori storici dell’arte italiana del XX secolo, tra cui spiccano Lionello Venturi, Federico Zeri, Antonio Santangelo e Pietro Zampetti, si cimentarono nell’analisi di questa pala per sciogliere il nodo circa il suo autore. Negli ultimi anni del secolo scorso, la critica concordò sull’attribuire la tavola a Nicola di Ulisse da Siena, sia per gli evidenti echi che richiamano la pittura senese che per i notevoli legami con l’arte miniaturistica da cui l’arte senese trasse origine. Questa tesi è avvalorata anche dalle intense relazioni politico-culturali intercorse tra il Comune di San Ginesio e la Repubblica di Siena per tutto il XV secolo.

Nel suo saggio dedicato al Quadro di Sant’Andrea pubblicato nel 1994, lo storico Luigi Maria Armellini propone una datazione agli anni attorno al 1463, quando Nicola di Ulisse si trovava a lavorare in Amandola (FM), vicino a San Ginesio, per la chiesa di Sant’Agostino[7].

 

 

 

 

Note

[1] https://www.treccani.it/enciclopedia/nicola-di-ulisse-da-siena_%28Dizionario-Biografico%29/

[2] Enrico Castelnuovo, Bruno Toscano (diretto da), Dizionario della pittura e dei pittori, Larousse Einaudi, Torino, 1992, p. 841

[3] Luigi Maria Armellini, Il quadro di Sant’Andrea: una battaglia in una tavola ginesina del 15 sec., Tipografia San Giuseppe, San Ginesio, 1994, p. 102

[4] Alessandro Marchi, Giulia Spina (a cura di), Il Quattrocento a Fermo: tradizione e avanguardie da Nicola di Ulisse da Siena a Carlo Crivelli, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2018, p. 114

[5] Alessandro Marchi, Giulia Spina (a cura di), Il Quattrocento a Fermo: tradizione e avanguardie da Nicola di Ulisse da Siena a Carlo Crivelli, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2018, p. 114

[6] Nadia Falaschini, La storica battaglia tra Ginesini e Fermani del 1377 nella tavola del secolo XV attribuita a Nicola di Ulisse da Siena, in Studia Picena: pubblicazione, Anno 2018, n. 83, Pontificio Istituto Marchigiano Pio XI, Istituto Teologico Marchigiano, Fano, pp. 51-60

[7] Luigi Maria Armellini, Il quadro di Sant’Andrea: una battaglia in una tavola ginesina del 15 sec., Tipografia San Giuseppe, San Ginesio, 1994, pp. 79-85

 

 

 

 

 

Bibliografia

Luigi Maria Armellini, Il quadro di Sant’Andrea: una battaglia in una tavola ginesina del 15 sec., Tipografia San Giuseppe, San Ginesio, 1994

Enrico Castelnuovo, Bruno Toscano (diretto da), Dizionario della pittura e dei pittori, Larousse Einaudi, Torino, 1992

Nadia Falaschini, La storica battaglia tra Ginesini e Fermani del 1377 nella tavola del secolo XV attribuita a Nicola di Ulisse da Siena, in Studia Picena: pubblicazione, Anno 2018, n. 83, Pontificio Istituto Marchigiano Pio XI, Istituto Teologico Marchigiano, Fano, 2018

Alessandro Marchi, Giulia Spina (a cura di), Il Quattrocento a Fermo: tradizione e avanguardie da Nicola di Ulisse da Siena a Carlo Crivelli, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, 2018.


VIAGGIO NEL PAESAGGIO SENESE PARTE II

A cura di Luisa Generali

 

Proseguiamo il viaggio nel paesaggio senese, iniziato nel precedente articolo, passando dagli scenari naturali alle rappresentazioni artistiche di questi luoghi, attraverso alcuni esempi pittorici appartenenti al clima artistico senese del Trecento e del Quattrocento.

 

Il Trecento: Simone Martini

Tra gli affreschi più celebri e più datati in ordine di tempo in cui protagonista indiscusso è il paesaggio si trova l’affresco celebrativo di Guidoriccio da Fogliano, conservato nella sala del Mappamondo all’interno del Palazzo Pubblico di Siena (fig.1). Datata al 1330, l’opera fu realizzata da Simone Martini (1284-1344), prosecutore della scuola di Duccio e rappresentante insieme ai fratelli Lorenzetti della matura pittura trecentesca. Avviato con Duccio a un tipo di disegno aggraziato e molto decorativo, lo stile senese si caratterizza per una costante ricerca del dettaglio unito a un coloratissimo tono narrativo. La presenza di Martini nel cantiere assisiate, dove poté apprendere l’insegnamento di Giotto, giustifica una più consapevole solidità spaziale derivante dal primato della scuola fiorentina: tuttavia il pittore non riuscirà mai completamente a staccarsi dal gusto cortese, come dimostra la famosa Annunciazione degli Uffizi, vicina alle soluzioni più internazionali del gotico d’oltralpe. Ritornando a Guidoriccio, il famoso affresco rappresenta il condottiero emiliano assoldato dai senesi per la conquista dei territori maremmani, raffigurato mentre si dirige verso il castello di Montemassi. Come in un monumento equestre nel suo corrispettivo pittorico il capitano è ritratto di profilo al centro di un territorio che, per i colori e l’asperità del paesaggio, ricorda le crete senesi. Nelle rappresentazioni degli scenari naturali di questo periodo spesso realtà e fantasia si mescolano producendo delle ambientazioni surreali che partono da input e suggestioni derivanti dal paesaggio locale frequentato dagli stessi artisti. Le conformazioni di terra argillosa che denotano il tipico colore lunare delle crete si ritrovano interpretate nell’ambientazione che fa da sfondo all’opera del Martini, dominata da una vorticosa altura sulla sinistra della scena su cui svetta il castello di Montemassi. D’impatto e fortemente scenico è lo stacco del cielo blu intenso sui colori spenti delle crete.

Fig. 1 - Simone Martini, Guidoriccio da Fogliano e la presa di Montemassi, 1330, Siena, Palazzo Pubblico. Credits: KwGsAiYoIN09ww at Google Cultural Institute maximum zoom level, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=23689341.

Risale invece al 1337 il grande ciclo allegorico del Buono e del Cattivo Governo (fig.2), cuore politico della Magistratura dei Nove, carica statale in auge a Siena dal 1287 al 1355. L’opera con finalità didascaliche vuole rappresentare per immagini e metafore gli effetti sulla città e sulla campagna del buon governo, paragonati agli esiti nefasti prodotti da una cattiva amministrazione dello stato. La metafora della buona condotta responsabile ed efficace offre il pretesto per raccontare diversi ambiti della vita di città e di campagna, dove la legge favorisce il lavoro, l’operosità e la rendita. Una nuova impronta naturalistica si trova nella veduta del contado che si estende fuori la porta della città di Siena (fig.3): un mucchietto di colline terrose si alterna a una distesa di pendii verdeggianti punteggiati da alberelli e da poderi coltivati. Il pittore, che ha reso qui un’immagine riassuntiva concreta dei territori intorno Siena, sembra guardare sia ai vicini paesaggi delle crete senesi, che alle dolci colline della Val d’Orcia, unendo in un solo scorcio paesaggistico le diverse realtà del contado senese.

 

Il Quattrocento: Giovanni di Paolo di Grazia, Sano di Pietro e Pinturicchio

Facendo un salto temporale nel Quattrocento, nel contesto artistico senese emerge la personalità di Giovanni di Paolo di Grazia (1403-1482), pittore e miniatore nativo di Siena, la cui produzione si distingue per un forte radicamento al territorio locale e un grande estro nello stile. Il gotico cortese che ebbe a Siena i suoi più lunghi strascichi fu sposato a pieno da Giovanni di Paolo, giocando spesso sui particolari descrittivi di un paesaggio liberamente tratto dall’ambientazioni della campagna senese. Facendo un rapido excursus dei dipinti attribuiti al pittore si vedrà come queste fantasiose ambientazioni naturali assumano sempre più certe caratteristiche visionarie che sono la firma dell’artista, ad iniziare dalla Madonna dell’Umiltà riproposta dall’artista in due versioni. Conservate rispettivamente alla Pinacoteca di Siena (la versione del 1337) e al Museo Museum of Fine Arts di Boston (la versione posteriore datata al 1442), le due tavolette presentano l’usuale iconografia della Madonna dell’Umiltà con protagonista la Vergine seduta sopra un cuscino in mezzo a un ricco giardino recintato, simbolo del giardino dell’Eden e della purezza di Maria (fig.4-5). In secondo piano una veduta a volo d’uccello si apre su un vasto paesaggio contraddistinto da una valle pianeggiante alternata a coltivazioni, dove svettano delle montagnole sparse, mentre in lontananza il cielo sfumato e l’orizzonte leggermente rotondeggiante indicano la volontà di conferire una spazialità naturale alla scena. Gli elementi rurali del paesaggio senese, come le tipiche collinette e la coltura dei campi, vengono astratte dal contesto ambientale divenendo con Giovanni di Paolo ambientazioni favolose, particolareggiate come in una preziosa miniatura.

Risalente allo stesso periodo (1436 circa) si trova ancora nelle collezioni della Pinacoteca di Siena La fuga in Egitto (fig.6), tavoletta probabilmente nata per la predella di un polittico successivamente smembrato, un destino comune a molte opere attribuite alla mano Giovanni di Paolo. Nel dipinto l’artista conferma la sua creatività nel rappresentare il paesaggio, ricavato dalle vedute del paesaggio senese e trasformato nell’ambiente desertico in cui sono calati i protagonisti, mentre tutt’intorno la scena si anima di vivaci scene di vita quotidiana. Tra le collinette rotondeggianti e aride, lumeggiate da tocchi dorati che ricordano il caldo abbagliante desertico e allo stesso tempo evocano il ricordo delle Biancane a sud di Siena, la popolazione del villaggio è impegnata in attività lavorative di tipo agricolo.

Fig. 6 - Giovanni di Paolo, Fuga in Egitto, 1436 c., Siena, Pinacoteca Nazionale. Fonte: https://www.sienanews.it/in-evidenza/siena-la-storia-per-immagini-magnifiche/.

Risale agli anni ’50 del Quattrocento l’operetta raffigurante il Salvataggio di San Nicola da Tolentino (fig.7), probabilmente nata per affiancare con le relative storie l’effigie centrale di un polittico dedicato al Santo. Oggi conservata al Museo di Philadelphia la tavola si caratterizza per la particolare, quanto bizzarra, rappresentazione del mare in tempesta dove un’imbarcazione viene miracolosamente messa in salvo grazie all’intervento divino. Interdetto dalla prima impressione lo spettatore metterà gradualmente a fuoco l’intento del pittore che ha voluto raffigurare l’imbarcazione in mezzo a una distesa di onde rotondeggianti a “cupoletta”, molto più vicine a un contesto rurale piuttosto che marittimo.

Fig. 7 - Giovanni di Paolo a, San Nicola da Tolentino salva una nave da un naufragio, 1455 c., Philadelphia Art Museum. Credits: Di Bruno1919 - Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=105123153.

Lo stesso espediente nella rappresentazione del mare si ripete in un’altra opera di soggetto simile, questa volta riferita all’intervento miracoloso di Santa Chiara, a cui era forse dedicato un intero polittico (fig.8). Conservata alla Gemäldegalerie di Berlino qui ritornano i visionari flutti dipinti come un mare di colline fitte e continue, a cui non si può fare a meno di accostare gli scenari rurali della campagna senese.

Fig. 8 - Giovanni di Paolo, Santa Chiara salva una nave da un naufragio, metà XV secolo, Berlino, Gemäldegalerie. Credits: By Sailko - Own work, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=53357395.

È in questo periodo della sua attività che Giovanni di Paolo imprime alle sue ambientazioni un taglio ancor più originale ponendo i personaggi in contesti tanto pianeggianti e scorciati prospetticamente che acquisiscono la struttura di una coloratissima pavimentazione. Tale ingegnosa soluzione viene adotta in diverse opere attribuite al corpus dell’artista, tra cui riportiamo gli esempi delle tavolette raffiguranti San Giovanni Battista nel deserto (fig.9), Santa Chiara salva un bambino da un lupo (fig.10) e l’Adorazione dei Magi (fig.11). Qui si noterà come sia ricorrente nel fondale lo scenario naturale alternato da collinette o montagne scoscese (come nel caso del San Giovanni), che si alzano improvvisamente da una pianeggiante distesa scorciata prospetticamente in linee geometriche precisissime: questo espediente, che vuole restituire l’idea di campi e coltivazioni simmetricamente scanditi, immerse in un’atmosfera limpidissima che pur in lontananza non rinuncia a certi dettagli miniaturistici, offre anche il pretesto all’artista di dare prova concreta della conoscenza delle regole prospettiche pur in un’ottica completamente surreale.

Sul finire del secolo un altro artista si distingue per la sua vastissima produzione pittorica che ancora oggi si conserva gran parte in loco, nelle chiese e nelle pinacoteche civiche di tutta l’area senese: Sano di Pietro (1405-1481). Si noterà una netta differenza tra il paesaggio costruito da questo artista e Giovanni di Paolo, il cui confronto è favorito da opere di medesimo soggetto che entrambi hanno realizzato a distanza di poco tempo. Con Sano di Pietro gli scenari, pur nella loro sinteticità, acquisiscono un dato reale più autentico che si esprime in un paesaggio concreto, unito a un utilizzo del colore più deciso e verosimile. I personaggi sono introdotti in un’ambientazione tangibile, nelle forme di un paesaggio morbido, arricchito da collinette alberate dove si intravedono i profili di lontane architetture: la natura, composta talvolta da alberi rigogliosi e densi di una fitta chioma, perde l’accezione miniaturistica delle opere di Giovanni di Paolo per diventare protagonista insieme alle figure (fig.12). Nell’Annuncio ai pastori (fig.13), oggi alla Pinacoteca Nazionale di Siena, un paesaggio collinare verdeggiante occupa l’intero spazio dell’opera divenendone l’attore principale: l’artista calibra il fondale con un lento digradare del panorama in lontananza, sviluppato in un soffice andamento dove pianura e colline si intervallano gradualmente.

Certi colli terrosi presenti nel paesaggio senese diventano inoltre il rifugio perfetto per ambientare la scena della Natività (fig.14), oppure svolgono la funzione di grotte che ospitano la penitenza di Santi eremiti in luoghi desertici tutti incentrati sui colori dell’ocra (fig.15).

Con il pieno Rinascimento, diffuso dalla scuola fiorentina, il paesaggio cambia aspetto, dominato magistralmente dalla prospettiva e depurato fino alla perfezione. Un esempio di questa evoluzione si trova nella Libreria Piccolomini all’interno della Cattedrale di Santa Maria Assunta a Siena, fatta affrescare dal cardinale Francesco Todeschini Piccolomíni (in seguito Papa Pio III) alla bottega del Pinturicchio (1452 c.,-1513) tra il 1502 e il 1507 con le Storie di Pio II (Enea Silvio), zio del committente al quale lasciò in eredità un’ingente raccolta di libri. Nell’episodio raffigurante Enea Silvio Piccolomini presenta Eleonora d'Aragona all'imperatore Federico III (fig.16), uno scorcio su Siena mostra una veduta limpidissima della città con i suoi simboli principali, tra cui svettano le torri, la Cattedrale e la facciata incompiuta di quello che doveva essere l’impresa colossale del nuovo duomo: accompagna la scena uno scorcio naturalistico aperto verso il contado, i cui pendii evocano solo lontanamente il ricordo dei vasti e variopinti scenari offerti dalla campagna senese.

Fig. 16 - Pinturicchio, Enea Silvio, vescovo di Siena, presenta Eleonora d'Aragona all'imperatore Federico III, 1502-1507, Siena, Cattedrale di Santa Maria Assunta, Libreria Piccolomini. Credits: Di Pinturicchio - The Yorck Project (2002) 10.000 Meisterwerke der Malerei (DVD-ROM), distributed by DIRECTMEDIA Publishing GmbH. ISBN: 3936122202., Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=156380.

 

 

 

Bibliografia

Detti, La terra dei musei: paesaggio, arte, storia del territorio senese, Firenze 2006.

 

Sitografia

-Biografia Giovanni di Paolo

https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-di-paolo_%28Dizionario-Biografico%29/

-Biografia Sano di Pietro

https://www.treccani.it/enciclopedia/sano-di-pietro_%28Dizionario-Biografico%29/

-Biografia Pinturicchio

https://www.treccani.it/enciclopedia/bernardino-di-betto-detto-il-pinturicchio_%28Dizionario-Biografico%29/

-Per La Giornata del Paesaggio

https://storico.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_1627630291.html