I GIGANTI DI PIETRA DI CAMPANA

A cura di Antonio Marchianò

La Stonehenge della Calabria

I Giganti di Pietra di Campana, chiamati anche Pietre della Incavallicata, sono due sculture megalitiche create probabilmente dai primi abitanti della Calabria, e sono situati vicino Campana, nel Parco Nazionale della Sila. Il sito di Campana è considerato la Stonehenge della Calabria.

Fig. 1 - I Giganti di Campana.

Numerose sono le teorie su queste sculture. La prima teoria le fa risalire all'epoca della conquista di Pirro, quindi all'inizio III secolo a.C. Pirro, con trentamila uomini e venti elefanti, giunse in Magna Grecia su invito dei Tarantini per combattere l’avanzata romana da Nord, nel 280 a.C. Anche se questa ipotesi non ha nessun senso logico perché la statua dell’elefante richiese parecchio tempo per essere scolpita.

La seconda sosterrebbe che siano state costruite dai soldati di Annibale durante la Seconda Guerra Punica, verso la fine del III secolo a.C. A differenza di Pirro, Annibale soggiornò per lungo tempo nel Bruttium, l’antica Calabria e sicuramente anche in Sila, ma aveva, alla discesa delle Alpi, un solo elefante, poiché dei trentotto con cui era partito, trentasette morirono sulle Alpi. Uno dei suoi accampamenti principali fu il Castra Hannibalis, situato nella zona della marina di Catanzaro, dunque molto più a sud di Campana. Durante la presenza di Annibale nell'Italia meridionale, furono coniate diverse monete recanti come simbolo il cavallo, mai l’elefante che invece fu usato nelle zecche puniche africane e spagnole. Dall'esempio di shekel punico, moneta del periodo di Annibale, si denota la diversa rappresentazione iconografica rispetto all'elefante di roccia dell’Incavallicata. L’Elefante di Campana, ad una attenta analisi, non sembra essere né asiatico né africano, sia per la forma delle orecchie che per quella delle zanne: dritte, rivolte verso il basso, connotazioni proprie dell’Elephas Antiquus!  Non sembra sia stato il passaggio di Pirro e di Annibale in Calabria a far conoscere gli elefanti agli abitanti di Campana. E inoltre, le Pietre dell’Incavallicata sono strutture imponenti che hanno richiesto tempi lunghi per l’elevazione dei ponteggi o terrapieni e per la scultura delle rocce. Sono, quindi, con molta probabilità da attribuire ad una popolazione residente nell'area e non al passaggio occasionale di qualche esercito straniero.

La terza ipotesi, lo identificherebbe come un Elephas Antiquus, una specie che si è estinta circa 11.000 anni fa, perché la scultura ha le zanne dritte come questa specie, e non le zanne ricurve verso l'esterno, come gli elefanti attuali. I megaliti sono stati scolpiti solo in epoca preistorica, non si conoscono megaliti in epoca romana (Pirro ed Annibale). Nel dicembre 2017 la sovrintendenza archeologica delle Calabria ha rinvenuto nel lago Cecita, a circa 20 chilometri di distanza in linea d'aria dai megaliti di Campana, il fossile completo di un Elephas Antiquus, con zanne e corpo intatti. Questo fatto conferma la presenza della specie nell'area della Sila.

In un documento scritto nel 1600 dal vescovo Francesco Marino, cita la presenza di una delle due statue che viene definita: "Il gran colosso caduto al suolo a causa dei terremoti". Nella mappa della Calabria, disegnata da Giovanni Antonio Magini, nel 1603 la zona è definita: "Il Cozzo dei Giganti".

Dal punto di vista geologico, le rocce dell’Incavallicata appartengono all'unità delle Arenarie giallastre e grigie a echinidi clipeastri di età Serravalliano-Tortoniano (Miocene medio-superiore), come desunto dalla Carta geologica d’Italia alla scala 1:100.000 del Servizio geologico d’Italia, foglio 230 Rossano, rilevato negli anni 1888-1890 dall’ing. Cortese, uno dei più illustri geologi dell’allora Regio Ufficio geologico.

Il primo ad interessarsi di questi  megalite negli ultimi due decenni è stato l’architetto Domenico Canino.  Egli è convinto fortemente che le due sculture siano entrambe dovute all'opera di uomini preistorici, ad una specie di artigiani-artisti che non fecero altro che rappresentare, quasi per ringraziamento. E, a maggior rafforzamento della sua teoria, egli ricorda che l’esemplare rinvenuto lungo il Cecita è proprio del tipo raffigurato a Campana: a conforto di ciò egli ricorda le misure dell’elefante di pietra e dei resti messi al sicuro durante gli scavi e ora sottoposti a nuove indagini scientifiche più approfondite e a studi appropriati presso l’Università del Molise. Le misure dell’elefante di Campana, alto m 5,80, coinciderebbero con quelle ipotizzate dai primi esami dei fossili provenienti dal Cecita: alto al garrese circa 4 metri e con le zanne lunghe circa tre metri. “Quasi il gemello dell’elefante di Campana” ha affermato il Canino in una recente intervista. Tra l’altro la distanza tra le rive del Lago Cecita e la località Incavallicata è soltanto di pochi chilometri in linea d’aria. E noi dobbiamo immaginare l’altopiano silano non come appare oggi, una immensa foresta, bensì costituito da una diffusa savana con alberi di basso fusto e enormi praterie d’erba. L’habitat naturale per uomini preistorici dediti alla caccia e alla lotta per la sopravvivenza. In questo mondo gli stessi elefanti costituivano probabilmente una fonte di cibo ed è facile immaginare quanto fosse preziosa la loro presenza, oltre che per l’alimentazione insieme ad altre specie cacciabili, anche per l’uso che poteva farsi dell’avorio per realizzare utensili e gioielli nonché come merce di scambio.

I giganti di pietra di Campana: descrizione delle statue

La prima statua, chiamata "L'Elefante" (fig.2) è alta 5,50 m, rappresenterebbe un elefante. Osservandola da un lato è ben visibile la lunga proboscide e le due zanne. L’elefante ha tutte e quattro le zampe emicilindriche ben modellate e visibili, due sul lato destro, due su quello sinistro. La zampa posteriore sinistra è ritratta in flessione, cioè l’elefante è ritratto in movimento.

Potrebbe trattarsi dell’Elephas Antiquus, estintosi 12 mila anni fa e ad avvalorare l’affascinante tesi sono le dimensioni delle zanne: 180 centimetri, in parte mutilate, che se ricostruite interamente arriverebbero a misurare 220. E se questa ipotesi fosse vera, quelle di Campana sarebbero le sculture preistoriche più grandi d’Europa.

Dietro la zanna c’è un’altra protuberanza cilindrica mutilata che si protende verso il basso, e dà l’impressione della gamba di un uomo a cavallo dell’animale, ma la statua nella sua parte alta è incompleta. La statua è complessivamente alta 5 metri.

Fig.2 - Elefante.

La seconda, alta 7,50 m, è invece mutila nella parte alta, ma sembrerebbe rappresentare le gambe di un essere umano ed è stata ribattezzata "Il Ciclope" o anche "Il Guerriero Seduto" (fig. 3), infatti la posizione della statua richiama le sculture del Tempio di Abu-Simbel, in Egitto.

Fig. 3 - Scultura, Elefante e guerriero seduto.

Alcuni blocchi di roccia caduti dalla sommità dei colossi (non tutti purtroppo) giacciono sul pianoro circostante a poca distanza dalle statue, e forse sarebbe possibile riconoscerne la collocazione nella posizione originale.

Vicino all’Incavallicata, a circa 500 metri di distanza dalla roccia dell’Elefante, in località Pietra Pertosa, è stata trovata una scultura di roccia calcarea scolpita con lo stesso metodo, rappresentante un grosso rettile senza zampe, una sorta di enorme serpente diviso in diversi tronchi cilindrici, alcuni cavi all'interno, lungo complessivamente 10 metri circa.

Dopo alcune ore di cammino si giunge ad una enorme collina di pietra, sulla cui cima è sagomata una grossa balena di 60 metri e quello che da lontano sembrava l’occhio della balena, si rivela essere una coppia di grotte identiche per foggia a quelle sottostanti l’elefante ed il ciclope, solo molto più grandi. Questa enorme pietra ad un'analisi ravvicinata non appare però come una scultura, ma piuttosto come una collina del tutto naturale dove qualcuno ha modellato solo il dorso, ha scavato le due grotte nella roccia ed ha inciso il calcare sulla parte del muso con una scanalatura orizzontale, che essendo segnata in profondità nella roccia ha un colore  molto più vivo, per dare l’impressione della bocca del grosso cetaceo.

L’Incavallicata è ancora avvolta nel mistero nonostante i campanesi abbiano sentito parlare delle rocce fin dall'infanzia. Gli anziani raccontavano storie di briganti e tesori nascosti o si limitavano semplicemente a dire che furono gli “Antichi” a scolpirle, per cercare riparo dalle intemperie.

 

Bibliografia

Casalinuovo R., I Megaliti di Stalettì, 2003.

Stuppello F., Giganti di Pietra di Campana, in calabriaportal. URL consultato il 2 luglio 2018.

Renzo L., Campana, Immagini della memoria, 1988.

Gli elefanti preistorici della Calabria, in National Geographic. URL consultato il 2 luglio 2018 (archiviato dall'url originale il 2 luglio 2018).

Bollettino della società geografica Italiana Roma - serie XIII, vol.I (2008),pp.163-168.


ABBAZIA DI SANTA MARIA DI CORAZZO

Il monastero, lambito dai torrente Amato e dal torrente Corace immerso nel cuore della Sila Piccola presso la frazione Castagna di Carlopoli in provincia di Catanzaro, fu fondato nel 1060, durante l’ambizioso progetto di rilatinizzazione territoriale, ad opera di Roberto il Guiscardo.

Tra il XIV e il XVI secolo, l’abbazia divenne un centro di snodo e di controllo importante per tutto il territorio, nonostante alternanze di periodi economici non propriamente floridi.

Realizzato in pietra locale e laterizi, la chiesa è orientata con la zona sacra ad est e l’ingresso ad ovest rialzata rispetto al resto del monastero. La pianta a croce latina con abside rettangolare e transetto ha navata centrale e unica, su cui si aprono due cappelle e due ambienti minori. A settentrione è ancora presente la Porta dei morti che conduce al cimitero monastico, verso sud è visibile la scala che portava al dormitorio da cui è ancora possibile ammirare i resti delle celle monastiche. Ad Ovest, infine, all’interno della chiesa, si trovavano il coro dei monaci, i banchi degli infermi, il pulpito e il coro dei conversi.

Tra gli spazi dell’abbazia probabilmente è il chiostro che rappresentava il fulcro della vita dei monaci, soprattutto per la sua funzione religiosa. Si trattava dell’ambiente che metteva in comunicazione le zone claustrali isolate dall’esterno riunendole in un unico nucleo riservato, così come la funzione architettonica vuole.

Intorno all’anno 1000, il complesso passò all’ordine monastico dei Cistercensi e con essi raggiunse il punto più alto del suo splendore proprio nella prima metà del XIII sec.

Diversi personaggi hanno visitato e soggiornato nei locali dell’abbazia tra cui il filosofo, nato a Stilo, Gioacchino da Fiore, citato da Dante nella Divina Commedia, il quale ne divenne anche abate dal 1177 fino al 1187; dal 1561 al 1564, invece, ospitò il filosofo Bernardino Telesio, il quale terminò gli studi per poter completare la sua monumentale opera, De rerum natura iuxta propria principia, la leggenda vuole che proprio qui trovò l’ispirazione per dare il via al suo componimento.

Come ogni struttura monastica che si rispetti, in un periodo in cui il culto delle reliquie è il centro su cui la religione ruota la propria attività di propaganda religiosa e di gestione delle donazioni, l’interno dell’Abbazia di Santa Maria di Corazzo custodiva importanti reliquie, tra le quali frammenti lignei della croce di Cristo, le vesti di Gesù, una pietra del Santo Sepolcro e una ciocca di capelli di Maria Maddalena, cimeli giunte fin qui per opera probabilmente dei Cavalieri Templari, un ordine molto attivi in territorio calabro.

Come quasi spesso accade, la maestosità e l’importanza di questo centro finì per proseguire verso un lento ma inevitabile declino. Basti pensare alla peste del 1348 che colpì l’intera regione e al terremoto dell’anno successivo che segno anche strutturalmente l’edificio. Seguirono la guerra tra Napoli e il regno di Sicilia nel 1372 e lo scisma d’Occidente, tra il 1378 e il 1417, che portò una serie di turbamenti tra le congregazioni religiose di voga nel periodo.

Il 500 non fu un secolo migliore; per via delle commende ecclesiastiche molte fabbriche dell’Abbazia chiusero e i latifondisti locali e i nobili locali specularono privi di scrupoli provocando l’impoverimento della popolazione locale. Nonostante tutto, nello stesso periodo, gli abitanti del villaggio di Castagna decisero di autotassarsi per finanziare i lavori di restauro della Chiesa e dell’Abbazia. La ripresa fu labile e il 600 dà il via al definitivo declino dell’abbazia, finché il 27 Marzo 1638, la vigilia del giorno delle Palme, un terremoto di altissima entità colpisce la Calabria, radendo al suolo Il monastero e la chiesa.

Trascorso un decennio dal terribile sisma, l’Abate commendatario Ginetti cercò di puntare sulla rinascita di Corazzo richiamando a sé artisti della scuola napoletana al fine di ricostruire gli ambienti sia del monastero che della chiesa. Risalgono proprio a questo periodo, con molta probabilità, le opere che attualmente sono sparse nei territori limitrofi, si tratta di marmi di Gimigliano, decorazioni religiose, immagini sacre, affreschi e dipinti.

Quando tutto sembrava rifiorire, nel 1783 un ulteriore terremoto distrugge entrambi gli edifici da poco ricostruiti. Come se non bastasse, nel 1807 i francesi emanano una legge per la soppressione degli ordini monastici di San Benedetto e di San Bernardo e nello stesso anno, con decreto di Gioacchino Murat, i possedimenti dell’Abbazia di Santa Maria di Corazzo passano al demanio pubblico.

La tormentata storia dell’Abbazia di Santa Maria di Corazzo finisce nel 1808, nel momento in cui fu soppressa da un decreto del governo del Re di Napoli Giuseppe Bonaparte.

Attualmente il magnifico rudere dell’Abbazia di Santa Maria di Corazzo è meta di numerosi turisti e conserva il fascino di un tempo lontano totalmente immerso nella natura. Inoltre, molti degli arredi sono stati recuperati e riutilizzati come nel caso dell’altare maggiore in marmi policromi, una delle due acquasantiere in marmo e sei candelabri lignei che attualmente si trovano nella Chiesa di San Giovanni Battista a Soveria Mannelli, oppure dei due altari lignei conservati nella Chiesa di San Giacomo a Cicala e ancora dell’organo e dell’altorilievo in marmo con Madonna col Bambino attualmente custoditi nella Chiesa dello Spirito Santo della frazione Castagna di Carlopoli.

 

Bibliografia e sitografia

https://samueleanastasio.it/2018/04/27/il-monastero-cistercense-di-corazzo/

http://www.comune.carlopoli.cz.it/index.php?action=index&p=279

https://www.sergiostraface.it/i-tesori-dell-abbazia-di-santa-maria-di-corazzo-di-castagna-in-calabria/

Fotografie gentilmente offerte dal dott. Samuele Maria Anastasio, archeologo medievista.