A cura di Giovanni d’Introno
CENNI STORICI
La Basilica di Santa Caterina d’Alessandria a Galatina, piccolo comune in provincia di Lecce, può essere considerata la “Cappella Sistina del Salento” per i suoi affreschi del XV secolo.
La realizzazione dell’edificio sacro risale alla fine del XIV secolo grazie alla volontà di Raimondello Orsini del Balzo, figlio cadetto di Niccolò Orsini, duca di Nola, che acquisì il titolo di principe di Taranto [0], sua città natia, combattendo al fianco dei Cavalieri Teutonici in Prussia; nel 1385 sposò Maria d’Enghein, contessa di Lecce, ed ebbe un figlio, Giovanni Antonio Orsini del Balzo.
La chiesa fu consacrata a Santa Caterina d’Alessandria, santa orientale salvata dal supplizio della ruota, per via dell’estrema devozione ad essa di Raimondello, il quale si recò nel monastero dedicato alla santa sul monte Sinai al termine delle sue spedizioni in Terra Santa, e, secondo la leggenda, strappò con un morso un dito della mano della santa e lo portò con sé nel Salento; tale reliquia ancora oggi è custodita nella chiesa e venerata dai fedeli.
Grazie ad una serie di documenti è possibile ricostruire le vicende che segnarono la nascita e l’evoluzione di questo grandioso edificio: come terminus ante quem possediamo la bolla del 25 marzo 1385, inviata da papa Urbano VI, con la quale il pontefice dimostrava il suo assenso alla continuazione dei lavori della nuova chiesa di rito latino in un territorio legato al culto greco-bizantino, affinché in esso confluisse la fede cattolica e si rispondesse alle esigenze di coloro che riconoscevano l’autorità papale. Inoltre, con un’altra bolla, il pontefice suggeriva che fossero i francescani conventuali a guidare le anime dei fedeli, perciò ne seguì l’edificazione di un monastero, necessario ad ospitare i cenobiti, e di un ospedale adibito alle cure dei malati indigenti. I riformatori della regola di San Francesco furono però soppiantati dai francescani osservanti della Vicaria di Bosnia su richiesta di papa Bonifacio IX con la bolla del 30 agosto 1391, anno in cui potevano dirsi completati i lavori di costruzione dei vari fabbricati. Fu lo stesso Bonifacio IX qualche anno dopo a porre alla dipendenza della Sede Apostolica il complesso di Santa Caterina il 26 aprile del 1403, lasciando il diritto di patronato ai mecenati del monumentale edificio. Infine, nel 1494, i monaci olivetani di Pienza ricevettero la gestione dell’edificio.
ESTERNO
La facciata (fig.1) presenta un disegno tricuspidato ed è dotata di tre portali: quello maggiore si trova in corrispondenza della navata centrale, i portali laterali invece collimano con gli ambulatori che separano le navate minori da quella centrale. L’archivolto e gli stipiti dei portali sono in pietra leccese e sono decorati con elementi zoomorfi e vegetali: ciascun portale laterale è sormontato da un oculo, mentre il portale centrale è fornito di protiro (fig.2) composto da due leoni stilofori su cui si ergono due colonnine corredate di pulvino, su cui poggiano due grifi, e al vertice del protiro è scolpita l’immagine di Cristo in pietà (fig.3); sull’architrave è impressa l’immagine di Cristo in trono con i suoi dodici apostoli (fig.4). Sull’epistilio del portale di destra è incisa un’iscrizione di greco purtroppo indecifrabile, mentre su quello di sinistra è riportata la data che segnò la fine dei lavori, 1391.
Al di sopra della cornice marcapiano vi è il grande rosone, anch’esso con ornati in pietra leccese, con dodici raggi, nel cui disco centrale in vetro colorato compaiono gli stemmi degli Angiò e degli Enghien-Brienne, la casata della moglie di Raimondello. Al vertice della cuspide centrale svetta la croce, mentre ai lati sono collocati due acroteri raffiguranti San Paolo e San Francesco.
I contorni delle cuspidi sono rifiniti con una serie di archetti pensili trilobati.
INTERNO
Di pianta basilicale, l’edificio sacro è diviso in tre navate, tutte e tre terminanti con un’abside ed intervallate da due ambulatori con arcate a sesto acuto (fig.5), al di sopra delle quali corre il claristorio: la navata centrale (fig.6) è composta da tre campate, ciascuna sovrastata da volte a crociera costolonate: i costoloni partono da pilastri polistili addossati alle pareti dei corridoi che separano le tre navate; su sette semicolonne, soltanto tre sono dotate di capitelli, ciascuno finemente decorato con motivi zoomorfi, come uccelli e leoni, distribuiti tra elementi fitomorfi, come viticci e foglie ricurve, ma compaiono anche volti umani. Il presbiterio è sopraelevato rispetto al piano di calpestio della chiesa e presenta quattro pilastri, di cui due sorreggono l’arco trionfale e due invece sono la base di un arco a sesto acuto che separa la zona presbiteriale dal coro. Quest’ultimo fu aggiunto alla struttura dal figlio di Raimondello nel 1460. È un’area ottagonale, nei cui angoli sono stati inseriti pilastri a fascio, sia all’interno sia all’esterno, composti da tre semicolonne che inquadrano cinque finestroni strombati da cui penetra la luce. Anche in questo caso la volta è a crociera con costoloni che scaricano il loro peso sui pilastri prima citati.
All’interno di questo spazio, oltre al monumento sepolcrale di Raimondello (fig.7), vi è il maestoso cenotafio di Giovanni Antonio Orsini Del Balzo (fig.8), di gusto prettamente gotico, composto dalle seguenti parti: quella inferiore è formata da quattro leoni stilofori su ciascuno dei quali si innesta una colonna ottagonale il cui capitello presenta elementi vegetali; sulle quattro colonne è adagiata la scultura raffigurante il committente in abiti francescani, con due angeli che reggono a destra e sinistra le cortine della camera funeraria, sulla quale è collocato un baldacchino. Sono abbastanza chiari i richiami ai grandi monumenti sepolcrali antecedenti a questo, come quello realizzato da Arnolfo di Cambio per il cardinale Guglielmo De Braye a Orvieto nel XIII secolo o quelli realizzati da Tino da Camaino per Riccardo Petroni a Siena e per Caterina d’Austria a Napoli nel XIV secolo.
GLI AFFRESCHI
Maria d’Enghien, dopo la morte del marito Raimondello Orsini Del Balzo, avvenuta nel 1406, andò in sposa al sovrano Ladislao I di Napoli, della casata d’Angiò-Durazzo. Fu proprio in qualità di regina che commissionò la realizzazione dei magnifici cicli pittorici che ricoprono quasi tutte le pareti e le volte dell’edificio ecclesiastico, opere di cui si dirà diffusamente nel prossimo articolo.
Note:
(0) Il titolo completo era principe di Taranto, duca di Bari e Benevento, conte di Soleto e Lecce, gonfaloniere della chiesa dal 1381 sotto papa Urbano VI.
Bibliografia
Montinari e A, Antonaci, “Storia di Galatina”, Editrice Salentina, Galatina, 1972
Teodoro Presta, “La Basilica Orsiniana Santa Caterina in Galatina”, Stringa Editore, Avegno, 1984
Sitografia
http://www.treccani.it/enciclopedia/orsini-del-balzo-raimondo_(Dizionario-Biografico)/
https://www.basilicaorsiniana.it/la-storia/
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