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A cura di Luisa Generali

Introduzione alla vita di Benvenuto Cellini

Un posto d’eccezione nella scultura monumentale fiorentina del Cinquecento è riservato al Perseo e al suo autore Benvenuto Cellini (1500-1571), uno fra gli artisti più abili della corte di Cosimo I e sicuramente per ingegno e stravaganza anche uno dei personaggi più bizzarri dell’epoca, non meno inquieto di certi altri artisti noti per aver condotto una di vita di eccessi. A dispetto del suo talento che raggiunse vette altissime nella scultura, nell’oreficeria ma anche nella musica e nella poesia, Cellini trascorse un’esistenza tormentata a causa del pessimo carattere contraddistinto da un ego spropositato e iracondo, descritto anche da Giorgio Vasari “in tutte le sue cose animoso, fiero, vivace, prontissimo e terribilissimo”. Questa sua spavalda indole, che lo portò a macchiarsi più volte di omicidio, gli costò fin da giovanetto l’esilio a Siena, dove perfezionò le sue competenze come orefice già acquisite in parte a Firenze. Le disavventure con la giustizia precipitarono velocemente quando nel 1523 commise il primo delitto che lo costrinse a fuggire da Firenze e spostarsi a Roma, qui ottenne i favori e l’indulgenza di Papa Clemente VIII, per cui lavorò in qualità di maestro della zecca, e combatté in prima linea durante il sacco di Roma (1527). In seguito ad un incessante catena di accuse legate a litigi, risse, furti e omicidi nel 1537 Cellini si spostò a Parigi alla corte di Francesco I de Valois, dove il suo sogno d’artista libero e indipendente da ogni accademismo sembrò potersi finalmente realizzare, almeno fino al 1544 quando rientrò frettolosamente in patria a Firenze. Qui trovando l’accoglienza del nuovo regnante Cosimo I de’ Medici, lavorò senza sosta per ben nove anni alla commissione ducale del bronzo monumentale raffigurante Perseo, la sua fatica più grande e tormentata (fig.1).

Fig. 1 – Benvenuto Cellini, Perseo, 1545-1554, Firenze, Piazza della Signoria, Loggia dei Lanzi. Credits: turistipercaso.it.

La personalità di quest’uomo, tipica del binomio che contraddistingue l’artista per eccellenza, geniale ma sregolato, prorompe pagina dopo pagina nella sua Vita dettata ad un garzone di bottega fra il 1558 e il 1566, in un momento di forte declino dopo che tutto l’entusiasmo intorno alla messa in opera del Perseo si spense repentinamente insieme alla richiesta di nuove commissioni. L’intento dell’opera letteraria, che assunse i connotati di un’autobiografia romanzata senza precedenti, è finalizzato alla legittimazione e al riconoscimento del proprio status di artista nella corte medicea, sfociando in una sorta di autocelebrazione personale che trova la sua massima ragion d’essere proprio nell’impresa del Perseo. Dai brani dedicati alla realizzazione dell’opera emerge una costante lotta nel superamento di sé stesso e dei suoi colleghi-rivali, che sprezza con la sua peculiare irriverenza: in particolare, la sfida si fa sempre più competitiva con Baccio Bandinelli (1493-1560), il preferito di Cosimo, che ripetutamente Cellini nella su Vita accusa di “sparlare”, alimentando i dubbi del duca nei suoi confronti e nella concreta possibilità di fusione del grande bronzo. Non mancano a questo proposito episodi macchiettistici nello studio dell’artista in cui lo stesso Cellini e il Duca, poco ottimista, discutono sull’effettiva criticità tecnica della scultura:

 

“[…] e venendo più spesso a casa, ch’ei non soleva, una volta infra l’altre e’ mi disse: Benvenuto, questa figura non ti può venire di bronzo, perché l’arte non te lo promette. […] E Or dimmi, Benvenuto, come è egli possibile, che quella bella testa di Medusa, che è lassù in alto in quella mano del Perseo, mai possa venire? Subito io dissi: Or vedete, Signor mio, che se Vostra Eccellenza Illustrissima avessi quella cognizione dell’arte, che lei dice di avere, la non arebbe paura di quella bella testa, che lei dice, che la non venissi; ma sì bene arebbe da aver paura di questo piè diritto, il quale si è quaggiù tanto discosto. A queste mie parole il Duca mezzo adirato, subito si volse a certi Signori, che erano con Sua Eccellenza Illustrissima, e disse: Io credo, che questo Benvenuto lo faccia per saccenteria, il contrapporsi a ogni cosa: e subito voltomisi con mezzo scherno, dove tutti quei che erano alla presenza facevano il simile, e ‘ cominciò a dire: Io voglio aver teco tanta pazienza di ascoltare che ragione tu ti saprai immaginare di darmi, che io la creda.”

Il pensiero ossessivo intorno all’opera scatenò la furiosa reazione dell’artista nel celebre episodio dell’incendio della fucina durante la fusione della statua, quando, sebbene febbricitante dalla fatica, dopo aver appreso la notizia da un garzone, esplose in tutta la sua rabbia:

“O Benvenuto, la vostra opera si è guasta, e non ci è più un rimedio al mondo. Subito che io sentii le parole di quello sciagurato, messi un grido tanto smisurato, che si sarebbe sentito dal cielo del fuoco, e sollevatomi del letto presi li mia panni e mi cominciai a vestire, e le serve e il mio ragazzo e ognuno, che mi si accostava per aiutarmi, a tutti io davo o calci, o pugna […]”

Dopo la buona riuscita della fusione, le fasi di cesellatura e rifinitura dell’opera perdurarono per ben cinque anni, fino al momento della “scopertura” sotto la loggia del Lanzi, il giorno 27 aprile 1554, evento tanto atteso che sancì in un tripudio di lodi ed encomi la vittoria personale di Cellini e il proprio primato sul panorama artistico fiorentino:

“Or come piacque al mio glorioso Signore ed immortale Iddio, io la finii del tutto, e un Giovedì mattina io la scopersi tutta. Subito, che e ‘ non era ancora chiaro il giorno, vi si ragunò tanta infinita quantità di popol, che e ‘ saria impossibile il dirlo; e tutti a una voce facevano a gara a chi meglio ne diceva […].”

 

Il Perseo sotto la Loggia dei Lanzi in Piazza della Signoria

 

L’interpretazione in chiave allegorica del mito classico fu il tema più ricorrente nelle corti rinascimentali scelto per l’autocelebrazione delle casate, proprio come avvenne anche a Firenze con il Perseo, l’eroe figlio di Danae e Zeus che riuscì ad uccidere Medusa, l’unica sorella mortale delle Gorgoni. Secondo la mitologia greca il giovane eroe si offrì di portare la testa del mostro come dono nuziale al tiranno Polidette, regnante dell’isola di Serifo, dove era prigioniero insieme alla madre Danae. Perseo quindi partì per la sua impresa supportato da Atena ed Ermes, che gli donarono una serie di oggetti magici: i sandali alati per volare, un copricapo per diventare invisibile, una borsa di pelle per nascondere la testa del mostro, e un falcetto. Dopo varie peripezie il giovane riuscì a scovare il nascondiglio di Medusa, la terribile creatura dalla chioma di serpenti che pietrificava chiunque incrociasse il suo sguardo, frutto di una punizione scagliata da Atena che ingelosita dalle attenzioni di Poseidone per la ragazza decise di trasformarla in un mostro. Arrivato al nascondiglio delle Gorgoni, Perseo attaccò di spalle Medusa servendosi dell’immagine del mostro riflessa sullo scudo di Atena e sferrando così il colpo decisivo alla testa.

 

La lettura allegorica del mito in questo caso si riferisce alla nuova reggenza medicea, detentrice delle virtù morali che demolirono i nemici repubblicani, visti come mostri e personificati nella testa decapitata di Medusa, alzata trionfalmente dall’eroe. Pensata in un dialogo visivo e metaforico con La Giuditta e Oloferne di Donatello, l’esaltazione plateale della sconfitta degli avversari soggiogati e decapitati, diventa anche un monito intimidatorio dell’egemonia medicea. Le virtù civiche del regno mediceo sono invece pronunciate nell’integrità morale e fisica di Perseo, che Cellini interpreta in un nudo snello e vibrante, mosso dagli effetti epidermici delle masse muscolari (fig.2). La testa di Medusa esanime, di una bellezza ermafrodita, ricorda gli stessi tratti dell’eroe che mentre sfoggia il suo trofeo non si scompone, rimanendo severo e integerrimo (fig.3): questa similitudine fra i volti della vittima e del carnefice, secondo parte della critica, sarebbe interpretabile alla luce delle teorie neoplatoniche per cui l’eroe greco diverrebbe metafora dell’uomo virtuoso, chiamato a sconfiggere le sue stesse pulsioni primitive per innalzarsi verso la perfezione. Oltre l’impressionante precisione con cui è definita la muscolatura dell’addome, colpisce la perizia da orefice con cui sono trattati alcuni dettagli come l’estrema ricercatezza nella definizione dei boccoli dell’eroe, piuttosto che i capillari particolari dell’elmetto a forma di drago, oppure la cesta di serpenti che copre la testa di Medusa (fig.4).

Fig. 4 – Benvenuto Cellini, Perseo, dettaglio, 1545-1554, Firenze, Piazza della Signoria, Loggia dei Lanzi.

Non manca inoltre un po’ del protagonismo di Cellini nella sua firma incisa in bella vista sulla tracolla, mentre guardando alla nuca dell’eroe, fra le insenature del casco e dei capelli si vede affiorare una maschera dalle fattezze umane, forse identificabile con lo stesso artista che attraverso questo strambo espediente manierista avrebbe lasciato celatamente una traccia immortale di sé sulla scultura (fig.5-6).

Il basamento

La grandiosità di questo monumento non è circoscritta al solo bronzo monumentale ma si estende secondo un orientamento verticale anche nel basamento e nella lastra bronzea sottostante, affrontando nelle varie componenti diverse tipologie di scultura: dall’opera a tutto tondo, alla lavorazione del marmo, passando per i bronzetti all’antica fino al basso e alto rilievo. Con il gruppo del Perseo Cellini affermava così la padronanza totale dell’arte scultorea in tutte le sue sfaccettature.

La base, di cui l’originale è conservato al Museo Nazionale del Bargello, si presenta come un elaboratissimo ricamo marmoreo, prova del virtuosismo tecnico dell’artista anche nella lavorazione della pietra (fig.7). L’opera si compone di immagini di varia natura, che spaziano da figure grottesche e macabre a un repertorio antichizzante e simbolico come avviene per le teste di capricorno, emblema assunto dal duca Cosimo I. Immagini inquietanti unite a elementi rigogliosi di vita, come le ghirlande di frutta e l’erme di Diana Efesia Polymastos (dai molti seni), simbolo per eccellenza di fertilità, vogliono forse richiamare il ciclo di morte e rinascita inaugurato da una rinnovata età dell’oro sotto il ducato cosimiano. Nelle quattro nicchie che si aprono su tutti i lati della base sono inserite “le belle figurine”, ovvero i bronzetti all’antica dedicati alle benevole presenze che intervennero nelle vicende di Perseo, a partire dalla madre Danae qui ritratta insieme al figlio fanciullo avuto con Zeus che si unì a lei sotto forma di pioggia d’oro. L’artista interpreta Danae come una Venere classica, dal nudo pingue e morbido, affiancata dal bambinetto che per attirare la sua attenzione solleva le braccia allungando l’esile corpicino (fig.8). Fra gli attori del mito si trova anche Zeus, padre di Perseo, restituito attraverso la tipica effige classica del dio severo e barbuto, avvolto in un ampio panneggio, mentre si prepara a scagliare una saetta (fig.9): l’impetuosa forza in potenza generata da Zeus sembra creare un turbine vorticoso che smuove realisticamente anche la sua chioma. Indispensabile al racconto mitico sono le due divinità amiche Atena, dea della guerra e della saggezza interpretata attraverso un nudo classico estremamente lineare e polito (fig.10), e lo scattante Ermes, fermato in uno curioso movimento ginnico, nel momento appena prima di elevarsi per spiccare il volo mentre alza le mani e piega una gamba, restando sulla punta di un unico piede (fig.11). Anche in questo caso il nudo mostra una gracilità che epidermicamente nasconde una complessa tensione muscolare.

Fig. 11 – Benvenuto Cellini, Ermes, 1552, Firenze, Museo del Bargello. Credits: Pinterest.

 

Secondo la testimonianza di Cellini nemmeno la duchessa Eleonora di Toledo rimase impassibile difronte la magnificenza dei quattro bronzetti, tanto che si oppose alla loro fruizione pubblica, volendoli per sé, al sicuro nelle sue stanze: una decisione ripudiata dallo stesso artista che di nascosto approfittò dell’assenza dei duchi per “impiombare” le statuette nella base per la quale erano nate, pronto a tutto pur di portare a termine il suo progetto. Con il consueto tono irriverente Cellini raccontò l’episodio:

 

[…] per più di dua ore non ragionorno mai d’altro che delle belle figurine; di sorte che e’ n’era venuta una tanto smisurata voglia alla Duchessa, che la mi disse all ora: Io non voglio, che queste belle figurine si vadino a perdere in quella basa giù in Piazza, dove elle porteriano pericolo di esser guaste; anzi voglio, che tu me le acconci in una mia stanza, dove le saranno tenute con quella reverenza, che merita le loro rarissime virtuti. A queste parole, io mi contrapposi con molte infinite ragioni; e veduto che ella s’era risoluta, che io non le mettessi in nella basa, dove le sono, aspettai il giorno seguente, me ne andai in Palazzo alle ventidue ore, e trovando che il Duca e la Duchessa erano cavalcati, avendo di già messo in ordine la mia basa, feci portare giù le dette figurine, e subito le impiombai, come le avevano a stare. Oh! quando la Duchessa lo intese, e gli crebbe tanta stizza, che se e’ non fussi stato il Duca, che virtuosamente mi aiutò, io l’arei fatta molto male.”

 

Chiude infine il complesso programma iconografico del Perseo il rilievo bronzeo raffigurante La liberazione di Andromeda, l’ultima parte del mito che viene narrata e incastonata nel parapetto della stessa loggia, attualmente sostituita da una copia mentre l’originale si trova Bargello (fig.12). Sempre secondo la leggenda, una volta che Perseo uccise Medusa scappò con la sua testa per tornare verso l’isola di Serifo, con l’intento di vendicarsi del tiranno che teneva prigionieri lui e sua madre Danae. Mentre sorvolava il paese degli Etiopi l’eroe s’imbatté in una fanciulla bisognosa di aiuto, Andromeda figlia di Cefeo e di Cassiopea, legata ad una roccia e data in sacrificio ad un mostro marino per placare la collera di Poseidone: a quel punto Perseo, forte del suo equipaggiamento, si precipitò ad uccidere il mostro liberando Andromeda che in seguito divenne sua sposa. La vicenda, narrata con l’ausilio del rilievo che passa da un grado di aggetto molto alto all’incisone, è costruita intorno alla figura centrale della fanciulla, ritratta nuda con i lunghi capelli sciolti e mossi dal vento, stretta fra il pericolo del mostro che sta per divorarla e il capannello di astanti disperati. La cifra stilistica adottata da Cellini fa riferimento alla drammaticità di certi rilievi di Donatello, da cui trae l’intensità espressiva di alcuni personaggi (sconcertante è il grido lanciato dall’uomo in fondo la scena) e la tagliente incisività del modellato. Giocando sull’alternanza tra i repentini passaggi di aggetto mossi dalla contrastante alternanza di luce e ombre, il rilievo acquista profondità e una vena narrativa nuova, molto vicina alla pittura.

Fig. 12 – Benvenuto Cellini, Liberazione di Andromeda, 1553, Firenze, Museo del Bargello.

 

Bibliografia

Cellini, Vita di Benvenuto Cellini orefice e scultore fiorentino scritta da lui medesimo, pubblicata dal Dottor Francesco Tassi, Tomi 3, Firenze 1829.

Vasari – Degl’accademici del disegno, pittori, scultori et architetti e dell’opere loro e prima del Bronzino, 1568, in Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori, Firenze 1568, edizione Giunti-Newton Compton Editori 1997.

Testo digitalizzato

https://it.wikisource.org/wiki/Le_vite_de%27_pi%C3%B9_eccellenti_pittori,_scultori_e_architettori_(1568)/Accademici_del_Disegno_e_il_Bronzino

Pegazzano, Cellini e la scultura francese del Cinquecento, Firenze 2008.

Mariucci; C. Sirigatti, L. Spano, G. Uzzani, P. Zanieri, Toscana da non perdere. Guida ai 100 capolavori, Firenze 2008, pp. 32-33.

Capriotti, L alibi del mito: unaltra autobiografia di Benvenuto Cellini, Genova 2013.

Palumbo, “Un tema narrativo nella “Vita” di Benvenuto Cellini: “l’impresa” del Perseo”, in Biblioteca dell“Archivum Romanicum”, 375,1 – 2011, pp. 305-317.

 

Sitografia

Camesasca, CELLINI, Benvenuto, in Dizionario Biografico degli Italiani – Volume 23 (1979). Testo online: https://www.treccani.it/enciclopedia/benvenuto-cellini_(Dizionario-Biografico)/

www.polomuseale.firenze.it – http://www.polomuseale.firenze.it/areastampa/files/53185184f1c3bc7c07000000/02%20SALA%20MICHE_PDF.pdf

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