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Arte preistorica a Papasidero

La grotta del Romito è un sito risalente al Paleolitico superiore, contenente una delle più antiche testimonianze dell’arte preistorica in Italia e una delle più importanti a livello europeo, situata in località Nuppolara nel comune di Papasidero, nella valle del fiume Lao, in Calabria, provincia di Cosenza.

Il sito consta di due parti: la Grotta vera e propria è lunga circa 20 metri, e il Riparo che si estende è circa 34 metri. I depositi della grotta e del riparo costituiscono una sola grande formazione in cui si possono ammirare suggestive stalagmiti e stalattiti; all’interno si trova anche una galleria ancora inesplorata.
Sito di fondamentale importanza per la preistoria calabrese, esso costituisce uno dei più importanti giacimenti italiani del Paleolitico superiore (30.000-10.000 anni fa) e attesta frequentazioni più recenti risalenti al Neolitico europeo (7.000 – 4.000 anni fa). Ed è proprio in questa cavità che visse “l’uomo del Romito”, probabilmente un uomo di Cro-Magnon, il quale non sapeva allevare gli animali, non conosceva l’agricoltura e la lavorazione della ceramica. In seguito fu l’Homo Sapiens ad abitare intensamente la grotta lasciando innumerevoli testimonianze del suo passaggio con i suoi strumenti litici e ossei, con lo stupendo graffito e con i resti dei propri scheletri.

La Grotta viene scoperta nella proprietà di Agostino Cersosimo, nella primavera del 1961, su segnalazione di due Papasideresi, durante un censimento agrario. In realtà, già nel 1954, un appassionato di archeologia di Laino Borgo aveva segnalato l’esistenza del Riparo precisando la presenza della figura di un toro. La grande scoperta fu quindi affidata ad un archeologo di fama internazionale, Paolo Graziosi, dell’Università di Firenze, che diresse i lavori fino al 1968. Nell’ultimo decennio, a partire dagli anni 2000, la cura del sito è stata affidata ad un suo discepolo, Fabio Martini, che insegna nella stessa Università.

Le numerose scoperte archeologiche restituite dal sito offrono agli studiosi parecchi elementi utili alla ricostruzione storica delle attività delle comunità di cacciatori-raccoglitori che abitarono il sito, le condizioni di vita dei gruppi umani preistorici, la loro interazione con l’ambiente e il paesaggio circostanti. Indicazioni sulla fauna e sui condizionamenti subiti dalle comunità dalle dinamiche climatiche avvenute dalla fine del Paleolitico al Neolitico: la presenza nella grotta di un torrente, antecedente a 24.000 anni fa e avente fasi di ingrossamento alterne nei secoli, ha consentito la frequentazione umana in seguito ai prosciugamenti ed interventi di bonifica.
Riferibile al periodo Neolitico è ad esempio il ritrovamento di ossidiana che lascia ipotizzare “l’area del Romito” come centro di scambio e transito, tra l’area tirrenica e quella jonica, del vetro vulcanico proveniente dalle isole Eolie, confermando l’importanza delle popolazioni neolitiche della Calabria nel commercio e il controllo di questo materiale.  Nel cunicolo della grotta è stato rinvenuto un punteruolo di osso con inciso un motivo geometrico costituito da un rettangolo inscritto in un altro, da fasci di linee parallele, rette e zig-zag e da segni a dente di lupo ai margini dello strumento. Essi ricordano analoghi motivi geometrici dell’“arte mobiliare”, forme artistiche relative agli oggetti “Mobili” cioè di oggetti di uso sia rituale sia quotidiano risalenti al periodo preistorico, della grotta Polesini presso Tivoli e di quella spagnola del Parpallò presso Valencia.

Nei livelli più alti del terreno sono state rinvenute tre sepolture datate a 9.200 anni fa, contenenti ciascuna una coppia di scheletri disposti secondo un procedimento ben definito e giacenti in strati epipaleolitici. Una di queste sepolture si trova nella Grotta e due nel Riparo, poco distanti dal masso con la figura taurina. Gli scheletri sepolti all’interno della Grotta del Romito, sono differenti dagli altri resti trovati in Europa perché i ricercatori precedentemente avevano trovato resti scheletrici sepolti individualmente, mentre in questo insediamento hanno trovato per lo più coppie di scheletri. Le sepolture hanno suggerito agli studiosi che probabilmente la Grotta era un posto “sacro” dove veniva effettuato il cosiddetto “Matrimonio-Sati” (la sepoltura di una coppia), conferma della supremazia delle associazioni filiali fra gli uomini e le donne dagli inizi stessi della storia umana. I primi scheletri rinvenuti alla luce nel Riparo sono: un uomo e una donna sdraiati in una piccola fossa ovale l’uno sull’altro.  La donna copriva in parte la spalla sinistra dell’uomo e la sua nuca poggiava sulla guancia del compagno. L’uomo le copriva le spalle col braccio sinistro, mentre il destro era disteso lungo il corpo. Il corredo funebre era costituito da un grosso frammento di corno di bos primigenius appoggiato sul femore sinistro dell’uomo, mentre un altro corno era appoggiato sulla spalla destra. Intorno agli scheletri erano deposte delle selci lavorate. I due individui, di 15/20 anni di età, sono ambedue di statura molto piccola: 1,40 metri il maschio, 85 centimetri la femmina, che presenta il femore e l’omero affetti da un forte dismorfismo e da osteoporosi.

Altri due scheletri umani ritrovati nel Riparo sono disposti l’uno sull’altro e di sesso diverso. Si tratta di individui che avevano circa 30 anni, alti 1,46 e 1,55 metri, entrambi sepolti con le gambe flesse. Alcune ossa del secondo individuo non erano al loro giusto posto (l’uomo a destra figurava, infatti senza femore e con l’epifisi nella fossa del bacino), probabilmente perché dopo la morte del primo individuo, alla riapertura della fossa per seppellirvi il secondo, sarebbero state involontariamente mosse le ossa è asportato il femore del primo.

La terza sepoltura si trovava nel deposito della grotta circa allo stesso livello di quelle del riparo. Erano due individui sdraiati sul dorso e affiancati, con le braccia distese, la destra appoggiata sul bacino e la sinistra entro il bacino. Si tratta di due individui maschili, di età al di sotto dei venti anni, di statura di 1,59\1,60 metri circa. Dello scheletro di sinistra rimanevano solo il bacino, gli arti inferiore e le ossa di un braccio. Parte della scatola cranica e metà della faccia furono ritrovate in seguito, in quanto il deposito era stato sconvolto da lavori di scavi forse per rendere pianeggiante il terreno. L’individuo di destra era, invece, completo.  Di questi scheletri una coppia è esposta al Museo di Preistoria di Firenze, insieme alle schegge litiche ritrovate (circa 280); un’altra è esposta al Museo Nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria e una terza è ancora oggetto di studio da parte dell’Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria di Firenze nei loro laboratori. Durante gli scavi sono state rinvenute anche un paio di sepolture singole. Un anziano di 35 anni (corrispondenti agli odierni 100) che, dagli accertamenti del caso, è risultato essere stato reso disabile da molte malattie, ferimenti da caccia e cadute. L’altro ritrovamento umano di grande interesse, si è rivelato essere quello di un giovane cacciatore che, nonostante la giovane età, fu sepolto con un corredo di oggetti degni di un capo. Altra caratteristica interessante di quest’uomo paleolitico, è l’altezza notevole per l’epoca e per la zona meridionale infatti, lo scheletro ritrovato appartenevano ad un individuo alto 1,74 metri.

Oltre agli importanti resti umani, sono state ritrovate incisioni rupestri. La prima è quella dei cosiddetti “Segni Lineari (fig.3), un masso di circa 3.50 metri, con semplici tratti rettilinei o leggermente curvilinei, più o meno profondamente incisi, disposti in tutte le direzioni, senza alcun significato apparente.

La seconda è quella del “Masso dei Tori” che si trova presso l’imboccatura della grotta sono incisi su diversi livelli tre profili di Bos Primigenius, un bovino selvatico antenato dei bovini domestici. Rappresenta una delle più importanti raffigurazioni dell’arte rupestre del Paleolitico Superiore: è così perfetto nel disegno e nella prospettiva, quanto nella scelta della superficie rupestre che gli dona un senso tridimensionale, da far affermare al professor Graziosi di essere di fronte a “la più maestosa e felice espressione del verismo paleolitico mediterraneo, dovuto ad un “Michelangelo dell’epoca”. La figura di toro (fig. 4), lunga circa 1,20 metri è incisa su un masso di circa 2,30 metri di lunghezza e inclinato di 45°. Il disegno, di proporzioni perfette, è eseguito con tratto sicuro così come è caratteristico dell’arte paleolitica. Le corna, viste ambedue di lato, sono proiettate in avanti ed hanno il profilo chiuso. Sono rappresentati con cura alcuni particolari, come le narici, la bocca, l’occhio e, appena accennato, l’orecchio. In grande evidenza sono le pieghe cutanee del collo e i piedi fessurati. Un segmento attraversa la figura dell’animale in corrispondenza dei reni.

Secondo Graziosi:” Si ha l’impressione che almeno parte di questi segni preesistessero alla esecuzione del toro e che qualcuno sia stato addirittura utilizzato per la realizzazione delle grandi pieghe”. Tra le zampe posteriori dell’uro vi è incisa, molto più sottilmente, un’altra immagine di bovino di cui è eseguita soltanto la testa, il petto e una parte della schiena. Anche esso presenta le corna proiettate in avanti, ma a profilo aperto e solo nella seconda metà divise in due, mentre nella prima parte appare un solo corno, ripetendo un modulo tipico dell’arte paleolitica mediterranea. Sull’estremità inferiore dello stesso masso è incisa una terza piccola testa di toro. A fianco del masso col toro si trova una stalagmite a forma di equide senza testa. Graziosi sostiene che:” Il rinvenimento delle sepolture nell’area intorno e tra i due grandi massi incisi farebbe pensare a due stele o una stele (quella col toro) delimitanti un’area funebre”. Infatti la ricorrenza di resti di uro insieme agli scheletri rimanda a funzioni di offerte funerarie, elementi che forniscono informazioni sull’universo simbolico, le pratiche rituali e funerarie paleolitiche. Lo studioso Martini assegna a questa immagine una valenza totemica di grande suggestione e conferisce all’ambiente un indiscutibile legame con il sacro. L’importanza del sito di Papasidero, è legata all’abbondanza di reperti, che coprono un arco temporale compreso tra 23.000 e 10.000 anni fa, che hanno consentito la ricostruzione delle abitudini alimentari, della vita sociale e dell’ambiente dell’Homo Sapiens”.

Bibliografia

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