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A cura di Francesco Surfaro

Introduzione

In questa seconda parte dedicata alle opere realizzate, tra 1566 e 1569, da Giorgio Vasari su commissione di papa Pio V Ghislieri per la chiesa conventuale di Santa Croce e Ognissanti a Bosco Marengo (AL) verranno arontate le problematiche legate alla genesi e alle ipotesi ricostruttive del perduto altare maggiore vasariano.

Giorgio Vasari: una nuova commissione per Santa Croce

Il 25 febbraio del 1567 Giorgio Vasari si recò alla volta della Città Eterna per sottoporre all’intransigente giudizio del papa regnante, Pio V Ghislieri, l’opera che quest’ultimo gli aveva commissionato all’inizio dell’estate precedente per una delle cappelle laterali dell’edificanda chiesa conventuale dei Padri Domenicani di Santa Croce e Ognissanti a Bosco Marengo: l’Adorazione dei Magi. Evidentemente soddisfatto del superbo lavoro eseguito il pontefice, approfittando della presenza del suo artista ufficiale nell’Urbe, gli richiese l’elaborazione di un progetto molto più articolato e ambizioso rispetto al precedente, stavolta non per una cappella laterale, ma per l’altare maggiore della medesima chiesa boschese il quale, con ogni probabilità, doveva essere stato meditato già da diverso tempo. È noto infatti che, già dal 1562, Ghislieri – all’epoca ancora porporato – aveva in mente di far innalzare un complesso monastico nel proprio borgo natio, pensato in origine non come una sorta di “cattedrale nel deserto” (sorge infatti fuori le mura civiche), quale poi rimase effettivamente al momento della sua dipartita, ma come il cuore pulsante di un nucleo cittadino di nuova fondazione che avrebbe dovuto inglobare i centri di Bosco e della non lontana Frugarolo.

Domìnikos Theotokòpoulos detto “El Greco”: Ritratto di Pio V. Copyright fotografico: Wikimedia Commons.

 

Come nel caso dell’Adorazione dei Magi è Vasari stesso, nella sua autobiografia e nel suo fitto carteggio intrattenuto col tesoriere segreto e Primo Cameriere pontificio Monsignor Guglielmo Sangalletti, a fornire puntualmente informazioni precise su questa nuova onerosa commissione papale, la quale andava a sommarsi alla già insostenibile mole di impegni a cui doveva far fronte in questo periodo frenetico e convulso della sua carriera:

«[…] (Il Papa) mi ordinò che io facessi per l’altar maggiore della detta sua chiesa del Bosco, e non una tavola, come s’usa comunemente, ma una macchina grandissima quasi a guisa d’arco trionfale, con due tavole grandi, una dinanzi et una di dietro, et in pezzi minori circa trenta storie piene di molte figure che tutte sono a bonissimo termine condotte […].»

‘Le Vite de’ più Eccellenti Pittori, Scultori et Architettori’, Autobiografia (ed.1568).

Jacopo Zucchi: Ritratto di Giorgio Vasari, 1571-74. Firenze, Galleria degli Uffizi. Copyright fotografico: Wikimedia Commons.

In alcune missive indirizzate allo storico Vincenzo Borghini, suo caro amico, e a Francesco de’ Medici, figlio di Cosimo I e futuro Granduca di Toscana, Vasari illustrò certe sue idee per la grande macchina di Santa Croce, accostando questo progetto ad analoghi altari lignei da lui realizzati in patria: l’altare dell’Eremo di Camaldoli (1540), l’altare della Badia Fiorentina (1568) e quello della Pieve di Santa Maria Assunta ad Arezzo (1564). Dei tre menzionati soltanto l’ultimo, trasferito nella seconda metà del XIX secolo presso la Badia aretina delle Sante Flora e Lucilla, è sopravvissuto – seppur con qualche sensibile rimodulazione relativa perlopiù al basamento – alle ingiurie dei secoli.

Pio V concesse a Vasari di poter lavorare al polittico presso la propria bottega fiorentina, all’interno della quale avrebbe potuto contare sull’aiuto dei suoi più fidati allievi e collaboratori. Una volta portata a compimento la commissione, i vari scomparti sarebbero stati imbarcati da Pisa alla volta di Genova e da lì inviati a Bosco via terra. Giunto a Firenze all’inizio della primavera del 1567, Vasari si mise subito all’opera disegnando studi preparatori da inviare a Roma per ottenere un parere da Sua Santità. Di questi rimangono soltanto due, entrambi relativi alla tavola centinata raffigurante il Giudizio Universale che, in origine, campeggiava sulla faccia anteriore del polittico. Il primo si conserva a Parigi, presso il Cabinet des Dessins del Musée du Louvre, l’altro invece trova la propria collocazione alla Fondazione Ratjen di Vaduz, in Liechtenstein. La bozza parigina riveste un’importanza straordinaria in quanto, assieme ad un particolare visibile sullo sfondo di una pala collocata sull’altare della Cappella di Sant’Antonino in Santa Croce, costituisce l’unica testimonianza grafica nota in grado di restituire un’idea di come doveva presentarsi la Macchina Vasariana prima dello scellerato smantellamento settecentesco.

Giorgio Vasari (e Jacopo Zucchi?): Studio preparatorio per la macchina d’altare di Bosco Marengo, 1567, inchiostro su carta. Parigi, Musée du Louvre – Cabinet des Dessins.

 

In una lettera datata 28 giugno 1567 Monsignor Sangalletti informava Vasari che il disegno preparatorio per l’altare di Bosco, identificabile forse proprio con quello del Louvre, era arrivato a destinazione con un messo d’eccezione: Battista di Bartolomeo di Filippo Botticelli. Nativo come Vasari di Arezzo, Botticelli era, oltre che un talentuoso maestro d’ascia, anche uno dei più stimati pupilli dell’artista. Fu proprio grazie all’autore de ‘Le Vite’ che questi si aggiudicò, con una procedura tutt’altro che trasparente, la commissione del nuovo soffitto alla veneziana del Salone dei Cinquecento a Palazzo Vecchio. Vasari avrebbe voluto fargli affidare anche la realizzazione dell’apparato ligneo della grande macchina di Bosco ma, per problemi di natura logistica, Pio V ignorò le pressioni esercitate dal proprio artista ufficiale volte a favorire in maniera alquanto spudorata il suo protetto e decise di conferire l’incarico ad una bottega di maestri legnaiuoli che si trovava già in loco, ovvero quella capeggiata dal fivizzanese Giovanni Gargiolli, attivo in quel tempo anche nel coro del Duomo di Santa Maria Assunta a Siena.

Per dare corpo all’altare più grande mai delineato dalla china vasariana Gargiolli si avvalse di alcuni aiuti per quanto concerneva la parte strettamente figurativa, fra questi emerge il nome di Giovanni Angelo Marini detto “il Siciliano”, uno degli scultori operanti nel cantiere della Certosa di Pavia e alla Veneranda Fabbrica del Duomo di Santa Maria Nascente a Milano, la cui mano fu abile nel coniugare i modi tipici della Maniera centroitaliana ad un linguaggio inequivocabilmente legato al gusto degli ambienti meneghini.

Le ipotesi ricostruttive della Macchina Vasariana

Prima che, tra 1709 e 1710, nel corso dei lavori di rifacimento decisi in vista dell’imminente canonizzazione di Pio V, i domenicani ne decretassero lo smembramento e la parziale dispersione, la monumentale Macchina Vasariana di Bosco Marengo, capolavoro della carpenteria, della scultura e della pittura tardo-cinquecentesche, con i suoi 10,50 metri di altezza e 6,40 di larghezza si ergeva maestosa presso la crociera dell’ampia struttura longitudinale a croce latina, al di sotto della cupola ottagonale, in posizione leggermente avanzata rispetto all’arco trionfale.

Pur essendoci alcune discordanze fra le uniche attestazioni visive dell’opera antecedenti allo smontaggio (la proposta progettuale del Louvre e la Pala di Sant’Antonino), grazie ad un raffronto fra esse e alle notizie desumibili dagli scritti di Vasari e dalla “Istoria del convento di Santa Croce e Tutti i Santi della Terra del Bosco” (1783) di fra’ Guglielmo della Valle, primo storico del complesso monastico di Bosco, è possibile avanzare delle ipotesi di ricostruzione non troppo lontane dalla realtà.

L’altare bifronte in legno di pioppo dorato a foglia, andato completamente distrutto nella sua parte architettonica, si presentava con un impianto prismatico a base rettangolare riccamente ornato con le già citate pitture su tavola dipinte da Vasari e dalla sua bottega, bassorilievi in noce, emblemi e sculture.

Giovanni Gargiolli (o bottega di): Emblema dell’Ordine Domenicano, 1567-69, legno di noce. Bosco Marengo, Museo Vasariano. Copyright fotografico: Wikimedia Commons.

Ai lati della mensa, rialzata dal piano di calpestio mediante tre scalini, erano disposti due stemmi, uno riferito all’Ordine dei Frati Predicatori (scudo cappato di bianco e nero con una stella a sei punte, un cane pezzato che tiene una fiaccola accesa tra le fauci, un ramo di palma e uno stelo di giglio incrociati), già nel transetto sinistro, sulla porta d’accesso alla Cappella delle Reliquie ed oggi collocato presso il Museo Vasariano, e l’altro appartenente a Pio V (tre bande rosse su campo dorato), ora posizionato a mo’ di fastigio sull’altare della Madonna del Rosario, nell’omonima cappella a sinistra della navata. Osservando in modo analitico lo studio preparatorio del Louvre si nota che, nella mente del progettista, entrambi gli emblemi araldici intagliati sul basamento dovevano riferirsi al pontefice committente ma, in fieri, si decise di aggiungere il blasone domenicano per omaggiare l’ordine che aveva in custodia l’intero complesso conventuale e di cui, peraltro, lo stesso Ghislieri era membro. Nel livello architettonico successivo si innestava la predella, ornata da vari scomparti raffiguranti episodi dell’Antico e del Nuovo Testamento volti ad esaltare il Mistero del Sacrificio Eucaristico, accostati fra loro secondo una retorica tipologica derivante dall’esegesi patristica che consiste nel rintracciare in episodi biblici la prefigurazione di eventi narrati nei quattro Vangeli sinottici. Riguardo il tabernacolo eucaristico che costituiva il fulcro della predella non vi è certezza su quale fosse la sua reale conformazione: nel disegno del Cabinet des Dessins appare come una struttura tripartita, costituita da un corpo centrale aggettante sovrastato da un timpano centinato e affiancato da due nicchie abitate da figurine in atteggiamento orante; volgendo invece lo sguardo alla pala d’altare del tardo Cinquecento custodita presso la Cappella di Sant’Antonino si noterà che il ciborio riproduce la forma di un tempietto a base rettangolare, sostenuto da esili colonnine binate, coronato da un timpano con sommità aperta e sovrastato da un cupolino su cui svetta un piccolo globo crociato. Su un plinto con girali di foglie acantacee inframmezzati da elementi ornamentali (forse mascheroni) poggiavano coppie di semicolonne di ordine tuscanico. Lungo la trabeazione si snodava un fregio ritmicamente scandito dal susseguirsi di triglifi e metope. Completavano la decorazione del penultimo livello architettonico quattro scomparti ovoidali raffiguranti i Dottori della Chiesa. A coronamento della Macchina era posto un attico sormontato dal Crocifisso ligneo dipinto e impreziosito da inserti dorati opera di Giovanni Angelo Marini, che attualmente domina l’altare maggiore settecentesco in marmi policromi del genovese Gaetano Quadri, e da tre o forse quattro sculture di Profeti, disperse nel corso del XIX secolo. Dalla testimonianza di fra’ Guglielmo della Valle si apprende l’esistenza di due porticine laterali tramite le quali i frati, attraversando delle anguste rampe di scale interne al polittico, potevano accedere al fastigio. Il domenicano aggiunge inoltre che queste porte erano provviste di «intaglij bellissimi» riferibili a Giovanni Gargiolli ritraenti un “Noli me Tangere”, conservato tuttora nel Museo Vasariano di Santa Croce, e “l’Ingresso di Cristo a Gerusalemme”, oggi ubicato a Castellazzo Bormida presso la Chiesa di Santa Maria della Corte. Oltre a questi due bassorilievi in legno di noce espressamente citati da della Valle, gli studiosi ne hanno individuati altri due: uno, collocato accanto al sopracitato Noli me Tangere di Santa Croce, rappresenta Cristo e la Samaritana al pozzo, l’altro, recentemente rinvenuto a Roma nei depositi del Museo Nazionale di Palazzo Venezia, ritrae la Cena a casa di Simone il Fariseo.

Il prospetto principale del fastoso apparato liturgico mostrava, come già anticipato in precedenza, la grande tavola centinata del Giudizio Universale; sul verso trovava posto una pala uguale per forma e dimensioni alla prima raffigurante il Martirio di San Pietro da Verona; i fianchi accoglievano due tavole rettangolari con coppie di Santi Domenicani, accompagnate da quattro scomparti ritraenti episodi tratti dalle vite dei medesimi santi. Presumibilmente sul fianco sinistro dovevano essere ubicati i Santi Vincenzo Ferrer e Tommaso d’Aquino con le tavolette rappresentanti “San Vincenzo che resuscita che un morto” e “La Visione di San Tommaso”, mentre sul fianco destro avrebbero potuto esserci i Santi Domenico di Guzmán e Antonino da Firenze attorniati dai riquadri con “San Domenico che resuscita di Napoleone Orsini” e “L’elemosina di Sant’Antonino”.

Poco chiara rimane l’esatta disposizione sulla predella dell’altare delle formelle con episodi vetero e neotestamentari che alludono al Sacramento dell’Eucaristia. Se si sceglie di attenersi alla ricostruzione offerta dalla bozza parigina pare che, sul fronte, fossero presenti quattro scomparti. Plausibilmente questi avrebbero potuto essere: “L’incontro tra Abramo e il Sommo Sacerdote Melchisedec”, “La Caduta della Manna”, “L’Ultima Cena” e la “Pasqua Ebraica”. A questo punto, ragionando per esclusione, il retro avrebbe dovuto accogliere “Il Sacrificio di Caino e Abele” e “Il Sacrificio di Isacco”.

Ricostruzione in 3D della Macchina Vasariana basata sul disegno del Louvre, realizzata dal Laboratorio di Visione Artificiale dell’Università di Pavia con la tecnologia QuickTime VR. Fonte: linelab.eu.

Se, di contro, si prende in considerazione la veduta dell’altare sullo sfondo della pala raffigurante “Sant’Antonino che libera un’ossessa”, opera di un anonimo pittore di ambito lombardo, sembra che i pannelli sul recto fossero soltanto due, verosimilmente: “l’Ultima Cena” e la “Pasqua Ebraica”.

Ricostruzione in 3D della Macchina Vasariana basata sulla Pala di Sant’Antonino, realizzata dal Laboratorio di Visione Artificiale dell’Università di Pavia con la tecnologia QuickTime VR. Fonte: linelab.eu.

Dei quattro ovali con i Dottori della Chiesa e dei quattro pennacchi con i Profeti posti a completamento del vertice della macchina d’altare non si conosce la sorte, meno che per un busto di vescovo variamente identificato con Sant’Ambrogio o con San Donato, rinvenuto a Tatton Park, nella Contea del Cheshire in Inghilterra.

Giorgio Vasari: Busto di Santo Vescovo (Sant’Ambrogio o San Donato?), 1569, olio su tavola. Tatton Park, National Trust. Fonte: Wikimedia Commons. Copyright fotografico: National Trust – Tatton Park.

 

La corrispondenza epistolare tra Sangalletti e Vasari proseguì fino al 10 luglio del 1569, data indicata da lui stesso ne “Le Ricordanze” come la conclusione dei lavori relativi alla sola parte pittorica. Le tavole, tuttavia, non furono inviate a Bosco prima dell’anno seguente, in quanto era necessario attendere che Gargiolli portasse a compimento i singoli elementi lignei della struttura architettonica e che venisse ultimata la copertura della crociera. Pio V avrebbe voluto che Vasari in persona sovrintendesse all’assemblaggio della macchina d’altare, ma l’artista contravvenne al volere del pontefice non seguendo i dipinti, che vennero imbarcati a Pisa per Genova nel luglio del 1570 ed arrivarono a destinazione a settembre. Né l’autore del progetto né il committente videro mai l’opera ultimata in tutte le sue componenti.

Giorgio Vasari: “Il Giudizio Universale”, 1568, olio su tavola di pioppo. Cornice settecentesca di Pietro Girolamo Chiara e Giovanni Santo (1712-13). Bosco Marengo, Complesso Monumentale di Santa Croce e Ognissanti – abside della chiesa. Copyright fotografico: Wikimedia Commons.

A seguito dello smembramento della «macchina grandissima» il Giudizio Universale – unico fra gli scomparti a riportare la firma di Vasari e la data del 1568 – venne arricchito da una sontuosa cornice tardo-barocca in legno dorato, opera di Pietro Girolamo Chiara e Giovanni Santo, percorsa da tralci di foglie acantacee e affiancata da quattro putti (dei quali due, collocati sulla sommità, sorreggono una ferula papale, un pastorale e lo stemma di Pio V coronato da un triregno) e collocato nell’emiciclo absidale, sopra il coro gargiolliano. La Pala del Martirio di San Pietro da Verona – eseguita da Vasari in collaborazione con Jacopo Zucchi – fu collocata nel braccio destro del transetto, accanto al Mausoleo di Pio V. Le coppie di Santi Domenicani vennero posizionate ai lati dell’arco trionfale mentre le varie formelle furono dislocate fra la chiesa e il convento. Attualmente “Il Martirio di San Pietro da Verona” e gli scomparti minori del polittico sono esposti al Museo Vasariano, allestito nell’ottobre del 2011 all’interno del Complesso Monumentale di Santa Croce e Ognissanti nei locali della Sala Capitolare e della Sacrestia.

Giorgio Vasari: “Martirio di San Pietro da Verona”, 1569, olio su tavola di pioppo. Bosco Marengo, Museo Vasariano. Si noti la cornice, che è ancora quella originale eseguita dal Gargiolli. Fonte: Sito ufficiale del Museo Vasariano.

La Macchina di Vasari: commissione devozionale o manifesto politico?

Nel tardo Cinquecento l’utilizzo di tavole lignee anziché di tele come supporto per la pittura suonava già anacronistico, così come appariva ormai antiquata la commissione di un polittico invece di una singola pala d’altare. Questo intento revivalistico, espresso anche nella scelta dei temi iconografici accostati fra loro secondo uno schema assai caro alla filosofia patristica, inquadra benissimo il Magistero reazionario del papa committente che, in sostanza, si prefiggeva di rinnovare la Chiesa, fronteggiare l’avanzata ottomana ed arginare la minaccia protestante ribadendo con veemenza la tradizione e applicando strumenti di feroce repressione. La Macchina Vasariana, al pari dell’Adorazione dei Magi, costituisce un manifesto politico e dottrinale del nuovo Cattolicesimo post tridentino. Se però con il tema dell’Epifania Pio V intendeva alludere sottilmente alla supremazia del potere spirituale su quello temporale, con il programma iconografico ideato per le tavole dell’altare maggiore di Bosco questi mirava ad esaltare il dogma della Transustanziazione e la dottrina della Communio Sanctorum, i quali erano stati messi in discussione dai Riformati. Non era casuale neppure che la faccia retrostante del mastodontico apparato liturgico fosse imperniata intorno alla figura di San Pietro da Verona: il santo domenicano aveva infatti combattuto strenuamente l’eresia catara sia con l’attività di predicazione sia ricoprendo la carica di inquisitore.

 

Bibliografia

GIORGIO ETTORE CAREDDU: Vasari a Bosco Marengo. Indagini diagnostiche e problematiche di restauro, tratto da “Giorgio Vasari tra parola e immagine”, Aracne editrice, 2013.

ALESSANDRO CECCHI: Battista Botticelli, “Maestro di Legname” di Vasari , 2017.

MARIA CARLA VISCONTI: La Chiesa di Santa Croce a Bosco Marengo: Problemi di tutela e scelte di restauro.

GRAZIA MARIA FACHECHI: Sculture in legno: Museo Nazionale di Palazzo Venezia, Gangemi editore.

FULVIO CERVINI, CARLENRICA SPANTIGATI: Santa Croce di Bosco Marengo, Cassa di Risparmio di Alessandria, 2002.

 

Sitografia

https://www.treccani.it/enciclopedia/pio-v-papa-santo_%28Dizionario-Biografico%29/

https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-gargiolli_(Dizionario-Biografico)/

https://www.treccani.it/enciclopedia/marini-angelo-detto-il-siciliano/

https://www.treccani.it/enciclopedia/complesso-monumentale-di-santa-croce-e-ognissanti-di-bosco-marengo

https://www.treccani.it/enciclopedia/giorgio-vasari/

Giorgio Vasari

http://www.nationaltrustcollections.org.uk/object/1298175

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