SAVONA: LE TRACCE DI UN PASSATO (QUASI) SCOMPARSO

A cura di Gabriele Cordì

 

Premessa storica

Prima di analizzare nello specifico il “grandioso piano urbanistico della metà dell’Ottocento” e le modifiche causate dai bombardamenti durante la Seconda Guerra Mondiale, è più che dovuto parlare di com’è nata e come si è sviluppata urbanisticamente la città di Savona dalla preistoria sino al XVIII secolo. I primi insediamenti sono documentati sulla collina del Priamar durante la media età del bronzo. La protourbana Savona era un vetusto centro del gruppo etnico dei Liguri Sabazi. Inizialmente alleato di Cartagine, il centro fu conquistato dai Romani in età medio-tardorepubblicana, intorno al 180 a.C. In seguito alla caduta dell’Impero Romano d’Occidente nel 476 d.C., il centro ligure fu devastato dagli Eruli e dai Goti, passò sotto il dominio dei Bizantini, dei Longobardi e dei Franchi di Carlo Magno ed , infine, divenne libero comune nel 1191. La golden age di Savona va di pari passo con l’elezione al soglio pontificio di Francesco Della Rovere, papa Sisto IV, e Giuliano della Rovere, papa Giulio II. I due, appartenenti ad una prestigiosa famiglia nobile, si occuparono di sostenere economicamente la loro città natale. I rapporti con Genova, già da tempo corrotti, si deteriorano definitivamente nel 1528 con la sottomissione di Savona, a seguito della quale ci furono violente devastazioni, l’interramento del porto, il taglio delle torri e l’abbattimento dell’antichissima cattedrale, in stile gotico italiano, distrutta definitivamente nel 1595. Sull’antico centro urbano del Priamar, Genova costruì la sua immensa fortezza.

La città, il clero, le corporazioni e altri vari istituti si spostarono nella valle del Letimbro, cercando una nuova sede per la cattedrale e molte delle confraternite ancora oggi esistenti. Nel XVII secolo Savona riprese a praticare il commercio via mare, provocando così una rifioritura economica e edilizia. Nel 1815, dieci anni dopo l’annessione di Savona all’impero francese, il congresso di Vienna stabilì la sua appartenenza al Regno di Sardegna, con il quale subentrò poi, nel 1861, nel Regno d’Italia. Dal 1946 fa parte della Repubblica Italiana.

Ricostruzione topografica della città di Savona sul finire del Settecento.

Il grandioso piano urbanistico ottocentesco e i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale

All’alba del XVIII secolo Savona era ancora rinchiusa nel suo piccolo pomerium medievale, delimitato dalle mura e dalle lizie. I primi interventi urbanistici vengono registrati già nei primi decenni dell’Ottocento con l’abbattimento delle mura lungo la darsena, della porta di Sant’Agostino, nell’attuale piazza Leon Pancaldo, e della porta di San Giovanni con la realizzazione dell’odierna piazza Diaz. Nonostante queste corpose modifiche, bisogna aspettare la seconda metà del secolo per assistere al vero e proprio sviluppo urbanistico savonese. Nel 1832 un “piano di abbellimento” prevede la costruzione di una strada extra moenia per collegare il Borgo Superiore con quello Inferiore e la copertura del fosso per la formazione della passeggiata sopraelevata delle lizie. Nel decennio successivo, il Comune avvia lo studio di varie pratiche e piani di rinnovamento urbanistico.

Pianta topografica del centro abitato alla metà dell’Ottocento.

La necessità di un piano regolatore era indispensabile in quanto le strade e gli alloggi erano in pessime condizioni igieniche e strutturali. Finalmente, con regio decreto del 23 novembre 1856, viene approvato il primo progetto a cui, tuttavia, bisognava apportare ancora alcune modifiche. Il piano regolatore definitivo fu quello successivo, il cosiddetto “Piano Corsi”, dal nome del sindaco dell’epoca Luigi Corsi, deliberato dal consiglio comunale nel 1865. Venne posizionata la stazione di Savona Letimbro nei pressi di Piazza Umberto, l’attuale piazza del Popolo, e tra il vecchio centro urbano e il torrente Letimbro la nuova città venne sistemata a scacchiera, su modello della Torino sabauda.

Nel XX secolo fu invece un tragico evento a cambiare la faccia della città. Quando alle 11:47 del 30 ottobre 1943 suonò il preallarme aereo, i cittadini si recarono nei rifugi per porsi in salvo. Dato che il segnale era stato emanato in molto anticipo, i savonesi, pensando ad un “falso allarme”, si recarono nelle loro abitazioni. Tuttavia, poco dopo sopraggiunsero gli aerei bombardieri nemici che colpirono ampiamente il centro storico medievale ed anche, in minima parte, gli obiettivi dell’attacco: il porto e lo stabilimento siderurgico dell’Ilva. In questa terribile tragedia morirono 116 persone e successivamente, nell’imminente dopoguerra, furono quasi completamente demolite le principali piazze danneggiate, in parte, dai bombardamenti: piazza Colombo, piazza delle Erbe e piazza Caricamento.

Il centro urbano nel 1895: particolare della pianta della città di Savona disegnata dall’ingegnere G.D. Antonj.

Nel XX secolo fu invece un tragico evento a cambiare la faccia della città. Quando alle 11:47 del 30 ottobre 1943 suonò il preallarme aereo, i cittadini si recarono nei rifugi per porsi in salvo. Dato che il segnale era stato emanato in molto anticipo, i savonesi, pensando ad un “falso allarme”, si recarono nelle loro abitazioni. Tuttavia, poco dopo sopraggiunsero gli aerei bombardieri nemici che colpirono ampiamente il centro storico medievale ed anche, in minima parte, gli obiettivi dell’attacco: il porto e lo stabilimento siderurgico dell’Ilva. In questa terribile tragedia morirono 116 persone e successivamente, nell’imminente dopoguerra, furono quasi completamente demolite le principali piazze danneggiate, in parte, dai bombardamenti: piazza Colombo, piazza delle Erbe e piazza Caricamento.

Cosa ci resta oggi

“Una città cambia aspetto, anche se impercettibilmente, quasi ogni giorno. Esistono poi lunghi periodi di stasi ed altri di repentini mutamenti”[1].

Oggi possiamo ancora ammirare le tracce di quel passato (quasi) scomparso, ma occorre avere un occhio attento ai dettagli e tanta immaginazione per ricostruire quella parte del nostro patrimonio artistico che ora, per diversi motivi, non esiste più. La strada che oggi porta da piazza Diaz in via Famagosta ricalca l’antico percorso delle lizie e le sue tracce sono visibili ancora oggi.

Un tratto della cinta muraria delle lizie, ancora oggi visibile. Foto presa da Google Maps.

In via Mistrangelo, a pochi passi da piazza Diaz e all’interno dell’antico perimetro delle lizie, troviamo ancora oggi i resti della chiesa di San Giovanni Battista, distrutta nel 1962. Di questa struttura si sono conservate, in particolar modo, alcune tracce della navata sinistra, tra cui una bellissima porzione di affresco ritraente la Vergine con il Bambino tra due santi, databile tra la fine del Trecento e l’inizio del Quattrocento.

In via Torino è tuttora presente, addossata ad un palazzo, la navata destra della chiesa seicentesca di San Francesco da Paola, distrutta a metà del XX secolo. Gli interni erano stati affrescati da Raffaello Resio e alcune tracce si intravedono ancora oggi sul muro che chiude la navata superstite.

Confronto fotografico tra una foto antica della Chiesa di San Francesco da Paola, in via Torino, e una fotografia odierna, dopo la distruzione della chiesa avvenuta negli anni Cinquanta, in cui sono ancora ben visibili i resti della navata destra.

 

Si ringrazia il gruppo facebook “Savona Scomparsa” e Mariano Bosco e Estelle Santini per la documentazione fotografica.

 

Note

[1] Nello Cerisola, Savona tra Ottocento e Novecento, Editrice Liguria, 1986.

 

Bibliografia

Nello Cerisola, Savona tra Ottocento e Novecento, Editrice Liguria, 1986.


RENATA CUNEO, LA SCULTRICE DI SAVONA

A cura di Gabriele Cordì

 

Biografia

Renata Cuneo nasce a Savona nel 1903, è una delle personalità più influenti dell’arte italiana del XX secolo e le sue opere fanno parte di importanti collezioni di arte contemporanea sparse in tutto il mondo. Frequenta il savonese Liceo Classico “Gabriello Chiabrera” sin dalla prima ginnasiale, ottenendo sempre ottimi risultati e diplomandosi nel 1922. Lo stesso anno, una volta conseguito il diploma classico, si trasferisce a Firenze per frequentare l’Accademia di Belle Arti. Questa esperienza fondamentale segnerà profondamente il linguaggio artistico della scultrice savonese per tutto il resto della sua carriera. Qui ha modo di seguire le lezioni di Domenico Trentacoste, scultore siciliano, che rappresenta una vera e propria guida per la Cuneo, la quale ricorderà i suoi insegnamenti nei suoi primi lavori fuori dall’Accademia. Qui riceve encomi anche da Giuseppe Graziosi e Adolfo Wildt in visita alla sua scuola. A Firenze ha anche modo di studiare da vicino i grandi maestri del Rinascimento e del Manierismo, come Donatello, Masaccio, Michelangelo, Giambologna, i cui tratti sono ravvisabili in tutte le sue opere. A Firenze prende anche ispirazione dall’antico, analizzando attentamente i bronzetti etruschi contemplati durante le sue visite al Museo Archeologico della città. Renata Cuneo si diploma nel 1927 e inizia subito a lavorare prendendo in affitto uno studio a Firenze. Tuttavia, pochi anni dopo torna a Savona, continuando il suo percorso artistico all’ombra della Torretta. Nonostante avesse frequentato l’accademia, viene presto in contatto con l’ambiente futurista. Lì conosce lo scultore Arturo Martini, la cui arte influenzerà le sue opere dell’ultimo periodo degli anni Trenta. Nel 1942 Renata Cuneo è la prima donna a presentare una mostra personale alla Biennale d’Arte a Venezia. Alla fine degli anni Quaranta approfondisce la lavorazione della ceramica presso la Fabbrica dei Mazzotti ad Albisola. In Italia partecipa alle più importanti mostre del suo tempo, mentre all’estero espone a New York, Budapest, Edimburgo, Cracovia e Sofia. Degna di nota è la sua mostra antologica a Firenze presso Palazzo Strozzi nel 1981. Cinque anni dopo dona alla sua città un notevole numero di sculture in bronzo e in terracotta, ceramiche, gessi e disegni, esprimendo la sua volontà di esporli pubblicamente alla Fortezza del Priamar. Queste opere oggi convivono in un museo a lei dedicato con la collezione d’arte contemporanea dell’emerito Presidente della Repubblica Sandro Pertini, donata dalla moglie Carla Voltolina per volontà del marito. La collezione d’arte di Pertini offre ai visitatori una visione completa dell’arte del secondo Novecento. Le stanze della fortezza ospitano ancora oggi le opere di Giorgio de Chirico, Renato Guttuso, Joan Mirò, Giorgio Morandi, Pomodoro e molti altri grandi nomi dell’arte contemporanea.

L’eredità savonese nelle sue “opere pubbliche”

 

La vocazione artistica di Renata Cuneo, caratterizzata da un imprescindibile senso civico, la porta ad impegnarsi in opere pubbliche per la città di Savona: la lastra con la Madonna di Misericordia, le decorazioni della Chiesa di San Raffaele al porto, la cassa lignea dell’Ecce Homo e il monumento al Marinaio posto sotto il simbolo della sua città, la Torre Leon Pancaldo.

Lastra con l’Apparizione di Nostra Signora di Misericordia al Beato Botta

Al bivio tra via Crispi e via Garroni, incastrata in un palazzo, si trova una lastra in pietra serena risalente al 1940, scolpita a bassorilievo e raffigurante l’iconografia tradizionale della Madonna della Misericordia, patrona di Savona, con ai piedi il Beato Botta inginocchiato durante la miracolosa apparizione avvenuta il 18 marzo del 1536. I personaggi sono immersi in una fitta rete di arbusti e una mano della Vergine sfonda la cornice per coprire parte dell’iscrizione. Sul lato inferiore della cornice è presente un motivo geometrico che ricorda le acque del fiume sul quale è avvenuta l’apparizione.

Fig. 3 - Lastra con l’Apparizione di Nostra Signora di Misericordia al Beato Botta.

Fontana di Piazza del Pesce 

Nella centralissima piazza Marconi si trova la Fontana del Pesce, realizzata nel 1965: una fontana a tre vasche, una superiore a forma di conchiglia e due inferiori, ridotte, che con un semplice gioco d’acqua a cascatella sono in simbiosi con quella superiore. Sulla vasca superiore si trova la statua della scultrice Lotta tra uomo e squalo.

Fig. 4 - La scultura “Lotta tra Uomo e Squalo” posta sulla sommità della Fontana di Piazza Marconi. Credits: ivg.it

La chiesa di San Raffaele al Porto

 

La chiesa è così intitolata per il bombardamento che ha colpito Savona il 24 ottobre del 1942, giorno di San Raffaele. I lavori di costruzione per la nuova struttura iniziano esattamente dieci anni dopo quel tragico evento e durano solamente un anno. Il progetto dell’ingegner Barile prevede un semplice edificio in calcestruzzo e cemento armato. Una volta conclusa la costruzione della chiesa, Renata Cuneo si dedica alle opere per gli interni: l’altare, il gruppo scultoreo dell’Annunciazione e gli arredi liturgici; mentre per la facciata realizza un bassorilievo in pietra rosa raffigurante San Raffaele. L’edificazione di questa chiesa è promossa da Don Mario Genta, il cui ricordo è ancora vivo tra i savonesi.

Fig. 5 - Facciata della Chiesa di San Raffaele al Porto. Credits: https://www.tripadvisor.it/Attraction_Review-.

La cassa lignea per la Processione del Venerdì Santo

Realizzata tra il 1977 e il 1978, è l’ottava cassa che sfila durante la Processione del Venerdì Santo a Savona. Al centro si trova Gesù Cristo che porta sulle spalle un mantello rosso e ha le mani legate da una corda, alla sua sinistra si trova Ponzio Pilato, che lo indica al popolo con un eloquente gesto del dito. È conservata nell’oratorio dei Santi Pietro e Caterina in Via Dei Mille.

Fig. 6 - La cassa della Processione realizzata da Renata Cuneo. Credits: Wikipedia - Mariangela Calabria.

 

 

Sitografia

http://www.culturagenova.it/cultura/it/Temi/PercorsiProposte/itinerariVisita.do;jsessionid=B568BF2E0E3AB45262DA1F98408D49FF.node1?contentId=87263&luogo=true&biblio=false&idItinerario=87861&opera=false&actionType=addElement&oid=87263

http://www.culturainliguria.it/cultura/it/Temi/PercorsiProposte/itinerariVisita/renatacuneo.do;jsessionid=0D77248E99F984278716AEAC7B15B17F.node2

http://www.truciolisavonesi.it/index.php?option=com_content&view=article&id=6531:renata-cuneo-artista-savonese&catid=108:biagio-giordano&Itemid=57


VILLA GAVOTTI AD ALBISOLA SUPERIORE

A cura di Gabriele Cordì

Villa Gavotti è uno dei gioielli nascosti della Liguria: costruita nel 1744 per Francesco Maria Della Rovere, il suo fascino è senza tempo. Nonostante sia una dimora privata, grazie alle iniziative promosse dall’Assessorato al Turismo del comune di Albisola in collaborazione con la Delegazione FAI di Savona, si può ammirare Villa Gavotti in occasioni speciali, apprezzandola in tutta la sua magnificenza.

La villa nasce su una costruzione del Quattrocento, chiamata Cà grande (Casa grande). Secondo la tradizione sarebbe stata la casa natale di Giuliano Della Rovere, che diventa papa nel 1503 con il nome di Giulio II. Probabilmente in origine si trattava di una struttura a due piani con accanto una torre. Oggi rimangono visibili le tracce dei muri, del piede della torre e dei piani sfalsati del manufatto architettonico precedente.

Nel Settecento viene trasformato in un magnifico edificio rococò che non ha eguali nel panorama artistico italiano. Nel terreno paludoso intorno alla villa vengono costruiti dei sistemi di contenimento delle acque per ovviare alle inondazioni dei due torrenti circostanti.

Dopo la morte di Clemente Della Rovere, la proprietà dell’edificio passa al figlio Francesco Maria, responsabile dell’ultima ristrutturazione ad arte dell’edificio.

A partire dal 1743 Francesco Maria Della Rovere dà vita ad una trasformazione radicale del manufatto architettonico, mantenendo intatti i segni del suo passato medievale. Francesco Maria ha come obiettivo quello di restaurare le glorie della famiglia Della Rovere e dei suoi due papi, Sisto IV e Giulio II, ristrutturando i due luoghi simbolo: la casa natale di Giulio II e la cappella voluta da Sisto IV come mausoleo dei propri genitori, Leonardo Della Rovere e Luchina Monleone. È evidente un collegamento stilistico e progettuale fra la Cappella Sistina e la Villa Albisolese.

Il progetto trasforma Villa Gavotti in una villa in stile barocchetto genovese. Due lunghi corpi monopiano, paralleli tra loro, racchiudono il giardino. Sul lato opposto viene realizzato il prolungamento di un’ala del palazzo, che termina con una cappella privata.

Le nuove strutture laterali vengono decorate da balaustre di marmo in stile rococò, ornate da vasi e statue anch’essi in marmo di Carrara, opere di Lorenzo Ferzetti e dei fratelli Antonio e Francesco Binelli. Il punto di fuga della prospettiva del nuovo palazzo settecentesco viene spostato sull’asse del giardino: sul fondo si innalza la maestosa “Peschiera”, un ninfeo acquatico che ha come soggetto Ercole in lotta con il leone Nemeo, all’interno di una cornice rocaille. Il giardino ospita quattro vasche decorate con statue di sirene e delfini che gettano acqua nelle fontane, con grandi vasi di terracotta festonati, cotti nelle reali fornaci di Carlo I di Borbone a Portici da Gaetano Lottini.

Francesco Maria investe 116.000 zecchini d’oro di Venezia nei lavori di ristrutturazione dell’edificio. Il doge genovese muore nel 1768, prima della conclusione dei lavori, lasciando la proprietà senza eredi. La dimora passa, attraverso antichi legami di parentela e di matrimonio, alla famiglia Gavotti, di origine genovese e savonese, legata da sempre ai Della Rovere. I lavori vengono sospesi a causa della Rivoluzione Francese e dalla crisi finanziaria. Sul finire dell’età napoleonica, Luigi Maria Gavotti riprende i lavori interrotti il secolo precedente. La villa torna ad essere una dimora ospitale per letterati ed artisti a cui si aggiunsero i patrioti risorgimentali: Mazzini, Bixio, Depretis, Saffi.

 

“La villa è costituita da un corpo centrale, il tipico “cubo” delle dimore genovesi. La facciata è caratterizzata dal colore giallo croceo (chiamato così perché simile al colore dello zafferano), colore che si ritrova su tutte le proprietà dei della Rovere e si presenta simmetrica anche grazie ad alcune finte finestre dipinte. Il basamento è costituito da una serie di lastre di ardesia finemente decorate, intorno ad ogni finestra è presente una cornice dipinta, con elementi architettonici a volte arricchiti dalla presenza di motivi vegetali e floreali.”

 

Gli interni rappresentano un vero e proprio trionfo del rococò per la loro ricchezza stilistica e cura maniacale del dettaglio artistico. All’interno dei due corpi di fabbrica che delimitano il giardino si trovano le sale delle Quattro Stagioni. Gli spazi sono decorati con stucchi policromi che richiamano nei colori e nei soggetti i temi del susseguirsi delle stagioni. Nel primo corpo di fabbrica si trovano tre sale: quella della Primavera ha le pareti e la volta ricca di alberi fioriti, mentre quella dell’Estate è decorata da putti che mietono il grano, sulla volta prendono vita alberi stracolmi di frutti e nel cielo sereno volano stormi di uccelli. Infine nella sala dell’Autunno, viene ripetuto il soggetto del grappolo d’uva. Nel manufatto architettonico che si trova parallelo a quest’ultimo, viene raffigurata la stagione dell’Inverno con pareti ricoperte da rocce e da stalattiti. La sala fu costruita in parte con materiale ricavato dalle grotte di Bergeggi e adornata con conchiglie e coralli. Il salone dell’Inverno ha un’interessante particolarità: il pavimento originario in piastrelle di maiolica presenta il motivo della quercia araldica dei Della Rovere.

 

Sitografia

http://www.albisolaturismo.it/index.php/archeologia-romana/item/82-villa-gavotti

 

Un ringraziamento all’Ass. Luca Ottonello, all’Ing. Michele Buzzi per lo storytelling durante il percorso di visita, e al Dott. Giovanni Borrello per avermi procurato la dispensa ricca di informazioni e nozioni storiche-artistiche, nonché all’intera Delegazioni FAI di Savona per la bellissima occasione. 

 

Per le fotografie si ringrazia Irma Rossi


LA TORRETTA. IL SIMBOLO DI SAVONA

A cura di Gabriele Cordì

Introduzione

La Torre Leon Pancaldo o Torre della Quarda, più comunemente nota con l'appellativo di “Torretta”, è il simbolo della città di Savona. Icona savonese nel mondo, è il monumento a cui i cittadini sono più affezionati ed è uno dei primi edifici che si incontrano quando si giunge in città percorrendo la Via Aurelia da Levante in direzione Ponente.

La torre è stata costruita tra il XIII e XIV secolo, ma il primo documento che testimonia la sua presenza  risale solo al 1392. In esso viene indicata come una delle torri difensive della cinta muraria cittadina nei pressi di Porta della Quarda. La costruzione presenta una pianta quadrata, di circa 6 metri per lato, ed è alta approssimativamente 23 metri (fig.1). Ai due terzi della sua altezza sono presenti degli archetti gotici sporgenti l’uno sull’altro interrotti sul lato nord-ovest. La cima della torre, risalente molto probabilmente al XVIII secolo, è coronata da una merlatura organizzata in gruppi di tre merli (fig. 2).

In origine doveva presentarsi molto più alta di come la vediamo oggi, ma le fonti ci dicono che, nel 1527, è stata vittima delle devastazioni genovesi che ne hanno decretato la brutale decurtazione  e la distruzione delle mura di cinta. L’interno è oggi composto da quattro piani collegati tra di loro da una serie di rampe di scale; l’ultimo tratto conduce alla cima della torre dove si trovano la campana e l’asta sui cui sventola la bandiera della città di Savona (fig.3,4).

Nel 1644 la torre viene dotata dell’orologio pubblico, uno dei più antichi per installazione in Liguria. Sempre nello stesso anno viene posta una statua in marmo raffigurante Nostra Signora di Misericordia sul lato rivolto verso il porto. La scultura della patrona di Savona è stata eseguita dallo scultore barocco genovese Filippo Parodi, allievo di Gian Lorenzo Bernini. La statua ha una particolarità tecnica: è realizzata a mezzotondo, vale a dire che il retro non è scolpito in quanto volge verso la parete interna della nicchia e di conseguenza non è visibile. Sullo stesso lato si intravede un distico del poeta savonese Gabriello Chiabrera: “In mare irato, in subita procella, invoco te, nostra benigna Stella”. Al di sotto di una nicchia è raffigurato lo stemma della  Repubblica di Genova, anch’esso sbiadito dall’umidità e dalla salsedine (fig.5). Il piccolo portico di accesso alla piazza, sormontato da una piccola edicola ospitante una piccola scultura della Madonna di  Misericordia, risale al 1862.

Fig. 5

Nel 1882 il Comune di Savona approva una delibera che stabilisce il prolungamento di Via Paleocapa, la bella ed elegante "strada porticata", fino a raggiungere il porto. Questa idea trova entusiasti sostenitori e già nel 1880 si scrive: “Il prolungamento di via Paleocapa è uno dei lavori più interessanti per l’utilità che  conseguirebbe al commercio da quella facile comunicazione tra la stazione ferroviaria e il porto e per  l’abbellimento della città. Sono un dugento metri di strada che giova eseguire per entro quell’ammasso di  case che è attraversato dalla via Monticello e dai vicoli delle Saponiere e dei Pico: la prima trovandosi ad un  livello superiore, verrà unita nei due punti d’intersezione, mediante un ponte di ferro all’altezza di circa m  7,75”. In seguito ai lavori di sbancamento del colle del Monticello viene raggiunto il porto e, casualmente, sull’asse della via si incontra la Torretta (fig.6). A questo punto si verifica una diatriba tra i cittadini savonesi: una parte di cittadinanza, insieme al Consiglio comunale, è favorevole ad abbattere la vecchia torre, definita “un intoppo all’occhio che vuol trascorrere libero al di là della piazza”, mentre altri, tra cui Agostino Bruno, si sono fatti promotori della sua permanenza a protezione dell’antica darsena. Grazie all’intervento di quest’ultimi la Torretta, “una fra le opere più vetuste della città” e unica testimonianza  delle antiche mura medievali, è ancora oggi al suo posto come una silenziosa sentinella che veglia da secoli sulla città.

Nel XIX secolo la torre viene dedicata, insieme alla piazza antistante, al navigatore savonese Leon Pancaldo, noto per aver accompagnato Ferdinando Magellano nella prima circumnavigazione del mondo a bordo  della nave “Trinidad”. La piazza era precedentemente denominata “Piazza Sant’Agostino” per via della presenza della chiesa e del convento degli Agostiniani (fig.7). Quest’ultimo è stato soppresso nel 1811 per diventare carcere giudiziario, mentre la chiesa è stata adattata a magazzino del sale fino alla prima metà del  XIX secolo, quando si decreta la sua demolizione per far spazio al primo grattacielo di Savona, inaugurato nel 1938. Nel 1989 è stata posta sul fondale marino una piccola riproduzione in ceramica della torre ad opera del ceramista albisolese Umberto Ghersi. La piccola scultura è situata a 13 metri di profondità, a 500 metri dalla riva, di fronte alla passeggiata a mare ”Walter Tobagi”. Dal 1990 la Torretta è sede del gruppo “Vanni Folco” di Savona dell’Associazione Nazionale Marinai d’Italia (ANMI). Lo spazio al pian terreno accoglie cimeli della Marina Militare di grande valore storico e simbolico (fig.8). In precedenza la struttura era stata la sede dei rimorchiatori del porto di Savona. Nel 1986, sul molo adiacente alla torre, viene posto il monumento in onore delle vittime del mare, raffigurante un marinaio che, con la mano destra, regge una lanterna (fig.9). La statua in bronzo è stata realizzata dalla celebre scultrice savonese Renata Cuneo in eterno ricordo delle vittime a bordo della nave mercantile “Tito Campanella”, affondata il 13 gennaio 1986 nel golfo di Biscaglia.

 

Un sentito ringraziamento al Cav. Luca Ghersi, presidente dell’ANMI Savona e al Cav. Umberto Cascone per aver egregiamente collaborato alla riuscita di questo articolo.

 

Bibliografia  

Nello Cerisola, Album di Savona, Editrice Liguria, 1973.

Nello Cerisola, Savona tra Ottocento e Novecento, Editrice Liguria, 1986.

 

Sitografia

https://m.youtube.com/watch?v=62HkVwP-ZiI

https://www.ivg.it/2017/03/quel-simbolo-genovese-sulla-torretta-savona/amp/

 

Fotografie: le immagini sono state scattate in occasione della registrazione del mini-documentario del canale YouTube “WSavonaInArte” .


IL CONVENTO DI SAN GIACOMO A SAVONA

A cura di Gabriele Cordì

“Sorge questo convento sul colle di Valloria, il più alto della valle, gode di grande respiro d’aria e di cielo, vasta è da qui la visione del ligure mare e, verso la città, dell’accogliente e sicuro porto”.

 Fra’ Dioniso da Genova, 1647.

Introduzione

Il convento di San Giacomo, o complesso conventuale del San Giacomo, si trova a pochi passi dal centro storico di Savona, adagiato su un colle ricco di verde e palazzine liberty che sovrasta il porto e gode di una vista privilegiata sulla costa ligure (fig.1). A distanza di circa cinque secoli è ancora nella stessa posizione, orientato con la facciata della chiesa a ponente, come doveva apparire ai tempi di Papa Sisto IV, Giulio II, Gabriello Chiabrera e altri grandi nomi della cultura italiana ed europea che hanno lasciato un solco profondo nella storia secolare del convento francescano. Oggi la chiesa e il convento sono in stato di abbandono, la facciata rischia di collassare su se stessa, gli affreschi absidali si stanno sbriciolando e, molto probabilmente, sotto lo strato di intonaco che ricopre le pareti della chiesa si potrebbero celare altre meraviglie a noi sconosciute. Dal 2016 il destino del San Giacomo è migliorato grazie alle numerose attività organizzate dall’associazione “Amici del San Giacomo”, ODV che si occupa principalmente della valorizzazione del monumento e della sensibilizzazione al suo recupero. Nel 2018 sono stati esposti i libri appartenenti all’antica biblioteca conventuale in una grande mostra allestita nelle sale della Pinacoteca Civica di Savona a cura di Romilda Saggini e GBM Venturino. I pannelli eseguiti in occasione dell’evento sono oggi conservati e visibili a tutti nell’aula studio del Campus universitario di Savona.

Fig. 1

Il convento di San Giacomo: 550 anni di storia

Nel 1470 l’Ospedale di Misericordia di Savona dona dei terreni in località Valloria ai Frati Minori Osservanti (mendicanti e zoccolanti) di San Francesco d’Assisi. Papa Paolo II, nato Pietro Barbo, consente l’edificazione della chiesa e degli edifici circostanti. Inizialmente i francescani predicano nelle piazze ma, con il passare del tempo, necessitano di spazi sempre più ampi per contenere i fedeli. Nonostante le regole dell’Ordine impongano dimensioni ridotte, il progetto della nuova chiesa prevede spazi tutt'altro che piccoli. I lavori iniziano nel 1471 e proseguono sotto la supervisione di Fra’ Angelo da Chivasso, autore di uno dei manuali più celebri del tempo: la Summa casuum conscientiae, soprannominata in seguito Summa Angelica.

La costruzione procede velocemente sotto il pontificato del savonese Sisto IV; la chiesa di San Giacomo diventa il luogo principale dove accogliere i sepolcri delle famiglie savonesi illustri del tempo. Le cappelle laterali vengono abbellite così da grandi quadri e affreschi. Grazie alle numerose donazioni, i lavori della chiesa si concludono nel 1476. Papa Sisto IV nel 1479 fa costruire un ponte a quattro archi per collegare il convento alla città.

Il convento di San Giacomo: la chiesa

La chiesa del convento di San Giacomo è caratterizzata architettonicamente da una sola grande navata coperta da un tetto “a capanna” sorretto da possenti capriate in legno di cipresso. La povertà dell’aula, tipica dei canoni dell’ordine francescano, entra in contrasto con le decorazioni pittoriche murali e la sontuosità degli altari delle dieci cappelle laterali di proprietà delle illustri famiglie savonesi, coperte su ambo i lati da una volta a crociera. In fondo alla navata è ancora visibile il pontile medievale che, prima di cadere in disuso con il Concilio di Trento (1545-1563), aveva la funzione di separare simbolicamente e fisicamente i fedeli dal clero, e architettonicamente l’aula dal presbiterio e dal coro, spazi essenzialmente riservati ai prelati. L’architetto GBM Venturino, grande studioso dell’antico complesso e autore delle famose ricostruzioni digitali di monumenti liguri medievali, ne parla chiaramente in termini tecnici: “[...] Nelle chiese ortodosse sopravvive ancora l’iconostasi, una parete ricca di immagini sacre che divide la parte riservata ai fedeli da quella del clero. Qui il pontile ne occupa lo stesso spazio; è molto leggero, diviso da tre archi a sesto ribassato sorretti da due colonnine con capitello.

Oltre alla primitiva funzione, diventa un rialzo praticabile per i musici ed i componenti della “schola cantorum”, tenuti in gran conto nelle funzioni dei francescani [...]”. Al di là del pontile si trova la zona praticabile solo dal clero, composta dal presbiterio rettangolare, che ospitava il coro dietro all’altare maggiore, e dall’abside semi-ottagonale, affrescata nel Cinquecento dal genovese Ottavio Semino, figlio d’arte di Antonio e fratello di Andrea, anch’egli pittore (fig.2,3). La chiesa accoglie tuttora le spoglie mortali del poeta savonese Gabriello Chiabrera.

La fornitissima biblioteca

Nel 1647 Fra’ Dioniso da Genova definisce la biblioteca del convento di San Giacomo con l’aggettivo “instructissima”, ovvero “fornitissima”, per via del lodevole numero di volumi che essa custodiva. È stata uno dei principali centri della cultura del tempo, famoso per i suoi numerosi codici e manoscritti preziosi, ed ha goduto di grande prestigio culturale per secoli. Molti dei volumi che conservava sono stati dispersi nel tempo e destinati ad altri conventi francescani nel resto d’Italia. I libri provenienti dal convento savonese sono riconoscibili a primo impatto: sono rilegati in pergamena e sul dorso mostrano l’inconfondibile scritta in caratteri gotici “Sancti Jacobi Savonae”.

Il declino

Nel 1810 i saccheggi e le ruberie napoleoniche colpiscono il complesso conventuale savonese. E’ solo l’inizio del degrado. Nel 1809 Papa Pio VII viene imprigionato a Savona da Napoleone Bonaparte, ma non riesce a far nulla per tutelare il convento. Con il passare dei secoli la sua struttura viene plasmata a seconda della funzione che gli attribuiscono le autorità: lazzaretto, ospedale, cimitero, reclusorio e infine caserma.

Bibliografia

GBM Venturino, La chiesa fantasma, Edizione speciale fuori commercio stampata con il patrocinio della Consulta Culturale Savonese, Grafiche F.lli Spirito. (http://amicidelsangiacomo.org/wp-content/uploads/2020/05/San-Giacomo1.pdf)

Romilda Saggini, GBM Venturno, I libri ritrovati, Edizione speciale, 2018, Grafiche Fll.i Spirito.

 

Sitografia

www.amicidelsangiacomo.org

 

Fotografie

Fig. 1,4,5: Fotografie aeree di Luigi Bertogli

Fig. 2,3: www.amicidelsangiacomo.org


CASA MUSEO JORN AD ALBISSOLA MARINA

A cura di Gabriele Cordì

Introduzione. Casa Museo Jorn: una terrazza sul mare

La Casa Museo Jorn sorge sulle dolci pendici della collina dei Bruciati ad Albissola Marina (fig.1), piccolo comune costiero a 2,5 chilometri da Savona. Si tratta di un ensemble di edifici che rompe il concetto tradizionale di abitazione e rappresenta un unicum a livello europeo nel grande mare dello sperimentalismo architettonico. I primi insediamenti di questa zona risalgono al Medioevo ed appartengono alla famiglia Della Rovere, dalla quale provengono gli illustri pontefici-mecenati Sisto IV e Giulio II. Nonostante le modifiche nel corso dei secoli, restano tutt'oggi evidenti i segni di un impianto più antico, come testimoniano chiaramente i muri perimetrali e le bifore. Tra l’ombra degli alberi e la brezza marina si esaudisce il sogno artistico del danese Asger Jorn, che trasforma questo lembo di terra in un’opera d’arte a cielo aperto.

Fig. 1 - Villa Jorn ad Albissola Marina, Gabriele Cordì.

Tutte le strade portano ad Albissola

Asger Jorn nasce il 3 marzo 1914 a Vejrum, nello Jutland danese (fig.2). Dopo aver conseguito il diploma per diventare insegnante, lascia la Danimarca per raggiungere Parigi con il sogno di entrare nel mitico ambiente artistico della capitale francese. Nel 1936, a 22 anni, inizia a seguire l’Académie Contemporaine retta da Fernand Léger. Inizia un forte sodalizio con l’architetto Le Corbusier, tanto che nel 1937 collabora alla realizzazione del Pavillon des Temps Nouveaux (Padiglione dei Tempi Nuovi) a Parigi, realizzando per quest’occasione due ingrandimenti di disegni di bambini (fig.3). Jorn imparerà molto dal famoso architetto sulla capacità dell’arte e dell’architettura di muovere le persone. Si tratta di un padiglione molto grande e facilmente rimovibile, costruito in occasione dell’Esposizione internazionale di Parigi come “museo di educazione popolare” con il fine di dimostrare le possibilità dell’urbanistica moderna. Prima di maturare una concezione opposta a quella di Le Corbusier, il giovane artista danese valuta positivamente questa collaborazione e la definisce di una “gioia inebriante”.

Nel 1946, dopo aver trascorso parte dell’estate in Svezia, Jorn torna nella capitale francese ed entra in contatto con i maggiori artisti del tempo: Costant, Lam, Goetz, Atlan, Hartung, Matta e Picasso. L’8 novembre 1948 nasce a Parigi il gruppo CoBrA, acronimo di Copenaghen, Bruxelles, Amsterdam (fig.4). Questo gruppo prende vita dalla scia dell’esperienza del “Surrealisme Révolutionnaire” di Christian Dotremont, il quale voleva far sposare l’arte surrealista rivoluzionaria con il pensiero politico marxista. Un altro modello a cui si ispira questo collettivo di artisti è Jean Dubuffet, per la sua visione grezza dell’arte denominata Art Brut. Faceva parte del gruppo lo stesso Asger Jorn, assieme ai belgi Corneille, Alechinsky, Dotremont, senza dimenticare gli olandesi Appel e Constant. Come ogni corrente avanguardista CoBrA tende a rifiutare la tradizione per accogliere qualsiasi sperimentalismo che denaturalizzasse l’arte e promuovesse un ritorno al primitivismo. CoBrA si opponeva saldamente al sistema di mercificazione dell’arte, ma nel 1951 il mancato rispetto di questo principio e gli interessi individuali di alcuni componenti portano il gruppo a sciogliersi.

Jorn in questo periodo vive in un appartamento nella banlieu parigina con la compagna Matie ed i loro figli.

Fig. 4 - CoBrA members, among them Constant, Eugène Brands, Tony Appel, Anton Rooskens, Karel Appel, Jacques Doucet, Gerrit Kouwenaar, Theo Wolvecamp, Lucebert and Jan Elburg, entering the Stedelijk Museum, Amsterdam in preparation for the CoBrA exhibition, November 1949. Photo: Unknown photographer.

In una lettera indirizzata a Enrico Baj del 7 marzo 1954, Jorn scrive: “Mio caro Baj, dal momento che il mese di aprile dovrò partire, credo sarebbe estremamente importante se potessimo andare immediatamente, nel momento in cui sarò arrivato a Milano, insieme ad Albissola”. Così, nel 1954, il pittore danese si trasferisce ad Albissola Marina, capitale italiana della ceramica, per alleviare la tubercolosi polmonare che lo tormenta da anni. In Liguria incontra gente accogliente con una tradizione artistica millenaria alle spalle.

Dal 1954 al 1957 non ha una fissa dimora: campeggia in una grande tenda in località Grana, in un prato in cui girava liberamente scalzo con i figli e nello studio di Lucio Fontana a Pozzo Garitta. Poco tempo dopo scopre l’esistenza di un piccolo feudo sulla collina dei Bruciati, e qui l’artista danese intravede le possibilità di un luogo magnifico, immerso nel verde e affacciato sul mare (fig.5).

Fig. 5 - Casa di Asger Jorn ad Albissola Marina, anni 60, www.amicidicasajorn.it.

Una casa “appassionante”

Alla fine degli anni Cinquanta prende vita il progetto di creazione di una dimora d’artista, provvista di studio e museo personale. In questo percorso di recupero svolge un ruolo fondamentale l’operaio albissolese Umberto Gambetta detto Berto, con cui Jorn collabora nella realizzazione del suo sogno artistico (fig.6). I due artefici stringono un profondo rapporto di amicizia, tanto da firmare insieme un camino esterno (fig. 7). La casa con giardino di Albissola, per il suo carattere eterogeneo e la sua natura dichiaratamente imperfetta, è figlia dell’emozionale piuttosto che del razionale. Sposa la semplicità dei materiali, la povertà degli stessi e il dinamismo della creazione in processo ludico che appassiona sorprendendo tutti gli attori in gioco in questa “architettura accidentale” (Feuerstein).

L'inaugurazione della Casa Museo Jorn

Asger Jorn, prima di morire nel 1973, esprime la sua volontà di lasciare la casa con giardino al Comune di Albissola Marina come gesto di ringraziamento verso l’accoglienza ligure, con l’accordo che diventi un luogo pubblico aperto agli artisti e ai cittadini. La casa rimase in usufrutto a Berto Gambetta fino alla sua morte negli anni Novanta. Nel 2000 inizia una stagione di restauri fortemente voluta dal Comune con la partecipazione dell’Università degli Studi di Genova. Nel 2014 viene inaugurata Casa Museo Jorn all'interno del percorso Museo Diffuso d’Albissola, oggi sotto la direzione di Luca Bochicchio. Qui vengono organizzate manifestazioni culturali, mostre e attività didattiche per bambini dall'associazione “Amici di Casa Museo Jorn”, a cura di Daniele Panucci e Stella Cattaneo.

 

Bibliografia

Le Corbusier reloaded: disegni, modelli, video; a cura di Alberto Sdegno, EUT Edizioni Università di Trieste, 2015.

Feuersten, Tesi sull’architettura accidentale, 1961.

 

Sitografia

http://www.museodiffusoalbisola.it/index.php/sedi/casa-museo-jorn

https://www.museumjorn.dk/en/upcoming_exhibitions/what-moves-us-le-corbusier/?utm_medium=website&utm_source=archdaily.com

https://www.google.it/amp/s/scialetteraria.altervista.org/il-gruppo-cobra/amp/

http://www.fondationlecorbusier.fr/corbuweb/morpheus.aspx?sysId=13&IrisObjectId=5070&sysLanguage=en- en&itemPos=42&itemCount=79&sysParentName=&sysParentId=64