LA CHIESA DELLA DISCIPLINA A RIVA DEL GARDA

Uno dei luoghi simbolo di Riva del Garda è la porta di San Giuseppe, uno dei tre passaggi verso il centro della cittadina e la riva del lago (fig. 1-2). Molto spesso turisti e abitanti del luogo non conoscono però il ruolo originario dell’edificio, tanto che rimangono stupiti nel vedere spiccare sulla porta un campanile barocco. Questo è uno dei primi indizi per capire cosa fosse anticamente la porta di San Giuseppe: una chiesa, più precisamente la più antica di Riva del Garda, prima intitolata alla Disciplina e poi a San Giuseppe [i].

Le informazioni sull’edificio liturgico e sulla data della sua costruzione sono sfortunatamente frammentarie, probabilmente è stato costruito in tempi molto lontani, in quanto, sul famoso campanile di rifacimento barocco, è rimasta ancora la raffigurazione della croce a otto punte dell’ordine dei Cavalieri di Malta e dalle fonti emerge che ne era presente un’altra sulla facciata, una all’interno e una ad affresco nella sagrestia. L’ordine dei Cavalieri di Malta è stato fondato a Gerusalemme nel 1023, non solamente come ordine religioso e cavalleresco, ma anche ospedaliero, elemento rilevante in quanto la chiesa della Disciplina è stata per secoli connessa all’ospedale che le sorgeva a fianco di cui parlerò successivamente [ii].

Non esiste documentazione che provi che sono stati i Cavalieri di Malta a fondare l’edificio liturgico e quello ospedaliero, ma è certo che nel Duecento l’edificio era già presente, in quanto esiste un documento del 1275 che riporta la donazione di un cittadino rivano di sei materassi per l’ospedale e una tunica nuova per l’eremita che vi risiedeva [iii].

Dal Quattrocento in poi la costruzione è sempre nominata come chiesa della confraternita dei Battuti o dei Disciplini, istituzione composta da laici trentini che si proponevano di servire Dio con le opere di carità; la denominazione di “Battuti” potrebbe trarre in inganno e creare confusione con i “Flagellanti” le cui pratiche di mortificazione erano però molto più violente rispetto a quelle dei Disciplini [iv].

Questa confraternita non era un unicum, il fenomeno confraternale era infatti molto radicato nel principato vescovile di Trento, tanto che solo nella cittadina di Riva del Garda erano presenti, nella seconda metà del Seicento, ben nove confraternite di cui la più antica e documentata è proprio quella della Disciplina [v].

Dalle fonti è possibile ricostruire il testo normativo della confraternita, risalendo agli obblighi e alle responsabilità dei loro membri: si occupavano di attività di carattere religioso, sociale e caritativo. I membri della confraternita dovevano versare periodicamente delle somme di denaro per l’istituzione e per la tutela del patrimonio, da ciò si può dedurre che avevano dei beni della chiesa da curare e da salvaguardare [vi].

Come già anticipato precedentemente, oltre alla chiesa, i Disciplinati gestivano anche un ospedale ricordato dalle fonti già dalla seconda metà del Duecento. Questa istituzione per secoli ha dedicato attenzione e risorse a poveri e malati, con particolare riguardo alle ragazze povere e prive di dote [vii]; la missione di questo edificio doveva essere particolarmente apprezzata dai cittadini rivani, viste le numerose e corpose donazioni fatte nel corso dei secoli che hanno permesso alla struttura di continuare il proprio lavoro fino al 1903, quando viene sostituito dall’Ospedale Civile [viii].

Fig. 3 – Interno chiesa/porta San Giuseppe.

Dalla documentazione emerge che tra la fine del XV e l’inizio del XVI secolo, sia l’ospedale che la chiesa della Disciplina sono stati ristrutturati, ampliati e rinnovati; un’importante testimonianza è la Visita Pastorale di Ludovico Madruzzo nel 1597, grazie alla quale sappiamo che la chiesa aveva tre altari: l’altare maggiore, uno dedicato a Sant’Antonio e uno a San Giuseppe, decorati nel tempo con tre bellissime opere [ix].

L’altare maggiore e quello di San Giuseppe erano occupati da due pale d’altare raffigurati rispettivamente un Compianto su Cristo morto del 1531 (fig. 4) e un’Adorazione dei pastori del 1530 (fig. 5), entrambe dipinte dal misterioso e affascinante pittore del Cinquecento “F.V.”, ad oggi conservate presso il MAG – Museo Alto Garda.

Per quanto riguarda invece l’altare di San Giuseppe, nel 1579 è citato nella Visita Pastorale con “sine palla”, è stato infatti decorato solo nel 1607 dal pittore bresciano Antonio Gandino, con un pala raffigurante i Santi Antonio Abate, Apollonia, Agata, Rocco e Leonardo oggi sfortunatamente molto danneggiata (fig. 6)[x].

Un’altra descrizione utile, per capire com’era la chiesa in origine, è quella della Visita Pastorale del 1653. In questa occasione l’edificio liturgico risulta divisa in due navate, con la presenza dell’altare maggiore, quello di San Giuseppe, uno di Sant’Apollonia (probabilmente quello precedentemente citato come di Sant’Antonio) e nella navata laterale ne è citato un altro dedicato alla Madonna del Carmine [xi]. Questo nuovo altare non è stato probabilmente commissionato dai Disciplini, bensì da un’altra confraternita, quella della Beata Vergine del Carmelo. L’altare ligneo è attualmente conservato presso la chiesa di San Giorgio di Arco e, nonostante le manomissioni e ridipinture, si nota ancora la sua originaria bellezza. Da una foto storica si evince che era costituito da quattro colonne, nella nicchia centrale era presente la Madonna del Carmine e ai lati due statue di dimensioni minori di cui non si conosce il soggetto; nella parte alta è presente un fregio caratterizzato da cherubini, rosette, festoni e un medaglione centrale ormai vuoto (fig. 7) [xii].

Fig. 7 – Altare ligneo della Beata Vergine del Carmelo, fotografia del 1930 circa, Gardone Riviera, Archivio Fondazione Il Vittoriale degli Italiani.

La svolta avviene però a fine Seicento, quando l’edificio liturgico viene riorganizzato e totalmente rinnovato: viene rimosso l’altare con il Compianto su Cristo morto conferendo maggiore importanza a quello dedicato a San Giuseppe, spostato nell’area presbiteriale. La chiesa necessitava di un nuovo altare maggiore, la commissione viene quindi affidata ad alcuni tagliapietre della zona, tra cui Silvestro Ogna, attivo a Limone sul Garda [xiii]. L’altare è attualmente conservato nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Sarche dove si può ancora apprezzare la bellissima incorniciatura marmorea costituita da quattro colonne di marmo mischio e da una cimasa con timpano triangolare (fig. 8). La cimasa è inoltre caratterizzata da due bellissimi angeli in preghiera che sono stati avvicinati alla bottega bresciana dei Carra da Giuseppe Sava [xiv].

Fig. 8 – Silvestro Ogna e aiuti, Altare maggiore, 1697 circa, Sarche, chiesa di Santa Maria del Carmine (già Riva del Garda, chiesa della Disciplina).

Nel 1714 i Disciplinati decidono di commissionare un altro altare, dedicato a San Francesco Saverio, sulla cui commissione non abbiamo molte informazioni, ma ciò che è certo è che nel 1718 i lavori erano conclusi. La pala che ornava l’altare è andata perduta, mentre la struttura marmorea è ancora mirabile nella chiesa di San Rocco a Nave San Rocco (fig. 9). Sempre per rinnovare la chiesa, oltre all’altare prima citato, la confraternita decide di acquistare a Venezia anche dei nuovi arredi liturgici principalmente argentei [xv].

Fig. 9 – Maestranze castionesi, Altare di san Rocco, 1714-18 circa, Nave San Rocco, chiesa di San Rocco (già Riva del Garda, chiesa della Disciplina).

Negli anni Sessanta del Settecento questa volontà di rinnovamento diventa totale, infatti tra il 1763 e il 1766 la facciata viene completamente rinnovata, come anche il tetto e il campanile. In questa circostanza sono interessanti i documenti riguardo a dei pagamenti a Bartolomeo Zeni, un pittore formatosi nell’ambito dell’Accademia veronese residente a Riva del Garda, il quale dipinge le Virtù teologali che sono ancora visibili sul soffitto dell’attuale passaggio (fig. 10) [xvi].

Fig. 10 – Bartolomeo Zeni, Virtù teologali, 1795, Riva del Garda, passaggio pedonale (già chiesa della Disciplina).

A causa dell’imminente arrivo delle truppe francesi dell’armata d’Italia guidate da Napoleone Bonaparte, la situazione stava peggiorando in modo drastico, ma fortunatamente i Disciplinati riescono nel 1796 a scongiurare il pericolo di vedere la chiesa appena rinnovata ridotta a magazzino costruendo delle barriere lignee. Nel primo decennio dell’Ottocento la confraternita è stata soppressa e la gestione dell’ospedale e della chiesa fu affidata alla Congregazione della Carità [xvii].

Alla fine dell’Ottocento la chiesa di San Giuseppe viene restaurata e assolve la sua funzione fino all’agosto del 1914 quando è adibita a magazzino per l’Imperiale e regio esercito, da questo momento in poi l’edificio liturgico subisce ogni tipo di affronto [xviii].

Durante la Prima guerra mondiale la chiesa è gravemente danneggiata, nonostante l’appello di un agguerrito comitato di cittadini rivani nel 1924, l’arciprete di Riva, considerando la chiesa dei Disciplini secondaria, preferisce chiedere che i fondi destinati quale indennizzo per danni di guerra vengano destinati per il restauro dell’Inviolata. Prevale quindi l’indirizzo di fine anni Dieci di abbattere, o almeno sventrare la chiesa, ormai ritenuta di poco pregio artistico. Vengono venduti i tre altari e le pale della chiesa con altre opere seguono invece la via della musealizzazione, il resto del patrimonio è perduto [xix].

Ed ecco quindi che viene creato il nuovo accesso carrabile al centro della cittadina, il famoso passaggio che magari attraverserete voi un giorno e in quell’occasione spero vi fermerete a ripensare a tutto ciò di cui vi ho parlato.

 

Note

[i] Ecclesiae: le chiese nel Sommolago, Arco 2000, p. 322.

[ii] Ecclesiae: le chiese nel Sommolago, Arco 2000, p. 322.

[iii] Ecclesiae: le chiese nel Sommolago, Arco 2000, p. 322.

[iv] Ecclesiae: le chiese nel Sommolago, Arco 2000, p. 323.

[v] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 147.

[vi] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 147-149.

[vii] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 160-161.

[viii] Ecclesiae: le chiese nel Sommolago, Arco 2000, p. 327.

[ix] Ecclesiae: le chiese nel Sommolago, Arco 2000, p. 325.

[x] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 182.

[xi] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 183.

[xii] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 183.

[xiii] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 184.

[xiv] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 184.

[xv] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 184-185.

[xvi] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 187.

[xvii] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 188.

[xviii] Ecclesiae: le chiese nel Sommolago, Arco 2000, p. 327.

[xix] Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017, p. 181.

 

Bibliografia

Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017.

Ecclesiae: le chiese nel Sommolago, Arco 2000.

G. Sava, F.V.: un pittore del Cinquecento e il suo monogramma, Rovereto 2008.

Referenze delle immagini

1. https://it.wikipedia.org/wiki/Porta_di_San_Giuseppe_(Riva_del_Garda)#/media/File:Ex_chiesa_di_San_Giuseppe_(Riva_del_Garda)_01.jpg

2. http://www.itinerariperviaggiare.it/2014/07/itinerario-riva-del-garda-sole-vento-e.html

3. http://www.itinerariperviaggiare.it/2014/07/itinerario-riva-del-garda-sole-vento-e.html

4. G. Sava, F.V.: un pittore del Cinquecento e il suo monogramma, Rovereto 2008.

5. G. Sava, F.V.: un pittore del Cinquecento e il suo monogramma, Rovereto 2008.

6. Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017.

7. Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017.

8. Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017.

9. Confraternite in Trentino e a Riva del Garda, a cura di E. Curzel, M. Garbellotti, M. C. Rossi, Caselle di Sommacampagna 2017.

10. https://it.wikipedia.org/wiki/Porta_di_San_Giuseppe_(Riva_del_Garda)#/media/File:Ex_chiesa_di_San_Giuseppe_(Riva_del_Garda)_01.jpg


LA VALLE DI LEDRO E VENEZIA.

“è racchiusa la valle trà il lago d’Idro, che tien’ à Ponente, havendo da Levante quel di Garda verso Riva, dove calasi per una strada scalpellata nel Sasso, & aperta da Scaligeri, al’hor che n’erano Signori. Via, che se ben’ ardua, & erta: è però viaggiabile buona parte co’l Carro, e tutta con Muli, che v’han fatto il Calle.” - Michelangelo Mariani,1673[i]

Fig. 1 – La Valle di Ledro.

Queste parole di Michelangelo Mariani descrivono bene la Valle di Ledro, ossia una valle del Trentino sud-occidentale, luogo di congiuntura tra la valle del Chiese e il lago di Garda. Questa valle non è famosa solamente per il suo bellissimo lago, ma anche per dei meravigliosi dipinti ubicati nelle varie chiese dei paesi che in essa sono situati.

La Valle di Ledro, come tante altre realtà di questa zona del Trentino, è stata legata per secoli da rapporti, principalmente economici, con la Repubblica di Venezia. Fin dal Duecento ci sono testimonianze negli archivi veneti di uomini ledrensi attivi come lavoratori nella città lagunare, e nel Cinquecento si potrebbe dire che il rapporto tra le due località, comincia ad essere “bilaterale”. Venezia trae dei benefici da parte della Valle di Ledro, principalmente grazie al rifornimento di pelli, lana ma soprattutto della preziosa pece, necessaria per il calafataggio delle navi prodotte nell’Arsenale. Nel XVI sec. infatti la Valle di Ledro, principalmente il paese Tiarno di Sopra, era un luogo cardine per i forni di creta che provvedevano a ricavare la pece, derivata dalla resina di pino silvestre o di larice.

A Venezia, i valligiani facevano parte di una delle più importanti comunità straniere in città tra Quattrocento e Cinquecento: la comunità dei tedeschi con sede presso il Fondaco dei tedeschi[ii]. I ledrensi lavoravano come calafati (addetti alla calafatura delle navi mediante la pece), come segadori (coloro che ricavavano assi dai tronchi segati a mano) ma principalmente come ligadori; diedero infatti vita ad una corporazione di facchini aventi l’esclusiva per il carico e lo scarico delle navi della Serenissima all’Arsenale[iii].

Grazie alle nobili famiglie di origine veneziana che soggiornava o si erano stabilite a Tiarno di Sopra e Tiarno di Sotto, gli ultimi due paesi della valle, e ai preziosi regali di tiarnesi attivi e residenti a Venezia per le loro parrocchie d’origine, le chiese di questi due paesi e della valle in generale conservano tuttora testimonianze pittoriche di alto valore artistico di ambito veneto[iv].

La chiesa di San Bartolomeo a Tiarno di Sotto

La piazza del centro di Tiarno di Sotto è contraddistinta dalla presenza della chiesa di San Bartolomeo (fig. 2), un edificio liturgico imponente sorto probabilmente come cappella già nel XII secolo. Un aspetto importante da ricordare è che fino al 1656 la comunità di Tiarno di Sotto dipendeva dalla chiesa di Tiarno di Sopra, il paese limitrofo di cui vi parlerò successivamente[v]; dopo questa definitiva separazione la chiesa di San Bartolomeo fu eretta a curazia. L’assetto attuale è il frutto della costruzione seicentesca e di alcune modifiche e ampliamenti ottocenteschi, tra cui la decorazione pittorica dell’interno a tempera per mano del mantovano Agostino Aldi che operò qui dal 1895 al 1924 (fig. 3)[vi].

La chiesa ha al suo interno preziose opere: gli antependia di altari, realizzati da lapicidi di ambito bresciano tra fine XVII e inizio XVIII secolo, e i dipinti di ambito veneto di cui voglio parlarvi.

Fig. 2 – La chiesa di San Bartolomeo a Tiarno di Sotto.
Fig. 3 – L’interno della chiesa di San Bartolomeo.

Appena entrati non si può non rimanere meravigliati dalla zona presbiteriale, dai marmi policromi che caratterizzano l’altare maggiore realizzato da maestranze di ambito bresciano nell’Ottocento e dal polittico (fig. 4) che sta dietro di esso, opera che si inserisce pienamente nella cultura manierista veneziana di metà Cinquecento. Questa è proprio una di quelle opere donate alla chiesa dai ledrensi residenti a Venezia; il polittico è datato 1587, attualmente attribuito a maestranze veneziane ma per secoli ha portato il nome di Jacopo Tintoretto. Nell’anno di realizzazione e di arrivo in chiesa di quest’opera, Tiarno di Sotto era ancora dipendente dal paese limitrofo, questo spiega la raffigurazione dei santi titolari di entrambe le chiese. I due santi a lato della Madonna con il Bambino sono S. Bartolomeo e S. Giorgio, quelli adiacenti alla Crocifissione sono S. Pietro e S. Paolo. Dopo il restauro del 1992-93 è stato possibile affermare che l’opera è frutto di più mani: un pittore ha sicuramente eseguito i due scomparti centrali mentre un secondo i santi prima citati e la cimasa con il Padre Eterno. La cornice intagliata e dorata non è coeva ai dipinti, ma successiva, si tratta infatti di un’opera di Bombana, uno scultore di Roncone attivo nel XVII secolo[vii].

Fig. 4 – Polittico di pittori veneziani, 1587, chiesa di San Bartolomeo, Tiarno di Sotto.

Questa non è però l’unica opera di ambito veneto, sono infatti presenti anche due tele di grandi dimensioni collocate sopra le porte laterali. Sulla parete destra è presente quella con soggetto l’Ultima cena (fig. 5), commissionata da un membro della famiglia Ferrari, ritratto in basso a sinistra con gli occhi rivolti allo spettatore. È un dipinto firmato e datato 1666 da Ferdinando Valdambrini un pittore proveniente dalla Valtellina, che probabilmente, data l’influenza veneta, ha trascorso un periodo della sua vita a Venezia. Sulla parete sinistra è presente un dipinto successivo, datato 1702 raffigurante la Pentecoste che, secondo un’iscrizione, fu commissionato dai fratelli Zendri[viii].

Fig. 5 – Ferdinando Valdambrini, Ultima Cena, 1666, chiesa di San Bartolomeo, Tiarno di Sotto.

La predilezione degli abitanti di Tiarno per l’arte veneta è confermata dagli acquisti che vennero fatti tra Ottocento e Novecento, due tavole provenienti dal duomo di Trento di forte ispirazione dall’ambiente veneziano[ix].

La prima cappella laterale destra dell’aula è caratterizzata dalla presenza di un altare in marmi policromi realizzato nel 1897, anno di arrivo della pala raffigurante la Madonna col Bambino e i SS. Giovannino, Rocco Vigilio e Antonio da Padova (fig. 6) proveniente dal duomo di Trento. In alto al centro è presente la Madonna con il Bambino e dietro di lei S. Giovannino, riconoscibile dalla croce e dalla veste di pelliccia. La Vergine ha lo sguardo rivolto verso il basso dove sono presenti tre santi: a sinistra S. Vigilio, in contatto visivo con Gesù Bambino, riconoscibile dalla mitria vescovile ai suoi piedi e dallo zoccolo in legno, simbolo del suo martirio; sulla destra, con gli occhi verso lo spettatore è presente S. Antonio da Padova, che indossa il saio francescano e tiene un giglio bianco nella mano destra; in basso invece, sdraiato, è raffigurato S. Rocco, con gli occhi rivolti verso la piaga sulla sua gamba destra, in abiti da pellegrino e con il cane dietro il braccio destro. Il dipinto, databile al XVII secolo, sembra ispirato a due stampe carraccesche: una del 1582 di Agostino della Pala Giustiniani di Paolo Veronese e l’altra di Ludovico nella versione anonima, Sacra Famiglia sotto un arco. L’autore di questa pala è tutt’ora sconosciuto; oltre alle componenti carraccesche, sono stati rilevate delle componenti di pittura veneta che hanno portato a formulare l’ipotesi dell’appartenenza dell’artista all’ambiente veronese[x].

Fig. 6 – Pittore veronese della prima metà del secolo XVII, Madonna col Bambino e i SS. Giovannino, Rocco, Vigilio e Antonio da Padova, chiesa di San Bartolomeo, Tiarno di Sotto.

Il secondo altare laterale destro, denominato all’Assunta, ha come protagonista la pala raffigurante l’Assunta con i Santi Vigilio ed Ermagora (?) (fig. 7) attribuito da Elvio Mich nel 1990 a Martino Teofilo Polacco.

Martino Teofilo Polacco è un personaggio chiave per il Trentino, è un pittore probabilmente nato in Polonia, la cui formazione si compie a Venezia nell’orbita di Palma il Giovane e di Hans Rottenhammer. Si sa molto poco dei suoi esordi, ma la sua carriera artistica inizia “ufficialmente” a Trento verso il 1600 alla corte del principe vescovo Carlo Gaudenzio Madruzzo. Suoi dipinti si trovano in molte chiese del Trentino: a Calavino, Cembra, Malé, Spormaggiore, Riva del Garda e tanti altri.

Fig. 7 – Martino Teofilo Polacco, Assunta con i SS. Vigilio ed Ermagora (?), 1620 circa, chiesa di San Bartolomeo, Tiarno di Sotto.

Tra le sue opere più prestigiose ci sono gli affreschi dell’abside della chiesa di Santa Maria Maggiore a Trento e i dipinti realizzati per il Duomo, di cui uno quello in oggetto; la presenza della pala a Tiarno di Sotto è segnalata per la prima volta nel 1912, in occasione della visita canonica. Molto probabilmente quest’opera è stata concepita anche con una predella: il Museo Diocesano Tridentino ad oggi conserva infatti un dipinto raffigurante la Strage degli innocenti e la fuga in Egitto che ha elementi riconducibili alla pala tiarnese. L’ipotesi di una relazione è essenzialmente basata sulla qualità cromatica, luminosa e di elementi iconografici, una supposizione accattivante che però nessun documento attualmente può confermare[xi].

Nella parte alta del dipinto è raffigurata una Madonna sorretta da angeli e putti, mentre nella parte bassa due santi vescovi: a sinistra S. Vigilio e a destra probabilmente S. Ermagora. L’opera fu oggetto di un restauro particolarmente importante che, grazie alla pulitura, ha rimesso in luce la scena sullo sfondo tra i due santi raffigurante il martirio di S. Viglio che conferma l’identità di uno dei due santi vescovi (fig. 8). In base allo stile e al confronto con la pala autografa di Martino Teofilo realizzata per la chiesa parrocchiale di Tassullo, l’opera è databile agli anni Venti del Seicento, momento in cui l’artista era più legato all’opera tarda di Palma il Giovane e soprattutto allo scadere del suo soggiorno trentino, in quanto nel 1621 parte per Salisburgo[xii].

Fig. 8 – Martino Teofilo Polacco, Assunta con i SS. Vigilio ed Ermagora (?), 1620 circa, chiesa di San Bartolomeo, Tiarno di Sotto (dettaglio con il martirio di San Vigilio).

La chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Tiarno di Sopra

Dopo aver visto la chiesa di San Bartolomeo a Tiarno di Sotto, ci spostiamo di 2 km, nel paese di Tiarno di Sopra per vedere la chiesa dei SS. Pietro e Paolo (fig. 9). L’edificio liturgico sorge su una cappella costruita tra il X e l’XI secolo, anche essa nata probabilmente sui resti di un antico oratorio di età barbarica. Dopo la visita pastorale del cardinale e principe vescovo Bernardo Clesio nel 1537, si decide di dare inizio a dei lavori di restauro per ovviare alla senescenza, all’umidità e all’assenza di luce che caratterizzavano l’edificio antico. I lavori di riadattamento cominciano nel 1562 ma non coinvolgono le strutture dell’intero edificio in quanto, durante la visita pastorale successiva del 1580 indetta dal cardinale Ludovico Madruzzo, si segnala che il tetto è pericolante[xiii].

Negli anni Trenta del Seicento si registra un forte incremento della popolazione ledrense, molto probabilmente a causa della peste del 1629-1632 che colpisce varie località e porta così all’esodo di molte famiglie verso la Valle di Ledro. Conseguentemente all’incremento della popolazione, si sente la necessità di ampliare anche l’edificio liturgico di Tiarno di Sopra, al tempo dedicato a S. Paolo. Nel 1640 cominciano i lavori di ampliamento e rinnovamento della chiesa, per mano di maestranze venete e lombarde che consegnano al paese il nuovo edificio una decina di anni dopo. Nel 1652 il vescovo Carlo Emanuele Madruzzo consacra l’edifico con la dedicazione ai SS. Apostoli Pietro e Paolo[xiv].

Come nel caso di Tiarno di Sotto, anche qui vorrei parlarvi delle opere di ambito veneto conservate all’interno dell’edificio. Dalle fonti si evince che la chiesa originaria dedicata a S. Pietro ospitasse dei preziosi dipinti di Jacopo Bassano caratterizzati da influssi dei maggiori pittori veneti del Cinquecento, quali Tiziano e Tintoretto. Sfortunatamente questi dipinti raffiguranti uno S. Rocco, uno S. Antonio Abate e uno l’Angelo Custode, sono considerati perduti, in quanto non si ha più alcuna notizia[xv].

Al tempo della consacrazione della nuova chiesa dedicata ai SS. Apostoli Pietro e Paolo nel 1652, l’interno era privo di decorazioni; i fregi, gli stucchi, i cornicioni, gli altorilievi, gli altari e le singole cappelle vengono infatti realizzati nel periodo tra la consacrazione e il 1702, data di fine lavori incisa su un fregio di pietra rossa sull’architrave della porta d’entrata occidentale[xvi]. Ma in questi cinquant’anni, come anche a Tiarno di Sotto, la chiesa fu impreziosita da meravigliosi dipinti donati dai lavoratori tiarnesi emigrati a Venezia.

Fig. 9 – La chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Tiarno di Sopra.
Fig. 10 – Interno della chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Tiarno di Sopra.

Entrando dall’edificio si rimane un po’ sorpresi dall’apparente aspetto spoglio dell’aula (fig. 10), sentimento che subisce un mutamento nell’attimo in cui si notano i meravigliosi cinque dipinti che decorano le cappelle laterali. A sinistra colpisce immediatamente un elegante altare in marmo nero (fig. 12), intitolato a S. Simone e S. Giuda, fatto erigere da dei mercanti residenti a Venezia. Leggendo l’iscrizione in color oro sulla cimasa, si evince che l’altare fu commissionato da Simone Sala e dai suoi fratelli nel 1640, commissione che venne assolta utilizzando un marmo ledrense, proveniente dalla cava locale di Ovri, località Ampola. Tra le colonne doriche spicca una meravigliosa pala attribuita nel 1978 da Passamani a Bernardo Strozzi [xvii].

Bernardo Strozzi, come è ben noto, è uno dei più importanti esponenti della pittura barocca in Italia; nasce a Genova dove ha una formazione tardo manierista che lo porta poi sulla strada per Venezia dove apprende il colorismo veneto e la forte intensità espressiva riscontrabile in questo dipinto (fig. 11). Al centro dell’olio su tela si vede la Madonna con in braccio il Bambino la quale si rivolge verso S. Bartolomeo, riconoscibile dal coltello e dal libro nella mano destra; dietro di lui, con gli occhi rivolti verso lo spettatore, è presente S. Simone con la sega in mano e al fianco della Vergine, in contatto visivo con Gesù Bambino S. Antonio Abate rappresentato con il bastone a tau, con la campanella nel braccio sinistro e il libro in mano. S. Simone non è l’unico personaggio a coinvolgere emotivamente lo spettatore, in primo piano infatti si vede inginocchiato S. Pietro con le chiavi e il libro in mano, nell’atto di indicare allo spettatore la Vergine con la mano destra. Un’altra presenza che rende partecipe il visitatore sono le due figure dei committenti in basso a destra, i fratelli Sala, abbigliati con abiti austeri e colletti bianchi. La composizione è ravvivata dal meraviglioso blu del mantello della Vergine e dell’abito di S. Pietro, colore che ha inoltre dato l’idea di un confronto inedito tra il pittore seicentesco e l’artista contemporaneo Yves Klein presso il Mart – Museo d’arte moderna e contemporanea di Rovereto, in occasione del restauro in accordo con la Diocesi di Trento effettuato l’autunno scorso (fig. 13).

Fig. 11 - Bernardo Strozzi, Madonna con Bambino e i Santi Pietro, Bartolomeo, Simone, Antonio Abate e i committenti, 1640, chiesa dei SS. Pietro e Paolo, Tiarno di Sopra.
Fig. 13 – Bernardo Strozzi e Yves Klein al Mart.

In chiesa questa non è l’unica opera legata a Bernardo Strozzi, infatti, appena entrati, la prima opera a catturare la nostra attenzione è il Crocifisso e la Maddalena (fig. 14) che decora l’altare maggiore nell’abside[xviii]. Perché dico “legata” a Bernardo Strozzi? Il dipinto venne attribuito da Bruno Passamani nel 1978 a Bernardo Strozzi e tale idea permane fino al 2012 quando, Camillo Manzitti redige una monografia sul pittore genovese, in cui tratta anche la pala di Tiarno di Sopra proponendo la paternità, sulla base di alcuni confronti con altri dipinti ad un allievo di Bernardo Strozzi, Ermanno Stroiffi.

Molto probabilmente quando lo Strozzi prese i contatti con i fratelli Sala nel 1640, decise di occuparsi personalmente di quella trattata precedentemente e di lasciare il Crocifisso a un suo allievo, dipinto voluto dalla popolazione del paese per una cifra meno elevata[xix].

Fig. 14 – Ermanno Stroiffi, Crocifisso e la Maddalena, prima metà del XVII sec., chiesa dei SS. Pietro e Paolo, Tiarno di Sopra.

La composizione, rispetto all’opera dello Strozzi, è tutta incentrata sui toni molto scuri, da un fondo di un blu notte dal quale emerge il corpo candido di Gesù in croce. Ai lati di Cristo sono raffigurati due angeli che affiorano dalle nubi che sottolineano la drammaticità del momento; ad accentuare questo sentimento è la Maddalena ai piedi della croce, in un atteggiamento drammatico e patetico. Il soggetto è strettamente legato all’iconografia postconciliare che spoglia di tutti gli elementi “superflui” l’episodio della Crocifissione concentrandosi solo sul sacrificio di Gesù e sullo strazio dei dolenti. Come anche nell’opera precedente, è interessante vedere come sia lo Strozzi che Stroiffi, hanno queste tendenza di organizzare le composizioni in una sorta di vortice che in questo caso parte dalla testa di Gesù, e nell’opera precedente da quella della Vergine, scendendo gradualmente e dando enfasi ai personaggi ai piedi dell’opera[xx].

Rimanendo nella zona presbiteriale, sopra la porta laterale destra, è presente un’opera di Joseph Heintz il Giovane, raffigurante il Battesimo di Cristo con i santi Agostino e Bartolomeo[xxi] (fig. 15). Questo pittore tedesco, figlio di Joseph Heintz il Vecchio, nasce ad Augusta nel 1600 circa ma già dal 1625 è attivo in Italia, in particolare dal 1632 in poi si trovava a Venezia dove morirà nel 1678. Nella parte alta del dipinto è raffigurato Dio Padre sorretto dalle nuvole e da una schiera di angeli in volo, con gli occhi rivolti verso la scena che si sta svolgendo sotto di lui; su uno sperone roccioso è presente S. Giovanni Battista, riconoscibile dalla croce nella mano destra e dall’agnello in penombra dietro di lui, nell’atto di benedire Gesù inginocchiato e con la testa china ai suoi piedi. Sul lato sinistro della composizione è presente S. Agostino mentre sul lato destro S. Bartolomeo con l’iconico coltello in mano. Alla base del dipinto sono raffigurati i due committenti in preghiera che, come si evince dall’iscrizione in caratteri dorati tra i due volti, sono i coniugi Bartolomeo e Margherita Ravizza, la cui commissione fu completata il 24 giugno 1672.

Fig. 15 – Anton Heintz, Il Battesimo di Cristo con i SS. Agostino e Bartolomeo e i due committenti, 1672, chiesa dei SS. Pietro e Paolo, Tiarno di Sopra.

Di fronte all’opera appena citata, sopra la porta laterale sinistra, è presente un dipinto di Andrea Michieli, detto il Vicentino (fig. 16)[xxii]. Andrea Michieli, di cui vedremo un’altra opera successivamente, è un pittore vicentino trasferitosi a Venezia a metà Cinquecento dove ebbe l’opportunità di collaborare anche con Tintoretto al Palazzo Ducale.

La composizione è dominata da un’affettuosissima Madonna con Bambino, affiancata da due angeli musicanti: uno con in mano un liuto e l’altro con un violino. Alla base del trono marmoreo caratterizzato da un cherubino, sono presenti quattro santi: partendo da sinistra vediamo S. Rocco, in vesti di pellegrino mostrante la gamba destra, e seduto dietro di lui S. Pietro con la chiave in mano; sulla destra invece è presente S. Sebastiano e dietro di lui, con lo sguardo verso lo spettatore, S. Bartolomeo con il coltello nella mano destra.

Fig. 16 – Andrea Michieli, Madonna in trono fra gli angeli e i SS. Rocco, Pietro, Bartolomeo e Sebastiano, ultimo decennio del XVI sec., chiesa dei SS. Pietro e Paolo, Tiarno di Sopra

L’altra opera di Michieli nella chiesa dei SS. Pietro e Paolo è quella nell’aula sopra la porta laterale destra raffigurante la Madonna del Rosario e santi (fig. 17)[xxiii]. La Madonna tiene in braccio il Bambino con al suo fianco due santi: sulla sinistra S. Domenico, sulla destra invece S. Pietro Martire. Ai suoi piedi sono presenti quattro sante, all’estrema sinistra S. Caterina, inginocchiata sulla ruota dentata, simbolo del suo martirio, al suo fianco S. Agata con il mano un piatto con i seni. Sul lato destro invece, rivolta verso la Vergine, S. Lucia con in mano il piattino contenente gli occhi e al suo fianco, con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, S. Apollonia con la tenaglia nella mano sinistra. La Vergine è raffigurata sotto ad un arco vegetale, con incastonati quindici medaglioni raffigurati i misteri del Rosario.

Fig. 17 – Andrea Michieli, Madonna del Rosario e Santi, ultimo decennio del XVI sec., chiesa dei SS. Pietro e Paolo, Tiarno di Sopra.

[i] Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”), p. 33.

[ii] Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”), p. 136-137.

[iii] Bortolo Degara, Notizie storiche, ecclesiali e civiche di Tiarno di Sopra, Tiarno di Sopra 1991, pp. 38-40.

[iv] Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”), pp. 139-140.

[v] Bortolo Degara, Notizie storiche, ecclesiali e civiche di Tiarno di Sopra, Tiarno di Sopra 1991, p. 20.

[vi] Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”), pp. 132-134.

[vii] Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”), p. 142.

[viii] Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”), p. 144-145.

[ix] Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”), pp. 139-140.

[x] Dipinti veneti restaurati dalla chiesa di Tiarno di Sotto, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio, 13 ottobre – 9 dicembre 1990), a cura di E. Mich, Trento 1990, pp. 24-33.

[xi] Dipinti veneti restaurati dalla chiesa di Tiarno di Sotto, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio, 13 ottobre – 9 dicembre 1990), a cura di E. Mich, Trento 1990, pp. 16-23.

[xii] Dipinti veneti restaurati dalla chiesa di Tiarno di Sotto, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio, 13 ottobre – 9 dicembre 1990), a cura di E. Mich, Trento 1990, pp. 16-23.

[xiii] Bortolo Degara, Notizie storiche, ecclesiali e civiche di Tiarno di Sopra, Tiarno di Sopra 1991, pp. 20-27.

[xiv]Bortolo Degara, Notizie storiche, ecclesiali e civiche di Tiarno di Sopra, Tiarno di Sopra 1991, pp. 30-34.

[xv] Bortolo Degara, Notizie storiche, ecclesiali e civiche di Tiarno di Sopra, Tiarno di Sopra 1991, p. 36.

[xvi] Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”), p. 162.

[xvii] Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”), pp. 162-163.

[xviii] Bortolo Degara, Notizie storiche, ecclesiali e civiche di Tiarno di Sopra, Tiarno di Sopra 1991, pp. 40-42.

[xix] Arte e persuasione. La strategia delle immagini dopo il concilio di Trento, catalogo della mostra (Trento, Museo Diocesano Tridentino, 7 marzo – 29 settembre 2014), a cura di D. Cattoi e D. Primerano, Trento 2014, p. 164.

[xx] Arte e persuasione. La strategia delle immagini dopo il concilio di Trento, catalogo della mostra (Trento, Museo Diocesano Tridentino, 7 marzo – 29 settembre 2014), a cura di D. Cattoi e D. Primerano, Trento 2014, p. 164.

[xxi] Bortolo Degara, Notizie storiche, ecclesiali e civiche di Tiarno di Sopra, Tiarno di Sopra 1991, pp. 40-42.

[xxii] Bortolo Degara, Notizie storiche, ecclesiali e civiche di Tiarno di Sopra, Tiarno di Sopra 1991, pp. 40-42.

[xxiii] Bortolo Degara, Notizie storiche, ecclesiali e civiche di Tiarno di Sopra, Tiarno di Sopra 1991, pp. 40-42.

Bibliografia

Arte e persuasione. La strategia delle immagini dopo il concilio di Trento, catalogo della mostra (Trento, Museo Diocesano Tridentino, 7 marzo – 29 settembre 2014), a cura di D. Cattoi e D. Primerano, Trento 2014

Bortolo Degara, Notizie storiche, ecclesiali e civiche di Tiarno di Sopra, Tiarno di Sopra 1991

Dipinti veneti restaurati dalla chiesa di Tiarno di Sotto, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio, 13 ottobre – 9 dicembre 1990), a cura di E. Mich, Trento 1990

Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”)

Referenze delle immagini

  1. https://www.dolomiti.it/it/valle-di-ledro/
  2. https://www.gardatourism.it/chiesa-di-san-bartolomeo-3/
  3. https://commons.wikimedia.org/wiki/File:4_chiesa_Tiarno_di_Sotto.JPG
  4. Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”)
  5. Dipinti veneti restaurati dalla chiesa di Tiarno di Sotto, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio, 13 ottobre – 9 dicembre 1990), a cura di E. Mich, Trento 1990
  6. Dipinti veneti restaurati dalla chiesa di Tiarno di Sotto, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio, 13 ottobre – 9 dicembre 1990), a cura di E. Mich, Trento 1990
  7. Dipinti veneti restaurati dalla chiesa di Tiarno di Sotto, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio, 13 ottobre – 9 dicembre 1990), a cura di E. Mich, Trento 1990
  8. Dipinti veneti restaurati dalla chiesa di Tiarno di Sotto, catalogo della mostra (Trento, Castello del Buonconsiglio, 13 ottobre – 9 dicembre 1990), a cura di E. Mich, Trento 1990
  9. https://it.wikipedia.org/wiki/Chiesa_dei_Santi_Pietro_e_Paolo_(Ledro)
  10. https://necrologie.corrierealpi.gelocal.it/chiese/provincia-98-trento/3050-chiesa-dei-santi-pietro-e-paolo
  11. Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”)
  12. Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”)
  13. http://www.yvesklein.com/en/actualites/view/5653/omaggio-a-bernardo-strozzi-yves-klein/?of=4
  14. Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”)
  15. Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”)
  16. Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”)
  17. Valle di Ledro: storia, arte, paesaggio, a cura di S. Ferrari, Trento 2004 (“Guide del Trentino”)

I BORGHI DI RANGO E BALBIDO

Il Trentino occidentale: Rango e Balbido

Nel Trentino occidentale, in una delle zone meno battute dal turismo di massa, si trova il comune del Bleggio Superiore, territorio della Val Giudicarie. E’ un comune sparso di recente fondazione composto da almeno dodici frazioni che hanno la sede comunale nell'antica frazione di Santa Croce. Santa Croce si trova all'imbocco della valle e deve il suo nome alla monumentale Croce che si innalza sul dosso che chiude il comune. Il monumento ricorda la Croce miracolosa conservata nella vicina chiesa pievana dedicata ai Santi Dioniso, Rustico e Eleuterio. Qui si trovano i borghi di Rango e Balbido.

Balbido è una piccola frazione a 760 metri s.l.m., situata all'imbocco della Val Marcia, ritenuta dalla tradizione luogo di rifugio delle streghe responsabili delle calamità naturali che spesso si abbattevano sulla zona. La piccola frazione ha l’aspetto tipicamente rurale dei paesini di montagna, ma negli anni ottanta del secolo scorso è stata vivacizzata dalla realizzazione di numerosi murales sulle pareti esterne delle case. Sono dipinti realizzati da vari artisti regionali e raffigurano scene di vita quotidiana che ricordano la storia e le tradizioni di questi paesi del Trentino occidentale. Le scene spaziano dagli antichi mestieri, agli affreschi che raccontano la leggenda delle streghe della Val Marcia e della festa di Santa Giustina, patrona di Balbido. Tra le scene più significative vi è quella del “moleta”, ovvero l’arrotino che si spostava di paese in paese per offrire il servizio di limatura, dei “carbonai”, raffigurati mentre preparano la catasta di legna per trasformarla in carbone. Il Maniscalco, il calzolaio e “il frate della questua” che passava in paese, di casa in casa, in nome di San Francesco e il “caregheta”, colui che si fermava sotto i portici del paese e provvedeva ad aggiustare le sedie in paglia. Gli “ombrellai” che assieme a quello del “moleta” erano mestieri caratteristici delle valli Giudicarie e Rendena. Infine tra le scene simbolo del paese vi sono quelle del palio di Santa Giustina con la corsa dei cavalli, attività organizzata dal Gruppo giovanile di Balbido, negli anni ottanta e novanta del secolo scorso.

La seconda frazione del territorio del Bleggio superiore, nel Trentino occidentale, è quella di Rango. Rango è un borgo a 799 metri s.l.m., è il più alto e antico centro abitato della località del Bleggio ed è una frazione molto rinomata per l’allestimento dei mercatini di Natale nei suoi caratteristici portici. Il patrimonio storico-artistico di Rango risiede nella sua compatta struttura urbanistica di tipo rustico, caratterizzata da androni, corti interne, portici e ponti. Le origini del borgo le troviamo nel suo toponimo che deriva probabilmente dal celtico “Randa”, ossia località posta al limite. Infatti il paese si trova al margine del territorio del Bleggio, sulla strada per il Passo Duron che un tempo era la principale via di collegamento tra il Trentino occidentale e il porto di Riva del Garda, base di partenza e di arrivo del commercio con la Pianura Padana e la Repubblica di Venezia.

I segni distintivi del piccolo borgo di Rango sono nei suoi caratteristici portici e nelle case addossate le une alle altre che danno quasi l’aspetto di un abitato fortificato. I portici di Rango venivano un tempo usati come luogo di sosta dei pastori con le loro greggi e dei viaggiatori che percorrevano l’antica strada di collegamento con Riva del Garda.  Un altro aspetto distintivo del borgo è nelle sue facciate, in pietra di granito e rastrelliere di legno per l'essiccazione del granoturco.

Le case di Rango sono tipiche case di montagna costruite con blocchi di granito e legno. Al piano terra vi erano la cucina, la cantina (“il vòlt”) e la stalla, tutti ambienti costruiti con un sistema di volte a botte. Al piano superiore vi erano le camere che erano collegate con il piano inferiore tramite una scala esterna, oppure una scaletta che dalla cucina dava accesso alla camera tramite una botola (“la rebalza”). Nel sottotetto si trovava l’aia per la conservazione del fieno e dei prodotti della campagna, alla quale si poteva accedere con carri e carretti tramite un ponte esterno, costruito ad arco in pietra o in terrapieno.

Le case di Rango sono state costruite attorno ad una piazza principale con fontana, che ancora oggi presenta le caratteristiche di fontana lavatoio, utilizzata dalle donne del paese per la pulizia dei panni. La piazza era anche centro di raccolta delle capre, quando al mattino il capraio, un giovane del luogo, al suono del corno, radunava le capre che i proprietari gli consegnavano per condurle al pascolo.

Altri edifici caratteristici di Rango sono la sua chiesa e l’edificio che raccoglie gli oggetti dell’antica scuola, entrambi sistemati nella piazza antistante il borgo storico.

La chiesa è dedicata alla Maria Annunziata e a Santa Lucia, risale al 1537, ma è stata ampliata nel 1752. All'interno vi è un pregevole altare in stile barocco, in marmo mischio di Francia e cornici in marmo bianco e verde, opera del celebre scultore Teodoro Benedetti di Castione. Nella nicchia porta una rappresentazione dell’Annunciazione, opera di Nicolò Grisiani, dipinta poco dopo il 1633.

Gli alunni delle scuole elementari di Rango e del Bleggio Superiore sono stati ospitati per molti anni nello stabile della parrocchia di Rango e, dopo anni di abbandono, l’edificio è tornato a vivere grazie alla sistemazione del Museo della Scuola. Nel piccolo Museo è stato ricostruito l’ambiente della scuola di ieri, con i vecchi banchi e il calamaio, foto di classe, la lavagna con i gessetti, il grande compasso di legno, i libri di lettura, tabelloni didattici e sussidiari. Una sezione del Museo è dedicata agli “Experimenta didactica”, curata da Tomaso Iori, che affronta con le classi e i visitatori un tema di carattere scientifico, utilizzando materiali poveri ed originali. Il Museo conserva anche una piccola collezione di oggetti recuperati nei dintorni di Rango, ovvero cocci colorati di formelle di stufe ad olle, scodelle, ciotole e vasellame di vario genere con decorazioni di motivi floreali e geometrici, profili femminili, putti e animali. Una tipologia di vasellame tipica dell’Italia rinascimentale che potrebbe essere opera di una fornace di cottura posta proprio a Rango. Questa era un’attività importante per l’economia del paese, grazie alla sua particolare posizione, ovvero quella di essere sistemato sulla via principale del Trentino occidentale con Riva del Garda.

In breve, queste sono le peculiarità dei borghi situati nel Trentino occidentale, esempio di quello che era l’architettura, l’arte e la storia del mondo rurale trentino. Peculiarità che sono state riconosciute anche dall’Associazione “I borghi più belli d’Italia” inserendo Rango nel 2006 come primo paese del Trentino.

 

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:

Brunelli Silvano, Caliari Renzo,Rango … e lo scorrere del tempo … , Santa Croce di Bleggio (TN), Comune di Bleggio Superiore, 2007

Bonn Cesare, Balbido era … Balbido è … Balbido, Bleggio superiore (TN), Gruppo culturale La Ceppaia, 2006

Sito web ufficiale: rango.info[/vc_column_text][/vc_column][/vc_row]


IL "CASO" DI SIMONINO DA TRENTO

Una vera mostra “di ricerca”, o comunque una mostra davvero riuscita, può essere il più concreto atto di fede nella vitalità, nel valore oggettivo, nella serietà e nell’utilità sociale della storia dell’arte: come disciplina scientifica, ma anche come insostituibile mediatrice per l’amore, la comprensione, il godimento delle opere d’arte da parte di un pubblico più vasto.

TOMASO MONTANARI, Contro le mostre, 2017

Con questa citazione di Tomaso Montanari, vorrei parlare di una “mostra riuscita” e di “utilità sociale” che è L’Invenzione del colpevole. Il caso di Simonino da Trento dalla propaganda alla storia. La mostra,ospitata dal Museo Diocesano Tridentino dal 14 dicembre al 13 aprile 2020 (già prorogata all’11 maggio 2020), è a cura di Domenica Primerano con Domizio Cattoi, Lorenza Liandru, Valentina Pedri con la collaborazione dei docenti dell’Università degli studi di Trento, Emanuele Curzel e Aldo Galli.

La mostra si pone l’obiettivo di analizzare tramite documenti e opere d’arte, la vicenda di Simonino da Trento.

Ma chi era Simonino da Trento?

Bottega di Daniel Mauch, Martirio di Simonino da Trento, primo decennio del XVI sec., Trento, Museo Diocesano Tridentino

Tutto ebbe inizio il 23 marzo 1475, Giovedì Santo, quando dalla città di Trento scomparve Simone, un bambino di soli due anni. Il corpo venne ritrovato il giorno di Pasqua in un canale nei pressi della casa di Samuele di Norimberga, uno dei maggiori esponenti della comunità ebraica della città. Dato il luogo del ritrovamento, vennero immediatamente incarcerati e processati per rapimento e omicidio gli ebrei trentini, che poco dopo furono condannati a morte. Uno degli obiettivi della mostra è rianalizzare come il processo fu basato su confessioni estorte con la tortura, rendendo il caso di Simonino da Trento quella che oggi potremmo definire una clamorosa fake news.

L’accusa è stata fatta perché la propaganda antisemita del tempo alimentava un’idea diffusa nell’Occidente medievale già dalla metà del XII sec.,ovvero che durante la Settimana Santa, fosse una consuetudine il “sacrificio rituale”. Secondo la credenza, gli ebrei sacrificavano bambini cristiani con l’obiettivo di reiterare la crocifissione di Cristo, adoperando il sangue della vittima per scopi magici e medico-curativi.

Un ruolo cruciale in questa vicenda fu quello del principe vescovo di Trento, Johannes Hinderbach, il quale da un lato ebbe un controllo diretto sugli interrogatori “pilotati” con lo scopo di far confessare il delitto agli ebrei, dall’altro lato gestì la nascita del culto di Simonino, organizzando pellegrinaggi verso il corpo, registrando i miracoli, commissionando e scrivendo opere agiografiche e soprattutto promuovendo una campagna di immagini che portò zone dell’Italia settentrionale fino alla Germania a un culto di questo “martire”.

Hartmann Schedel, Liber Chronicarum, Nürnberg, Anton Koberger, 23 dicembre 1493. Trento, Biblioteca Comunale

Il Simonino infatti, dopo il fatidico marzo 1475, venne subito considerato un martire cristiano divenendo oggetto di un culto intenso, grazie anche alle immagini e soprattutto alla stampa tipografica. La devozione si diffuse rapidamente;solo papa Sisto IV (1414-1478) provò a fermare questa tendenza, proibendo il culto sotto pena di scomunica.

Il tentativo del papa non ebbe grandi risultati, infatti solamente nel Novecento vennero rilette le fonti da W. P. Eckert, per volontà di Monsignor Iginio Rogger e del vescovo Alessandro Maria Gottardi, stabilendo la verità storica e dimostrando come le accuse di omicidio rituale rivolte agli ebrei fossero infondate. La vicenda si concluse il 28 ottobre 1965, negli anni del Concilio Vaticano II (1962-1965), quando la Chiesa decise di abrogarne definitivamente il culto.

La mostra su Simonino da Trento e “L’invenzione del colpevole”

La mostra occupa due piani del Museo Diocesano Tridentino, il quale ha sede in Palazzo Pretorio, la prima residenza vescovile eretta nel centro della città. La visita comincia al piano terra: qui è possibile capire il contesto in cui nacque l’accusa per omicidio rituale, i meccanismi con cui gli ebrei furono accusati di tale crimine per poi, nell’ultima sala, ripercorrere le fasi che portarono all’abrogazione del culto nel 1965.

Il percorso prosegue poi al secondo piano, dove sono esposte opere di tipo eterogeneo (dipinti, sculture, reliquiari, incisioni, fotografie…), concesse in prestito da importanti musei e istituti culturali nazionali e stranieri come le Gallerie degli Uffizi, la Raccolta delle Stampe Achille Bertarelli di Milano, l’Abbazia di Wilten ad Innsbruck e tanti altri. Questa parte di esposizione ha l’obiettivo di dimostrare la fortuna e la diffusione di un culto che durò più di Cinquecento anni, basato, come abbiamo visto, su una fake news.

Concludo con la citazione dell’augurio dell’arcivescovo di Trento, Lauro Tisi, un pensiero che non si può non condividere dopo la visita a questa importante mostra: “Mi auguro che questa meritevole iniziativa, organizzata dal nostro Museo Diocesano, possa divenire per tutti, a cominciare dalle comunità cristiane, un monito fortissimo a vigilare perché nessuno osi ammantare del nome di Dio ciò che invece ferisce inesorabilmente l’uomo e il credente”.

“La difesa della razza”, V, n.6, 20 gennaio 1942

Bibliografia e sitografia

 

 

Immagine tratte da:

  • Simone da Trento nella tradizione agiografica: i testi latini, catalogo della mostra (Trento, Museo Diocesano Tridentino, 14 dicembre – 13 aprile 2020), a cura di D. Primerano, Trento 2020.

 


IL SANTUARIO DI SAN ROMEDIO DELLA VAL DI NON

Un santuario verticale

Nel piccolo paese di Sanzeno è situato il santuario dedicato a San Romedio. Il santuario si innalza su uno sperone di roccia alla confluenza di due torrenti, all'interno di una suggestiva gola tra i meleti della bassa Valle di Non. Il santuario è un’imponente struttura architettonica caratterizzata da cinque chiese che si inerpicano sulla sommità della roccia. L’eccezionalità del santuario è legata alla leggenda dell’orso; leggenda che ha favorito la sistemazione di un’area recintata, come luogo di ricovero dei plantigradi destinati altrimenti alla soppressione.

Il Santuario di San Romedio è oggi meta di pellegrini provenienti non soltanto dal Trentino, ma da tutto il vicino Tirolo. È infatti a Thaur, nella valle dell’Inn, in Tirolo, che Romedio, esponente della nobiltà bavarese, avrebbe ricevuto i natali, per poi compiere, intorno all’anno Mille, un pellegrinaggio a Roma con i compagni Abramo e Davide. Un pellegrinaggio che avrebbe radicalmente modificato la sua vita, spingendolo a donare tutte le sue proprietà alla chiesa di Trento per ritirarsi in preghiera e meditazione su un’altissima rupe vicino a Sanzeno.

Tra l’XI secolo e il XII secolo, sul culmine della rupe di Sanzeno, Romedio realizzò lo spazio più antico del Santuario come abitazione oppure luogo di adorazione. Alla morte del Santo, i discepoli trasformarono questo spazio in una Chiesa dedicata, prima, a San Nicolò e, poi, a San Vigilio e la decorarono con un ciclo di affreschi che racconta la storia di Romedio. A fianco della Chiesa, i discepoli eressero un sacello di piccole dimensioni, la cosiddetta Cappella delle Reliquie per contenere i resti del santo eremita. La Cappella è suddivisa in tre navate con colonne e capitelli di scultura preromanica e affreschi duecenteschi che presentano legami stilistici con le opere della pittura altoatesina. L’ingresso ai due ambienti è dato da un pregevole portale duecentesco che fu fatto fare da una certa “Aricarda Munica”, nel 1200, secondo l’iscrizione apposta sul portale. La donna doveva essere vicina alla famiglia trentina dei Cles, probabilmente una vedova di lignaggio che decise di consacrare la sua vita a Dio e di vivere nell’eremo. A lato del portale, una serie di affreschi del XII-XIII secolo possono essere considerati tra i più antichi esempi di pitture murali del Trentino. Secondo alcune ipotesi questi affreschi sarebbero precedenti alla realizzazione del portale e originariamente avrebbero avuto la funzione di accogliere i pellegrini che affrontavano la salita verso l’eremo e sostavano nei pressi della tomba del santo eremita.

Nel 1487 fu la famiglia dei Cles a sistemare e ampliare l’antico eremo con la realizzazione della Cappella dedicata a San Giorgio (Cappella Clesiana), posta all’inizio del percorso di visita al santuario. Si tratta di una struttura caratterizzata da una volta a crociera e decorata con affreschi del XV-XVI secolo. Sono affreschi di autore ignoto che, sulle pareti, raffigurano le vicende della vita di San Giorgio, e sulla volta, i quattro simboli degli Evangelisti e le figure dei Dottori della chiesa.

Nel 1513 furono i conti Thun ad ottenere il giuspatronato sul santuario, facendo costruire la terza chiesa del santuario, la Chiesa di San Michele Arcangelo. La chiesa è una tipica cappella nobiliare, in stile gotico clesiano con volta a botte e una grande decorazione ad affresco che raffigura la scena dell’Orto degli ulivi e i conti Thun, committenti dell’opera.

Su incarico dei conti Cristoforo e Bernardino Thun, nel 1536 venne avviata la quarta chiesa del santuario con le pietre portate dai pellegrini, ovvero la Chiesa Maggiore dedicata a San Romedio, a fianco dell’antico Sacello delle Reliquie e della Chiesa di San Vigilio. È un ambiente ad aula unica con campanile e planimetria irregolare che ha sotto il pavimento un luogo di antichissima devozione, la “grotta” di San Romedio. La “grotta” poteva trattarsi della sua antica tomba o di un luogo dove si ritirava in preghiera.

Fu però a partire dal Settecento che il santuario acquisì un aspetto unitario dal punto di vista architettonico e artistico con il completamento dell’accesso che ha visto la costruzione del Loggiato rinascimentale (1729) e della lunga scalinata (1864) che porta al percorso di visita. La lunga e ripida scalinata è delimitata da una grande serliana (1770) con quattro colonne in pietra rossa che sostengono l’arco portante e l’immagine di San Romedio con i compagni Abramo e Davide. Una scritta fa da monito ai pellegrini “Il silenzio è di dovere varcando questa soglia”.

Il visitatore che sale la scalinata troverà il percorso scandito da alcune suggestive edicole votive che raffigurano gli episodi della Passione di Cristo. Sono opera dello scultore Vigilio Prati di Cles che realizzò sette complessi scultorei (1707), in legno scolpito e dipinto, che raccontano il calvario di Gesù Cristo, attraverso vere e proprie raffigurazioni a tutto tondo. Sono state qui sistemate per interpretare attraverso il racconto della Passione di Cristo, la fatica del devoto che sale la ripida scalinata del Santuario, qui emblema della “scala della vita”.

In ultimo, ma non meno importante, alla base della lunga scalinata di accesso al santuario è stata sistemata la quinta e ultima chiesa, la Cappella dell’Addolorata, eretta come ex-voto dei reduci della prima guerra mondiale.

IIl Santuario di San Romedio è ogni anno visitato da centinaia di turisti e pellegrini provenienti dal Tirolo e da tutta Italia; richiamati anche dal bellissimo sentiero che porta al santuario, ovvero una lunga galleria scavata nella roccia della gola di Sanzeno. Come spesso accade per i monumenti religiosi, i visitatori invocano l’aiuto del santo lasciando foto od oggetti di ex voto; oggi parte di questi si possono ammirare lungo le pareti della scalinata maggiore.

 

 

 

 

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:

Degasperi Fiorenzo, San Romedio. Una via sacra attraverso il Tirolo storico, Trento, Curcu&Genovese, 2015

Massari Giovanna, San Romedio. Uno sguardo inedito. Storia devozione arte architettura. Guida alla lettura dell'ipertesto, Edizioni scientifiche e artistiche, 2012

Faustini Gianni, Rogger Iginio, Il più bel santuario delle Alpi. Guida a San Romedio,

Trento, Valentina Trentini, 2009

Svaldi Pierluigi, San Romedio. Un santuario sulla rupe, Genova, 2008

Micheli Pietro, S. Romedio nobile di Taur, Trento, 1981.

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IL CASTELLO DI ARCO

A cura di Alessia Zeni

Il castello dalle 120 stanze

Nella zona dell’Alto Garda esiste una delle rocche più belle e complesse della regione, il Castello di Arco. Per chi arriva da nord, dalla piana del fiume Sarca o, da sud, dal Lago di Garda, si porge agli occhi un’imponente e suggestiva rupe rocciosa dominata dal Castello di Arco. Uno dei castelli più articolati del Trentino per la sua estensione di circa 23000 mq e le numerose strutture fortificate. I restauri condotti nel 1986 e nel 2003 hanno permesso di ridare antica dignità all'intero maniero con il consolidamento degli edifici superstiti, la sistemazione di un percorso di visita e, cosa più importante, la scoperta di un ciclo di affreschi trecenteschi raffiguranti scene di gioco con dame e cavalieri.

Fig. 1

Prima di parlare delle strutture e del ciclo di affreschi è bene ricordare la storia che da sempre avvolge il castello di Arco. Una storia legata al paese omonimo, adagiato alle pendici della rupe, e alla famiglia nobile degli Arco che per molti secoli ha abitato il castello. Intorno all'anno Mille il castello già esisteva, ma la rupe che sovrasta il borgo di Arco è stata luogo di insediamento già in epoca romana. Ad ogni modo, l’origine del Castello di Arco sembra avvalorata dall'ipotesi che esso sia stato costruito dagli “uomini liberi” della comunità di Arco con finalità soprattutto difensive. In seguito il castrum Archi diede il nome alla comunità che attorno alla rupe si sviluppò e alla famiglia nobile che lo abitò. I conti d’Arco vissero nel castello fino alla fine del Quattrocento quando si trasferirono in più comodi e lussuosi palazzi e al castello tornarono solo per assumerne la giurisdizione o per difenderlo. Nel corso dei secoli diversi nemici tentarono di espugnare il maniero, dalla famiglia trentina dei Lodron, gli Sforza di Milano, agli Scaligeri di Verona. I tentativi furono però vani, segno di un sistema difensivo impeccabile che venne espugnato solo dai tirolesi, nel 1579, e dal generale Vendome nel 1703. Dopo l’attacco francese il castello cadde nell'oblio e divenne meta di povera gente alla ricerca di materiale di recupero. Nel frattempo i conti d’Arco si erano frazionati in tre casate, quella di Arco, Mantova e della Baviera, dividendosi in parti uguali anche il Castello di Arco. Nel 1982 il Comune di Arco acquistò il castello e nel 1986, condusse i primi restauri che hanno portato alla luce i magnifici affreschi, oltre a nuovi locali e percorsi interni. Infine la campagna di restauri, ultimata nel 2003, ha reso accessibile la torre sommitale, la più antica, con un percorso di vista all'interno di un caratteristico paesaggio gardesano.

Tornando alla struttura del castello, molte sono le immagini e i dipinti che testimoniano l’antica grandezza del castello. Mattias Burgklechner ci ha consegnato una stupenda raffigurazione di Arco con il castello e la testimonianza scritta di “castello dalle centoventi stanze”. Ma l’immagine più significativa è quella dell’artista Albrecht Dürer, realizzata durante un viaggio in Italia intorno al 1494. Un acquerello di inestimabile valore per la qualità e la cura dell’esecuzione che riproduce il Castello di Arco su un grande costone roccioso davanti ad un paesaggio maestoso, contraddistinto da uliveti e campi coltivati a vite, mentre il borgo, ai piedi della rocca, sembra mimetizzarsi con la natura circostante.

Il castello, come già anticipato è uno dei manieri più articolati della regione per la sua estensione e le numerose strutture che lo compongono. Il primo spazio visitabile, salendo lungo la rupe del castello, è il prato della Lizza, un tempo fertile campagna, oggi magnifico punto d’osservazione verso la vallata e il castello. Proseguendo, troviamo la Prigione del Sasso, ricavata in un anfratto roccioso che porta sulle pareti i segni attribuiti alla conta dei giorni di qualche recluso del castello. Si arriva poi alla Slosseraria, il laboratorio del fabbro, testimonianza di una delle tante attività artigianali che erano praticate dentro il castello. Lungo l’acciottolato che conduce alla Torre Grande vi sono i resti di due cisterne e la canaletta ricavata nella roccia per raccogliere l’acqua piovana e convogliarla nelle cisterne, unica fonte idrica non essendoci sorgenti sulla rupe.

Fig. 4

La struttura più importante è la Torre Grande, risalente al XIII secolo, una torre imponente con merlatura a coda di rondine e pareti in pietra squadrata. Attorno vi sono i ruderi di altre costruzioni, case di abitazione, laboratori e magazzini a formare una sorta di piccolo borgo fortificato.

Nei pressi della torre vi è il locale della “stuetta” con la magnifica Sala degli Affreschi che venne scoperta nel 1986, quando era ingombra di macerie. Il ciclo di affreschi è di anonimo pittore, riconosciuto oggi come il Maestro di Arco, e racconta numerosi episodi di vita curtense che testimoniano la grande abilità professionale dell’artista. Sono immagini uniche nel loro genere in quanto raffigurano la vita di dame e cavalieri del Trecento e scene di gioco della stessa epoca. Nelle scene di gioco troviamo uomini e donne che si sfidano al gioco degli scacchi e dei dadi, incrociando i loro sguardi e le loro mani in diversi atteggiamenti curati con grande attenzione dal pittore. Curiosa è poi una scena di svago, dove due giovani fanciulle sono accompagnate da un cavaliere che tiene delle rose appena colte in un roseto, nel grembo del suo mantello. Le immagini a seguire presentano momenti di vita cavalleresca con un cavaliere che porta in groppa al suo cavallo una dama e un giovane cavaliere in congedo dalla sua dama che con le mani sulla sua testa gli trasmette coraggio e protezione. Non mancano immagini che lasciano intravedere lo scontro di cavalieri in una giostra e altri riquadri, ma purtroppo lacunosi.

Se la parte affrescata del maniero è la parte più visitata e importante del castello di Arco, i monumenti da visitare del maniero non finiscono qui. Infatti, proseguendo lungo il percorso panoramico che porta alla sommità della rupe, si arriva alla torre più antica del castello di Arco, la Torre Renghera. La torre è il mastio del castello che fu costruita sulle fondamenta di un edificio preesistente, a diversi metri dal suolo, per rendere la torre inaccessibile. Essa era chiamata Renghera perché vi era collocata una campana, detta “la Renga”, che aveva il ruolo di chiamare a raccolta i cittadini della comunità sottostante. Infine, scendendo dalla rupe, si giunge all'ultima struttura, la Torre di Guardia, sorta in posizione strategica per controllare le tre direttrici viarie. Dalla torre si spalanca un paesaggio unico, aperto verso la piana del fiume Sarca, che veniva controllato dalle sentinelle attraverso tre piccole finestrelle della torre.

Fig. 10

Questa in breve è la storia del Castello di Arco, una storia che non vuole essere esauriente, ma vuole dare una panoramica di quello che compone uno dei castelli più articolati e imponenti del Trentino. Un castello meta di vista dei molti turisti che frequentano la zona dell’Alto Garda, ma anche oggetto di studio dei ricercatori che si occupano di pittura e architettura castellana del Basso Medioevo. Insomma un castello che almeno una volta nella vita meriterebbe di essere visitato, anche solo per l’immenso panorama che lo caratterizza.

Fig. 11

 

BIBLIOGRAFIA DI RIFERIMENTO:
Pontalti Flavio, Il castello di Arco: note preliminari sull'esito dei lavori di restauro e sulla scoperta di un ciclo di affreschi cavallereschi nel castello, in “Il sommolago”, 4, 2, 1987, pp. 5-36
Turrini Romano, Arco, il castello e la città, Rovereto, ViaDellaTerra, 2006
Il castello di Arco, a cura di Umberto Raffaelli e Romano Turrini, Provincia autonoma di Trento, Trento, Temi, 2006
Il castello dalle centoventi stanze, a cura di Giancarla Tognoni e Romano Turrini, Arco, Il Sommolago, 2006
APSAT 4: castra, castelli e domus murate, schede 1, a cura di Elisa Possenti, Mantova, Società archeologica padana, 2013, pp. 390-398
AD 2019: Albrecht Dürer e il castello di Arco, Arco, Comune di Arco, 2019


IL BORGO MEDIOEVALE DI CANALE DI TENNO

A cura di Alessia Zeni

Un borgo nel Trentino occidentale

Sulle colline che guardano il Lago di Garda si innalza la piccola frazione di Canale di Tenno, borgo medievale che sorge a 600 metri di altezza. Il borgo è iscritto nell'elenco dei Borghi più belli d’Italia e per raggiungerlo basta percorrere in macchina la strada che dal Garda porta a Ville del Monte nel Comune trentino di Tenno. Le Ville del Monte sono costituite da quattro frazioni, Sant’Antonio, Pastoedo, Canale e Calvola, borghi di piccole dimensioni che nel secolo scorso hanno risentito in maniera massiccia dell’emigrazione verso le Americhe e la Germania. Negli ultimi decenni le cose sono mutate grazie ad un forte rilancio turistico alimentato dai vicini Laghi di Tenno e del Garda e dall'interesse storico-artistico e folkloristico delle quattro frazioni.

La frazione che ha avuto maggiore risonanza a livello turistico per il suo interesse storico-artistico e culturale è l’abitato di Canale di Tenno. La piazzetta è il cuore pulsante di Canale che a partire dagli anni Sessanta ha ripreso a vivere grazie alla bellezza del borgo che attira oggi numerosi artisti e visitatori. La bellezza del borgo è data dal suo impianto urbano irregolare e dalle numerose stradine che dal centro si articolano in portici e androni. Ai margini delle stradine si affacciano rustici caseggiati, addossati gli uni agli altri, con portali in pietra architravati e ballatoi in legno. Gli edifici si sviluppano su diversi livelli presentando più accessi a quote diverse. In linea di massima il piano terra assolveva la funzione di stalla o deposito, i due piani superiori a scopo abitativo, mentre il sottotetto fungeva da fienile e deposito dei prodotti coltivati nella campagna circostante.

La bellezza della borgata di Canale di Tenno non si limita al suo antico impianto, ma si estende a particolari strutture e monumenti storici che troviamo nella borgata. La Cà dei Pomati, nel centro del Borgo è la sede della storica manifestazione “Rustico Medioevo”, porta incisa sull'arco della porta di ingresso la data 1860 e il suo soprannome, "Pomati", lo deve alla famiglia che ha abitato e fondato questa casa. Un altro edificio di rilevanza storica è stato adibito a Museo degli attrezzi agricoli, testimonianza degli attrezzi agricoli raccolti un tempo nelle case di Canale di Tenno. Sempre nella piazzetta campeggia la vecchia Edicola di Sant'Antonio da Padova; in una stradina di accesso alla piazza troviamo una raffigurazione di Sant'Antonio abate per la cura degli animali e un piccolo rilievo con una Madonna e il Bambino recante la data 1776.

Il motore della rinascita di Canale lo si deve però ad una delle più importanti strutture del borgo, la “Casa degli Artisti”, una casa-museo diventata con il passare del tempo il fulcro delle attività culturali e artistiche dell’intero tennese. E’ dedicata a Giacomo Vittone, un pittore di origine piemontese che a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso diede molto allo sviluppo culturale del Garda. Giacomo Vittone firmava i suoi quadri con il nome di “Pictor Dominicus ovvero “Pittore della domenica”, in quanto la domenica percorreva il sentiero che da Riva del Garda saliva a Ville del Monte per dipingere gli scorci di questi antichi borghi. Caricava il suo “studio di pittura” in spalla e sulle ruote di una bicicletta si immergeva nella natura e nella pittura dei borghi di Canale e Calvola. Giacomo Vittone nacque a Torino il 3 dicembre 1898 e fin da piccolo si avvicinò alla pittura; venne chiamato alle armi nel 1917 e concluso il servizio militare trovò impieghi saltuari di breve durata. La svolta lavorativa fu grazie ai genitori che riuscirono a farlo assumere presso la Banca d’Italia. Il lavoro di impiegato bancario gli permise sia di mantenersi, sia di avere maggior tempo libero per dedicarsi alla pittura. Per lavoro venne trasferito a Riva del Garda, in Trentino, dove trovò l’ambiente ideale per intensificare la sua attività di pittore e di stringere ottimi legami con diversi pittori locali. A Riva del Garda vi rimase dal 1926 al 1962, quando si trasferì a Roma, dalla figlia, per questioni di lavoro. E’ allora che alcuni amici pittori di Vittone comperarono una casa dal Comune di Tenno, un rudere alla porte di Canale, con l’intenzione di regalarlo al pittore affinché potesse tornare a dipingere nei suoi amati luoghi del Trentino occidentale. L’artista rifiutò l’offerta proponendo al Comune di Tenno il progetto di adibire la casa a “chi vive di pennello e tavolazza”. Fu così che nel 1967 nacque a Canale di Tenno, la “Casa degli Artisti”, con lo scopo di ospitare gli artisti e le loro opere. Ancora oggi, nella stagione estiva, la “Casa” ospita artisti di varie nazionalità che in cambio del soggiorno donano una della loro opere alla casa-museo. Nell'ottica di Vittone gli artisti che soggiornano a Canale di Tenno hanno come costante fonte di ispirazione la natura e il mondo rustico di Canale e dei borghi circostanti. Giacomo Vittone morì nel 1995 all'età di 97 anni, a Ostia, dove viveva con la figlia, e della sua carriera artistica oggi attrae il fatto che abbia sempre donato i suoi quadri, non guadagnando in vita neanche un soldo dalle sue opere, segno di una passione che andava al di là di qualsiasi motivazione economica.

Per ultimo, ma non per questo meno importante, è bene ricordare il “Monumento alla Vicinìa”, opera in bronzo, sistemata alle porte di Canale di Tenno a ricordo delle antiche origini di Canale di Tenno. Il monumento è dello scultore Livio Tasin e ritrae quattro figure umane a grandezza naturale intente a discutere i problemi del villaggio con i “Vicini”. I “Vicini” non sono altro che i rappresentanti delle “Vicinìe”, ancora oggi attive a Ville del Monte e rara testimonianza in Trentino della popolare gestione dei beni collettivi lasciati in eredità alla comunità. L’origine della “Vicinìa Granda” di Ville del Monte non è documentata, ma le ipotesi formulate fino ad oggi fanno risalire la “Vicinìa Granda” alle epidemie di peste nel medioevo. Queste epidemie furono talmente devastanti da lasciare numerosi terreni senza proprietari, fu per questo motivo che venne fondata la “Vicinìa Granda” di Ville del Monte come lascito alla comunità dei terreni dei defunti della peste. Oggi i ricavi della “Vicinìa” sono destinati al mantenimento del patrimonio comune, allo sviluppo culturale dei borghi di Ville del Monte e a mantenere le antiche tradizioni, come quella di distribuire pane e focacce a tutti i “Vicini” delle Ville, il Venerdì santo di ogni anno.

Fig. 8: Canale di Tenno, Monumento alla Vicinìa di Livio Tasin

Questa in breve è la storia di Canale di Tenno e delle frazioni circostanti, raccontata attraverso il suo patrimonio storico-artistico e le sue antiche strutture. Un patrimonio che tutti gli anni viene valorizzato da due importanti manifestazioni folcloristiche, ovvero il “Rustico medioevo” e il mercatino natalizio animato all'interno dei portici e degli androni di Canale di Tenno, aperti per l’occasione ai visitatori della manifestazione.

Fig. 9: Canale di Tenno addobbata per il mercatino natalizio

 

BIBLIOGRAFIA E SITOGRAFIA:

Scuola media Ciro Andreatta e Associazione Amici della storia di Pergine Valsugana, Sulle tracce della storia: Canale di Tenno, Trento, Temi, 1984

Ville del Monte: una cultura, una società, una storia, Tenno (TN), Comitato Ville del Monte, 1984

Graziano Riccadonna, I settant'anni del Comune di Tenno. 1929-1999, Tenno (TN), Comune di Tenno, 1999

Cazzolli Jenny, Pivetti Franco, Colombo Vittorio, Casartisti: cinquant'anni di storia: 1967-2017, Riva del Garda (TN), Fondazione Giacomo Vittone, 2017

Grazioli Mauro, Tenno. Piccola guida del belsapere, Arco, Grafica 5, 2018

www.casartisti.it

www.gardatrentino.it