A cura di Maria Anna Chiatti
Introduzione
Giovanni Baglione è stato un pittore e storico romano; nel seguente articolo ci si concentrerà su un’opera enigmatica e significativa della sua carriera, l’Amor sacro e Amor profano, dipinta in due versioni.
Giovanni Baglione
Giovanni Baglione (Roma 1573 ca-1644) si formò in ambito tardo manieristico e fu attivo nelle grandi imprese sistine e clementine nella Roma di fine Cinquecento. È noto soprattutto per la sua opera biografica Le vite de’ pittori, scultori et architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di Papa Urbano VIII nel 1642, pubblicata nel 1642. Fu coetaneo di Caravaggio, nonché il primo pittore ad avvicinarsi a quella straordinaria e nuovissima visione naturalistica ufficialmente riconosciuta nelle tele di San Luigi dei Francesi eseguite dal Merisi per l’anno santo 1600. Da Caravaggio, Giovanni Baglione riprese il punto di vista ravvicinato dei personaggi, il fondo scuro su cui si stagliano figure illuminate da una luce intensa e diretta, e i forti contrasti chiaroscurali.
È degno di nota che Giovanni Baglione querelò per diffamazione proprio Caravaggio, insieme a Orazio Gentileschi e Onorio Longhi; la denuncia si basava su una serie di versi offensivi che circolavano in città, di cui Baglione credeva responsabili i pittori succitati, che finirono a processo nel 1603[1].
Amor sacro e Amor profano
Il tema morale della lotta tra vizio e virtù, derivato dalla Psicomachia di Prudenzio, interpretato da Virgilio in Omnis vincit Amor, e infine codificato da Petrarca, conobbe agli inizi del Seicento una nuova fortunata diffusione[2].
Anche Giovanni Baglione rispose al richiamo di questo topos iconografico: la tela di rappresenta l’Amore sacro che trionfa sull’Amore profano, sovrastandolo.
Su fondo scuro si stagliano le figure di due giovani e quella di un diavolo, schiacciato nell’angolo in basso a sinistra, ritratto con il volto terrorizzato. L’Amore profano è alato ma nudo, la freccia stretta nella mano sinistra, l’arco nella destra. Riccioli castani incorniciano un viso spaventato.
Amor sacro è invece un bellissimo angelo con le ali spiegate, i capelli lunghi e un abbigliamento complesso e dettagliato, seppur succinto. Il lato destro del corpo è investito dalla luce, che ne evidenzia il bel corpo e l’ala; nella mano reca il dardo, anch’esso di una foggia particolarmente complessa.
Il segno della formazione tardo manierista di Giovanni Baglione è riconoscibile nella modalità compositiva delle singole figure, in particolare nell’Amore vincitore e nel suo abito così ricco, molto lontano dai tipi caravaggeschi[3].
Il dipinto riporta firma e data sopra la testa dell’Amore vinto: «IO Baglione/R:F:/1602». L’iscrizione tuttavia non è al momento visibile, a causa dell’ossidazione della vernice, ma fu scoperta durante un restauro nel 1979 insieme alle tracce di un vistoso pentimento sulla gamba nuda che cela un calzare in metallo sbalzato.
Giovanni Baglione e le vicende storico-critiche dell’Amor sacro e Amor profano
Lo stesso Baglione nomina questo dipinto nelle Vite, nel capitolo dedicato alla propria vita, l’ultimo del compendio: “[…] Et al Cardinal Giustiniani fece due dipinture di due Amori Divini, che tengono sotto i piedi l’Amor profano, il Mondo, il Demonio, e la Carne, e queste l’una incontro all’altra veggonsi nella Sala del suo Palagio, dal naturale con diligenza fatte […]”[4].
L’altra tela a cui Giovanni Baglione si riferisce è oggi conservata alla Gemäldegalerie, Staatliche Museen Berlino (fig. 3).
Come si può notare, i due dipinti raffigurano due variazioni dello stesso tema, e sono diversi anche nelle dimensioni; per giunta le dimensioni dell’Amor sacro di Roma non corrispondono a quelle originali, dal momento che sappiamo da un inventario tardo seicentesco che la tela aveva dei fregi dipinti in chiaroscuro sui lati, in seguito eliminati. Un particolare da notare con attenzione è che il diavolo in basso a sinistra, nella versione oggi a Berlino (la prima ad essere stata realizzata) è raffigurato di spalle, mentre nell’altra ci mostra il viso. Proprio nella figura del demonio Hewarth Roettgen ha identificato il ritratto di Caravaggio.
Alcuni particolari sull’esecuzione dei due soggetti sono tramandati dalla testimonianza di Orazio Gentileschi nel processo del 1603, secondo il quale Baglione avrebbe realizzato prima l’Amor sacro in versione armata e solo in seguito, dal momento che il committente non era pienamente soddisfatto, anche la versione con l’Amore “tutto ignudo”.
Sulla questione dell’attribuzione dei due dipinti hanno discusso critici illustrissimi come Hermann Voss, Richard Spear e Valentino Martinelli, Roberto Longhi, Italo Faldi e Hewarth Röttgen.
Le due versioni dell’Amore vincitore rimasero nella collezione Giustiniani fino agli inizi del XIX secolo. Entrambe sono citate nell’inventario del 1802: una esposta nella Galleria e attribuita a Caravaggio, l’altra, segnata come copia di anonimo, in una stanza dell’appartamento. È molto probabile che la tela attribuita a Caravaggio, e quindi considerata di maggior pregio, fosse quella oggi a Berlino, dal momento che è l’unica delle due ad essere illustrata dal catalogo di vendita di Landon a Parigi del 1812[5].
Il nostro Amore vincitore fu quindi considerato una copia, malgrado recasse firma e data (forse già offuscate dall’ossidazione delle vernici), e rimase a Roma, con ogni probabilità in casa Giustiniani. Non si hanno sue notizie fino al 1857, anno in cui compare, con un riferimento a «Maniera di Caravaggio» in uno dei primi cataloghi del Monte di Pietà, che dalla metà dell’Ottocento aveva cominciato ad accettare opere d’arte come pegno per i prestiti; con lo stesso riferimento lo si trova ancora nel catalogo di vendita del Monte di Pietà del 1875. Rimasto invenduto è confluito nel 1895 nelle collezioni della Galleria Nazionale.
Nel 1908 fu consegnato in deposito all’Ambasciata d’Italia a Berlino, e dichiarato disperso in seguito ai bombardamenti del 1944: una volta ritrovato in una collezione privata tedesca e segnalato alla Direzione della Galleria, è finalmente rientrato a Roma nel 1963.
Un interessantissimo approfondimento sull’argomento è offerto dal professor Claudio Strinati nella rubrica “L’opera del lunedì” per il suo canale youtube Dialogues al link:
Note
[1] Le carte del processo sono consultabili sul sito web dell’Archivio di Stato di Roma.
[2] Mochi Onori L., Vodret R., Capolavori della Galleria Nazionale D’Arte Antica. Palazzo Barberini, Roma 1998, cit. p. 92.
[3] Ibidem.
[4] Baglione G., Le vite de’ pittori, scultori et architetti. Dal Pontificato di Gregorio XIII del 1572 in fino a’ tempi di Papa Urbano VIII nel 1642, Roma 1642, cit. p. 403.
[5] Cfr. Strinati C., Vodret R., Caravaggio e i suoi, percorsi caravaggeschi in Palazzo Barberini, Catalogo della mostra, Napoli 1999, p. 32.
Bibliografia
Cola M.C., Giovanni Baglione, Amor sacro e Amor profano in Cieri Via C. (a cura di) Immagini degli dei: mitologia e collezionismo tra ‘500 e ‘600, Catalogo della mostra, Lecce 1996, pp. 189 e segg. Con bibliografia precedente
Magnanimi G., Giovanni Baglione, in Antologia di restauri, Catalogo della mostra, Roma 1982
Mochi Onori L., Vodret R., Capolavori della Galleria Nazionale D’Arte Antica. Palazzo Barberini, Roma 1998, scheda n° 62, p. 92
Roettgen H., Quel diavolo è Caravaggio. Giovanni Baglione e la sua denuncia satirica dell’amor terreno, in “Storia dell’arte” n° 79, 1993, pp. 326 e segg.
Strinati C., Vodret R., Caravaggio and his followers, Catalogo della mostra ad Hartford, Venezia 1998, p. 22
Strinati C., Vodret R., Caravaggio e i suoi, percorsi caravaggeschi in Palazzo Barberini, Catalogo della mostra, Napoli 1999, scheda n° 4, p. 32
Sitografia
Sito web dell’Archivio di Stato di Roma al link: https://archiviodistatoroma.beniculturali.it/it/237/il-processo-del-1603.
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