Recensione mostra “La regione delle madri. I paesaggi di Osvaldo Licini” a cura di Matilde Lanciani
INTRODUZIONE
“Ti scrivo dalle viscere della terra, la regione delle madri forse, dove sono disceso per conservare incolumi alcuni valori immateriali, non convertibili, certo, che appartengono al dominio dello spirito umano. In questa profondità ancora verde, la landa dell’originario forse, io cercherò di recuperare il segreto primitivo del nostro significato nel cosmo. Cessato il pericolo, non dubitate, riapparirò in superficie con la ‘diafanità sovra essenziale’ e ‘senza ombra’. Solo allora potrò mostrarti le mie prede: i segni rari che non hanno nome; alfabeti e scritture enigmatiche; rappresentazioni totemiche, che solo tu con la tua scienza potrai decifrare”.
La mostra “La regione delle madri. I paesaggi di Osvaldo Licini”, aperta dal 25 luglio all’8 dicembre 2020, celebra l’artista ed il comune di Monte Vidon Corrado, sua terra natale. Con queste parole, che l’artista scrisse in una lettera del 1° febbraio 1941 all’amico Franco Ciliberti, è possibile rievocare la profondità interiore della sua arte. Esponente dell’astrattismo novecentesco, rimase sempre intensamente legato alle sue origini marchigiane, tanto da stabilirsi proprio a Monte Vidon Corrado insieme alla moglie Nanny Hellström, conosciuta a Parigi nel Café du Dôme.
La collezione comprende 90 oli e 30 disegni, di cui 33 del periodo figurativo degli anni ‘20, 9 dipinti astratti degli anni ’30 e i restanti degli anni ’40-’50, provenienti da importanti collezioni come il Museo Novecento di Firenze, il Museo d’Arte Contemporanea di Ca’Pesaro a Venezia, il Centre Pompidou di Parigi, la Galleria d’Arte Contemporanea di Ascoli Piceno, il Museo Palazzo Ricci di Macerata, il Museo Civico di Palazzo Chiericati di Vicenza, il Museo Civico Città di Monclavo e da collezionisti privati. Alcune delle opere non sono state mai esposte prima come ad esempio Paesaggio italiano (1921) del Centre Pompidou, Studio per angelo su fondo giallo (1956), Personaggio della collezione M.Carpi, e Colline marchigiane (1926) del Comune di Moncalvo.
BIOGRAFIA DI OSVALDO LICINI
Osvaldo Licini nacque a Monte Vidon Corrado nel 1894 da una famiglia di “contadini proprietari” come dichiarò l’artista nel questionario per riprodurre le sue opere nella collana “Arte Moderna Italiana” predisposto dall’editore Scheiwiller nel 1929. Ben presto i suoi genitori, portando con loro solo la sorella di due anni più piccola, Esmeralda, lasciarono le Marche per recarsi nella Ville Lumière. Il talento di Osvaldo fu dunque lasciato alle cure del nonno Filippo, che lo indirizzerò presso l’Accademia di Bologna cogliendo da subito le sue doti artistiche con molta sensibilità. Durante le estati Licini tornò nel luogo natale e compose nel 1913 i “Racconti di Bruto”, opera letteraria di ispirazione simbolista, successivamente si iscrisse all’Accademia di Firenze ma fu chiamato alle armi interrompendo gli studi. Passò un periodo tra la Francia e le Marche, dal 1917 al 1926, durante il quale espose le sue opere al Salon d’Automne, al Salon des Indépendent e alle Cloiserie de Lilas, frequentando il Caffè di Montparnasse dove ebbe modo di venire a contatto con alcuni degli artisti più importanti del suo tempo (Picasso, Modigliani, Cocteau, insomma tutto l’ambiente effervescente parigino) e dove coltivò le amicizie del circolo fermano dei fratelli Catalini e Arcuto Vitali.
Incontrò nel 1925 Nanny Hellström, pittrice di Göteborg che studiava all’Académie Julian e seguiva le lezioni di André Lothe, con la quale si fidanzò e si trasferì proprio a Monte Vidon Corrado nel 1926, dove i due si sposarono e condivisero il clima di arcaica naturalità.
La sua produzione è caratterizzata dalla rappresentazione del paesaggio marchigiano en plain air in chiave interiore e può essere suddivisa in tre fasi distinte: il figurativismo degli anni ’20, l’astrazione geometrica degli anni ’30 e le creature fantastiche degli anni ’40.
LA PAROLA ALLA CURATRICE DELLA MOSTRA “LA REGIONE DELLE MADRI”, DANIELA SIMONI
– Osvaldo Licini. Qual è il suo legame con le Marche e da cosa è nata l’idea, come avete pensato alla realizzazione della mostra?
Daniela Simoni: “Il Polo Licini è formato dal Centro Studi, che è un centro di documentazione con una biblioteca specializzata, e dalla Casa Museo, dove l’artista è vissuto ed è morto che è stata restaurata, acquisita dal comune ed aperta al pubblico dal 2013. La mostra quindi rientra nelle attività svolte dal Centro Studi, sia in sede che all’esterno, come nel caso della collaborazione esterna all’ultima mostra del Guggenheim di Venezia curata da Luca Massimo Barbero.
La mostra “La regione delle madri” nasce dopo il successo di Venezia, e la regione Marche ha deciso di scegliere il suo paese natale. Una mostra ad hoc per questo luogo, una mostra dei paesaggi di Licini, nella sua casa, è possibile solo qui. Una casa dalla quale ha guardato quel paesaggio e si è lasciato ispirare e che costituisce un inevitabile legame tra contenuto e contenitore”.
Continua la curatrice: “Nonostante avesse numerose altre opportunità Licini ha deciso di rimanere a vivere a Monte Vidon Corrado, dove era nato nel 1894: la sua famiglia, infatti, si trasferì a Parigi quando era piccolo e lui rimase qui con il nonno Filippo, contadino abbastanza colto per il tempo, perito agronomo, il quale capì le sue inclinazioni e lo indirizzò agli studi artistici. “Conosce poi la pittrice Nanny e vengono a vivere qui: la dimensione leopardiana silenziosa era il suo habitat naturale per creare. Ispirazione costante tratta dal paesaggio, proprio come Cézanne che era suo riferimento, ma al contempo una riflessione intellettuale continua, un paesaggio che non è mai solo realistico ma interiorizzato e sublimato.
-Per quanto concerne le fasi di strutturazione della mostra invece come è pensata a livello di percorso e di andamento?
“La mostra è articolata nelle due sedi, divisa in due parti, con 9 sezioni – spiega Simoni – La prima sezione nel Centro Studi è quella dedicata ai dipinti figurativi. Licini lavora per serie: Monte Falcone, Appennino, Massa Fermana, Servigliano. Quelle vedute diventano come Sainte-Victoire per Cézanne. Per questa prima sezione l’allestimento è giocato sul verde, quindi sulla naturalità.
La seconda parte è allestita al pianterreno e simboleggia il passaggio alla fase geometrico-astratta e poi alla genesi delle creature fantastiche. Ogni sezione si apre con un dipinto figurativo. Il Birolli ha definito la sua una temporalità circolare: non c’è cronologia rettilinea, Licini riprendeva le opere e si metteva sempre in discussione. Lui ritorna sui temi e sulla struttura compositiva delle opere. Nell’ultima parte, nella cantina, nelle cosiddette “viscere della terra”, troviamo la dimensione siderea con gli Angeli Ribelli, le Amalassunte, gli Olandesi Volanti.”.
“Lo svolgimento è cronologico ma anche tematico. Abbiamo enfatizzato il “ritornare”, la circolarità. Volevamo far comprendere al visitatore il titolo “La regione delle madri”. Infatti Licini, alla fine degli anni ‘30, poco prima dello scoppio della seconda guerra mondiale, si chiude a Monte Vidon Corrado e ha contatti epistolari con gli intellettuali, non espone in questo periodo per lutto – specifica la curatrice -Contemporaneamente aderisce al primordialismo, movimento fondato da Franco Ciliberti, filosofo comasco, che aveva come scopo capire l’origine della civiltà contemporanea attraverso la metafisica spiritualistica, capire l’origine delle religioni, insomma la dimensione aurorale della civiltà. Licini trova a Monte Vidon Corrado lo specchio di ciò”.
IL PERCORSO DELLA MOSTRA “LA REGIONE DELLE MADRI”
La mostra “La regione delle madri. I paesaggi di Osvaldo Licini” si colloca nella prima sezione all’interno del Centro Studi, adiacente alla Casa-Museo, dove è possibile ammirare una serie di paesaggi (Fig. 1, 2 e 3), italiani e non, in cui traspare tutto l’amore dell’artista per la natura e soprattutto per la sua terra natale e per la sua regione di origine, dove sembra davvero aver trovato la chiave della sua ricerca teorica sul significato dell’esistenza.
La seconda sezione, all’interno della Casa-Museo (Fig.4 ) dove visse l’autore, è caratterizzata da una sorta di riassunto delle due fasi dell’autore, rispettivamente figurativa degli anni ’20 e astratta degli anni ’30. Il passaggio tra questi due periodi è sancito inevitabilmente dalle esperienze francesi ed è presagito in opere come Paesaggio marchigiano del 1925 (Fig.5) o in Studio per archipittura (1935-36) (Fig.6), rielaborato in Archipittura del 1936 con elementi irregolari, asimmetrici e decentrati e con la caratteristica dicotomia tra alto-basso, cielo-terra. L’inclinazione delle sue composizioni deriva sicuramente dal paesaggio collinare di Monte Vidon Corrado, i piani obliqui su cui sono giocate le sue opere sono evidenti in Paesaggio in grigio del 1925 (Fig.7), Il Bilico del 1933 (Fig.8) o Uccello n.4 (1932), quest’ultima con il tema del volo a sua volta anticipatore di quelle che saranno poi le creature fantastiche.
Dal paesaggio, sempre punto di partenza, dopo l’adesione al movimento dei primordiali, si sviluppano i temi fantastici come in Personaggio nella luna (Fig.9) detto anche Olandese Volante o Barone di Münchausen o ancora Bocca, di eco surrealista. Un’estensione del paesaggio in chiave primordialista è anche L’Uomo di neve (Fig.10) accompagnato da Omaggio a Cavalcanti (Fig. 11).
Nella cantina della Casa-Museo, dove si conclude il percorso della mostra “La regione delle madri”, troviamo alcune delle opere appartenenti proprio a questa dimensione legata al senso dell’origine, con uno sguardo sulla natura dominato da antropomorfismo ed erotizzazione del paesaggio. In Paesaggio fantastico (Il capro) (Fig.12) lo sguardo dell’artista si identifica con quello dell’animale protagonista e con lo spettatore stesso, forse il monte raffigurato allude al monte Corno, del gruppo del Gran Sasso o ancora al monte Sibilla, legato alla dimensione infera, notturna e profetica del capro stesso. L’Eros come motore del mondo è tema ereditato dal surrealismo, espresso in maniera molto evocativa nelle opere come le Amalassunte e gli Angeli ribelli (Fig.13 e 14).
Il legame con la natura e l’abbandono ad essa, invece, appare evidente, in Marina (Fig.15) del 1922, un dinamico paesaggio francese eseguito con una pennellata vivace ad arabesco. Numeri e lettere appaiono e scompaiono nei dipinti dell’artista: “La natura sfuggirà sempre ai nostri calcoli”, aveva scritto Licini in “Natura di un discorso”.
Ancora l’artista scriveva nella “Lettera aperta al Milione” del 1935: “Dubitare non è una debolezza, ma un lavoro di forza, come forgiare, ha detto Cartesio”. Ciò si evince dai suoi disegni e bozzetti (Fig.16), dallo studio che ritorna ciclicamente a porre il focus sugli elementi già trattati per indagarli ancora, per migliorarne l’espressione e renderla ancora più intensa. I suoi disegni vengono accostati da Licini stesso alla poesia ermetica, ad un simbolismo criptico denso di significati allegorici. I supporti vanno dai blocchi da disegno a inviti di mostre, a tabelle stampate sino a lettere, pagine di libri e copertine di riviste.
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