A cura di Fabio d’Ovidio
Genesi di una raccolta
L’importante collezione di stampe e pitture ukiyo-e presenti nell’attuale museo di arte orientale di Genova, intitolato a Edoardo Chiossone (Arenzano 1933 – Tokyo 1898) andò costituendosi, assieme all’intero patrimonio di questo ente, in un arco temporale di circa 23 anni (1875-1898), grazie proprio alla sua importante figura.
Chiossone, formatosi come incisore presso l’Accademia Ligustica di belle arti ed esperto nel settore dell’incisione e delle stampe delle carte valori, si trasferì nell’attuale capitale giapponese su diretto invito del governo stesso durante la restaurazione Meiji, al fine di presiedere alla direzione della nuova Officina Carte e Valori del Ministero delle Finanze; qui lavorò fino al pensionamento nel 1891, e rimase nel paese del Sol levante fino alla morte. Oltre allo svolgimento di questo compito, si occupò personalmente di realizzare le filigrane per banconote, francobolli, obbligazioni e titoli di stato che conferirono una precisa identità all’intero mondo della finanza in Giappone.
Il periodo storico in cui Edoardo Chiossone visse in Giappone si colloca cronologicamente tra il 1867 e il 1912, in un momento cruciale per la storia di questa nazione. Dopo il declino della famiglia Tokugawa a capo dello shogunato – che amministrò politicamente il Giappone tra 1603 e 1867 – il nuovo governo capì che per entrare in competizione industriale, tecnologica e finanziaria con le principali potenze occidentali, doveva aggiornarsi prendendo a modello quelle stesse potenze; per fare questo vennero chiamati da tutto il mondo studiosi occidentali, specializzati in vari settori, noti con il nome di Oyatoi gaikokujin (onorevoli stranieri noleggiati), con il fine di trasformare l’impero giapponese da un paese agricolo-feudale ad uno industrializzato. In realtà, l’apertura del Giappone al mondo occidentale era avvenuta a metà Ottocento, quando l’ammiraglio statiunitense Perry nel 1853 aveva obbligato il Paese a tale apertura, pena il bombardamento via mare della baia di Edo (la futura Tokyo, sede allora del governo shogunale): in seguito a questo evento si verificarono le firme di alcuni trattati con Olanda, Francia, Gran Bretagna, USA e Russia.
L’intera raccolta del museo fu inizialmente regalata attraverso testamento all’accademia di belle Arti della città di Genova, affinché l’intero patrimonio raccolto da Chiossone fosse esposto e reso accessibile al pubblico.
Tralasciando tutti i bronzi, le lacche, le stoffe, i libri e le armi esposti, le stampe e le pitture ukiyo-e appartenenti ai periodi Edo e Meiji costituiscono la più importante collezione di questo tipo presente sul suolo italiano; inoltre questa raccolta di opere figurative è conosciuta nel mondo come una tra le più corpose di esemplari antichi e rari in ottimo stato di conservazione, selezionati da Edoardo Chiossone stesso grazie alla sua conoscenza in campo grafico.
Sotto il profilo iconografico, l’intero insieme di stampe e dipinti qui presenti abbracciano l’intero corpus di soggetti e temi raffigurati, andando così a testimoniare e a ricostruire tutte le tappe dell’evoluzione stilistica di questo particolare linguaggio artistico tra la metà del XVII secolo sino alla fine del XIX.
Per formare questa collezione l’incisore genovese si appoggiò e sfruttò la conoscenza del pittore Kawanabe Kyosai (1831-1889), il quale raccoglieva in sé non solo l’eredità della scuola classica di pittura Kano, ma anche quello della scuola ukiyo-e tramandatogli da Utagawa Kuniyoshi (1798-1861), che seppe indirizzarlo nell’acquisto delle differenti opere d’arte oggi presenti a Genova.
Storia del museo e delle sue sedi
Non appena l’intera collezione che Edoardo Chiossone aveva raccolto durante il suo periodo in Giappone raggiunse la città di Genova, nel 1905, trovò sistemazione al piano nobile della sede dell’Accademia di belle Arti. Durante questo periodo venivano esposti in maniera permanente circa 150 dipinti ukiyo-e e decine di stampe dei principali artisti di questo movimento.
Seguendo le condizioni che Chiossone aveva inserito nel proprio testamento in merito all’esposizione di questa raccolta, il comune del capoluogo Ligure nel 1948 approvò la progettazione e costruzione di una sede ad hoc stabile e definitiva per raccogliere il museo. L’area ad esso dedicata venne rintracciata all’interno del parco cittadino dove sorge villetta Di Negro, una residenza ancora presente in città, ma inagibile a causa dei bombardamenti subiti durante la Seconda Guerra Mondiale. L’edificio, ideato dall’architetto Mario Labò, venne costruito nel corso di tutti gli anni ’50 e ’60, per poi essere inaugurato nel maggio 1971. Sotto un profilo meramente estetico il complesso museale presenta una struttura di gusto razionalista con all’interno un grande piano terreno rettangolare da cui si innalzano cinque gallerie a sbalzo che seguono la lunghezza dei due lati maggiori dell’edificio.
Nell’esposizione del piano terreno sono presenti una serie di grandi statue in bronzo, fuso a cera persa, che raffigurano un Buddha nella posizione del loto, un karashishi (animale mitico della tradizione orientale, dalle forme canine, protettore delle abitazioni), e un gruppo di gru.
Nelle prime quattro gallerie, conservati in teche, si trovano una serie di manufatti e prodotti artistici dell’Asia orientale: specchi, statue raffiguranti il Buddha storico in differenti posizioni dello yoga e realizzate in differenti materiali, maschere del teatro classico dei no armature complete da guerrieri samurai, servizi da tè e armi.
Nell’ultima galleria invece sono presenti teche che sovente sono vuote: questo non è dovuto ad una dimenticanza dei vari curatori nell’esposizione delle opere presenti né ad una penuria di oggetti, quanto al fatto che queste teche servono per accogliere le punte di diamante della collezione, ovvero i dipinti e le stampe che per motivi di conservazione posso essere esposti circa 60 giorni in 2 anni, a temperatura, umidità e luce controllata onde evitare che le singole opere si danneggino, anche perché sono per natura sprovviste di una cornice – in senso occidentale – di supporto. Questa particolare procedura espositiva non è solo dettata da motivazioni di conservazione artistica, ma anche dalla modalità tradizionale con cui i giapponesi espongono le proprie opere d’arte: questi infatti – a differenza degli occidentali che espongono le opere in maniera perpetua – decidono a seconda del periodo dell’anno di esporre determinate opere e di celarne altre, che vengono riposte in appositi contenitori conservati in stanze estremamente sicure.
Katsushika Hokusai (1760-1849): biografia e opere
Hokusai, grazie alla fama di cui gode in Occidente, merita di essere inserito nel novero dei maggiori pittori della storia dell’arte mondiale. Condusse la sua esistenza e la sua attività artistica prevalentemente nella capitale amministrativo/shogunale Edo (oggi Tokyo). Venne introdotto al mondo della cultura borghese da Katsukawa Shunsho, ma si ritiene abbia anche frequentato gli atelier di altri artisti ukiyo-e. Durante la sua attività artistica realizzò migliaia di opere impiegando tecniche differenti: xilografia, disegno, pittura, grafica editoriale e manualistica per artigiani e futuri pittori. Il suo operato ha dato origine a composizioni innovative, e i suoi colori hanno una risonanza non solo tra gli artisti nipponici a lui successivi, ma anche tra quelli occidentali: nei decenni dopo la sua morte – complice anche l’apertura del Giappone alle potenze Occidentali – si assistette in tutta Europa alla moda del giapponismo al punto tale che molti artisti, soprattutto impressionisti, collezionarono stampe giapponesi o ne eseguirono copie pittoriche (vedere tra gli altri Van Gogh).
Hokusai, che significa Atelier del Nord, non è il suo vero nome ma l’artista iniziò ad impiegarlo dal 1796, il che dimostra, con gli altri nomi da lui impiegati, un’immensa devozione al culto dell’Orsa Minore. Nel corso dei suoi 90 anni di vita, l’artista scelse di assumere nomi diversi, al fine di rimarcare le differenti fasi del suo operato e del suo linguaggio artistico. Sebbene nel corso della sua vita cambiò oltre 120 nomi circa, la critica ha stabilito per convenzione di suddividere la sua produzione attorno a soli sei.
Il nome impiegato per indicare l’artista durante la produzione giovanile e la sua formazione sotto Katsukawa Shunsho è Shunro (1778-1795) che significa splendore di primavera. A questa prima fase risalgono le stampe che hanno come soggetti gli attori kabuki[1] e le cortigiane di Yoshiwara[2].
Dopo la morte del maestro, l’artista decise nel biennio 1795-1797 di assumere il nome di Sori Hokusai: durante questi due anni, Hokusai iniziò a frequentare sempre più assiduamente i circoli letterari di Edo. Sotto il profilo artistico incominciò ad eseguire illustrazioni per antologie diverse e stampe per una cerchia di clienti raffinata, colta e sensibile. In queste opere, l’artista cominciò ad esprimere un proprio stile originale, al punto che la sua produzione iniziò ad essere tenuta in gran conto dagli ambienti letterari e soprattutto dai poeti.
Dal 1798 al 1805 l’artista prese il nome di Katsushika Hokusai. A cavallo tra i due secoli, continuò con la produzione di opere che avevano segnato la fase precedente. Maturò nuove esperienze ed interessi tra cui il gusto per l’eccentrico e per le tecniche di rappresentazione dello spazio usate in Occidente, come la prospettiva geometrico-lineare. Al 1804 risale la pubblicazione della serie di stampe Le 53 stazioni del Tokaido: con quest’opera si affermò in maniera definitiva e univoca la fama della sua arte al grande pubblico.
In tutto il terzo decennio del XIX secolo (1810-1820) Hokusai è noto come Katsushika Taito. Questi furono gli anni in cui si dedicò principalmente alla manualistica, tra le varie pubblicazioni si possono citare le Istruzioni per disegni rapidi e il primo dei dodici volumi del Manga (1819), una vera e propria enciclopedia dedicata al disegno, l’ultimo volume sarà edito nel 1832.
Nei 14 anni successivi (1820-1834) assunse il nome di Iitsu (nuovamente uno), a manifestare un totale rinnovamento. Questa fase è ricchissima di opere rilevanti, tra queste la serie delle Trentasei vedute del monte Fuji (di cui fa parte la Grande Onda 1830-1832).
Negli ultimi 15 anni della sua vita, si fece chiamare Gakyorojin Manji (Il vecchio pazzo per la pittura). A questo fase è datata l’edizione in tre volumi delle Cento vedute del monte Fuji (1835-1847/1849).
Note
[1] Il kabuki è il teatro borghese, nato nel corso del ‘600 e avente come soggetto l’esaltazione della vita dei borghesi.
[2] Yoshiwara era il quartiere dei piaceri della capitale amministrativo-shogunale Edo. Il termine cortigiana è un false friend, non indica una donna di corte, ma una prostituta; solitamente con questo termine si fa riferimento ad una prostituta colta in grado di intrattenere il proprio cliente non solo sessualmente, ma anche sotto un profilo intellettuale. Da non confondere assolutamente con geisha che era una mera intrattenitrice, sebbene anche loro spesso instaurassero con i loro clienti relazioni carnali.
Bibliografia
Donatella Failla, La rinascita della pittura giapponese. Vent’anni di restauri al museo Chiossone di Genova. Catalogo della mostra, Genova, 27 febbraio-29 giugno 2014
Donatella Failla, Dipinti e stampe del mondo fluttuante: capolavori Ukiyoe del Museo Chiossone di Genova, Genova 2005
Donatella Failla, Capolavori d’Arte Giapponese dal periodo Edo alla Modernizzazione. Catalogo della mostra. Genova, 25 Luglio 2001 – 16 Giugno 2002
Donatella Failla (a cura di) Edoardo Chiossone, un collezionista erudito nel Giappone Meiji. Catalogo mostra, Roma, 31 gennaio – 16 marzo 1996
Visite guidate presso il Museo Chiossone tenute dalla professoressa Donatella Failla, già curatrice del museo
Lezioni universitarie del corso Storia dell’arte dell’Asia orientale tenuto dalla professoressa Donatella Failla
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