A cura di Denise Lilliu
La vita di Maria Lai
Tra le protagoniste donne della nostra storia dell’arte contemporanea non si può fare a meno di pensare a Maria Lai, nata nel 1919 A Ulassai, un piccolo paese ubicato nell’entroterra sardo.
Tra Ulassai e le campagne di Gairo Lai passò la sua infanzia. Un’infanzia in cui l’aria di campagna giocò un ruolo fondamentale per la salute cagionevole della giovane Maria. Già da questi primi momenti, poi, emerge la sua forte passione per il disegno e l’arte, a tal punto che i suoi genitori decisero di iscriverla ad un istituto nella città di Cagliari, una realtà indubbiamente più prestigiosa rispetto alle scuole del suo piccolo paese. A Cagliari suo professore fu Salvatore Cambosu, scrittore molto rinomato a cui va il merito di essere riuscito a trasmettere alla giovane Maria la passione per le parole e per la letteratura.
Nel 1939, spinta da un forte desiderio di indipendenza, Lai si trasferisce a Roma, dove inizia a frequentare il liceo artistico. Nella capitale muove i primi passi nel mondo dell’arte, e anche se lentamente, inizia ad essere notata, ad acquisire visibilità nell’ambiente romano, indubbiamente più ricco di stimoli e di possibilità rispetto a ciò che l’isola poteva darle in quel momento.
Dopo il diploma, il percorso di Maria continua nella città di Venezia, dove inizia a frequentare l’Accademia delle Belle Arti che le spiana definitivamente la strada per una brillante carriera nel mondo dell’arte. È a Venezia che Lai conosce, al tempo delle prime battute della seconda guerra mondiale, lo scultore Arturo Martini.
Sul finire della guerra Maria decide di tornare nella sua isola, dove riprende il sodalizio con il suo ex professore delle scuole medie Salvatore Cambosu. Da quel momento in poi Lai partecipò a diverse mostre, alcune con artisti molto prestigiosi del calibro di Lucio Fontana, per poi abbandonare nuovamente la Sardegna e ritornare a Roma. L’isola, del resto, era diventato un luogo insicuro per Maria, in seguito al rapimento di suo fratello, in una vicenda molto probabilmente legata alle scorrerie dei banditi della Barbagia.
In questo periodo Lai iniziò un’attività in proprio, aprendo il suo primo studio artistico e dimostrando una forte volontà di sperimentazione tecnica, prima di isolarsi e di non esporre più nessun lavoro per oltre dieci anni.
All’apertura di uno studio ha seguito anche l’apertura di un museo nel suo paese, il museo “Stazione dell’Arte”. Il museo, che custodisce al suo interno la più grande collezione pubblica delle sue opere, ha purtroppo rischiato, a discapito degli abitanti di Ulassai e dei visitatori, di chiudere i battenti. La sua arte ebbe un grande riscontro, in Sardegna, nel suo paese – a cui destinò molte delle sue opere pubbliche – ma anche in Italia e nel mondo. Proprio in Sardegna, a Cardedu, Maria Lai si spense nel 2013, all’età di novantatre anni.
La foto rappresenta Maria Lai fotografata nel 2012, ormai anziana.
Le opere di Maria Lai, che venne peraltro insignita di una laurea honoris causa in lettere, sono oggi esposte in alcuni dei musei più importanti del mondo, dal Centre Georges Pompidou di Parigi al MoMA di New York, passando per Firenze e addirittura per Roma, a palazzo Montecitorio.
La foto rappresenta il Museo Stazione dell’arte, chiamato così perché nato dentro una ex stazione ferroviaria.
L’artista tessile
Quella per l’arte, per Maria Lai, non era certamente l’unica passione. L’artista, infatti, era solita cimentarsi nella poesia, scrivendo componimenti che poi riportava nelle sue opere – soprattutto su tela – motivo per cui le è stato dato l’appellativo di “artista tessile”. Le frasi, le poesie, venivano cucite nei telai, sopra i libri e addirittura nel pane, legandosi indissolubilmente alla terra e avvicinando, in un certo senso, la pratica della Lai all’Arte Povera.
Proprio i telai rappresentano e simboleggiano la donna sarda e il lavoro femminile, divenendo lo strumento più congeniale all’artista per raccontare storie. A questo filone appartengono le cosiddette favole cucite, una serie di tre opere legate alla letteratura. Le “fiabe”, ma anche i “miti, leggende, feste, canti, arte” ebbero del resto sempre un ruolo di primo piano nella pratica artistica di Lai, che le considerava il mezzo con cui l’uomo riusciva a “mettere insieme il visibile e l’invisibile.
Alla prima di queste favole, Tenendo per mano il sole, opera che diede anche il titolo a una delle sue mostre, fanno seguito tenendo per mano l’ombra e Curiosape. Quest’ultima, poi, altro non è che la reinterpretazione di una favola scritta originariamente da una bambina in occasione di un concorso letterario. Curiosape era un’ape molto creativa, curiosa per l’appunto, e molto allegra, motivo per cui venne condannata dalla regina, per la quale la troppa allegria rappresentava una pericolosa fonte di distrazione e di perdita di tempo dal lavoro, dagli affari quotidiani. Successivamente, però, il ruolo di Curiosape venne rivalutato, e a lei venne affidato il compito di organizzare eventi e spettacoli per intrattenere e ravvivare l’ambiente tra le api.
Legarsi alla montagna
La sua opera più conosciuta e meravigliosa, anch’essa legata al suo paese, è peròLegarsi alla montagna, ovvero una performance con la quale l’artista è riuscita a coinvolgere la maggior parte degli abitanti del paese. L’origine della performance è da ritrovarsi in una leggenda del “Sa Rutta de is’antigus” (La grotta degli antichi), assai nota nel paese e ispirata ad un fatto realmente accaduto. Secondo la leggenda, una bimba, diretta verso la montagna con una cesta di cibo da portare ai pastori, fu costretta per il sopraggiungere di un temporale a cercare riparo all’interno di una grotta. che con un cesto di cibo era diretta verso la montagna per portare da mangiare ai pastori, durante la salita si sviluppa un forte temporale che la costringe a cercare riparo dentro una grotta. Nella caverna la bambina nota un filo azzurro, un piccolo nastro grazie al quale riuscì a salvarsi dalla successiva frana.
È proprio il filo azzurro ad essere il punto centrale dell’opera di Lai, messa in scena per le vie del paese l’8 settembre del 198. Un evento unico, spettacolare e dalla forte carica di modernità – specialmente in territorio sardo – prontamente documentato sia da troupe fotografiche che da giornalisti accorsi sul posto. La performance dell’artista e degli abitanti di Ulassai durò tre giorni, e in questo periodo di tempo il filo, un nastro lungo circa ventisette kilometri, venne tagliato, distribuito tra gli abitanti del paese e infine portato per tutte le strade. Il nastro stava a simboleggiare il legame fisico e mentale che univa indissolubilmente tra loro tra le case, le persone e i luoghi, creando un legame di amicizia e di fratellanza fino ad arrivare alla montagna, il Monte Gedili, simbolo del paese.
Per Maria Legarsi alla montagna è la sua prima opera d’arte “relazionale”, una grande innovazione con cui riesce a coinvolgere anche il pubblico – che diventa conseguentemente esecutore e quindi “artista” a sua volta – anche se a primo impatto la proposta di Lai fece registrare un certo scetticismo da parte dei compaesani.
Informazioni utili per visitare il museo
Il Museo è visitabile anche senza visita guidata dalle 9:30 alle 19:30.
Aperto dal Martedì alla Domenica. Chiuso il Lunedì.
Sitografia
Il Museo – Stazione Dell’Arte – Museo d’arte contemporanea (stazionedellarte.com)
Maria Lai, Opere e parole • Oltre l’Arte (lezionidarte.it)
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