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Introduzione

È un magnifico tempio quello della Cattedrale. In mezzo alle case basse della vecchia Termoli si eleva come un gigante ad attestare la fede e la religione delle passate generazioni, e il genio che, nel secolo XII, nel nostro Paese, si librava a voli altissimi e si manifestava in forme architettoniche, così come Dante nel Trecento si esprimeva in nuove forme linguistiche.

Il Duomo di Termoli occupa una posizione predominante nel tessuto urbano del borgo antico: rivolta ad oriente, secondo le antiche consuetudini e con un significato teologico molto preciso, la maestosità della fabbrica domina e determina tutta la struttura urbanistica. La piazza antistante, gli assi viari che tagliano il brano edilizio del borgo, le vicine piazzette, sono in funzione del tempio, centro propulsore della vita religiosa e civile.

Di Luca Aless – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=67341596

Nel corso della quarta crociata in Terra Santa (1202 – 1204), le reliquie di San Timoteo (discepolo di Paolo) vengono trafugate a Costantinopoli e trasferite nella cittadina termolese: il conseguente prestigio religioso della città attira l’attenzione dei pellegrini diretti ai santuari del Gargano e ai porti di imbarco delle crociate. Si rende allora necessaria la realizzazione di un imponente edificio di culto che potesse conservare la reliquia, assieme a quella del patrono della città, San Basso, già presente nel XII secolo e, allo stesso tempo, accogliere i fedeli in sosta dal pellegrinaggio.

A quel tempo, l’influenza della cultura orientale è riccamente testimoniata in tutto il meridione: se la dominazione bizantina sulle coste pugliesi e quella mussulmana in Sicilia hanno fortemente segnato la storia di quei luoghi, dall’altra parte si assiste ad una graduale commistione delle culture straniere con il patrimonio di conoscenze artistiche locali. Non è estraneo alle esperienze artistiche delle altre regioni meridionali, il cantiere della Cattedrale, di stampo federiciano, contrassegnato, inoltre, da una graduale acclimatazione delle novità gotiche.

Un altro elemento che favorisce lo scambio culturale, anche con l’importazione di opere d’arte e maestranze dell’oriente, è costituito dalla presenza nel territorio di numerose colonie ravellesi, che di fatto costituiscono una vera e propria aristocrazia di grandi commercianti, promotori di iniziative dal carattere religioso ed artistico. Documenti affidabili testimoniano la presenza di una colonia ravellese nella città di Termoli, intorno al XII – XIII secolo; sono due nobili famiglie in particolare a finanziare la costruzione della nuova cattedrale, i Grimaldi e i De Afflitto, i cui nomi sono riportanti in iscrizioni incise sulla base delle statue, collocate sulla facciata della fabbrica sacra.

Il Duomo di Termoli: l’esterno

Ed è proprio la facciata principale a mostrare questo connubio di esperienze artistiche di diversa provenienza: una polifonia, in cui mantengono la propria individualità, le mani di tre maestri: il magister bizantino che si attiene ai canoni estetici bizantini, pur perseguendo alcune novità gotiche; il magister francese che ha portato le novità del gotico dell’Ile de France ed è l’autore delle statue a tutto tondo sulle mensole e dei capitelli dei montanti del portale d’ingresso, nonché delle decorazioni delle bifore centrali e probabilmente del rosone originale, andato in seguito distrutto e, in ultimo, il magister romano dei cui lavori è rimasto ben poco, ovvero le tarsie marmoree.

Di Luca Aless – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=67341602

Un particolare che accomuna l’architettura religiosa termolese e quelle abruzzesi e pugliesi, è il tralcio cosiddetto “gerosolimitano”, costituito da foglie di palma bombate, fortemente a rilievo in cui è evidente il dettaglio naturalistico del vegetale. Assume la funzione di elemento guida della decorazione architettonica in molteplici variazioni, sui capitelli delle paraste, sulla fascia orizzontale che marca il davanzale delle finestre, sul portale principale e intorno alla mostra di alcune bifore esterne. Quando invece percorre le cornici dei davanzali delle bifore e i capitelli delle paraste, è orlato da un bordo di palmette o da una fascia di ovuli.

Altra testimonianza degli influssi orientali nel cantiere è il fulgore cromatico degli elementi di facciata: applicando una tecnica simile all’incastonatura delle pietre preziose, di cui gli orientali erano esperti, sono ottenuti i meravigliosi rosoncini incastonati tra le ghiere esterne delle bifore, i marmi policromi negli archi del portale e della bifora di destra, le tarsie colorate triangolari, in terracotta invetriata, che profilano le ghiere degli archi delle bifore e il piombo applicato nelle incisioni.

Da ricordare infine sono la perfetta simmetria e la corrispondenza tra le parti dell’apparato scultoreo della facciata, chiavi interpretative singolari nella cultura araba e bizantina. Si osservino le sei bifore laterali al portale, dalla corrispondenza perfetta sia nei motivi decorativi che iconografici: le due bifore più esterne ad esempio sono caratterizzate oltre che dalle due paraste angolari più ampie, dalla stessa cornice con il tralcio sopra citato e dalla presenza di sculture a tutto tondo, leoni stilofori sovrastati da grifi. Le due bifore centrali erano probabilmente a giorno, per l’illuminazione degli interni, mentre le due adiacenti al portale presentano le ghiere degli archi privi di decorazione che poggiano su preziosi capitelli sorretti da eleganti colonnine tortili e poligonali.

Il tema religioso illustrato in facciata è il ciclo del mistero dell’Incarnazione del Figlio di Dio, che si ritrova puntualmente in tanti altri edifici coevi e che dimostra come l’iconografia bizantina sia fortemente debitrice dei vangeli apocrifi. Del ciclo sono sopravvissute solo due scene, probabilmente di mano del magister bizantino, l’Annunciazione, nella prima bifora a sinistra e la Presentazione al Tempio di Gesù, nella lunetta del portale. Nella prima, la Vergine, seduta su un trono senza schienale, sostiene due fusi, uno per ogni mano e collegati dal dettaglio naturalistico del filo, mentre l’Arcangelo Gabriele, con le ali spiegate, ha in mano uno scettro fiorito quale simbolo di pace.

Nella seconda, lo schema iconografico ricalca quello diffuso a seguito di quanti si muovevano nella cerchia artistica di Bisanzio ed è impostato sulla simmetria: intorno al Cristo sono disposti da un lato Simeone ed Anna, dall’altro Maria e Giuseppe. Di questa purtroppo, molto deteriorata e di difficile lettura, restano solo frammenti di immagini che hanno perso l’originario rilievo.

Il terremoto del dicembre 1456 ha provocato il crollo dell’intero ordine superiore dell’edificio sacro e per la ricostruzione, in epoca aragonese, sono stati utilizzati conci di misura inferiore e di materiale differente dall’originale. La differenza stilistica e di materiale dei due ordini è tanto evidente che un articolo degli anni trenta riporta: “mentre la zona inferiore è costituita da grossi conci quadrati di bianca pietra calcarea senza malta, in quella superiore sono conci più piccoli di pietra bruna con grosso strato intermedio di malta”. Oggi la differenza è attenuata dagli effetti del tempo sui materiali di costruzione.

Il Duomo di Termoli: l’interno

L’interno conserva le tracce dell’edificio religioso preesistente, probabilmente risalente alla prima metà del IX secolo, di cui sono testimonianze evidenti il giro di tre absidi e brani di mosaico pavimentale, collocati ad un livello inferiore rispetto la chiesa attuale, comunemente chiamato cripta.

Di Luca Aless – Opera propria, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=67341604

Le rappresentazioni dei mosaici, ridotti ormai a due frammenti, riprendono tematiche molto note al Medioevo, diffuse attraverso i Bestiari, che non solo manifestano la concezione cristiana del mondo come foresta di simboli, ma si propongono come guide alla comprensione delle numerose immagini zoologiche presenti nei testi sacri. Il primo occupa l’abside sinistra dell’antica chiesa: un motivo geometrico a scacchiera, con andamento indipendente rispetto il profilo absidale, inquadra la parte figurata; nella parte mediana, sul fondo bianco, è presentato un gruppo di animali stretti in un vitalissimo intreccio.

La figura maggiore è un quadrupede, forse un cervo, con le gambe divaricate in atteggiamento di corsa, la testa rivolta, dalla cui bocca fuoriesce la coda sinuosa e anguiforme di un uccello mostruoso che si riflette ad arco, ingoiando a sua volta l’estremità della coda del cervo. Il secondo mosaico, più esteso, è nella navata mediana; raccoglie in libero accostamento più figure di animali: due quadrupedi simmetrici ai lati dell’albero della vita; una sirena bicaudata circondata da pesci, un leone che ingoia un minuscolo animale, un quadrupede alato.

Dai rilievi effettuati durante il restauro degli anni trenta si deduce come la pianta della costruzione abbia conservato nelle linee generali l’impostazione originaria: priva di transetto e divisa in tre navate, scandite da una doppia serie di pilastri cruciformi e terminanti con tre absidi semicircolari. Si nota un evidente contrasto tra le conformazioni delle due absidi minori; quella meridionale, accostata ad altre costruzioni, risulta fortemente manomessa, tanto da uscire fuori dal perimetro dell’edificio, mentre l’abside settentrionale sembra aver mantenuto la primitiva conformazione.

La parete meridionale, inglobata nel palazzo vescovile, adiacente l’edificio sacro, ha subito notevoli trasformazioni ed è considerata alla stregua di un semplice muro divisorio, da cui accedere alla cappella del S.S. Sacramento, incorporata nell’attuale palazzo, mentre, in prossimità della terza campata, su entrambi i lati, sono situate le scale di accesso alla cripta (o chiesa inferiore). Proseguendo, dopo la terza campata, a sinistra, s’innalza la torre campanaria a base quadrata, su di una volta a botte e con copertura a cella ottogonale cuspidata; a questa segue la sagrestia. Se la navata centrale, più larga, è coperta a capriate, le due navate laterali sono sormontate da volte a crociera, con chiave leggermente rialzata.

Bibliografia

  • LUIGI RAGNI, Il Duomo di Termoli, Stab. Tipografico Sorrentino, Napoli, 1907
  • a cura di MARIA STELLA CALÒ MARIANI, Due Cattedrali del Molise, Termoli e Larino, Cassa di Risparmio Molisana, 1979
  • MARCELLO PARADISO, La fede sullo scoglio. La Cattedrale di Termoli e i suoi santi, Termoli, 1993
  • NICOLA DI PIETRANTONIO, Segni d’Oriente. La Cattedrale di Termoli. Influssi, maestranze e crociati sulla via del pellegrinaggio, Ediduomo, Termoli, 2002
  • GABRIELE PALMA, La Cattedrale di Termoli: studi di estetica medievale, Tipografica Adriatica Edizioni, Termoli, 2004

Sitografia

GALLERIA FOTOGRAFICA

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