A cura di Alessia Zeni
Il visitatore che si reca nel Duomo di Trento, tra le opere d’arte da vedere, dovrebbe annoverare il Crocifisso del Concilio, così chiamato perché sotto di esso furono firmati i decreti conclusivi del Concilio di Trento (1545-1563). Il Crocifisso è conservato nella Cappella Alberti costruita nel 1682-1687, sulla parete sud della cattedrale, per volere del principe vescovo di Trento, Francesco Alberti Poja (1677-1689), come luogo della sua sepoltura e conservazione della reliquia. E’ un’opera esemplare nel panorama artistico trentino, esempio di arte regionale molto spesso influenzata dalla scuola tedesca d’Oltralpe.
Il vescovo Alberti Poja fece costruire una cappella a pianta quadrata con tamburo ottagonale, cupola con lanterna e una decorazione pittorica e architettonica che doveva esaltare il Crocifisso del Concilio di Trento. La cappella venne realizzata nello stile barocco dell’epoca che tendeva al meraviglioso e allo sbalorditivo con pitture di Giuseppe Alberti (1640-1716), statue ed elementi plastici dello scultore trentino Paul Strudel (1648-1708) e stucchi di Girolamo Aliprandi della Valle d’Intelvi. Purtroppo molte di queste decorazioni sono state rimosse nel restauro del 1843-1845 per smorzare l’aspetto vistosamente barocco della cappella, probabilmente poco apprezzato dalla curia vescovile dell’epoca. Per fortuna gli stucchi che ornavano la cappella non sono andati tutti persi, alcuni di questi oggi decorano l’altare che contiene il Complesso scultoreo del Crocifisso.
La decorazione pittorica di Giuseppe Alberti prevedeva otto Episodi Biblici affrescati nella cupola, scelti per le loro connessioni con il tema della Crocifissione e della salvezza; a questi fanno seguito, più in basso, sulle pareti del tamburo, cinque Scene della Passione e, nei pennacchi, la raffigurazione allegorica di Quattro Virtù, le virtù esercitate da Cristo nel suo sacrificio. A questo tema si legano le rappresentazione delle tele laterali della cappella che raffigurano l’Adorazione dei pastori e la Resurrezione, opere di pittura barocca del bavarese Carlo Loth. Entro l’altare, infine, il rilievo di Adamo ed Eva davanti all’Albero del bene e del male che allude al Peccato originale (la causa del sacrificio di Cristo), le statue della Maddalena e della Veronica (oggi sistemate davanti all’ingresso della cappella) nonché le rappresentazioni dell’Arma Christi che evocano in termini diretti la Passione.
Questo complesso programma iconografico è stato pensato per esaltare la Crocifissione del Concilio di Trento, un’opera imponente con i suoi 218 cm di altezza, e dalla forte drammaticità, tanto da poterla ritenere tra le più tragiche rappresentazioni della morte di Cristo in croce. La scultura è di un artista tedesco, Sixtus Frei da Norimberga, che realizzò la scultura dopo il 1511, quando arrivò nel capoluogo trentino, in legno dipinto di stile tardogotico, dove ogni dettaglio è stato studiato per trasmettere il dolore di Cristo in croce e la tristezza dei due dolenti, Maria Addolorata e San Giovanni apostolo. Il Cristo con i capelli che cadono in disordine, le sopracciglia che si inarcano sulla fronte corrugata, gli occhi che fuoriescono dalle occhiaie incavate e la bocca semi aperta accentuano la sofferenza del figlio di Dio. Una sofferenza che viene amplificata dall’ossatura della cassa toracica, dove si intravedono le costole, da una ferita che mostra il sangue abbondante e dai chiodi che fissano il corpo alla croce. I due dolenti, Maria e Giovanni, sono raffigurati in ricchi panneggi ed entrambi evitano di guardare il Crocefisso, come a voler rifuggire dal guardare lo spettacolo drammatico del Cristo morente.
Il Crocifisso del Concilio è inserito in una delle opere più belle del Duomo di Trento, un altare realizzato in pietra e marmo con sculture e decorazioni dalla forte carica simbolica (figura 1). In primis i due Angeli di Paul Strudel sistemati sul timpano spezzato dell’altare e scolpiti in ginocchio, in morbidi panneggi, che tengono la lancia con cui venne trafitto il costato di Cristo, e la spugna, con cui i soldati gli diedero da bere aceto. Gli Angioletti esultanti che chiudono in alto l’altare, sorreggono uno striscione marmoreo che riporta la scritta: “Unde mors oriebatur inde vita resurgit” ovvero “Dalla morte è venuta la vita” (figura 1).
Inserita tra le colonne dell’altare vi è una delle sculture più belle della cappella, l’Arma Christi di Giuseppe Aliprandi, ovvero l’insieme dei simboli che si riferiscono alla Passione di Gesù. Tra le colonne di sinistra troviamo gli elementi che ricordano la notte in cui Cristo è stato tradito dal discepolo Giuda: il gallo, la sacca dei denari, una fiaccola, una coppa, un elmo, il guanto di un soldato, un pugnale, una lanterna, una veste e una spada. Tra le colonne di destra gli oggetti che ricordano la condanna, le torture e la crocifissione: alcuni flagelli, una brocca, uno scudo, dei fastelli di verghe, l’iscrizione INRI, un’ascia, un martello e la veste coi dadi. Infine inquadra l’edicola della Crocifissione uno straordinario fregio in pietra scolpito da Paul Strudel con l’intenzione di alludere all’albero da cui fu ricavato il legno della croce; l’artista scolpisce un tronco ricoperto di foglie e in alto lo conclude con una corona di spine (figura 3).
Chiude il tutto, nel timpano spezzato dell’altare, la scultura di Adamo ed Eva davanti all’albero del Bene e del Male che rappresenta l’albero del Paradiso terrestre e il peccato dei progenitori vinto da Gesù che morì sulla croce.
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