SAN GIORGIO AL PALAZZO
A cura di Francesca Richini
Percorrendo via Torino dal Duomo in prossimità del Carrobbio, tra bar e negozi, si trova una piccola piazza con una chiesa, San Giorgio “al Palazzo”.
La chiesa può risultare ad uno sguardo inconsapevole di non rilevante importanza, in realtà è carica di storia già a partire dal riferimento “al palazzo”. Quale palazzo e perché? Intitolata al santo eponimo fin dalla fondazione, voluta secondo tradizione dall’arcivescovo S. Natale nel 747 d.C., da sempre accompagnata da questa specificazione tanto che più persone si sono poste il dubbio a quale palazzo si facesse riferimento e varie sono le ipotesi, alcune più valide di altre.
Una di queste è che si trovasse nei pressi del palazzo imperiale fatto costruire a Milano da Massimiano Erculeo dal 286 al 305 d.C., dopo che l’imperatore scelse nel 285 la città come sua residenza e come capitale d’Occidente. Questa idea è stata rafforzata da alcuni scavi archeologici che hanno ritrovato un pavimento a mosaico, presso la casa al numero 51 di via Torino, che sono simili nella fattura alla grande pavimentazione a mosaico situata sotto il palazzo Stampa, rinvenuta nello scavo del 1877. Tuttavia, l’ipotesi del palazzo imperiale sembra non essere valida, poiché nel 1865 uno scavo effettuato sulle fondamenta delle case davanti alla chiesa aveva portato al ritrovamento di un pavimento marmoreo tassellato di un tipo diverso da quello che ci si sarebbe aspettati e che avrebbe spostato il palazzo imperiale più a nord.
Un’altra delle ipotesi è che il “Palazzo” fosse quello costruito da Luchino Visconti (1292-1349) descritto da Carlo Torre nella guida “Ritratto di Milano” del 1674, dove ne parla come: “quella invecchia gran casa, che ancora mostra fenestroni alla gotica […]. Ella fu stanza di Luchino Visconte da lui fabbricata con quella magnificenza che sì generoso principe soleva usare in tutti i suoi gesti. Le insegne delle vipere scontee appaiono scolpite nel marmo”. Descrizione curiosa, se si considera che si parla di un “palazzo” in un documento del 988 che fa riferimento alla costruzione della chiesa di S. Giorgio come “prope locus ubi Palatio dicitur”.
Qual è l’ipotesi più plausibile? Probabilmente c’era un palazzo importante, del quale non è rimasta traccia se non nella cultura popolare, come completamento del nome della chiesa e se si considerano diversi ritrovamenti avvenuti nei vari scavi archeologici di pavimentazioni, muri ed oggetti risalenti all’epoca romana la zona doveva essere molto vissuta ed ha subito notevoli cambiamenti.
La Chiesa
Veniamo ora a parlare della chiesa. Della struttura originaria voluta da San Natale, arcivescovo della città, nel 747 d.C. non rimane molto dati i numerosi rifacimenti che nel corso del tempo ha subito. Delle varie trasformazioni una tra le più importanti è quella in stile romanico del 1129, quando è stata riconsacrata il 15 gennaio dello stesso anno. La struttura è rimasta inalterata fino al Cinquecento, secolo che ha dotato la chiesa di due capolavori dei due mastri dell’epoca: Gaudenzio Ferrari e Bernardino Luini che possiamo ammirare ancora oggi nella navata di destra.
L’interno della chiesa che riusciamo a vedere oggi è il risultato dei lavori avvenuti sotto la direzione di Francesco Maria Richino (1584 – 1658), architetto molto attivo nella Milano dell’epoca, per volere del Card. Federico Borromeo.
La facciata barocca voluta da Francesco Bernardino Ferrario venne costruita a metà Settecento ed è quella che ci accoglie oggi.
La navata sinistra
Entrando dalla porta di sinistra si incontra la prima cappella dedicata a S. Antonio da Padova, come testimoniato dalla statua settecentesca in legno policromo del santo. Qui sul pavimento si può notare l’unica lapide sepolcrale rimasta nella chiesa. La cappella successiva dedicata alla Madonna, ha una decorazione recente, contiene la Madonna in marmo bianco della seconda metà dell’Ottocento, mentre le tempere alle pareti sono state eseguite negli anni Trenta del Novecento.
L’ultima cappella è dedicata a S. Carlo Borromeo, zio del Cardinale Federico che aveva ordinato nel Seicento il rifacimento della struttura, e contiene due quadri e due affreschi di cui S. Carlo è il soggetto principale. Il dipinto di destra raffigura San Carlo che dà la Prima Comunione a S. Luigi Gonzaga dipinto nel 1845 da un discepolo di Hayez, Giuseppe Sogni, mentre sulla parete di sinistra vi è S. Carlo che ottiene la cessazione della peste del XVII secolo. I due affreschi sulle pareti rappresentano la parsimonia di S. Carlo e la carità del Santo, più in generale la cappella è una testimonianza dell’importanza della figura del Santo nella città di Milano.
Lasciandosi alle spalle la navata di sinistra, ci si trova nel transetto dove è possibile notare due capitelli incisi che, collocati sotto i due pulpiti, sono i resti delle colonne romaniche appartenenti alla prima ricostruzione della chiesa, ed ora trasformati in acquasantiere. Girandosi nuovamente a sinistra sulla parete si nota una lastra con inciso: “Questa insigne Basilica sorta nell’ambito del Palazzo imperiale romano conserva e tramanda nei secoli la memoria del famoso Editto di Milano, con il quale Costantino e Licinio nell’anno 313 riconobbero ai cristiani il diritto di professare liberamente la fede”. Per tramandare e celebrare il ricordo di questo importante editto nel 2013, anno dell’anniversario, è stata coniata una moneta commemorativa.
Il presbiterio
Il presbiterio modificato nel 1973 con pavimenti in granito di Baveno ha un coro ligneo del XIX secolo ed al centro l’altare. Questo, eseguito in marmi neri e scuri, mostra un’urna contente le reliquie di S. Natale ivi collocate nel 1935. Sulle pareti si ammirano gli affreschi di Gesù dodicenne nel tempio e Gesù che assolve l’adultera del pittore Virginio Monti di Roma del 1891. Sopra le due opere pittoriche, nei lunettoni, si trova il santo eponimo: la lotta di S. Giorgio con il drago a destra ed a sinistra il martirio di S. Giorgio.
La navata destra
Tornando all’entrata della chiesa e dirigendosi verso la navata di destra si può osservare una cappella riccamente decorata: questa è la cappella dedicata a S. Girolamo. Il Santo si trova al centro della cappella sopra l’altare dai marmi policromi, ritratto nella tavola dipinta da Gaudenzio Ferrari nel 1545 circa. Nella cappella si ritrovano elementi riferiti al soggetto della tavola, come le persone care a S. Girolamo dipinte nell’arco ed i simboli dei luoghi legati alla vita del Santo visibili nella cupoletta: Roma, Gerusalemme, Betlemme, Egitto. Scostanti da S. Girolamo sono invece i due dipinti posti ai lati, uno con il Martirio di S. Giorgio e l’altro con L’adorazione dei Magi, quest’ultimo, secondo una leggenda popolare, è forse il riferimento alle reliquie dei Magi presenti a Milano nella chiesa di Sant’Eustorgio che durante la venuta del Barbarossa sono state nascoste in San Giorgio per evitarne il furto.
Si passa poi alla cappella “del Crocefisso” posto al centro, di recente fattura 1926, con le statue di S. Francesco e S. Chiara poste ai lati.
L’ultima cappella della navata di destra è dedicata al “Corpus Domini” e contiene l’opera di maggiore importanza della chiesa. Eseguita nel 1516 da Bernardino Luini per conto della Confraternita del Corpus Domini sotto volere di Luca Terzaghi.
L’opera, che difficilmente non si riesce a notare, è ben illuminata composta da quattro tavole con soggetti che hanno al centro il compianto sul Cristo morto, nelle laterali: ecce Homo e la Flagellazione, nella lunetta l’Incoronazione di spine. L’opera ripropone la passione di Cristo partendo dalla tavola di destra per passare alla lunetta e alla tavola di sinistra per poi passare alla volta, affrescata, che rappresenta il culmine con la Crocifissione al centro, a sinistra la Madonna con S. Giovanni e le tre Marie ai piedi della croce, a destra il gioco dei dadi con la spartizione della veste.
Bibliografia
Giulio Colombaro, San Giorgio al Palazzo. Guida descrittiva, Tipografia dell’addolorata, Varese, 1974
G. Agosti, J. Stoppa, R. Sacchi, Bernardino Luini e i suoi figli. Itinerari. Ediz. illustrata, Officina Libraria, Milano, 2014
R. Accardo, V. Gabriele, Bernardino Luini in San Giorgio al Palazzo, Industri grafiche GECA, San Giuliano Milanese (MI), 2016
GLI AFFRESCHI DELLA VERGINE IN SANTA MARIA DELLA PACE
A cura di Francesca Richini
La storia della Vergine è narrata nel Protovangelo di Giovanni, meglio conosciuto come Vangelo apocrifo, in cui viene affrontato l’annuncio dell’arrivo di Maria sia a Gioacchino, il futuro padre, e ad Anna, la futura madre, che riesce a rimanere incinta in età avanzata grazie all’intervento divino. In esso è narrata altresì la crescita della Madonna fino al matrimonio con Giuseppe.
La storia di Maria viene illustrata in una cappella a quest'ultima dedicata, la quale si trova a Milano sul lato destro della chiesa francescana amadeita di Santa Maria della Pace. La chiesa, che si trova oggi in via S. Barnaba dietro al complesso del tribunale, è costruita nel 1466 per volere di Amedeo Mendes da Silva con l’aiuto di Bianca Maria Visconti Sforza su progetto dei fratelli Solari e contiene al suo interno un insieme di opere del Quattrocento e Cinquecento lombardo. La costruzione, che nel corso degli anni passa nelle mani di diversi proprietari, è attualmente di proprietà dell’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro ed è visitabile solo la mattina del primo giovedì del mese. Questa venne privata di alcune opere pittoriche per la chiusura della struttura religiosa, avvenuta nel 1805 ed in seguito alla decisione di trasferire parte dei dipinti nella Pinacoteca di Brera con l’intenzione di preservarli. La descrizione della disposizione originaria delle opere presente nelle fonti prevedeva la Nascita della Vergine al centro sopra l’altare, sulla parete di destra le Storie di Gioacchino e Anna e sulla parete di sinistra l’Adorazione dei Magi. Come completamento, nella parte superiore, vi erano un lunettone con al centro un tondo affiancato da due pennacchi. Rimane incerta invece la presenza della finestra e la sua collocazione.
Sono sopravvissuti al tempo anche tre angeli musicanti raffigurati in pennacchi, l’Annunciazione e l’Angelo annunciante e due tondi che raffigurano l’Assunzione della Vergine e la Presentazione di Gesù al tempio. Di queste opere non si ha una chiara idea della disposizione, ma vi sono solo delle ipotesi per cui si ritiene che la coppia dell’Annunciazione e dell’Angelo annunciante sia collocata sopra alla Natività e i rimanenti angeli musicanti sopra alle altre pareti.
La cappella fu voluta da Veronica Cavalcabò madre di Gaspare e Giacomo Trivulzio come testimonia sia il testamento della donna datato 1523, dove si dichiarava il lascito di 1000 lire imperiali al fine di terminare la decorazione della cappella nella chiesa di Santa Maria della Pace da lei iniziata, sia il pagamento anticipato di 55 lire per il pittore Gaudenzio Ferrari da parte di Gaspare Trivulzio. L’opera terminata nel 1543, come testimonia il pagamento all’artista, dopo pochi anni necessita di restauro a causa dell’umidità.
Le opere si trovano oggi nella Pinacoteca di Brera, ivi trasferite nel 1808 in seguito alla chiusura della chiesa per il decreto napoleonico del 1805. Gli affreschi sono stati staccati con la tecnica a massello per poi essere trasportati su tela, ad esclusione della Natività della Vergine che è rimasta su tavola. Proprio il trasferimento degli affreschi dalla sede originaria al museo rende difficile la collocazione originaria delle opere.
Gaudenzio Ferrari, autore delle opere pittoriche della cappella, nasce nella bassa Valsesia a Valduggia, nella provincia di Vercelli, intorno all’anno 1471. Autore prolifico ha una produzione prevalentemente lombarda e piemontese, tra le sue opere si possono citare gli affreschi del tramezzo nella chiesa di S. Maria delle Grazie a Varallo così come parte delle cappelle del Sacro Monte di Varallo e gli affreschi presenti nella chiesa di Vercelli. Una parte delle sue opere milanesi possono essere ammirate nella Pinacoteca di Brera, ad esempio la Madonna con il Bambino, il Martirio di Santa Caterina e gli affreschi sopra citati che narrano la storia della Vergine.
Le opere presenti nella cappella
La Nascita di Maria Vergine, restaurata, è un olio su tavola i cui soggetti sono solo femminili. I gesti e gli sguardi collegano le donne presenti nell’opera; in primo piano è presente il bagno della Vergine con un’ancella che versa l’acqua in una piccola vasca mentre un’altra è intenta a controllarne la temperatura ed una terza tiene tra le braccia la neonata, al limite della tavola si ha una figura tagliata che tiene sopra il capo un contenitore di non chiara funzione. Più avanti un’ancella porta un vassoio con la colazione per la puerpera dove sono presenti un piatto con delle uova, un pezzo di pane, un bicchiere e una brocca. Di fianco un’altra donna sta versando dell’acqua in un bacile per far lavare le mani a Sant’Anna, quest’ultima già intenta a immergere le mani nell’acqua è sorretta da un’ancella mentre un’altra le sistema il cuscino. Sullo sfondo è presente un caminetto spento e una piccola finestra aperta. Probabilmente ai lati di quest’opera erano presenti da una parte la Presentazione di Maria al Tempio e dall’altro la Visitazione (che non sono esposti).
Le Storie dei Santi Gioacchino e Anna, esposte a Brera, che si rifanno al testo del Protovangelo di Giacomo, o Vangelo apocrifo, sono composte da tre pannelli: al centro vi è l’affresco più grande con l’Annuncio della nascita di Maria a Gioacchino e Anna, mentre ai lati a destra la Cacciata di Gioacchino dal Tempio e a sinistra il Lamento di Anna con la Serva.
I soggetti di questo trittico sono i genitori della Madonna, che sono dipinti singolarmente nei pannelli laterali ed insieme nel pannello centrale. L’uso dello stesso colore delle vesti permette di individuare i soggetti: Gioacchino dalle vesti color bordeaux e bianco e Anna con il manto color giallo ocra. Nel pannello centrale in primo piano è rappresentato Gioacchino, accompagnato dal gregge e da un paio di pastori, mentre porge il viso ad un angelo che giunge dall’alto che gli annuncia la fine dell’infertilità di Anna; sulla destra Anna è raffigurata in un giardino con il capo rivolto verso l’angelo che la avvisa di essere in dolce attesa, sullo sfondo davanti alle mura di una città avviene l’incontro tra i coniugi.
La terza parete della cappella illustra l’Adorazione dei Magi, ai due lati si ha il Corteo dei Magi mentre al centro l’Adorazione, tema narrato sia nel Protovangelo di Giacomo sia nel Vangelo.
Ambientata all’aperto l’Adorazione pone al centro la Madonna con il Bambino in braccio, una posa simile alle opere pittoriche del tempo, sulla sinistra della Vergine S. Giuseppe sta ricevendo dalle mani di un bambino uno dei doni, mentre davanti a Maria è inginocchiato uno dei Magi che sta toccando i piedi del Gesù.
Alla destra della Madonna, sul limitare del l’affresco, è illustrato un Mago mentre si toglie il cappello ed offre un dono, davanti a quest’uomo, in primo piano, c’è un bambino con in pugno una scimitarra e ai suoi piedi un cagnolino che sembra guardare lo spettatore. Il terzo Mago è rappresentato nel pannello di sinistra, tiene con una mano il dono mentre uno schiavo ai suoi piedi gli sta allacciando la calzatura, invece sul retro è dipinto un cavallo bianco con due persone.
Nel pannello di destra è raffigurato un cavaliere in sella ad un cavallo, davanti una figura si china su un animale esotico.
La vicinanza della cappella dedicata alla Vergine a quella intitolata a San Giuseppe, dipinta da Bernardino Luini, si deve probabilmente alla volontà di porre una continuazione pittorica della storia genitoriale di Gesù. Questo tema era, inoltre, ampiamente narrato nell’Apocalypsis Nova, il volume scritto da Amedeo Mendes fondatore dell’ordine dei frati amadeiti e di Santa Maria della Pace, la chiesa dove originariamente si trovavano entrambi i cicli pittorici che sono ora fruibili nella Pinacoteca di Brera.
Le foto prive di crediti sono state dall'autrice dell'articolo.
Bibliografia
G. Agosti J. Stoppa, Il Rinascimento di Gaudenzio Ferrari, Officina Libraria, Milano, 2018
Sitografia
https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/LMD80-00210/
https://www.treccani.it/enciclopedia/menes-silva-amadeo-de_(Dizionario-Biografico)/
https://www.treccani.it/enciclopedia/gaudenzio-ferrari_%28Dizionario-Biografico%29/
https://pinacotecabrera.org/collezione-online/opere/storie-di-gioacchino-e-anna/
https://pinacotecabrera.org/collezione-online/opere/adorazione-dei-magi-3/
https://pinacotecabrera.org/collezione-online/opere/nascita-di-maria-vergine/
https://www.gironi.it/testi-sacri/protovangelo-di-giacomo.php
LE INCISIONI RUPESTRI IN VALLE CAMONICA
A cura di Francesca Richini
L’Arte Rupestre in Valle Camonica è il primo sito sul suolo italiano ad entrare nella Lista del Patrimonio Mondiale UNESCO nel 1979, ed è posizionato al numero 94 della lista mondiale. La Valcamonica si estende su una superficie di circa settanta chilometri. All’interno di questo territorio sono presenti circa 300.000 simboli incisi sulla roccia che rappresentano diversi aspetti della vita preistorica: l’agricoltura, la caccia, la navigazione, riti sciamanici e simboli geometrici, risultando il luogo con più reperti di archeologia preistorica a livello europeo.
Le incisioni rupestri sono dei segni su superfici rocciose, levigate dai ghiacciai, dai colori grigio o azzurro-violetto eseguiti intenzionalmente. Quest’ultime sono realizzate con due diverse tipologie di tecniche: la percussione, che si ottiene battendo sulla roccia con strumenti di pietra, creati per poter incidere composti da quarzite e selce o di metallo; e il graffito ottenuto graffiando la superficie con materiali simili alla precedente tecnica ma appuntiti, producendo così risultati diversi. Lo scopo delle rocce istoriate non è chiaro. Secondo alcuni studiosi come Emmanuel Anati, la funzione delle incisioni rupestri era, probabilmente, quella didattica. Attraverso le rocce istoriate si tramandavano miti e storie che venivano commemorate durante dei riti. Forse anche per questo motivo nel territorio si ha una maggiore produzione di incisioni con sovrapposizioni, sulla stessa roccia, di periodi storici differenti. Gli studiosi sono tuttavia concordi nel ritenere che le incisioni fossero realizzate durante dei riti dalle funzioni diverse: celebrative, propiziatorie o commemorative sotto la direzione di persone importanti per la comunità come sacerdoti-stregoni-sciamani-capi.
Gli autori delle incisioni sono stati indicati dai romani come i “Camuni” durante il primo periodo di governo romano. Questo insieme di popolazioni sconfitte dai romani nel 16 a.C. non erano un unico gruppo di abitanti, ma comprendevano un gruppo di diverse popolazioni distribuite nella Valcamonica e nelle valli limitrofe. Le abitazioni nelle quali vivevano erano costruite con paglia, e legname. Dai ritrovamenti archeologici le capanne sembra fossero posizionate sul versante soleggiato della Valcamonica, alzate da terra e disposte in gruppi.
La scoperta delle incisioni rupestri
La scoperta delle incisioni avviene nel 1909 con Walter Laeng, che segnala la presenza di due grandi massi istoriati nei pressi di Cemmo. Si ingrandisce con il ritrovamento su rocce di importanti dimensioni dalla superficie liscia, resa tale dai ghiacciai, durante il periodo della glaciazione negli anni Trenta del Novecento nella località di Giadeghe grazie alla segnalazione della popolazione, per poi passare ai ritrovamenti nella media Valle a Naquane, Zurla, Foppe di Nadro. Nel secondo dopoguerra, nel 1964, nasce il Centro Camuno di Incisioni Rupestri diretto da Emmanuel Anati che sancisce la ripresa degli studi e della ricerca archeologica delle incisioni rupestri fino ad oggi.
I segni coprono un arco temporale di circa 8000 anni. Nel corso dello studio si è deciso di catalogare le incisioni secondo uno schema temporale: Età del Rame, Età del Bronzo ed Età del Ferro dovuto anche ad uno stile differente di disegni e di soggetti istoriati. In questo territorio le prime tracce di esseri umani compaiono circa tredicimila anni fa, dopo l’era glaciale, con lo scioglimento dei ghiacciai. I primi insediamenti umani sono stati fatti risalire al Neolitico, cioè nel V e VI millennio a.C.. Nel III millennio a.C., nel cosiddetto Eneolitico, si ha una diffusione di massi-menhir incisi una sorta di santuari, l’apice incisoria si ha nell’Età del Ferro, nel I millennio a.C., dove si ha la massima produzione incisoria che si affievolisce con l’arrivo dell’Impero Romano nel 16 a.C. e la diffusione della religione romana per poi riprendere, con simboli diversi, durante il Medioevo.
I parchi in Valcamonica con arte rupestre sono otto, distribuiti in tutta la Valle: il Parco di interesse sovracomunale del Lago Moro (Darfo B.T.), il Parco archeologico di Asinio Anvòia (Ossimo), la Riserva naturale incisioni rupestri di Ceto, Cimbergo, Paspardo, il Parco nazionale incisioni rupestri Naquane (Capo di Ponte), il Parco archeologico nazionale dei Massi di Cemmo (Capo di Ponte), il Parco archeologico comunale di Seradina Bedolina (Capo di Ponte), il Parco archeologico e minerario di Sellero, il Percorso pluritematico del “Coren delle Fate” (Sonico).
È necessario, tuttavia, sapere che le incisioni si trovano su una superficie rocciosa, spesso di notevoli dimensioni, e che si trovano all’aperto in montagna. È quindi raccomandato un vestiario comodo per poter raggiungere i siti, ma una migliore fruizione è dettata anche dall’inclinazione dei raggi solari che illuminano la superficie rocciosa. A tal proposito il versante orientale, dove si trovano i parchi di Naquane, “Coren delle Fate”, Ceto Cimbergo e Paspardo, ha la migliore esposizione solare la mattina dalle 9.30 fino alle 11.00 circa; mentre il versante occidentale, con i parchi di Seradina Bedolina, Lago Moro, Asinio-Anvoia, i Massi di Cemmo e Sellero, ha la migliore inclinazione ai raggi solari il pomeriggio dalle 13.00 fino alle 15.00 circa.
Inoltre, proprio da queste incisioni è stato preso il simbolo presente nella bandiera della Regione Lombarda: la Rosa Camuna, che è stata ritrovata oltre 90 volte sulle rocce, in particolare nel parco di Luine vicino Darfo Boario Terme. Gli studiosi della materia non sono concordi sul significato da attribuire a questo simbolo, sebbene sia molto dibattuto. Tale Valle è inoltre indicata anche come la Valle dei segni, visto che è oggetto di un fenomeno particolare che si presenta due volte all’anno, durante gli equinozi. I protagonisti di questo effetto sono due monti: il Pizzo Camino e la Concarena che creano l’effetto di un’aquila composta dai raggi del sole che pare sorgere dalla montagna.
Bibliografia
Centro Camuno di studi preistorici, I parchi con arte rupestre della Vallecamonica, guida ai percorsi di visita, tipografia Camuna S.p.A. Breno/Brescia, 2010.
Sitografia
https://www.unesco.it/it/patrimoniomondiale/detail/99
https://whc.unesco.org/en/list/94/
http://valledeisegni.it/it/storia/68
http://www.archeocamuni.it/arte_rupestre.htm
LA CHIESA DELLA SS. ANNUNCIATA A PIANCOGNO
A cura di Francesca Richini
La chiesa della Ss. Annunciata a Piancogno
In Valcamonica in provincia di Brescia, nel comune di Piancogno, è possibile visitare una chiesa francescana dedicata alla Vergine Annunciata con opere del pittore Pietro da Cemmo. La costruzione religiosa è circondata a nord-est dai monti S. Fermo, Concarena e Pizzo Camino, ad ovest dal monte Pizzo Camino e dal Passo Croce Domini e, posizionata a 752 m sul livello del mare, ha una panoramica su tutta la media valle.
La Chiesa, fondata da Amedeo Mendes da Silva, deve la sua posizione a due terziari francescani: Orlando da Borno e Giovanni Bernardi, autorizzati nel 1465 da una Bolla del pontefice Paolo II a costruire una casa presso un dormitorio preesistente. La tradizione vuole che questi due frati avessero scritto al Beato Amedeo pregandolo di recarsi sul colle di San Cosma per fondare il convento. Esiste una Bolla del 1469 di papa Paolo II nella quale egli chiede ai due frati di cedere il terreno in favore del Mendes: “per abitazione sua e dei suoi compagni, e presso di questa poter costruire la chiesa con cimitero, i chiostri con umile campanella…”. Ma esiste altresì un documento che vede la presenza del Beato presso il convento di San Pietro a Bienno.
La chiesa al tempo si trovava nel territorio della Serenissima e, inizialmente, la costruzione di tale complesso non fu vista di buon occhio dalla Repubblica Veneta tanto che Amedeo, venendo dalla rivale Milano, venne accusato di essere un “explorator Mediolanensium” e dovette subire un processo che gli valse l’innocenza e lo autorizzò alla costruzione di conventi in tutto il territorio veneto.
Il complesso, sorto presso la precedente chiesa dedicata ai santi Cosma e Damiano, non ebbe un unico progetto né venne costruito contemporaneamente, come testimonia un capitello datato 1483 nel cortile maggiore. Abitato fino al 1601 dai frati Osservanti Amadeisti, passò ai frati Minori Riformati che vi rimasero fino al 1808, soppresso da Napoleone. Fu poi riaperto nell’anno 1842 e venne affidato ai frati Cappuccini.
Esterno della chiesa della Ss. Annunciata a Piancogno
Scendendo la scalinata ricostruita recentemente, al termine si trova un piccolo santuario dedicato alla Madonna di Lourdes, qui in precedenza si trovava il cimitero, ora spostato, dove riposano i due frati: Orlando da Borno e Giovanni Bernardi. Opposto al piccolo santuario si trova una porta che conduce in uno dei due cortili. La chiesa dotata di entrata laterale, a causa della sua posizione a ridosso della montagna, ha un portico, ricostruito nel XV secolo. Al centro vi è l’entrata in arenaria rossa e con porta in legno massiccio e al di sopra dell’ingresso nel sottarco si ha un affresco eseguito da fra’ Damaso Bianchi nel 1952 con la raffigurazione dell’annunciazione da parte dell’arcangelo Gabriele alla Madonna.
Interno della chiesa
Entrati nella chiesa si ha una navata lunga 22 metri e larga 8 suddivisa in tre campate. Di fronte all’entrata, nella parete posta a nord, si trovano tre cappelle, chiuse con cancelli in ferro battuto.
Inoltre compare, nella sua maestosità, la parete divisoria fra la navata e il coro. Quest’ultima totalmente affrescata e dotata di tre archi raffigura i Profeti in alto e sui pennacchi del portico ed è suddivisa in 33 riquadri, di cui il centrale con la crocifissione di Cristo che spicca in grandezza.
L’affresco rappresenta alcuni eventi della vita di Gesù, riprodotti con un ordine non chiaro e dall’interpretazione controversa, partendo dall’alto si dovrebbero trovare: un Profeta, l’Annunciazione di Maria (mal conservata, in quanto una parte è andata perduta), un altro Profeta, la Visitazione di Maria ad Elisabetta, la Natività, la Circoncisione, l’Adorazione dei Magi, la presentazione al Tempio, la fuga in Egitto, la strage degli innocenti, il Battesimo o Gesù che parla ai dottori, le nozze di Cana, la Crocifissione, l’entrata in Gerusalemme, la cacciata dei mercanti dal Tempio, il battesimo di Giovanni il Battista, la Trasfigurazione, la Resurrezione di Lazzaro, l’Ultima Cena, la Lavanda dei Piedi, Gesù nell’Orto degli Ulivi, la Cattura di Gesù, Gesù al tribunale di Anna, Caifa si strappa le vesti, la Flagellazione, Gesù al tribunale di Pilato o Gesù al tribunale di Erode (o viceversa), Ecce Homo. Al di sotto dei riquadri nei pennacchi si collocano a sinistra la Carità, che con una mano sostiene la Storia di Gesù, e a destra la Pietà corrispettivamente indicate dai nomi scritti sopra; al centro, sempre nei pennacchi, i Profeti Geremia a sinistra e Isaia a destra accompagnati da lunghi cartigli. Al termine del cartiglio di Isaia si trova la data 1479.
L’autore dell’affresco non è certo, alcuni storici sostengono sia stato eseguito dalla scuola di Pietro da Cemmo o dal pittore in persona, altri da un pittore di cultura ferrarese. Nonostante la grande discussione, sembra essere fortemente accreditata l’opinione di Pietro da Cemmo come autore che firma, invece, gli affreschi del coro.
Sotto il portico al centro, invece, si ha l’apertura che conduce al coro. Sul lato a sinistra, verso nord, sono rappresentati i quattro protomartiri santi francescani, i quali sono raffigurati dentro dei medaglioni nella volta: san Francesco, sant’Antonio da Padova, san Bonaventura e san Ludovico Vescovo. Sulla parete di fondo si trova l’Assunzione in cielo della Madonna attorniata da angeli e dai quattro Evangelisti. Mentre di fianco alla finestra è stato dipinto il Beato Amedeo raffigurato con in mano l’Apocalypsis Nova accompagnato da due scritte: “Aperietur in tempore” e il suo detto: “Teneo fidem rietur in Jesum Christum”
Nella volta in mezzo sono presenti i quattro Patriarchi: Abramo, Giacobbe, Melchisedek e Mosè; mentre nella volta a destra si collocano i quattro Evangelisti entro medaglioni. Invece nella lunetta sulla parete di fondo è presente la Crocifissione con la Madonna, san Giovanni Evangelista, sant’Antonio da Padova e san Francesco, mentre sulla parete sud si ha l’episodio di san Francesco che riceve le stimmate. Il coro, interamente affrescato da Pietro da Cemmo, è datato 1475 e firmato dall’autore. Quest’opera rappresenta l’unica opera firmata e datata dall’autore, utile, quindi, alla ricostruzione della carriera pittorica dell’artista.
Nel sottarco sono raffigurati san Luigi IX di Francia, santa Chiara, san Ludovico, sant’Antonio da Padova, san Francesco, san Bernardino da Siena ed altri santi non ancora identificati. Al centro della volta vi è il Padre Eterno e da sotto la sua figura dipartono cerchi concentrici raffiguranti schiere di ordini angelici, mentre nello spicchio centrale si ha la Madonna dell’Umiltà che copre con il suo manto i frati in preghiera del primo, secondo e terzo ordine. Il lato nord del coro invece è incentrato su Maria, si trovano la Natività della Vergine nella lunetta e nel riquadro sottostante lo Sposalizio, qui nell’ architrave è dipinta la scritta: “HOC PETRVS PINXIT OPVS DE CEMO JOHANNES 1475”. Nelle due lunette sono presenti l’Annunciazione con a sinistra l’Arcangelo Gabriele e a destra la Madonna in preghiera. Sulla parete sud è rappresentata la Presentazione di Maria al tempio che sull’architrave reca la scritta “A E H S X C V D F 1475 PETRVS AD HBIF. S PKENX”, mentre al di sotto è raffigurata l’Assunzione della Vergine.
Amadeo Mendes da Silva
Il Beato Amadeo è stato l’iniziatore della Congregazione amadeita, scrittore dell’Apocalypsis Nova e fondatore di edifici religiosi nel ducato di Milano e nella Repubblica di Venezia, rispettivamente: la Chiesa di Santa Maria della Pace a Milano nel 1466, la Chiesa di S. Maria Bressanoro a Castelleone nel 1460, il Convento della Santissima Annunciata a Borno nel 1469 e Santa Maria delle Grazie a Quinzano nel 1468.
Amadeo Mendes nacque nel Nordafrica forse a Ceuta nel 1420 circa, di lui non si hanno notizie certe né della famiglia di provenienza né di ciò che fece sino al 1452, anno nel quale ottenne la licenza di passare all’Ordine dei francescani minori e di recarsi in Italia ad Assisi. Arrivò a Milano nel convento di S. Francesco ed in breve la sua fama di guaritore e visionario giunse fino al duca Francesco Sforza e alla moglie Bianca Maria Visconti, di cui diventò sia il confessore privato sia la persona fidata per risolvere missioni delicate. Proprio grazie alla protezione di Bianca Maria ottenne la possibilità di fondare i conventi prima elencati.
Il frate, noto come “frater Amedeus Hispanus”, animato da una volontà di riforma fondò, oltre ai conventi, una nuova “organizzazione”. Atto che venne malvisto dall’Ordine dei francescani minori e che fece nascere diverse tensioni: tanto da coinvolgere il papa. Nonostante la mancanza di appoggio degli Osservanti il frate riuscì ad ottenere nel 1471 la protezione del papa Sisto IV, Francesco della Rovere, utile affinché la Congregazione, appena fondata, avesse la possibilità di allargarsi. Amadeo Mendes morì in seguito ad un malore mentre stava andando a Roma il 10 agosto 1482, nel convento milanese di S. Maria della Pace.
Un Beato all’Annunciata
Persona di rilievo per il Convento, è stato il Beato Innocenzo da Berzo. Nato nel 1844 a Niardo in Valcamonica da subito dimostrò un’inclinazione alla vita religiosa. Entrò nel seminario di Brescia dove venne ordinato sacerdote. Divenne vicerettore del seminario, si dedicò al ministero delle confessioni presso Berzo, per poi approdare alla vita claustrale presso il convento dell’Annunciata, qui analizzato. Morì nel 1890 per malattia nell’infermeria di Bergamo, dove era stato trasferito. Venne beatificato da papa Giovanni XXIII nel 1961.
Beato Innocenzo da Berzo è solitamente illustrato con il saio francescano, con il capo inclinato e la schiena leggermente ricurva e le mani unite. Inoltre, è solitamente affiancato dall’Ostensorio del Santissimo Sacramento a cui era devoto. Tuttora se ci si reca in visita al Convento dell’Annunciata è possibile visitare la cella del Beato al piano superiore, dove si possono trovare appese alla parete di entrata le immagini di una grazia ricevuta.
Bibliografia
Bertolini A., Panazza G., Arte in Val Camonica: Monumenti e opere, Piancogno, V. I, Grafo Edizioni, Brescia, 1980, pp. 52-77.
Serafico Lorenzi, L’annunciata, Litonova, Gorle (BG), 1997.
Sitografia
https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/1r050-00086/
https://www.treccani.it/enciclopedia/menes-silva-amadeo-de_%28Dizionario-Biografico%29/
LA CAPPELLA DI SAN GIUSEPPE A BRERA
A cura di Francesca Richini
La cappella di San Giuseppe. Da Santa Maria della Pace alla Pinacoteca di Brera
Visitando la Pinacoteca di Brera si può osservare la pittura lombarda del XV-XVI secolo: Bergognone, Foppa, Bramante, Bernardino Luini sono alcuni degli artisti presenti. Questo percorso passa per la sala XIII, dove si ripropone quella che doveva essere la struttura della cappella di San Giuseppe, in origine in Santa Maria della Pace a Milano.
Gli affreschi dipinti da Bernardino Luini e Bernardo Zenale intorno al 1520-1521 sono arrivati a Brera in diversi momenti dal 1805 al 1875. Il convento venne soppresso per decreto napoleonico nel 1805 e trasformato in caserma, deposito e scuderia. Fu questo atto a far optare per la scelta di spostare gli affreschi all’interno della Pinacoteca di Brera con l’intenzione di salvarli da fine certa. Partendo dalle pitture meglio conservate e più facili da rimuovere, arrivando poi a quelle della volta, dell’arco di ingresso e dei pennacchi più complicate da strappare. La disposizione attuale delle opere cerca di riproporre quella originaria della cappella. È tuttavia il frutto di uno studio eseguito da Ludovico Pogliaghi, come testimonia un suo acquerello, su volere dell’allora direttore della Pinacoteca di Brera. Studio utile ma tuttavia difficile, data la già precaria situazione nella quale versava la struttura e l’affresco, come testimonia Carlo Torre nella sua “Guida di Milano” a causa della forte umidità.
La cappella di San Giuseppe
Avvicinandosi alla cappella riproposta a Brera si può osservare nell’intradosso di ingresso quattro profeti: Davide, Salomone ed altri due profeti. Alzando lo sguardo, si osserva la volta con lunette a forma di conchiglie dove sono presenti arcangeli accompagnati da coppie di angeli intenti a reggere spartiti e strumenti musicali. Gli strumenti musicali raffigurati e riconoscibili sono un flauto traverso, un doppio flauto dritto, un liuto, una lira, un organo portativo, una lira da braccio, una cetra a corde detta altobasso, una tromba ed una zampogna. Dei cherubini collegano spicchi e lunette e sono presenti anche nelle fasce ornamentali, nelle vele e nei rombi; mentre, come punti di unione, piccole teste di angeli fanno da ponte alle strutture.
Scendendo con lo sguardo si possono osservare gli affreschi delle pareti il cui tema principale sono le “Storie della Vergine e di San Giuseppe”. Ricordandosi che la disposizione attuale non rispecchia probabilmente quella originaria, ma è frutto di studi. Partendo da sinistra, nella controfacciata la Cacciata di Gioacchino dal Tempio, sotto l’Educazione di Maria; sulla parete sinistra l’Annuncio della nascita di Maria, l’Incontro di Anna e Gioacchino alla Porta Aurea, la Natività della Vergine; sulla parete di fondo Tre giovani, San Giuseppe eletto sposo della Vergine, San Giuseppe e la Vergine di ritorno dalle nozze; sulla parete di destra la Presentazione della Vergine al Tempio, il Congedo di Maria dal Tempio, il Sogno di San Giuseppe; in controfacciata un frammento di angelo in volo.
Una problematica insoluta e che fa ancora discutere è la disposizione originaria delle opere. L’acquarello di Pogliaghi riprende le pareti già spogliate, mentre illustra la volta, il sottarco ed i pennacchi. Le guide del Seicento e del Settecento descrivono una pala, oggi andata perduta, raffigurante la Morte di San Giuseppe eseguita da Gerolamo Chignoli; lo stesso autore risulta essere pagato nel 1631-1632 per eseguire affreschi, di cui non rimane traccia, nel coro di Santa Maria della Pace insieme a Tanzio da Varallo, al Volpino e al Cerano. Non è certa neanche la posizione dell’altare. C’è chi sostiene che dovrebbe trovarsi sulla parete di fondo insieme alla pala perduta, dato che guide e fonti antiche riferiscono di affreschi di Luini alle pareti laterali. Altri, che l’altare avrebbe dovuto trovarsi sul lato destro, sotto la finestra, nell’incavo poco profondo dipinto dal Pogliaghi.
L’interpretazione delle figure fa ricorso a diverse fonti, quali i Vangeli apocrifi, la Leggenda Aurea di Jacopo da Varazze e, non ultima, l’Apocalypsis Nova scritta dal Beato Amadeo nel 1470 circa, su rivelazioni ricevute dall’arcangelo Gabriele. A quest’ultimo scritto si deve la massiccia presenza angelica della volta, come la rappresentazione di Maria e Giuseppe in preghiera dopo l’elezione di San Giuseppe a sposo della Vergine, ed anche la scena del Congedo di Maria dal Tempio, nel quale il sacerdote le impone di sposarsi e Maria si sottomette al volere del religioso. Una cosa salta all’occhio dello spettatore, la mancanza del completo ciclo pittorico. Andato perso a causa delle operazioni di strappo separate nel tempo e non complete.
Santa Maria della Pace
La chiesa, in origine facente parte del convento degli amadeiti, si trova in via S. Barnaba dietro l’edificio del palazzo di Giustizia di Milano. Acquistata nel 1967 dall’Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, è aperta al pubblico la mattina del primo giovedì del mese. Costruita nel 1466 con il supporto di Bianca Maria Visconti e sotto richiesta di Amadeo Mendes da Silva. La chiesa venne terminata nell’anno della consacrazione nel 1497, avvenuta sotto lo sguardo dell’arcivescovo Guido Antonio Arcimboldi.
La struttura religiosa, originariamente suddivisa da un tramezzo atto a separare i religiosi dai laici, oggi è a navata unica con cinque campate a volte ogivali a crociera. Alle pareti sono presenti grossi sostegni pensili che sorreggono i costoloni e gli archi trasversali del soffitto. Le cappelle laterali sul fianco destro, visibili da via S. Barnaba, sporgono semiottagonali dal lato della chiesa e hanno finestre allungate ogivali. Mentre sul lato sinistro sono presenti due cappelle per campata. La facciata, tra due contrafforti, con cornice in cotto ha un portale architravato restaurato che sostituisce l’originale barocco. Ai due lati sono presenti due finestroni e nel mezzo una grande finestra circolare sovrastata dal grande sole con il motto “Pax”. Il campanile cinquecentesco si trova presso la zona absidale.
La struttura della chiesa vide l’intervento di numerosi artisti della Milano dell’epoca, Guiniforte e Pietro Antonio Solari rispettivamente ne disegnarono la struttura originaria e la realizzarono. L’intervento di Marco d’Oggiono sia per la cappella di Giovanni Battista Bagarotti nel 1519, sia l’anno seguente per la crocifissione eseguita per il refettorio del convento. Gli affreschi di Tanzio da Varallo, ancora visibili in loco, sulla volta del vano absidale: l’Annunciazione dei Magi e l’Annuncio dei Pastori, eseguiti prima del 1630. La cappella di San Giuseppe dalla pianta quadrata e con volta ad ombrello fu costruita intorno al XVI secolo, vicino alla zona presbiteriale. Questa era, secondo le guide antiche, vicina alla cella del Beato Amadeo e ad un sacello dedicato al beato.
Nel 1805 la chiesa per decreto napoleonico venne chiusa e soppressa e sotto la direzione di Andrea Appiani, direttore della Pinacoteca di Brera, vennero rimossi dalla chiesa e trasferiti nella Pinacoteca le opere dei fratelli Campi, di Marco d’Oggiono, Gaudenzio Ferrari e Bernardino Luini (qui analizzati). A partire da questa data molte opere della chiesa vengono disperse e, in alcuni casi, sono visibili oggi in vari musei italiani. Nel 1841 diventa Riformatorio Marchiondi, poi riscattata nel 1900 circa diventa il Salone Perosi, sede di concerti. Restaurato ad opera dei Bagatti Valsecchi passa nel 1906 alle suore di Santa Maria Riparatrice. Oggi è, come già scritto, sede dei Cavalieri del Santo Sepolcro.
Amadeo Mendes da Silva
Il Beato Amadeo è stato l’iniziatore della Congregazione amadeita, scrittore dell’Apocalypsis Nova e fondatore di edifici religiosi nel ducato di Milano e nella Repubblica di Venezia, rispettivamente la Chiesa di Santa Maria della Pace a Milano nel 1466, la Chiesa di S. Maria Bressanoro a Castelleone nel 1460, il Convento della Santissima Annunciata a Borno nel 1469 e Santa Maria delle Grazie a Quinzano nel 1468.
Amadeo Mendes nacque nel Nordafrica forse a Ceuta nel 1420 circa, di lui non si hanno notizie certe né della famiglia di provenienza né di ciò che fece sino al 1452, anno nel quale ottenne la licenza di passare all’Ordine dei francescani minori e di recarsi in Italia ad Assisi. Arrivò a Milano nel convento di S. Francesco ed in breve la sua fama di guaritore e visionario giunse fino al duca Francesco Sforza e alla moglie Bianca Maria Visconti, di cui diventò sia il confessore privato sia la persona mandata per risolvere missioni delicate. Proprio grazie alla protezione di Bianca Maria ottenne la possibilità di fondare i conventi prima elencati.
Il frate, noto come “frater Amedeus Hispanus”, animato da una volontà di riforma fondò, oltre ai conventi, una nuova “organizzazione”. Atto che venne malvisto dall’Ordine dei francescani minori e che fece nascere diverse tensioni: tanto da coinvolgere il papa. Nonostante la mancanza di appoggio degli Osservanti il frate riuscì ad ottenere nel 1471 la protezione del papa Sisto IV, Francesco della Rovere, utile affinché la Congregazione, appena fondata, avesse la possibilità di allargarsi. Amadeo Mendes morì in seguito ad un malore mentre stava andando a Roma il 10 agosto 1482, nel convento milanese di S. Maria della Pace. La stessa struttura dal quale è stato staccato il dipinto qui analizzato.
Bibliografia
Touring Club Italiano, Milano, Guida d’Italia, Touring Editore, Rotolito Lombardia, Milano, ediz. 2015.
- Agosti, J. Stoppa, R. Sacchi, Bernardino Luini e i suoi figli. Itinerari. Ediz. illustrata, Officina Libraria, Milano, 2014.
Sitografia
https://www.lombardiabeniculturali.it/architetture/schede/LMD80-00210/
https://www.treccani.it/enciclopedia/menes-silva-amadeo-de_(Dizionario-Biografico)/
https://pinacotecabrera.org/collezioni/opere-on-line/?sala=13
https://www.treccani.it/enciclopedia/bernardino-luini_(Dizionario-Biografico)/