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Marti: il paese, la chiesa

La chiesa di Santa Maria Novella si trova a Marti, una frazione del comune di Montopoli, in provincia di Pisa. La storia di questo paese ricalca quella di molti centri abitati toscani, contesi dalle mire espansionistiche di Firenze, a cui anche Marti si arrese nel 1406: il perdurare della condotta filo-pisana da parte dei martigiani comportò lo smantellamento e la distruzione di questo castello, insieme al saccheggio della chiesa che era stata costruita nel 1332.

Dopo questo periodo bellicoso le fonti parlano di un primo restauro di Santa Maria Novella avvenuto nel 1470, per poi essere definitivamente rinnovata nel XVIII secolo, grazie a un programma decorativo che comportò la totale copertura pittorica dell’aula interna, e che rese la chiesa di Marti “uno dei luoghi più affascinanti e riccamente decorati della diocesi di San Miniato”. Esternamente Santa Maria Novella presenta un corpo di fabbrica in stile tardo romanico toscano, coperto da un paramento murario in mattoni: la facciata a capanna mostra una decorazione ad archetti pensili ed è ripartita da due lesene che spartiscono la zona superiore da quella inferiore, in cui si apre il portone centrale affiancato da due portali ciechi (fig.1).

Fig. 1: chiesa di Santa Maria Novella, Marti

Superata la soglia della chiesa ci troviamo immersi in uno spazio scenografico magnifico ed avvolgente (fig.2), catturati dalla sfarzosa decorazione ad affresco della tribuna: questo assetto settecentesco fu promosso dal pievano Giuseppe Panzani, che nel 1719 si rivolse a Antonio Domenico Bamberini (1666-1741) per l’esecuzione del ciclo pittorico nella zona presbiteriale. Allo stesso artista fu commissionata anche la Pala del Rosario (1722), pensata per un altare laterale, raffigurante due santi adoranti in abito religioso (San Domenico e Santa Maria Maddalena dei Pazzi?) e i quindici medaglioni, contenenti i misteri del culto mariano del Rosario (fig.3).

Il Bamberini fu un pittore-frescante molto attivo nel circondario della diocesi sanminiatese, specializzato nella decorazione quadraturista di gusto tardo barocco, un genere pittorico improntato sulla resa illusionistica e prospettica di fondali architettonici, che a Firenze fu ampliamente sviluppato dalla scuola di Jacopo Chiavistelli (1621-1698).  Anche il Bamberini di formazione fiorentina fu indirizzato verso il quadraturismo, facendo suo un repertorio decorativo molto vasto di elementi architettonici che ne accentuassero la resa trompe-l’œil: a Marti il fronte della tribuna imita un tempio nella rappresentazione delle due grandi colonne corinzie che sorreggono il timpano, arricchito da capitelli, cornici e mensole in monocromo, mentre i tre fornici, che ne caratterizzano l’impianto, ricordano la forma di un arco trionfale romano. Due figure muliebri (probabilmente le donne alludono alle virtù teologali della Fede e della Speranza), siedono sull’archivolto centrale a presenziare un cartiglio in cui si legge parte di un’iscrizione che allude alla chiesa come casa di Dio: “Domine, dilexi decorem domus tuae et locum habitationis gloriae tuae”, ovvero “Signore, amo la bellezza della tua casa, il luogo che hai scelto per abitazione della tua gloria”. La parte culminante del frontone termina con una cornice mistilinea in cui è rappresentato in monocromo il Miracolo di San Martino, a imitazione di un rilievo.

Nei tre ambienti voltati della tribuna continua la decorazione ad affresco: nella zona centrale dietro l’altare è rappresentata l’Assunzione della Vergine, mentre nei fornici laterali la pittura riproduce illusionisticamente degli ambienti classicheggianti voltati a lacunari, in cui sono rappresentati trionfanti San Giovanni Battista e Cristo Risorto, accompagnati nelle pareti laterali rispettivamente dagli episodi del Banchetto di Erode e la Cena di Emmaus. Nelle volte e nell’intradosso degli archi la decorazione pittorica riempie ogni spazio con l’imitazione di specchiature marmoree e stucchi, nelle forme di cornici, volute, cartigli e medaglioni (fig.4-5-6).

Fig. 4: Anton Domenico Bamberini, Decorazioni della tribuna, particolari, 1719, Marti, Chiesa di Santa Maria Novella.

Nel 1805 il pittore Filippo Lenzi venne incaricato di affrescare i rimanenti spazi della chiesa con partiture architettoniche quali finestre e balaustre, determinando così un vero e proprio horror vacui.

Tra le tele seicentesche che si trovano sugli altari laterali di Santa Maria Novella ricordiamo la commissione della famiglia fiorentina dei Baldovinetti (tenutaria nel Valdarno di diversi possedimenti), raffigurante il Miracolo di San Pietro che risana l’infermo (fig.7), del pittore Matteo Rosselli (1578-1650): la lastra ovale sotto la mensa dell’altare riporta le iniziali dell’artista insieme all’anno di esecuzione (1622). Rispetto allo stile più comunemente adottato dal Rosselli, vicino ai modi del Cigoli, qui la critica ha ravvisato piuttosto l’influenza di Domenico Crespi, detto il Passignano (1559-1638), in linea per la sobrietà cromatica e l’impianto scenico (l’ipotesi è avvalorata dalla conoscenza dei due artisti, come attesta la notizia di un viaggio che Rosselli intraprese al seguito di Passignano). È invece assegnata a Taddeo Baldini (attivo 1642-1677) la Sacra conversazione di Santi adoranti (Santa Caterina d’Alessandria, Giuseppe, Lucia, un santo carmelitano e Sant’Antonio da Padova con le anime del purgatorio in adorazione dello Spirito Santo), vicino nelle forme all’appassionato sentimentalismo di Lorenzo Lippi (1606-1665).

Fig. 7: Matteo Rosselli, San Pietro risana l’infermo, 1622, Marti, Chiesa di Santa Maria Novella.

Riveste un importante valore artistico oltre che devozionale il Crocifisso in cartapesta policroma attribuito a Ferdinando Tacca (1619-1686) e arrivato a Marti nel 1673 (fig.8).

Fig. 8: Ferdinando Tacca (?), Crocifisso, seconda metà XVII secolo, Marti, Chiesa di Santa Maria Novella.

I committenti della croce sono da rintracciarsi nei componenti della sopracitata famiglia Baldovinetti, di cui Vincenzo di Giovanni in particolare, cavaliere dell’Ordine di Santo Stefano, fu protagonista di una leggenda marinaresca: il racconto tramandato nel borgo riguardava la cattura da parte di Vincenzo del pirata Ciriffo Moro, e il conseguente rinvenimento sulla sua imbarcazione del crocifisso, in seguito donato alla chiesa di Santa Maria Novella. La leggenda si era probabilmente affermata nell’ambito della stessa famiglia Baldovinetti, per incrementare il prestigio sociale della casata tramite il riconoscimento di gesta militari e atti di benevolenza, rimanendo per lungo tempo nella memoria collettiva della comunità.

L’attribuzione dell’opera a Ferdinando Tacca nasce dall’identificazione del modello originario realizzato dal padre, Pietro Tacca (1577-1640), per il crocifisso bronzeo donato al re di Spagna Filippo III nel 1616, oggi conservato nella Sacrestia della Santa Forma all’Escorial (fig.9), e da cui derivano numerose copie in materiali diversi (bronzo, cartapesta e stucco).

Fig. 9: Pietro Tacca, Crocifisso 1615 c., Madrid, Monastero di San Lorenzo de El Escorial, Sagrestia della Sagrada Forma.

Dopo la morte di Pietro Tacca, fedele collaboratore del Giambologna, la bottega fiorentina fu portata avanti dal figlio Ferdinando, a cui probabilmente spetta anche l’esecuzione del Crocifisso di Marti: a livello formale l’opera presenta, rispetto all’esemplare dell’Escorial, alcune caratteristiche più esasperate che la critica ha rintracciato come segni distintivi dello stile di Ferdinando. La scelta di realizzare la figura morente di Cristo in cartapesta rivela la committenza per un contesto devozionale, affinché fosse facilmente trasportabile durante le processioni, insieme ad una compartecipazione emotiva maggiormente intensa da parte dei fedeli, resa grazie a una malleabilità del materiale più consona a esprimere il dolore fisico: la carne lacerata dai chiodi nelle mani ed in particolare nei piedi contrasta  con la flessuosità con cui è plasmato il corpo esile e affusolato di Cristo, di una bellezza struggente. Il restauro avvenuto nel 2001 ha permesso il ripristino di alcuni raffinati quanto delicati particolari, come il fiocco del perizoma (realizzato ad applique-parti eseguite separatamente e aggiunte in seguito alla struttura) e il recupero della policromia originale: in particolare è stata rivalorizzata la presenza di alcune gocce di sangue lumeggiate sulle braccia e le gambe, oltre alla ferita sul costato, che versa rivoli di sangue e acqua. Questo dettaglio è una citazione puntuale di un passo del Vangelo in cui Giovanni rammenta che dopo la morte di Cristo “Uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua” (Giovanni 19,34). In una valenza simbolica tale avvenimento attesta tramite il sangue, il sacrificio e il sacramento dell’eucarestia, mentre l’acqua allude allo Spirito e alla rinascita nel battesimo. Anche la croce lignea, che si credeva non originale, ha restituito durante il restauro diverse tracce pittoriche raffiguranti sanguinamenti in concomitanza delle braccia e dei piedi.

Il dipinto che incornicia l’opera venne invece appositamente realizzato nel 1821 dal pittore originario della vicina Cascina, Giuseppe Bacchini (attivo 1806-1845), collocando il crocifisso al centro di quattro Dolenti, Maria, San Giovanni, Maria Maddalena e Maria di Cleofa, quest’ultima menzionata proprio nello stesso Vangelo di Giovanni durante la passione di Gesù (fig.10). La bidimensionalità della pittura d’impostazione neoclassica è qui evidenziata da una resa quasi sagomata delle figure, trattenute in un composto e imperturbabile dolore.

Fig. 10: Giuseppe Bacchini, I dolenti, 1821, Marti, Chiesa di Santa Maria Novella.

 

Bibliografia

  1. Bitossi, Scheda n.74 (Matteo Rosselli, San Pietro risana l’infermo), Scheda n.75 (Taddeo Baldini, Pala d’altare con Santi), in Visibile pregare: arte sacra nella diocesi di San Miniato, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Ospedaletto 2000, Vol. I, pp. 170-173.
  2. Campigli, Scheda n.76 (Ferdinando Tacca, Crocifisso), in Visibile pregare: arte sacra nella diocesi di San Miniato, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Ospedaletto 2000, Vol. I, p. 175.
  3. Parri, Scheda n.83 (Giuseppe Bacchini, I dolenti), in Visibile pregare: arte sacra nella diocesi di San Miniato, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Ospedaletto 2000, Vol. I, p. 181.
  4. Boldrini, Il cavaliere, il pirata e il Crocifisso di Marti tra leggenda e devozione, in Restauri nella Pieve di Marti- Il Crocifisso di Ferdinando Tacca e tre ovali dipinti del Seicento fiorentino, a cura di B. Bitossi e M. Campigli, Firenze 2003, pp. 10-26.
  5. Campigli, Sul crocifisso di Marti, in Restauri nella Pieve di Marti- Il Crocifisso di Ferdinando Tacca e tre ovali dipinti del Seicento fiorentino, a cura di B. Bitossi e M. Campigli, Firenze 2003, pp. 27-43.
  6. Granchi, Il restauro del Crocifisso in cartapesta policroma di Marti attribuito a Ferdinando Tacca, in Restauri nella Pieve di Marti- Il Crocifisso di Ferdinando Tacca e tre ovali dipinti del Seicento fiorentino, a cura di B. Bitossi e M. Campigli, Firenze 2003, pp. 46-74.

 

*Le figure n.2-7-10 sono tratte dal volume Visibile pregare: arte sacra nella diocesi di San Miniato, a cura di Roberto Paolo Ciardi, Ospedaletto 2000, Vol. I, pp. 167,171,182.

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