A cura di Stefania Melito
Introduzione e storia dell’edificio
Protagonista di una delle canzoni napoletane più famose di sempre (Munasterio ‘e Santa Chiara), il monastero di Santa Chiara di Napoli è una vera e propria oasi di pace all’interno del tessuto urbano napoletano, e rappresenta uno dei complessi monastici più grandiosi ed importanti della città partenopea.
Voluto da Roberto D’Angiò e dalla sua seconda moglie Sancia Maiorca come omaggio a San Francesco e Santa Chiara, santi ai quali i due sovrani erano devotissimi, il complesso fu costruito tra il 1310 e il 1328. I lavori furono eseguiti da Gagliardo Primario, architetto particolarmente attivo a Napoli in quel periodo, che immaginò l’aspetto dell’edificio sacro come la rappresentazione terrena della filosofia francescana improntata alla semplicità. In realtà, più che come una semplice chiesa, tale complesso fu immaginato come una sorta di cittadella francescana con l’aggiunta sia di un monastero femminile, destinato ad accogliere le Clarisse, sia di un convento maschile, ospitante i Frati Minori francescani. Il francescanesimo e la sua semplicità influenzarono anche lo stile gotico scelto per la costruzione: l’architetto infatti impostò la facciata con un aspetto simile ad una fortezza, in cui nel massiccio dell’architettura viene avanti in aggetto un corpo composto da tre archi gotici, due più piccoli ai lati e il terzo più grande centrale; sulla facciata a cuspide spicca un rosone traforato contornato da un motivo lineare. I fianchi del complesso riprendono ancora l’immagine della fortezza: possono essere orizzontalmente divisi in due parti, la prima, superiore, caratterizzata da fianchi massicci in cui sono evidenti robusti contrafforti intervallati da finestroni alti e stretti, e la seconda, in cui una fuga di archi gotici alleggerisce l’impianto e contorna l’entrata secondaria. Dal pronao si accede, tramite un portale strombato, all’interno della chiesa.
Qui ci si trova dinanzi ad una navata unica, lunga 82 metri, larga 13 e alta 46, con dieci cappelle per lato e con un aspetto austero, conforme allo spirito che anima anche la facciata, di cui viene ripreso lo schema compositivo a due blocchi. Dal soffitto a capriate lignee infatti l’occhio è attratto dalla fila di finestre che fanno penetrare una luce quasi ascetica, che si frange sul parapetto che corre lungo tutti gli archi strombati sorretti da pilastri circolari a fascio. Un tempo, secondo il Vasari, la chiesa era totalmente rivestita dagli affreschi di Giotto e della sua bottega napoletana, e addirittura sembra che in una di queste cappelle vi fosse ritratta l’Apocalisse secondo uno schema compositivo ideato da Dante. Nel 1340 la chiesa fu aperta al culto. L’aspetto rimase immutato fino al 1742, quando furono chiamati ad adeguarla al gusto mutato della nuova epoca Ferdinando Sanfelice e Domenico Vaccaro. Costoro, con un vasto gruppo di decoratori e architetti, distrussero trifore e bifore, la pavimentazione e gli altari e riempirono l’interno di ornamenti barocchi che sconvolsero l’aspetto della chiesa. Durante la seconda guerra mondiale un bombardamento provocò un incendio che distrusse in parte alcuni interni della chiesa, perdendo così tutti gli affreschi, sia le aggiunte posteriori sia quelli originali, di cui si sono salvati solo pochi frammenti. In seguito, i lavori di restauro si concentrarono sull’architettura medievale rimasta intatta ai bombardamenti, riportando la basilica all’aspetto originario trecentesco e omettendo il ripristino delle aggiunte settecentesche. I lavori terminarono definitivamente nel 1953 e la chiesa fu riaperta al pubblico. Le opere scultoree sopravvissute furono spostate nelle sale del monastero, che oggi accoglie il cosiddetto “Museo dell’Opera del Monastero”, mentre i sepolcri monumentali sono rimasti all’interno. Fra questi, degni di nota sono la sepoltura di Roberto D’Angiò realizzata dai fratelli Giovanni e Pacio Bertini, situato in fondo alla navata centrale, e le tombe di Carlo di Calabria e Maria di Valois opera di Timo da Camaino, scultore senese facente parte della bottega di Giovanni Pisano che concluse la sua carriera proprio a Napoli sotto i D’Angiò, progettando tra le altre cose Castel Sant’Elmo e la Certosa di San Martino.
La parte più famosa del Monastero è sicuramente il chiostro maiolicato, che ha conservato l’originario colonnato con 66 archi a sesto acuto, mentre l’aspetto attuale del giardino è opera del Vaccaro su commissione della badessa Ippolita da Carmignano.
L’architetto infatti ristrutturò il Chiostro dividendo la parte centrale del cortile in quattro grandi aiuole, suddivise a loro volta da vialetti interni, e innalzò 64 piccoli pilastri in piperno impreziositi da maioliche disegnate da lui stesso: la celebre decorazione fu opera però degli artigiani Donato e Giuseppe Massa, che realizzarono e dipinsero a mano le maioliche policrome con scene di vita quotidiana di allora, motivi marinareschi, scene di vita agreste, miti e rappresentazioni allegoriche dei quattro elementi. Le “riggiole”, ossia le mattonelle utilizzate, sono circa 30.000.
Alcuni sedili collegano i pilastri maiolicati tra di loro: la particolarità consiste nell’aver raccordato cromaticamente tutto il chiostro, adattando la decorazione agli affreschi del ‘700 che ricoprono le pareti e che rappresentano allegorie, scene dell’Antico Testamento e santi.
A differenza della chiesa, il chiostro è scampato quasi miracolosamente ai bombardamenti del 1943.
https://www.touringclub.it/evento/napoli-monastero-di-santa-chiara
https://www.10cose.it/napoli/chiesa-chiostro-monastero-santa-chiara-napoli
http://www.napolike.it/complesso-di-santa-chiara-napoli
www.museosantachiaranapoli.it
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