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A cura di Silvia Donati

Introduzione: l’arte che riflette il passato

Nel panorama artistico contemporaneo le costanti che caratterizzano la firma di un autore sono  la ricerca e, soprattutto, l’influenza del passato. Attualmente, che si visiti una mostra, una Biennale, una retrospettiva o una qualsiasi esperienza visiva/sensoriale si entra inesorabilmente in contatto con la biografia di chi ha realizzato l’opera, perché per comprenderne a pieno il tutto dobbiamo accettare il compromesso che  vita e produzione artistica sono due cose imprescindibili. E si sa che nell’intricata trama dell’essere umano che decide di fare della sua esistenza una continua esposizione artistica, egli ha bisogno di essere costantemente ispirato, soprattutto da quello che è stato, ovvero da chi secoli prima ha trasformato il modo di fruire l’opera.
Ma cosa significa passato? Entrare in contatto con quelli che sono stati i capisaldi ovvero quegli elementi cardine che hanno sconvolto, disturbato e in qualche modo segnato l’inevitabile percorso della storia dell’arte affinché potesse diventare ciò che è adesso: uno sguardo sulla contemporaneità che se non attinge a ciò che è stato ieri non ha modo di  esistere qui ed ora.

Attraverso la videoarte gli esponenti contemporanei hanno dimostrato che l’ispirazione va ben oltre la semplice emulazione.

Il processo che prevede in sequenza osservazione, assimilazione, rielaborazione e interpretazione dell’opera antica fa già parte dell’opera in sé: è già l’inizio della performance e questo lo hanno capito, in epoche e modalità diverse, Pier Paolo Pasolini e Bill Viola.

Pier Paolo Pasolini e le influenze dell’arte manierista

Grazie alle interviste da loro rilasciate siamo certi della presenza di una spinta che partendo da Giotto passa per il Rinascimento e approda al Manierismo.

Ma andiamo per gradi.
I periodi presi in esame da questi autori contemporanei sono quelli che hanno fatto grande l’Italia per uno dei motivi che la rendono famosa nel mondo: la storia dell’arte. Non è un caso che Pasolini citi Giotto all’interno del suo “Decameron”(1971) interpretandone “l’allievo” e trasformando la macchina da presa in un pennello che va a delineare sulla pellicola, scena dopo scena, un racconto per immagini, simbolismi, citazioni.
Riproporrà fisicamente e visivamente il “Giudizio Universale” realizzato da Giotto per la Cappella degli Scrovegni di Padova nel 1306, disponendo attori e comparse con costumi e colori che rimandano fedelmente all’opera. Questa si mostra, a noi spettatori, come un’apparizione onirica, con una Silvana Mangano, unica attrice professionista all’interno della pellicola, che fa “solo” la comparsa nel ruolo della Madonna. I  personaggi che compongono il tableau vivant, fedelmente riprodotto dal regista, si muovono in zone e direzioni diverse quasi a lasciarci credere di essere anche noi caduti in un sonno profondo in cui i sogni si mescolano con la realtà.  L’attenta analisi dell’affresco è evidente nella cura che ha Pasolini dei dettagli coloristici che caratterizzano la pittura di Giotto, nell’inconfondibile schema compositivo che è figlio di una prospettiva pittorica ancora intuitiva e nell’espressività che fa parlare ogni singolo soggetto, punto di forza del pittore al quale attingeranno i colleghi del Rinascimento.

Celebre sarà la battuta de “l’allievo”:

 

«Perché realizzare un’opera – esclama Pasolini – quando è così bello soltanto sognarla?».

Ancor più penetranti, e assolutamente innovativi per l’epoca, sono gli interventi che Pasolini immagina e realizza per il famigerato episodio de “La Ricotta” all’interno del film “Ro.Go.Pag” del 1963 che insieme a lui veniva firmato, nello strano titolo, dalle iniziali di Roberto Rossellini, Jean Luc Godard e Ugo Grogoretti.
Pasolini ambienta il suo mediometraggio di trenta minuti nella campagna romana dove una troupe sta filmando la Passione di Cristo diretta da un regista interpretato da Orson Welles. In questo film nel film la tematica della Passione è rivolta a quella fetta di società che Pasolini amava ritrarre e, soprattutto, prelevare dalla strada come cast nella persistente accusa alla borghesia che si racchiude nelle parole «Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d’Europa». Il soggetto della Passione, intesa in modo biblico, è reso ancor tangibile dall’inserimento di due tableaux vivants, uniche scene a colori all’interno di una pellicola interamente in bianco e nero.
Egli evoca e riprende fedelmente, nelle pose e nei colori, le celebri “Deposizioni” di Pontormo e Rosso Fiorentino.

A un certo punto dall’inquadratura in bianco e nero il nostro Orson Welles, nella sedia da regista, dà il ciak alla scena che, a sorpresa, si mostra a noi spettatori totalmente a colori, con quei colori che nel periodo meglio conosciuto come “Manierismo” erano il mezzo espressivo per gli artisti dell’epoca rimasti ormai orfani dei grandi maestri del Rinascimento. Le due pale dei due maestri manieristi, reinterpretate per l’occasione, presentano i personaggi in carne e ossa disposti fedelmente come da dipinto: stessi gesti, stesse luci, stessi colori. Ma il tocco registico non manca e vediamo alcuni di questi muoversi in maniera convulsa, di altri invece, se ne coglie il labiale ma non la parola stessa. Un Twist di sottofondo irrompe e rompe la poesia, la voce del regista incede con “No! No! Non quello! Siete peggio di quelli che giocavano a dadi ai piedi della croce, voi!” irritato dalle risate dei suoi non-immobili protagonisti, mentre finalmente entrano, con voci fuori campo, delle famose citazioni letterarie, continua a inveire con:

“Lei è la figura di una pala d’altare deve stare ferma!”

Innegabile lo stile registico di Pasolini che sente forte il richiamo della letteratura, della musica e della storia dell’arte per permettere che queste a un certo punto convoglino in quelle che risultano essere le scene spiazzanti, a volte anche dissacranti, all’interno della pellicola. Alla sua maniera provocatoria riuscirà a darci quello spaccato di società sempre meno presa in considerazione a discapito della tanto criticata borghesia, regalandoci uno spunto di riflessione che va oltre la cinematografia moderna.

 

Lasciamo la filmografia pasoliniana per addentrarci, a breve, nell’attualissima videoarte di Bill Viola. Restate connessi!

 

SILVIA DONATI

Silvia Donati, classe ’83. Dopo la maturità scientifica conseguo, nell’anno accademico 2005-06, la Laurea in Pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Macerata, nel 2009 ottengo l’abilitazione all’insegnamento della Storia dell’Arte e del disegno tecnico per le scuole medie e superiori. Nel 2011 frequento un master in Museologia Europea presso lo IULM di Milano. Nel 2013 ottengo un Master Specialistico in “L’insegnamento della Storia dell’Arte metodologie e Tecniche per la didattica” (For.Com – Roma). Approfondisco lo studio della lingua inglese a New York (New York University) e San Francisco (Kaplan College). Sono una docente di storia dell’arte e  di storia del costume, insegno danza e sono curatrice di vari eventi culturali che si svolgono su Ancona e provincia, con il fine di sensibilizzare l’interesse per la cultura e l’arte.

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