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A cura di Alessia Zeni

Introduzione

“Se mi si chiede: “Perché dipingi?” confesso che lì per lì mi sentirei imbarazzato. É più semplice se ci penso un po’… direi che quando posso dipingere sono felice, anche se soffro con me stesso. Potrei spiegarmi meglio ricordando il travaglio e la gioia della madre”[1]. Con queste semplici parole il pittore trentino Carlo Sartori descrisse il suo amore verso la pittura e l’arte in generale. Erroneamente etichettato come artista naïf, oggi la critica lo considera una personalità unica e originale nel panorama artistico del Novecento trentino.

Fig. 1 – Autoritratto (“Mi pittor e contadin”), 1993, olio su tela, 50×40 (Fondazione Casa Museo pittore Carlo Sartori).

La vita di Carlo Sartori

Nato in una famiglia di umili origini a Ranzo di Vezzano, nella trentina Valle dei Laghi, il 27 maggio 1921, fin da piccolo mostrò una particolare predisposizione per il disegno che il poeta e scrittore trentino Renzo Francescotti così commentò: “Carlo è uno che si porta dietro da sempre la passione della pittura, come una malattia inguaribile[2].

A causa dei problemi economici in cui versava la sua famiglia, in giovane età, si trasferì nelle Valli Giudicarie, nel Trentino occidentale, a S. Lorenzo in Banale e poi nella frazione di Godenzo-Poia, dove visse nelle tipiche case in legno e paglia dell’epoca. Nel 1934 la sua casa subì un furioso incendio e il piccolo Carlo, che allora aveva solo tredici anni, riuscì a salvare i suoi tre fratelli con i quali era rimasto solo. Il gesto fu talmente eroico e coraggioso che gli permise di ottenere la medaglia d’argento al valor civile, consegnata l’anno seguente a Roma dal Capo del Governo, Benito Mussolini, e la pubblicazione del suo nome sulla rivista “Il Balilla” nella sezione giovinezza eroica.

Fig. 2 – Autoritratto con medaglia d’argento al valor civile, 1961, olio su faesite, 57×49.5 (Fondazione Casa Museo pittore Carlo Sartori).

Questo singolare episodio incise sul carattere del giovane Sartori che si convinse di essere destinato ad un luminoso destino e ad inseguire il sogno di diventare un celebre pittore. Convinto di poter vivere della sua arte, riuscì in vita a vendere i suoi quadri a prezzi significativi, continuando inizialmente la sua attività di contadino, e poi di imbianchino. Le origini contadine, il carattere schivo, la passione per la natura e la libertà furono i temi che emersero nell’arte di Sartori, incentrata su soggetti bucolici e temi pastorali. Inoltre, nonostante la timidezza, egli ebbe anche una spiccata ironia che emerse nei suoi quadri, nei titoli ironici e nelle raffigurazioni di piccoli animali ammiccanti.

Nella formazione artistica di Carlo Sartori fu importante l’incontro con il pittore e decoratore girovago, nativo della Valle di Primiero, nel Trentino orientale, Grazioso Origher, dal quale apprese i materiali e le tecniche pittoriche, nonché i soggetti e lo stile. Un altro incontro cruciale fu con il pittore Matteo Tevini (Trento 1869-Torino 1946) che lo incoraggiò a studiare arte, rivelandogli i segreti “del saper vedere”, estraendo dal contesto masse, volumi e prospettive. In un secondo momento Sartori iniziò un percorso didattico per corrispondenza presso la scuola ABC di Torino e poi, sempre per corrispondenza, presso l’Istituto Volontà di Roma; da queste esperienze apprese il disegno e la decorazione pittorica. Sartori fu sicuramente un pittore autodidatta, ma la sua passione per l’arte lo portò a studiare parecchi manuali di pittura, testi di critica e di storia dell’arte, in particolare i grandi artisti del Trecento toscano. La sua poliedrica formazione è testimoniata dalle note, gli studi, gli schizzi e i cartoni preparatori che egli eseguì per ogni dipinto, conservati e catalogati oggi nella “Casa Museo” di Godenzo.

Infine sono da ricordare le mostre, personali e collettive, che contribuirono a diffondere la fama del pittore. La prima fu la collettiva del 1959 presso il Circolo della Stampa di Bolzano, seguita dalla personale allestita all’Hotel Miralago di Molveno nel 1960. Qui, raggiunto l’albergo con la corriera e le opere sotto braccio, appoggiando i dipinti su tavoli e sedie, riuscì a vendere tutte le sue opere, anche a prezzi elevati. Altre mostre personali e collettive seguirono negli anni, a Trento, Torbole sul Garda, Verona, Riva del Garda, Pavia, Bologna, Milano ed altre città. Fra queste esposizioni fu importante l’invito che ottenne nel 1977 alla “Rassegna di pittura e scultura” presso il Museo Nazionale della Arti Naives “Cesare Zavattini” di Luzzara a Reggio Emilia. Tale invito gli permise di ottenere, erroneamente, il titolo di pittore naïf e la partecipazione alle successive quattordici mostre collettive dedicate ai pittori riconducibili a tale stile. Le molte mostre a cui partecipò, sia a livello nazionale che internazionale, gli diedero una tale fama che spesso la domenica a Godenzo appassionati e curiosi venivano da tutta Italia per conoscere l’artista e comprare le sue opere.

In questo contesto è bene ricordare la prima personale allestita nel 2012 nelle sale del Palazzo Assessorile di Cles, in Valle di Non, dopo la morte di Carlo Sartori, avvenuta il 5 maggio 2010 alla soglia dei novant’anni. La mostra ”Carlo Sartori, il pittore della nostra terra” è stata la prima uscita pubblica della Fondazione “Casa Museo Pittore Carlo Sartori” di Godenzo, costituita nel 2011 al fine di custodire, diffondere e valorizzare il patrimonio artistico e le testimonianze lasciate dall’artista nella sua vita interamente dedicata alla pittura.

Il percorso formativo di un artista autodidatta “colto”

Carlo Sartori fu un artista poliedrico che sperimentò molte tecniche artistiche, dal disegno alla scultura, fino all’affresco e alla pittura su cavalletto. Quest’ultima fu protagonista nella produzione artistica di Sartori, incentrata sulla vita contadina e religiosa del mondo agreste trentino in cui visse, ma anche sugli autoritratti, i temi religiosi, come le crocifissioni, le nature morte e i ritratti familiari.

Prima di raggiungere la maturità artistica, il percorso formativo di Sartori potrebbe essere suddiviso in quattro periodi artistici. Il primo arco di tempo è quello che va dal 1952 al 1958 ed è caratterizzato da disegni e acquerelli che omaggiano i genitori, e da lavori ad olio su tela, masonite e faesite che rivelano un artista dilettante alla ricerca del suo mondo e del suo stile. Compaiono in questo periodo i primi autoritratti che saranno sempre presenti nel percorso artistico di Sartori, una sorta di lettura introspettiva che fa di se stesso.

Il secondo periodo che va dal 1959 al 1962, rappresenta la fase “cubista” del pittore. Un cubismo singolare e tardivo che dava poco interesse alla resa della solidità, alla scomposizione dei piani e alla tridimensionalità, capisaldi del cubismo internazionale. Questa risulta però una fase importante poiché incominciò ad affacciarsi alle sue tematiche, quella religiosa e quella contadina.

Fig. 5 – Crocifissione di Cristo, 1960, olio su masonite, 45×40 (Fondazione Casa Museo pittore Carlo Sartori).

Il periodo seguente si rivela un periodo di studio che lo porterà a sperimentare il caratteristico “rosso sartoriano”, cifra stilistica della sua maturità artistica e che esploderà per la prima volta nel 1963 nella Crocifissione “Cristo che abbraccia l’umanità”. É un periodo di forte alternanza stilistica in cui Sartori si ispira al Van Gogh populista, della prima maniera, ad un tardo impressionismo, ai Macchiaioli (Fattori e Carrà) e ai Fauves.

L’ultima fase, che ha inizio nel 1970, è quella in cui raggiunge la piena maturità e il suo stile inconfondibile, da qui in poi comincerà a raccontare il suo mondo, la “grande saga contadina”. Nella piena maturità artistica Carlo Sartori realizzerà le sue opere più famose e caratteristiche, dove l’etichetta di artista naïf è ormai rifiutata dalla critica per parlare piuttosto di un artista che racconta il mondo contadino attraverso un “arcaico primitivismo”, studiato e pensato dall’artista nel suo percorso formativo da autodidatta “colto”[3].

Fig. 9 – L’indifferenza per chi soffre, 1971, olio su tela, 100×70.

La maturità artistica di Carlo Sartori: la “grande saga contadina”

Osservando i quadri della piena maturità artistica di Sartori colpiscono i soggetti, le composizioni, la prospettiva schiacciata verso il centro, ma soprattutto l’incredibile timbro dei suoi quadri, il famoso “rosso sartoriano”, che pur rispettando i colori della tavolozza, avvolge il dipinto e suscita calore ed emozione. L’origine del “rosso sartoriano” è alquanto incerta. Il poeta e scrittore trentino Renzo Francescotti lo lega al drammatico episodio che visse da giovane, quando salvò i sui fratelli dal furioso incendio della casa di famiglia: “Vide negli occhi la morte di sé e dei fratellini in un rosso-giallo che tutto travolgeva[4]. Potrebbe però essere spiegato anche con le parole dell’artista: “In quel periodo (fine del 1961) guardando ancora la pittura dei classici, ed in special modo il colore dei quattrocentisti, ho capito che il bianco non faceva quasi mai parte nell’impasto dei loro colori e così i quadri dei migliori autori avevano un tonalismo dorato color miele che legava tutto con meraviglia. Da allora ho dipinto escludendo quasi totalmente il bianco tranne nei punti dove dovevo far apparire oggetti che dovevano sembrare bianchi, componendo l’impasto della parte di luce colorata con colori caldi o freddi con pochissimo bianco e, per la necessità di schiarire certi colori, al posto del bianco usavo ocra chiara[5].

Le sue opere raccontano di un mondo agreste abitato da contadini intenti nel loro quotidiano lavoro di pastori, boscaioli, carrettieri, vendemmiatori, seminatori, mietitori, falciatori, raccoglitori di patate, uccisori di maiali, muratori, maniscalchi, falegnami, calzolai, mugnai e molto altro ancora. Raccontano di lavoratori dediti alla siesta, alla vita religiosa, di contadini innamorati e anche di donne che partecipano alla vita contadina dei loro mariti, raccogliendo, guidando i buoi, spigolando o intente nel lavoro di lavandaie alla fontana. Nel raccontare la vita dei contadini, quest’ultimi vengono dipinti in corpi quasi deformi, bassi e tozzi, con teste scimmiesche e con mani e piedi grandi e callosi, quasi a voler sottolineare la fatica quotidiana che deforma il fisico.  Immancabili nei quadri di Sartori sono gli animali – buoi, vacche, cavalli, capre, pecore, galline, cani e gatti – da lavoro e domestici, ma anche quelli selvatici quali uccelli, topi e lucertole. Uomini e animali vivono insieme e partecipano alla fatica del lavoro e all’intimità domestica, e spesso la loro presenza è ammiccante e ironica. Infine nei suoi quadri non mancano gli attrezzi del lavoro contadino, le case rustiche, i frutti prodotti dalla terra – patate, frumento e frutta – e le piante e i boschi. Il paesaggio che lui raffigura nei suoi quadri non rappresenta la terra natia, ma molto spesso raffigura alberi stilizzati ed irreali, nonché piante rade e scheletriche per le quali prese ispirazione dalla lezione di Giotto e dei pittori trecenteschi toscani.

Il tutto è raccontato in composizioni particolari con figure che sembrano schiacciate a terra e che si accalcano verso il centro; i soggetti sono rappresentati in una visione dall’alto con un effetto di schiacciamento verso il basso di tutti gli oggetti e di tutte le figure. Una visione quasi simbolica di un’umanità schiacciata a terra dalle fatiche del lavoro, ma che guarda verso l’alto, il cielo. Infatti non mancano nei suoi quadri frequenti gesti di preghiera, una costante nella vita contadina del tempo che chiedeva aiuto per sopravvivere. La componente religiosa è un elemento molto forte nei quadri di Carlo Sartori: una religiosità popolare che il pittore coglie mettendo i soggetti – piante e animali compresi – nella stessa posizione, in un mondo agreste paradisiaco.

 

Note

[1] Carlo Sartori, “Autopresentazione” in Catalogo della mostra collettiva “10+10. Pittori e incisori trentini del XX secolo”, Roma e Trento, 1971.

[2] Francescotti Renzo, “La saga contadina del pittore Carlo Sartori”, in Carlo Sartori. La saga contadina del pittore, p. 13.

[3] La pittura naïf è un genere di arte caratterizzata da semplici elementi, praticata da pittori non professionisti, autodidatti, attivi in America e in Europa, a partire dalla fine del sec. XIX. Inizialmente lo stesso Sartori accetterà questo tipo di definizione, ma in seguito questo tipo di etichetta non verrà più accolto dalla critica e dall’artista. Un artista naïf è estraneo allo studio della pittura, alla preparazione dei quadri con disegni e studi, ignora la prospettiva e ha un’abilità e un’ideologia che è del tutto estranea alla grande formazione artistica di Carlo Sartori.

[4] Francescotti, 2002, p. 18.

[5] Sartori Carlo, Protagonista della mia avventura, p.236.

 

Bibliografia

Rocca Gianluigi, Togni Alessandro, Carlo Sartori. La vita, la natura e il volto. Retrospettiva, Trento,

Consiglio della Provincia autonoma di Trento, 2017.

Sartori Carlo, La mia vita, 2014.

Fedrizzi Camillo, Tamanini Nicoletta, Carlo Sartori. Il pittore della nostra terra. 1921-2010, Cles, Nitida Immagine, 2012.

Francescotti Renzo, Carlo Sartori. Le crocifissioni, Spazio Archeologico Sotterraneo del Sas (S.A.S.S.) 23 Ottobre-1 Dicembre 2002, Trento, Nuove Arti Grafiche Artigianelli, 2002.

Sartori Carlo, La saga contadina del pittore Carlo Sartori, Trento , Artigianelli 1993.

 

Sitografia

www.carlosartori.info

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