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A cura di Silvia Piffaretti

“Andate a vedere una cosa, guardatela a fondo, e questa cosa racconterà molto più di tante cose viste superficialmente, luna dopo laltra”.

Philippe Daverio

Con queste parole del noto critico appena scomparso ci si addentrerà nel Museo del Novecento di Milano, dove ad accogliere il visitatore è “Il Quarto Stato” del pittore divisionista Giuseppe Pellizza da Volpedo. La tela, acquistata dalla città nel 1921 attraverso una sottoscrizione pubblica, subì diverse vicissitudini e fu esposta nella Giunta di Palazzo Marino dove il suo culto venne esaltato da Corrado Maltese, che consacrò l’opera come il “monumento più alto che il movimento operaio abbia mai potuto vantare in Italia”. La nostra Costituzione dichiara che la Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro, così che ciascuno possa concorrere al progresso materiale o spirituale della società ed elevare la propria dignità, anche attraverso la cultura; a dimostrarcelo è lo stesso Pellizza.

Fig. 1 – Museo del Novecento, Milano. (www.milanopocket.it)

Il ritratto di un intellettuale

L’artista nacque nel 1868 a Volpedo, in provincia di Alessandria, da un’agiata famiglia di contadini che gli permise di apprendere i rudimenti del disegno. Pellizza fu avido di sapere tant’è che, non stancandosi mai di apprendere, frequentò le più importanti accademie italiane. L’animo dell’artista è ben sintetizzato nel suo “Autoritratto” (1899) degli Uffizi, in cui si dipinge come un intellettuale accompagnato dalla libreria e dai pennelli. Di quel quadro all’amico e critico Pica scriveva: “Bellezza, amore, vera vita, avvenire stanno del continuo a me davanti ed io mincammino, tranquillo in apparenza verso di loro sorretto dallarte, spalleggiato dalla sapienza antica e moderna, confortato dalla speranza”. Per Pica egli aveva l’indole del sognatore assorbito dalla sua arte che amava con passione sopra ogni cosa, l’artista inoltre sosteneva l’idea di un’arte per l’umanità legata ai temi sociali e che denunciasse lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Fig. 2 – Autoritratto, Giuseppe Pellizza da Volpedo, 1899, Uffizi. (www.pellizza.it).

“Il Quarto Stato”: il manifesto dei lavoratori

La genesi de “Il Quarto stato” iniziò nel 1898, anno di avvicinamento al divisionismo, in cui scrisse a Vittore Grubicy: “fra poco darò mano ad una vasta tela ove si disperderà pressochè tutta la mia energia” e “sarà il pennello soltanto a raccontare i miei sogni e le mie aspirazioni”. La tela nacque dall’osservazione di una protesta milanese di alcuni lavoratori che manifestarono contro la tassa sul pane, il re di allora diede l’ordine di intervenire e la rivolta fu sedata dal generale Bava-Beccaris che sparò coi cannoni sulla folla. Pellizza rimase colpito da tale episodio, ma invece di illustrarlo lo utilizzò per mandare un messaggio universale. Ne “Il Quarto Stato” realizzato con la tecnica divisionista, che considerava “il mezzo indispensabile per dar forma ai nostri sogni”, riuscì a convogliare il bagaglio realista della riproduzione del vero, una carica simbolista e i modelli rinascimentali con la consapevolezza moderna dei propri diritti civili.

In realtà l’artista già prima del 1898 aveva iniziato a lavorare sul medesimo tema: nel 1891 infatti incominciò il bozzetto degli “Ambasciatori della fame” (1892). Quest’ultimo rappresentava una folla in protesta guidata da tre contadini che, in primo piano, si incamminavano per rivendicare migliori condizioni economiche verso un’ombra rappresentante il palazzo dei proprietari terrieri-oppressori. Pellizza dichiarò che essi erano uomini, donne, vecchi e bambini che avevano molto sofferto e che reclamavano ciò che gli spettava con la ragione, non con la forza. Successivamente nel 1895 realizzò uno studio preliminare ad olio, collocato a Brera, dal titolo “La fiumana” (1895-96). Il titolo si riferiva alla fiumana creata dalla folla di lavoratori della terra, forti e determinati, che avanzavano non contro gli oppressori ma verso una strada che portava alla serenità, travolgendo ogni ostacolo. L’ombra in primo piano, presente nel bozzetto del 1892, scompariva e in favore di una donna con un bambino in braccio, espressione dell’umanità. L’artista ridonò così vitalità a un popolo che non era più “una natura morta, ma una massa vivente e palpitante, piena di speranze umili o di minacce oscure”.

 

Dopo una serie di studi preliminari Pellizza giunse alla realizzazione de “Il Quarto Stato” (1898-1901), dove una folla di braccianti serena e pacifica, nella piazza di Malaspina a Volpedo, avanzava da un cielo cupo verso una luce speranzosa. Il pittore, in una delle sue testimonianze scritte, aveva affermato: “non mi vergogno della macchia lasciata dal colore che è caduto sul mio abito così voi dovete farvi vanto delle mani callose e della fronte bagnata di sudore” poiché “chi sa provvedere il vitto per sé e per la famiglia col lavoro delle proprie braccia è veramente nobile”, furono proprio queste convinzioni che lo spinsero a rappresentare la nascita del proletariato.

In questa tela, inizialmente intitolata “Il cammino dei lavoratori”, rese la fiumana più tumultuosa e mise in rilievo la gestualità, proponendosi di raggiungere con le forme e i terrosi colori della povertà un’armonia parlante. In primo piano emergono tre figure, due uomini e una donna con un bambino in braccio. La donna a piedi nudi, che è un ritratto della moglie Teresa, invita i manifestanti a seguirla. L’uomo centrale rappresenta un intelligente lavoratore che avanza con fierezza, mentre tiene una mano nella cintola dei pantaloni e con l’altra regge la giacca adagiata sulla spalla. L’altro uomo sembra invece avanzare pensoso con la giacca sulla spalla sinistra, mentre sullo sfondo si stagliano il resto dei manifestanti che compiono con naturalezza diversi gesti.

 

 

I colleghi del pittore gli chiesero perché i lavoratori non innalzassero le braccia e le bandiere del partito; Pellizza rispose che “la coscienza della loro forza non li spinge allimprecazione, ormai essi vincono”. L’opera mostra che non c’era bisogno di manifestare con esagitazione e violenza, al contrario, con una forza calma i lavoratori affermavano la loro presenza nella storia. Una volta terminato, al quadro fu dato l’attuale titolo legato alla “Storia della rivoluzione francese” di Jean Jaurés, dove si sottolineava come accanto alla borghesia, ovvero il Terzo Stato, in Francia esistesse la componente proletaria del Quarto Stato.

La tela fu mostrata al pubblico per la prima volta alla Quadriennale di Torino del 1902, ma non ebbe alcun riconoscimento: Pellizza ne rimase talmente deluso da abbandonare i rapporti con molti letterati e artisti e, a seguito della morte della moglie, il 14 giugno 1907 si suicidò impiccandosi nel suo studio di Volpedo. Nonostante l’apparente insuccesso dell’opera, il poeta Giovanni Cena la ritenne “una cosa che resterà e che non ha paura del tempo, perché il tempo le gioverà, affermazione lungimirante e veritiera poiché ancora oggi costituisce uno dei più importanti simboli della lotta per i diritti dei lavoratori.

 

Bibliografia

Monica Vinardi, Studi e riscoperte. Immagini di repertorio, in Art Dossier, XIV, n.151, Dicembre

Michele Nani, Liliana Ellena, Marco Scavino, Il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo tra cultura e politica. Un’immagine e la sua fortuna, Edizioni Angolo Manzoni, 2002.

Sergio Momesso, Prima della pittura. La donna con il bambino del ‘Quarto Stato. Storia e restauro, Edizioni Prioritarie, Treviso, 2008.

Monica Vinardi, Pellizza da Volpedo e il Divisionismo, in Giuseppe Pellizza da Volpedo, a cura di A. Enrico, F. Maspes, Milano, 2018.

 

Sitografia

museodelnovecento.org

uffizi.it

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