TESORI DI SICILIA: ROCCALUMERA

A cura di Beatrice Cordaro

 

Introduzione. Roccalumera, la torre saracena e il parco di Salvatore Quasimodo

Chi crede che solo le grandi metropoli, i capoluoghi o i paesi di nota importanza conservino bellezze artistiche e storie di uomini illustri, dovrebbe essere smentito. La Sicilia, grande isola a sud dello Stivale, è costellata da innumerevoli paesini segnati dalla poesia, dall’arte e da avvenimenti storici di grande rilevanza. Se solo si sapesse quante stradine sconosciute sono state calpestate da grandi menti e grandi animi, si comprenderebbe tutto il valore di ogni angolo di questa terra.

Fu lo stesso Goethe, del resto, ad eternare nei suoi versi questa terra dorata e baciata dal mare:

«La purezza dei contorni, la morbidezza di ogni cosa, la cedevole scambievolezza delle tinte, l'unità armonica del cielo col mare e del mare con la terra… chi li ha visti una sola volta, li possederà per tutta la vita.»

Il parco letterario Salvatore Quasimodo a Roccalumera

Nei pressi di Taormina sorge Roccalumera, paese fortemente legato a Salvatore Quasimodo.

Fu proprio in onore del poeta che, nel 2001, venne instituito il Parco Letterario Salvatore Quasimodo, ovvero un circuito composto dall’antica stazione ferroviaria, all’interno della quale è possibile trovare materiale documentale, epistolario, opere ed oggetti appartenuti al poeta; dal Giardino Museo, all’interno del quale sono presenti dei vagoni ferroviari che si configurano come teche a conservazione di ulteriori memorie di Quasimodo, ed infine dalla Torre Saracena, costruzione di natura difensiva citata dallo stesso Quasimodo in un testo poetico in memoria del fratello.

La visita dell’intero circuito letterario travolge il visitatore, trasportandolo interamente in quella che fu la vita gloriosa di un poeta pluripremiato che può essere considerato, senza esitazione alcuna, come uno dei massimi esponenti della letteratura contemporanea.

Salvatore Quasimodo 

Salvatore Quasimodo nacque a Modica nel 1901. La Sicilia diede i natali a lui e al suo talento, e proprio della sua Sicilia scrisse in Acque e terre, prima raccolta poetica del 1930. A Roccalumera il poeta trascorse gran parte della sua infanzia e, per tale ragione, questo paesino del caldo meridione fu a lui tanto caro lungo tutta la durata della sua vita.

Origini della Torre Saracena

Artisticamente parlando, risulta di notevole interesse la Torre Saracena (anche detta torre Sollima o Ficara) che originariamente aveva la funzione di torre di guardia.

Essa risale al 1400 circa, nonostante si pensi che in precedenza, e più precisamente durante il periodo dell’occupazione araba, vi fosse, nel luogo, un’ulteriore costruzione, preesistente all’attuale e anch’essa destinata alla guardia.

È certo, infatti, che durante la dominazione araba fossero state costruite numerose torri d’avvistamento, chiamate generalmente saracene, che servivano proprio a individuare per tempo le incursioni del nemico, fungendo al contempo da rifugio in caso di emergenza; la Sicilia consta infatti di numerose torri saracene, ognuna delle quali ha un preciso nome che le distingue.

La prima famiglia indicata come possidente della Torre fu la famiglia dei La Rocca, casata nobiliare il cui nome, unito a quello della contrada Lumera (o Alumera) diede origine alla denominazione del paese di Roccalumera.

 

La struttura

La Torre Saracena di Roccalumera presenta una struttura a pianta circolare, tipica delle torri più antiche, caratterizzate dalla presenza di geometrie omogenee e lineari. L’equilibrio geometrico delle torri di questo tipo portava con sé il vantaggio di ampliare il raggio visuale delle truppe e di essere al contempo più resistente anche all’attacco dei cannoni.

La merlatura guelfa all’apice della torre dà origine alla sommità dentata; questo fu un elemento caratteristico delle strutture edilizie medievali, ma è probabile che essa risalga al 1830, anno in cui fu arricchita anche tramite l’inserimento, nella parte superiore, di due aperture in marmo bianco con arco a sesto acuto, tipico dell’architettura gotica.

È probabile inoltre che nel 1578 la torre presentasse un tetto conico, ulteriore elemento caratterizzante della struttura della torre.

Nella parte inferiore una porticina dà accesso al vano interno, che conserva una serie di gouaches (guazzi) dipinti da Salvatore Quasimodo.

Nel 2000 vennero avviati, grazie ai finanziamenti giunti dalla Comunità Europea, alcuni lavori di restauro della torre, ed infine nel 2001 quest’ultima venne inserita all’interno del circuito del Parco Letterario di Salvatore Quasimodo come ultima tappa del percorso museale.

Sulle mura della Torre è oggi affissa una lapide che riporta il testo di una poesia di Salvatore Quasimodo, Vicino ad una Torre Saracena per il fratello morto:

«Io stavo ad una chiara
conchiglia del mio mare
e nel suono lontano udivo cuori
crescere con me, battere
uguale età. Di dèi o di bestie, timidi
o diavoli: favole avverse della
mente. Forse le attente
morse delle tagliole
cupe per volpi lupi
iene, sotto la luna a vela lacera,
scattarono per noi,
cuori di viole delicate, cuori
di fiori irti. O non dovevano crescere
e scendere dal suono: il tuono tetro
su dall’arcobaleno d’aria e pietra,
all’orecchio del mare rombava una
infanzia errata, eredità di sogni
a rovescio, alla terra di misure
astratte, ove ogni cosa
è più forte dell’uomo.»

 

Se si vogliono respirare poesia ed arte, storia e vita, magari durante una gita in cui la calda brezza d’estate tiene compagnia, la visita al “Parco Letterario Salvatore Quasimodo” è un’ottima idea per allietare l’animo, e, in poco meno di un paio d’ore, conoscere la storia di un uomo che non solo ha segnato la letteratura contemporanea, ma anche la storia artistica di strutture ormai dimenticate e, purtroppo, spesso poco considerate.

Se da un lato si potrà avere l’onore di calpestare quelle stesse strade che furono teatro di gioco, infanzia e fonte di ispirazione per Quasimodo, dall’altro si potrà avere l’occasione di toccare con mano come quelle torri d’avvistamento siano state così indispensabili, distintive e salvifiche per il popolo siciliano.

 

 

Sitografia

http://lnx.comune.roccalumera.me.it/storia-arte-turismo/torre

http://www.parcoquasimodo.it/?page_id=34

https://discovermessina.it/la-torre-saracena-di-roccalumera/


PALAZZO VALGUARNERA GANGI A PALERMO

A cura di Beatrice Cordaro
«Noi fummo i gattopardi, i leoni. Chi ci sostituirà saranno gli sciacalli, le iene. E tutti quanti, gattopardi, leoni, sciacalli o pecore, continueremo a crederci il sale della terra.»

 

Introduzione: un viaggio tra eredità artistica ed eredità del Gattopardo

Vi sono luoghi nel mondo che riportano la mente alla letteratura, e viceversa. Così vale per la storia del Gattopardo narrata da Giuseppe Tomasi di Lampedusa e per Palazzo Valguarnera Gangi di Palermo.

Era esattamente la metà del 1700 quando i Valguarnera, principi di Gangi, decisero di dar vita ad un’immensa costruzione che, a partire da quel momento, avrebbe segnato la storia dell’arte del palermitano. Questo palazzo nacque precisamente dall’unione di alcune dimore della città, le quali vennero unificate in un sontuoso palazzo di ben ottomila metri quadri.

Meta ambita da tutti coloro i quali si spingono nei meandri della città di Palermo, Palazzo Valguarnera è diventato un simbolo non solo per la storia e per la storia dell’arte, ma soprattutto per la storia della cinematografia.

La sala da ballo

Proprio uno degli ambienti del palazzo, infatti, venne utilizzato, nei primi anni del 1960, da Luchino Visconti per girare la scena del ballo nel film dedicato proprio al Gattopardo.

Palazzo Valguarnera Gangi (fig. 1) è situato nel cuore di Palermo, in un quartiere ai confini di quella che, prima dell’Editto dell’espulsione del 1492,  era una zona abitata dagli ebrei: il quartiere degli Emiri al – Halisah. In seguito all’espulsione della comunità ebraica, il quartiere venne ripopolato da una consistente porzione della nobiltà palermitana.

Fig. 1.

Il Palazzo affaccia su più vie: Piazza Sant’Anna, sulla quale affaccia il magnifico terrazzo anch’esso presente nel film di Visconti,  Piazza Croce dei Vespri, nella quale si trova il portone d’accesso, vicolo Valguarnera e via Teatro Santa Cecilia.

La costruzione del Palazzo avvenne in un periodo di tempo che va dal 1757 al 1792, con due eccezioni: il primo nucleo d’origine del palazzo venne costruito nel 1578, mentre dal 1813 al 1921 si verificò una ripresa da parte di Ernesto Basile, il quale fu assoldato per la progettazione del prospetto.

Tale nucleo madre venne edificato conseguentemente alla donazione di Vincenzo Barresi nei confronti della figlia, presa in sposa da Lorenzo Lanza di Trabia.

All’incirca un secolo dopo, l’edificio passò nelle mani della famiglia Valguarnera Gangi; Anna Maria, figlia di Girolamo Gravina, uomo che aveva acquistato il cantiere del Palazzo, fu data in sposa a Giuseppe Valguarnera, principe di Gangi.

Fu nel 1757 che Andrea Gigante e Tommaso Napoli realizzarono il palazzo. Quella di Palazzo Valguarnera Gangi fu una fabbrica che vide operare un consistente numero di artisti: Gaspare Serenario, che si impegnò nella realizzazione degli affreschi della Galleria e del Salone da ballo; Mariano Sucameli, che si occupò della realizzazione dello scalone, della corte e del terrazzo che affaccia su Piazza Sant’Anna; ancora Giuseppe Fiorenza, Giovan Battista Cascione, Giuseppe Velasco ed Eugenio Fumagalli, i quali si occuparono di dar vita alle ricche decorazioni che costellano tutti gli interni sontuosi della dimora Valguarnera Gangi.

Importante fu il periodo che seguì l’anno 1823, quando il Palazzo fu reduce di una serie di disastri ambientali e crisi monetarie che portarono ad una frammentazione dell’edificio in più ambienti, a loro volta adibiti alle più svariate funzioni (ospitarono anche delle prigioni).

Proprio a partire dagli anni venti dell’ottocento, Giuseppe Mantegna, che prese in sposa Giovanna Alliata e Valguarnera, si occupò dell’intero rifacimento del palazzo. Si optò per un gusto sfarzoso che ricoprì gli interni di arazzi, statue, grandi specchi, oggetti e pregiati pezzi di mobilio in  stile Luigi XVI.

Il palazzo è accessibile tramite un portone, sormontato dallo stemma della famiglia Mantegna Gangi e chiuso all’esterno da due colonne in pietra grigia. All’interno vi è una corte con un  porticato ad arcate contigue, ornato da decorazioni floreali in ferro battuto. Dal cortile (fig. 2) si dirama una scalinata a due rampe simmetriche. In cima alla scalinata si trova un vestibolo di grandi dimensioni e riccamente decorato, in cui sono presenti le statue raffiguranti le quattro stagioni  accompagnate dalle allegorie di Saggezza e Gioventù.

Fig. 2.

Davanti al portone d’entrata sono presenti due piccole nicchie che nel ‘700 erano funzionali allo spegnimento delle fiaccole portate dalla servitù.

La porta d’ingresso, che comunica il vestibolo con gli ambienti interni, è invece sovrastata da un medaglione con l’effigie di Anna Maria Gravina.

L’ambiente più importante e rinomato, che rimanda proprio alla famosissima scena del ballo tra Angelica e Don Fabrizio del Gattopardo (fig. 3) di Luchino Visconti, è la Sala da ballo, detta anche Salone Giallo (fig. 4) per la seta gialla di Lampasso che riveste non solo le pareti, ma tutto il mobilio presente al suo interno. Al salone giallo si accede passando tramite il Salone Rosso e il Salone Celeste.

A decorare il soffitto fu Gaspare Serenario durante la metà del ‘700, nonostante alcuni studiosi tendano ancora ad assegnarlo ad un altro artista.

Nel soffitto è rappresentato è il Trionfo della Fede tra le virtù teologali e cardinali, attorniato da una serie di stucchi che ritraggono putti che sorreggono i medaglioni con gli stemmi di famiglia.

Ad accogliere gli ospiti è invece un grande dipinto della principessa Maria Anna Valguarnera, artefice proprio di tutto ciò che a noi oggi è rimasto. I pavimenti maiolicati della sala da ballo rappresentano, infine, scene di battaglia.

Consolles,  boiseries, porte in oro zecchino, grandi specchiere e divani danno vita ad uno splendente turbinio di ricchezze e decorazioni sofisticate, che sembrano richiamare il gusto della Reggia di Caserta e alla Reggia di Versailles.

Palazzo Valguarnera Gangi è una piccola reggia che si cela tra le strade di Palermo; tra le sue mura è possibile sentire il profumo dello sfarzo nelle feste della nobiltà ottocentesca palermitana. Una dimora da sogno, fatta di storia e di arte, di letteratura e cinematografia, vissuta da figure che hanno lasciato un segno nella storia delle arti a livello internazionale.

 

Bibliografia

Caldarella Chiara, Palazzo dei Principi Valguarnera Gangi, in La Fardelliana, Anno V, n. 3, 1990, pp. 113-120.

Aiello Francesca et alii, Palazzo Valguarnera Gangi, Palermo, associazione culturale Archikromie, 2016.


VILLA ALLIATA DI PIETRATAGLIATA A PALERMO

A cura di Beatrice Cordaro

 

Introduzione. Un gioiello neogotico che racconta arte e magia

Tra le bellezze artistiche e architettoniche dei palazzi palermitani, tra i giardini che li arricchiscono, tra le mura che li compongono, si celano affascinanti storie di vita vissuta e si intrecciano misteri oscuri inimmaginabili.

Romano Battaglia affermava che: «Il mistero fa parte della storia del mondo, è il lato oscuro della mente dove prendono vita le emozioni che non hanno una spiegazione. Senza il mistero tutto sarebbe piatto, l’arte e la scienza naufragherebbero in un lago stagnante e perfino il destino rimarrebbe ingabbiato nella rete dell’ovvio.»

E i ruderi di Villa Alliata di Pietratagliata che ci accingiamo ad osservare, dimenticati dal tempo e in pasto all’abbandono, recano ancora gli indelebili segni del passato, di quando hanno riempito la vita di chi ne aveva fatto la propria dimora e l’aveva difesa con tutta l’anima.

Villa Alliata

Villa Alliata di Pietratagliata, chiamata anche la Villa del principe Mago, sorge in via Serradifalco a Palermo. Le rovine di questo gioiello dimenticato sono l’ultima eco di una storia a metà tra l’oscuro e il nostalgico, e si configurano ancora come una delle bellezze dell’architettura neogotica del territorio palermitano.

La Villa Alliata di Pietratagliata – spesso indicata anche come castello – prima degli interventi di ristrutturazione avvenuti sul finire dell’Ottocento, aveva in facciata una struttura con una grande scalinata a tenaglia che si affacciava sulla corte interna; dall’altro lato, invece, presentava un importante porticato nel quale si alternavano colonne e pilastri. Impianto e decorazioni erano di gusto tipicamente settecentesco. Ad ornare e incorniciare ulteriormente la villa era un grande giardino al centro del quale essa era posta.

Nel 1885 il Principe Luigi Alliata, probabilmente spinto da un sentimento di rinnovamento, decise di affidarne la ristrutturazione all’architetto Francesco Paolo Palazzotto. Fu proprio quest’ultimo a soddisfare le richieste del principe, il quale sentiva la necessità di imporsi ulteriormente nella società altolocata attraverso la riformulazione della propria dimora. L’architetto formulò un progetto che si esplicava nella commistione di elementi architettonici, decorativi e di arredo, che univano il gusto raffinato ed innovativo – che potremmo dire essere moderno - che si stava diffondendo all’epoca, senza dimenticare tuttavia l’eredità artistica precedente, ed utilizzando uno stile più classico per rendere più preziosa la villa. Al gusto classico e moderno vennero aggiunti dettagli tipici dello stile medievale, come ad esempio le merlature.

Desiderio di Luigi Alliata era quello di creare, inoltre, una struttura dallo stile unico, con un’identità precisa ed individuale che rispecchiasse se stesso, come fosse quasi un prolungamento, un riflesso, della sua persona.

Tutti i corpi e le parti della villa si intersecavano tra loro secondo armonie geometriche. I vani del palazzo vennero risistemati attraverso una suddivisione gerarchica. Il piano nobile era destinato alla rappresentanza: esso constava di una sala da pranzo riccamente decorata, con il soffitto a cassettoni, con rosoni dal colore oro, e dei saloni anch’essi destinati alle riunioni o feste per l’alta società. Gli appartamenti di Luigi Alliata, invece, erano stati situati al secondo piano, nascosti da occhi indiscreti. Il secondo piano vedeva la presenza anche della Sala Baronale, della Sala del Trono oltre che della zona notte. È importante notare come la nomenclatura affidata ad alcuni vani rimandasse non solo al ricordo dei grandi e magnificenti palazzi, o dei castelli, ma soprattutto ad una classe sociale principesca.

I salottini del piano terra erano anch’essi decorati riccamente, quello di ingresso, analogamente alla sala da pranzo, era ricoperto da un soffitto a cassettoni nel quale erano state poste le iniziali L.P.A., ovvero quelle del fondatore. La scalinata esterna a tenaglia venne eliminata, tutti i piani erano collegati adesso da una scala interna principale, a cui pare si accedesse attraverso la Sala delle Armi del piano terra.

Numerose le decorazioni fitomorfe e zoomorfe che animavano l’intera struttura; in particolare erano poste sulle colonnine, sui capitelli o sulle pareti interne; le finestre erano invece composte da vetri piombati policromi, e anche queste presentavano sovente decori o stemmi.

Alla morte di Luigi Alliata, la villa passò in eredità al figlio Raniero Alliata di Pietratagliata, conosciuto come Principe Mago, divenendo così la sua residenza. La vita di Raniero Alliata fu particolarmente votata alle feste, le cui musica e danza rallegravano le serate del proprietario.

Raniero, tuttavia, non si dilettava solamente con allegri festeggiamenti, ma il suo interesse verso la biologia, l’occulto e l’esoterico lo spinsero sempre di più all’organizzazione di rituali e sedute spiritiche. Proprio durante una seduta spiritica, si dice che Raniero cadde in trance, come posseduto da uno spettro invocato. Questo evento terrorizzò i partecipanti alla seduta, e da quel momento la villa si svuotò a tal punto da cadere in disgrazia.

Anche Raniero venne segnato da quanto accadde: si chiuse ancor di più in se stesso, tra le mura della propria villa, incrementando i suoi studi verso l’occulto e l’aldilà.

I suoi comportamenti iniziarono ad alterarsi sempre di più e a divenire più macabri e spettrali. Si dice che ogni giorno si affacciasse alla finestra del suo studio, con oggetti che simboleggiavano la morte, maledicendo i passanti, gli ospiti che un tempo frequentavano i suoi saloni e, pare, anche i suoi parenti.

Le sedute spiritiche divennero per Raniero una costante giornaliera, l’occupazione preferita, tanto da non uscire più dalla sua dimora. La morte lo colse nel 1979, e a partire da quel giorno la Villa cadde in uno stato di degrado e di abbandono. Le leggende che si erano create intorno ad essa portarono i vandali a distruggerla, a sfidare il fantasma di Raniero che si diceva vagare ancora tra le sale del castello.

Ancora oggi numerosi racconti aleggiano intorno a Villa Alliata di Pietratagliata, e fino a poco tempo fa continuava ad essere uno dei passatempi preferiti dai ragazzi più coraggiosi, i quali vi si addentravano alla ricerca delle entità mostruose di cui si credeva la presenza.

A partire dal 2016 si valutò un recupero del rudere, ma la sua vendita avvenne solo nel marzo del 2018, durante un’asta nella quale un privato riuscì ad aggiudicarsela.

L’assessorato dei Beni Culturali, tuttavia, ha ritenuto che la villa fosse un bene da rilevare, sul quale non era possibile esercitare il diritto di proprietà privata.

Solamente di recente è stato stabilito un piano di restauro volto al recupero di Villa Alliata: i lavori di restauro hanno preso avvio proprio nell’autunno del 2020.

Siamo certi che, una volta riportata al suo splendore originario – o quasi – questo capolavoro palermitano che sprigiona bellezza e mistero verrà aperto al pubblico, così che le storie narrate dalla cultura popolare possano essere viste e ascoltate, finalmente, in maniera tangibile.

 

 

Bibliografia

Palazzotto P., Il castello del principe entomologo, Kalòs, II n.4, 1992, pp. 4 - 13