La Biblioteca Nazionale Braidense e lo “stampatore” Aldo Manuzio
Nel quartiere milanese di Brera si è da sempre respirata aria d’ingegno e sperimentazione, favorita dal frequente via vai di artisti ed intellettuali che stimolarono il dialogo culturale. Il quartiere prende il nome dall’omonima via, il cui termine deriva da braida, ovvero “terreno incolto”. Da qui deriverà la denominazione di Biblioteca Nazionale Braidense.
Il Palazzo di Brera, nato come convento trecentesco dell’ordine degli Umiliati e successivamente dei Gesuiti, fu riorganizzato nel XVII secolo dall’architetto Francesco Maria Richini.
Successivamente divenne proprietà dello Stato austriaco, che ne dispose l’utilizzo per istituti culturali. Il palazzo ad oggi ospita: l’Accademia di Belle Arti, la Pinacoteca, l’osservatorio astronomico,l’orto botanico e la Biblioteca Nazionale Braidense.
Quest’ultima, terza biblioteca italiana per ricchezza del patrimonio librario,fu istituita nel 1770 dall’imperatrice Maria Teresa per supplire alla mancanza “di una biblioteca aperta ad uso comune di chi desidera maggiormente coltivare il proprio ingegno, e acquistare nuove cognizioni” ed aprì i battenti solo nel 1786. Il suo vasto patrimonio librario deriva dalla somma di diversi fondi accumulati negli anni, a partire dal nucleo originario del Collegio gesuita fino ai fondi dei grandi studiosi tra cui figurano testi di carattere scientifico, storico e letterario. Di particolare rilievo sono però le 650 edizioni aldine, uscite dalla stamperia di Aldo Manuzio e degli eredi, collocate in un arco di tempo che si estende dal 1494 al 1598.
Ma chi fu lo stampatore Aldo Manuzio?
Il suo nome probabilmente non è noto quanto quello di Gutenberg, nonostante ciò è doveroso dare il giusto peso a questo personaggio rilevante per la storia della stampa e della cultura in Italia.
Aldo, vissuto tra il 1450 e il 1515 circa, fu un grande studioso e precettore nelle più importanti corti dell’Italia centrale. Egli si guadagnò perfino l’appellativo di “Steve Jobs del Rinascimento”da parte della critica moderna. Infatti, così come il grande magnate digitale ebbe il merito di mutare l’interfaccia attraverso cui noi ci rapportiamo ai contenuti digitali, Manuzio mutò l’interfaccia dei testi a stampa rendendola più gradevole e maneggevole. Nell’arco della sua attività tipografica pubblicò circa 130 edizioni di opere di contemporanei quali Erasmo, Angelo Poliziano o Pietro Bembo, e soprattutto di grandi classici, da Aristotele a Tucidide, da Erodoto a Cicerone, da Sofocle a Catullo, ma anche Virgilio, Ovidio, Omero e molti altri.
Dopo aver svolto per lungo tempo il lavoro di precettore decise di intraprendere una nuova via.
Diede così una svolta alla sua vita e si trasferì a Venezia, probabilmente attratto dalle numerose biblioteche fornite di codici greci e dalla presenza di esuli greci.
Dichiaratosi un grande amante della cultura ellenica si propose di coltivarla e diffonderla attraverso il libro a stampa. Egli era convinto che la conoscenza della lingua greca, da studiare parallelamente al latino, fosse imprescindibile per la completa formazione culturale dello studioso.
Fu così che, dopo aver fondato una società con il nipote del doge Barbarigo e lo stampatore veneziano Andrea Torresano, diede alle stampe testi di supporto all’apprendimento della lingua ed un corpus della letteratura greca, facendo realizzare dal suo collaboratore Francesco Griffo dei caratteri greci.
Nonostante questo suo grande amore egli non si dedicò solo alla stampa di tali testi, fu così che nel dicembre del 1499 la sua officina terminava la stampa di un romanzo allegorico di tema amoroso intitolato “Hypnerotomachia Poliphili”
ovvero “La battaglia d’amore in sogno di Polifilo”, la cui paternità è attribuita al domenicano veneziano Francesco Colonna. Il racconto descrive un sogno erotico di Polifilo, ovvero “Colui che ama la Moltitudine”, che inizia a causa dell’allontanamento dell’amata Polia, letteralmente “Moltitudine”. Quello da lui compiuto è un viaggio iniziatico che ha per tema la ricerca della donna amata, metafora di una trasformazione interiore alla ricerca dell’amore platonico. I continui richiami alle divinità dell’antica Roma fanno del romanzo un’opera dichiaratamente pagana, il che spiega come mai fu stampata anonima e perché si sia cercato di attribuirla ad altri umanisti rinascimentali.
Tale volume, di cui è fornita la Braidense, è considerato il più eccezionale esempio di libro rinascimentale grazie all’alta qualità grafica delle sue xilografie, di cui l’autore è ignoto, che completano l’elegante apparato testuale manuziano.
A seguito di tale capolavoro l’officina aldina diede alle stampe il suo primo libro in volgare, le lettere di santa Caterina da Siena.
Nella premessa a tale volume Manuzio dimostrò un impegno, non solo verbale, in favore di un rimedio contro quelli che egli chiamò “tempi maledecti”, rappresentato in quel caso particolare dalla lettura devota delle epistole della santa senese.
Pubblicò tali lettere poiché gli apparivano piene “di Spirito Sancto” e si augurava che potessero spargersi per il mondo a promuovere la riforma delle coscienze e della pratica di vita.
L’anno della stampa delle Epistole coincideva con l’anno del giubileo, quando nella Roma di Alessandro VI Borgia si rivolgeva tutta la cristianità e ovunque insorgeva la protesta per la corruzione della Chiesa condivisa anche da Manuzio.
Santa Caterina nella xilografia in figura è vestita col mantello domenicano ed è caratterizzata dagli attributi del cuore, del crocefisso accompagnato da gigli, ramo di palma e dal libro con la triplice corona portata dai due angeli nell’alto. All’interno del libro e del cuore Aldo inserì rispettivamente il motto “Jesu dolce Jesu amore” e il nome “Jesus” realizzati con i tipi in italico, quasi a voler affidare al nome di Gesù il suo nuovo proposito editoriale e dando un’anticipazione di quello che diventerà il carattere fondamentale per gli enchiridi.
A Manuzio è attribuita l’invenzione del tascabile. Dal 1501 si dedicò alla stampa di enchiridi, letteralmente libri che stanno in mano. Questi erano testi classici e umanistici dal carattere innovativo in quanto proposti in formato ottavo, diverso dall’usuale formato in quarto, e destinati non solo ad un pubblico di studiosi ma anche di uomini colti che si spostavano o che amavano leggere senza essere condizionati dall’uso del leggio.
Egli fece stampare testi della letteratura greca e latina ed anche di alcuni autori a lui contemporanei già pubblicati in precedenza, operazione che si potrebbe mettere in parallelo con quella di Umberto Eco che nei primi del Novecento fece ristampare delle edizioni economiche dei grandi classici.
A differenza di Eco però le enchiridi manuziane non erano più economiche delle precedenti, ma ciò non fu d’ostacolo al notevole successo di pubblico che conobbero.
La scelta editoriale, oltre a fondarsi sul formato tascabile e la scelta di testi classici, prevedeva l’uso di una nuova serie di caratteri che si rifacevano alla scrittura corsiva per cui egli chiese al governo di Venezia un privilegio per l’esclusivo utilizzo.
E’ importante dichiarare che Manuzio, nel corso della sua attività di tipografo, ebbe modo di collaborare con personaggi di rilevanza come l’umanista e cardinale Pietro Bembo.
Con il cardinale lavorò ad una pubblicazione delle opere volgari di Petrarca e Dante.
L’importanza di tale operazione editoriale risiedeva nell’aver elevato i testi dei due autori italiani, di cui si possono ammirare alcuni esemplari nella biblioteca, verso l’aura della classicità.
Inoltre la versione dell’opera che proposero fu priva di apparati esegetici e caratterizzata dall’uso rivoluzionario dei segni diacritici e dell’interpunzione,avvicinando i lettori in modo nuovo alla grande letteratura volgare.
Un’altra collaborazione degna di nota fu quella con l’umanista olandese Erasmo da Rotterdam.
Egli lo raggiunse a Venezia proponendogli di pubblicare una nuova versione dei suoi Adagia, una raccolta commentata di proverbi e modi di dire greci e latini. In particolare nel commento all’adagio“Festina lente”, ovvero “affrettati con lentezza”, Erasmo riferisce di come un giorno Aldo gli mostrò un’antica moneta d’argento risalente al periodo dell’imperatore Tito. La moneta presentava da un lato l’effige dell’imperatore e dall’altra un’ancora con un delfino attorcigliato attorno.
In questo simbolo, raffigurazione del proverbio, l’elemento del delfino rappresentava lo slancio e la rapidità, qualità principali dell’elegante animale acquatico come anche degli spiriti indomiti. Mentre, l’àncora, che nelle tempeste rallenta la corsa troppo rapida e rovinosa delle navi, era il simbolo della ponderazione e della solidità degli animi virtuosi. Fu così che Aldo, in calce alle sue edizioni, fece del simbolo la sua marca tipografica e del proverbio il suo motto.
Non potremmo che concludere il sintetico ritratto di Aldo Manuzio, il principe degli editori del Rinascimento, riportando proprio la frase che campeggiava all’ingresso della sua stamperia e che ci lascia un messaggio, nonostante i secoli da allora trascorsi, sempre attuale:
“Se si maneggiassero di più i libri che le armi, non si vedrebbero tante stragi, tanti misfatti e tante brutture, tanta insipida e tetra lussuria”.
In questo modo egli ci invita a non dimenticare l’importanza dei libri come prima arma per debellare la superficialità e l’ignoranza che abita il nostro mondo, monito di cui la Biblioteca Nazionale Braidense è interprete perfetta.
Bibliografia:
- “La braidense: la cultura del libro e delle biblioteche nella società dell’immagine”, 1991
- “Le edizioni aldine della Biblioteca nazionale Braidense di Milano”, in Almanacco del bibliofilo, 5, anno 5., n. 5, 1995
- “Festina lente: un percorso virtuale tra le edizioni aldine della Biblioteca Trivulziana di Milano”, edizioni CUSL, Milano, 2016
- “Stampa e cultura in Europa tra XV e XVI secolo”, Lodovica Braida, Laterza, 2005
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