A cura di Stefania Melito
Collegata alla terraferma da una romanticissima passerella, sulle acque del Lago Fusaro nel comune di Bacoli in provincia di Napoli, è ubicata la Casina Vanvitelliana, un piccolo capanno di caccia dei Borbone.
Situato ad ovest dei Campi Flegrei, il lago Fusaro o Acherusio faceva in origine parte del golfo su cui affacciava quella parte del territorio campano, tant’è che in epoca greca e romana il luogo era sfruttato commercialmente per l’allevamento delle ostriche; in seguito, più o meno nel I secolo d.C., a causa delle scarse maree si formò una sottile lingua di sabbia, che a mano a mano isolò il lago dal mare, formando dapprima una laguna e poi questo lago.
Il nome Fusaro deriva dalla parola latina “infusarium”, ossia bagnare. Dopo i greci furono gli Angioini a sfruttare questo luogo, bonificandolo dapprima grazie alla costruzione di un canale che rimettesse in circolo le acque collegandole a quelle marine, evitandone la stagnazione, e poi utilizzando lo specchio d’acqua per mettere a macerare la canapa. Questo luogo quindi si trasformò da palude Acherusia, com’era conosciuto per la somiglianza delle sue acque con la porta dell’inferno, a infusarium, a lago Fusaro. Le mutate condizioni climatiche e la presenza costante di acqua stagnante favorirono inoltre la rapida espansione della vegetazione, formando una fitta boscaglia intorno alle sponde lacustri e configurandolo come un piccolo paradiso, avvolto da un’atmosfera sognante. Di questo luogo e della sua atmosfera si innamorò perdutamente Carlo di Borbone, che lo acquistò intorno alla metà del ‘700 con l’idea di costruirvi un Casino di caccia e pesca sul modello di Stupinigi, opera di Juvarra e solo di qualche decennio precedente.
Sfruttando una sorta di naturale “base” di granito posta al centro del lago, Luigi Vanvitelli, al quale venne affidato il progetto, immaginò una vera e propria riserva personale di caccia, di cui la Casina fosse il naturale completamento. L’incarico fu però portato a termine sotto Ferdinando IV di Borbone dal figlio di Vanvitelli, Carlo, nel 1782, che si ispirò alla palazzina di caccia piemontese per la costruzione dei volumi alleggeriti da grandi superfici vetrate.
La struttura è costituita da un porticato che gira intorno ad una villa circolare, immaginata come un insieme di tre grandi corpi ottagonali che si intersecano tra di loro per poi restringersi in una forma a pagoda e culminare nella sala circolare centrale, che poggia sui tre corpi sottostanti e che prende luce da due serie di finestre. Intorno alla struttura, un’articolata serie di terrazze che ricalca l’andamento dei corpi di fabbrica.
Gli ospiti approdavano con piccole imbarcazioni davanti alla Casina: all’interno spiccava la grande Sala Circolare del pianterreno, utilizzata per le feste e i banchetti ed impreziosita da un grande tavolo a forma di conchiglia; salendo al primo piano, invece, luogo riservato ai sovrani o agli ospiti di prestigio, si incontrava la cosiddetta Sala delle Meraviglie, ossia la grande sala del primo piano impreziosita dal Ciclo delle Stagioni di Philiph Hackert, di cui restano soltanto i bozzetti, che rappresentano per ognuna delle stagioni una località campana: la Primavera con il pascolo nella valle del Volturno, con veduta del Matese; l’Estate con la mietitura a S. Leucio; l’Autunno con la vendemmia a Sorrento, e l’Inverno con un campo di caccia a Persano. Il ciclo pittorico, che ornava il primo piano, fu immaginato per attuare un “gioco prospettico”, ossia l’alternanza fra i paesaggi dipinti e le vedute reali che si potevano contemplare dalle grandi finestre, che erano intervallate appunto da questi grandi quadri, purtroppo non più in loco in quanto rubati nel 1799. Completava il ciclo dei dipinti un ritratto di Ferdinando IV a caccia, oggi conservato a Capodimonte. Le pareti erano inoltre tappezzate da raffinata seta di S. Leucio. Nel corso dei secoli la Casina ha avuto vari ospiti illustri: Mozart, Gioacchino Rossini, lo Zar di Russia, Francesco II d’Austria e, negli anni ’50, l’allora Presidente della Repubblica Luigi Einaudi.
Oggi l’interno della Casina è sicuramente più semplice di come era stato immaginato un tempo, anche se non manca di suggestione: il piccolo studio interno con le riproduzioni di costumi d’epoca, il salotto con il camino in marmo, il lampadario d’epoca e le fotografie di chi, nel corso degli anni, ha voluto immortalare la bellezza di questo piccolo gioiello. È stato utilizzato per matrimoni, feste e convegni in generale ma versa, nonostante un restauro compiuto nel 2000, in cattive condizioni, in quanto alcuni intonaci, sia esterni che interni, sono scrostati. È solo grazie all’opera di alcuni volontari che è possibile ammirare ancora questa costruzione.
Sulla casina circola una leggenda metropolitana, ossia che sia stata utilizzata per girare alcune scene del film “Pinocchio” di Comencini del 1972; è una notizia falsa, in quanto la location del film fu il lago di Martignano in provincia di Roma, ma dimostra quanta suggestione questa casina, collegata alla riva da un pontile in legno, riesca a trasmettere.
Sitografia
http://napoli.fanpage.it/la-casina-vanvitelliana-lago-del-fusaro-bacoli/
https://internettuale.wordpress.com/2016/08/05/la-casetta-di-pinocchio-a-bacoli-capolavoro-tardobarocco-di-vanvitelli/
http://www.beniculturali.it/mibac/export/MiBAC/sito-MiBAC/Contenuti/MibacUnif/Eventi/visualizza_asset.html_1794108899.html
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