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A cura di Marco Roversi

Introduzione: un monumento provinciale al servizio di Roma

“In onore dell’Imperatore Cesare Augusto, figlio del divino Cesare…” Così recita l’incipit della lunghissima iscrizione che campeggia sulla parte sommitale dell’Arco di Augusto a Susa, a oggi uno degli archi romani meglio conservati della nostra Penisola. La sua costruzione, dall’evidente intento celebrativo nei confronti del primo imperatore della storia di Roma antica, ossia Ottaviano Augusto (nato come Gaio Ottavio Turino, ma meglio noto come Caio Giulio Cesare Ottaviano Augusto, vissuto tra il 63 a.C. e il 14 d.C.), è attestata negli anni 9 e 8 a.C. con il fine di celebrare il foedus, ossia il patto di alleanza, stretto nel 13 a.C. fra Cozio, re celtico locale, e Augusto medesimo. L’occasione per l’alleanza avvenne allorquando Augusto, di ritorno dalle Gallie, si fermò nell’antica città di Segusium, l’odierna Susa (oggi città metropolitana di Torino), all’epoca un importante centro di snodo commerciale lungo la cosiddetta Via delle Gallie, snodo viario che dalla Gallia Cisalpina, l’attuale Pianura Padana, conduceva sino alle regioni d’oltralpe, ossia la Gallia Transalpina, l’odierna Francia.

Questa alleanza venne ad inserirsi in un periodo cruciale per il controllo politico e militare di Roma sulla regione. Con la morte di Cesare (44 a.C.), infatti, molte delle tribù galliche dell’area si erano sempre più distaccate dalla presenza romana e i rapporti fra latini e genti indigene si erano fatti sempre più difficili. Furono allora molte le tribù che si ribellarono all’autorità romana, andando incontro ad una durissima repressione militare, e molte delle rivolte furono stroncate nel sangue, ma ciò non accadde alle genti celtiche stanziate in Segusium, le quali, sotto la guida del loro re Donno prima, e di Marco Giulio Cozio poi, si guardarono bene dal ribellarsi all’autorità romana e dal bloccare alle legioni di Cesare Augusto l’accesso alla Via delle Gallie. Le genti di Cozio (figlio di Donno e detentore del doppio titolo di “Re dei Cozii delle tribù dei Liguri” e di “Praefectus Civitatis”, ossia di prefetto e cavaliere romano della regione omonima delle Alpi Cozie) furono dunque risparmiate, e in ricordo della passata alleanza e in onore della fedeltà a Roma venne così innalzato l’arco che ancora oggi possiamo ammirare, e alla cui cerimonia di inaugurazione presenziò lo stesso Augusto.

Fig. 1 – Veduta dell’arco e di parte del tratto viario che passava al di sotto del suo fornice.

L’Arco di Augusto: descrizione

Edificato lungo il tratto viario urbano della Via delle Gallie, anche nota come Via Cozia, l’arco si situa alla fine della “Via Sacra” che portava all’acropoli cittadina, il punto più alto e più sacro di tutti. Si trattava, dunque, di una posizione altamente strategica, il che rendeva questo monumento visibile a tutti coloro che passavano lungo tale tratto di strada, e ovviamente, anche al di sotto del suo enorme fornice. Architettonicamente, infatti, tale arco di ragguardevoli dimensioni (in quanto largo all’incirca 11 m e alto 13) si presenta come un classico arco trionfale ad unico fornice voltato a botte con cassettoni, a sua volta chiuso tra due lesene sormontate da capitelli in ordine corinzio. Tutto è possente, solido e maestoso, innalzato su due robusti basamenti in pietra grigia e realizzato con l’impiego di pietra esclusivamente locale, principalmente marmo estratto forse dalla vicina cava estrattiva di Foresto. Sui quattro angoli dell’intera struttura si innalzano ulteriori semicolonne corinzie a sostegno dell’intera trabeazione, su cui corre un lunghissimo fregio narrativo continuo che ha come soggetto i momenti salienti della stipulazione del trattato di pace fra Seguii e Romani. Al di sopra di quest’apparato figurativo, nell’attico, la parte sommitale dell’arco, campeggiava l’iscrizione dedicatoria in lettere di bronzo celate (ossia bronzo dorato) andate irrimediabilmente perdute; tuttavia è stato possibile ricostruire tale apparato epigrafico grazie all’analisi della posizione delle singole grappe metalliche che un tempo fissavano le singole lettere bronzee ai blocchi marmorei del monumento. Dal tono profondamente encomiastico l’iscrizione recitava:

“IMP • CAESARI • AVGVSTO • DIVI • F • PONTIFICI • MAXVMO • TRIBVNIC • POTESTATE • XV • IMP • XIII • M • IVLIVS • REGIS • DONNI • F • COTTIVS • PRAEFECTVS • CEIVITATIVM • QVAE • SVBSRCRIPATE • SVNT • SEGOVIORVM • SEGVSINORVM • BELACORVM • CATVRIGVM • MEDVLLORVM • TEBAVIORVM • ADANATIVM • SAVINCTATIVM • ECDINIORVM • VEAMINIORVM • VENISAMORVM • IEMERIORVM • VESVBIANORVM • QVADIATIVM • ET • CEIVITATES • QVAE • SVB • EO • PRAEFECTO • FVERVNT”

Fig. 2 – Particolare di ciò che rimane oggi dell’antica iscrizione in lettere bronzee su entrambi i lati lunghi dell’attico. Ben visibili sono ancora i segni lasciati dalle antiche lettere in bronzo dorato e dei fori di fissaggio delle grappe che fermavano le singole lettere sui blocchi marmorei della struttura.

Questa l’iscrizione in latino che si poteva leggere sul monumento, disposta all’interno della parte centrale dell’attico del monumento in quattro righe di testo, sia sul lato settentrionale che su quello meridionale. In essa si può cogliere con chiarezza l’atto della dedica dell’arco ad Augusto da parte di Cozio, citato come già insignito della carica di Praefectus Ceivitatium insieme alle 14 popolazioni che rispondevano localmente alla sua autorità. In traduzione si può leggere:

In onore dell’Imperatore Cesare Augusto, figlio del divino Cesare, Pontefice Massimo, investito della Potestà Tribunizia da quindici anni e Imperatore da tredici, da parte di Marco Giulio Cozio, figlio del re Donno, Prefetto delle popolazioni che sono qui elencate: Segovii, Segusini, Belaci, Caturigi, Medulli, Tebavi, Adanati, Savinctati, Ecdini, Veamini, Venisami, Imerii, Vesubiani, Quadiati e da parte delle popolazioni che furono sotto la sua prefettura”.

Si ritiene, infine, che come coronamento terminale della parte sommitale dell’arco vi fossero originariamente alcune immagini statuarie, probabilmente in bronzo, le quali, tuttavia, non sono mai state rinvenute e delle quali non abbiamo alcuna traccia descrittiva nemmeno nelle fonti documentarie.

Ben visibile rimane, invece, il rilievo figurato che corona la trabeazione. Nonostante alcune lacune e abrasioni, infatti, il fregio narrativo si presenta leggibile per intero sui lati nord, sud e sul lato breve occidentale, mentre su quello orientale rimane solo un piccolo tratto in prossima dell’angolo sud. Al pari dell’iscrizione, anche tale fregio ha un carattere altamente encomiastico: le scene sono tutte volte alla celebrazione e all’esaltazione della pace stretta con Roma e con Augusto, alla cui stipulazione partecipano personaggi sia locali sia romani, il tutto all’alto cospetto degli dei. Sui entrambi i lati lunghi sono così rappresentate due scene pressochè identiche, seppur con lievi differenze: soggetto vero e proprio è il solenne sacrificio compiuto per mano dello stesso Cozio innanzi agli alleati romani, con precisione l’atto sacrificale del suovetaurilia o solitaurilia, ossia del sacrificio di un maiale, di una pecora e poi di un toro, praticato per sancire solennemente la pace e per invocare su di essa la protezione divina.

Fig. 3 – Particolare della scena del sacrificio.

Sul lato breve occidentale è mostrato con attenta precisione descrittiva proprio l’atto della stipulazione del patto di pace: al centro della scena, ai lati di un’ara sacra centrale, vi sono due distinti personaggi togati, da un lato Cozio, dall’altro il generale romano nelle veci di Augusto; quest’ultimo è colto mentre abbraccia in concordia il Prefetto locale Cozio, il tutto tenendo stretto tra le mani un rotolo, verosimilmente la carta su cui venne scritto il vero e proprio trattato di pace. Concludono la scena ulteriori personaggi ai lati, sia magistrati romani, sia altri rappresentanti politici di entità locali sottoposte all’autorità di Cozio e della sua Segusium.

Sitografia

www.archeocarta.org

www.comune.susa.to.it

www.associazioneilponte.com

www.treccani.it

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