A cura di Ornella Amato
Una leggenda napoletana
In un paese che non vi dico
Addormentata in riva al mare
Col vulcano che la sta a guardare
C′è da sempre una Sirena
Una fattura l’incatena
E nessuno la può svegliare…
Cit.: “Sole Sole”, Eugenio Bennato[1]
La nascita della città di Napoli: tra storia e leggenda
Il 21 dicembre dell’anno 475 a.C. veniva fondata Napoli, o meglio ancora, Neapolis, la Città Nuova, appellativo utilizzato per distinguerla dal precedente insediamento denominato Palepolis, ovvero la città vecchia, che oggi viene individuato nell’attuale centro storico.
In realtà la data suddetta è assolutamente simbolica perché se da un lato gli storici sono concordi sull’anno di fondazione, per quel che concerne il giorno si è scelto quello in cui solitamente cade il solstizio d’inverno dato che era tradizione delle popolazioni antiche gettare le basi delle nuove città durante questo periodo; sta di fatto che la sua fondazione resta avvolta nel mistero.
Indiscutibili sono l’origine greca e il mito fantastico della sirena Partenope, che accompagna da sempre la storia della nascita di Napoli.
Chi era realmente Partenope e se sia effettivamente esistita è impossibile dirlo. Secondo alcune correnti di pensiero sarebbe stata una principessa greca morta quando una nave che trasportava i coloni aveva raggiunto le coste, ma non è mai stata ritrovata una sua tomba né un’immagine ad essa riconducibile. Eppure, Partenope esiste in ogni napoletano che si dichiara suo figlio, in ogni napoletano che si dichiara “partenopeo”.
La leggenda vuole che Partenope in realtà sia una sirena, la cui immagine segue l’iconografia tradizionale di queste creature: donne che dalla vita in giù, al posto del bacino e delle gambe, hanno la coda di un pesce, anche se in tempi antichi erano presentate anche come degli uccelli e quindi con le ali.
Le Sirene raccontate nella mitologia classica
Lunghi capelli, corpo sinuoso e viso splendido, code lunghe con squame dai colori sorprendenti, dal verde smeraldo al blu cobalto passando per l’argento: così è rappresentata la sirena a cui oggi siamo abituati, ma sin dai tempi più remoti e soprattutto nell’età classica era vista quasi come un’arpia, una figura ibrida tra donna e rapace che catturava le sue prede ammaliandole con un canto capace di stregare gli uomini. Nessuno poteva resistere.
Ne parla anche Omero nel canto XII dell’Odissea:
[…] Dapprima arriverai dalle Sirene, che incantano
gli uomini che arrivano presso di loro.
Chi senza saperlo si accosta e ascolta la voce
delle Sirene, non lo accoglieranno mai più la moglie e i figli
al suo ritorno a casa, ma le Sirene
sedute sul prato lo stregano con il loro canto
armonioso; tutta la riva intorno
è piena di cadaveri putrefatti, le carni marciscono […]. [2]
Raccontando il viaggio di ritorno di Ulisse ad Itaca dopo la guerra di Troia, l’eroe, il suo equipaggio e la sua nave riescono a sopravvivere al canto ammaliatore delle sirene poiché, messi in guardia da Circe, scelgono di attuare uno stratagemma: Ulisse si fa legare all’albero maestro della nave ed impone all’equipaggio di tapparsi le orecchie con la cera per evitare di naufragare sugli scogli dove le sirene avrebbero potuto condurli.
La Sirena Partenope: dall’isolotto di Megaride al Golfo di Napoli
Leucosia, Ligeia e Partenope erano tre sorelle, ma soprattutto tre sirene.
Consapevoli del potere del loro canto fascinoso, tentarono di attirare l’attenzione di Ulisse del quale Partenope si innamorò perdutamente, ma il rifiuto dell’uomo fu devastante e la sirena si lasciò trascinare dalle acque del Mar Tirreno fino a lasciarsi morire sull’isolotto di Megaride. Da qui nascerebbe la leggenda di Napoli e di Partenope.
Il corpo della sirena non fu mai ritrovato. A questo punto sarebbe più corretto parlare del mito di Partenope, piuttosto che di leggenda. Ma una spiegazione i napoletani a questo mancato ritrovamento l’hanno anche data: il corpo si sarebbe dissolto a partire dall’Isolotto di Megaride, su cui secondo il mito la sirena aveva appoggiato la sua testa, mentre la restante parte si sarebbe adagiata lungo quella che era la costa del tempo dando vita al Golfo di Napoli che nella forma ricorderebbe, quindi, la curva della coda della sirena stessa.
Stando a questa mitologica ricostruzione, la sirena, il cui fianco sinistro era rivolto verso il mare, col suo fianco destro avrebbe dato vita allo sviluppo della città di Napoli, dal basso verso l’alto, comprese le sue undici colline.
E se Partenope non fosse morta? Lo sosteneva Matilde Serao:
Ebbene, io vi dico che non è vero. Parthenope non ha tomba, Parthenope non è morta. Ella vive, splendida, giovane e bella, da cinquemila anni. Ella corre ancora sui poggi, ella erra sulla spiaggia, ella si affaccia al vulcano, ella si smarrisce nelle vallate. È lei che rende la nostra città ebbra di luce e folle di colori: è lei che fa brillare le stelle nelle notti serene; è lei che rende irresistibile il profumo dell’arancio; è lei che fa fosforeggiare il mare.[3]
Ma per i napoletani Partenope ha scelto la morte. Una morte causata dal rifiuto di un amore, ma che ha dato vita alla sua città, Napoli, che oggi è per tutti “la Città di Partenope”. E non sarebbero mancati omaggi. Infatti, è a lei che si devono sette doni preziosi: grano, estratto di fiori d’arancio, cannella, cedro, ricotta, uova e zucchero, ovvero i 7 ingredienti fondamentali per la pastiera napoletana, dolce tipico del periodo pasquale e che mai deve mancare sulle tavole partenopee.
Partenope è là che in eterno riposa sull’isolotto di Megaride, oggi Borgo Marinari, ai piedi del Castel dell’Ovo, il castello più antico della città, che conserva e nasconde un magico uovo d’oro lì riposto dal poeta Virgilio: un uovo deposto dalle sirene, che protegge il castello e la città.
La fortezza in realtà ha avuto origine dai resti di una villa luculliana e risale al I sec. d.C circa. Avrebbe visto diversi eventi svolgersi tra le sue mura: qui fu esiliato Tarquinio il Superbo, ultimo re di Roma, dal barbaro Odoacre e venne decapitato Corradino di Svevia, ma soprattutto fu il luogo che vide la regina Giovanna d’Angiò dichiarare pubblicamente che, a seguito di un rovinoso incendio che aveva distrutto una parte della struttura, l’uovo d’oro che tutt’oggi conserva era rimasto intatto: una dichiarazione resasi necessaria per placare l’animo dei napoletani, preoccupati per le sciagure che si sarebbero abbattute sulla città qualora l’uovo fosse andato distrutto.
Per quanto riguarda il corpo della sirena, per secoli i napoletani lo hanno cercato, ovviamente senza mai trovarlo.
Ai napoletani interessa la certezza della protezione dalle avversità, che offre soprattutto il patrono San Gennaro attraverso il miracolo della liquefazione del Sangue, ma che è anche garantita dell’uovo d’oro e dalla sirena.
Partenope è là che dorme accarezzata dalle onde del mare che s’infrangono sugli scogli dolcemente per non disturbarla, perché sanno che mentre riposa nel sonno eterno veglia sulla sua creatura.
E chi a guarda s’annammora
E tutt′o munno a sta a guardare
E nisciuno ′a po’ scetare. [4]
Le immagini inserite in questo elaborato dalla 3 alla 8 sono state realizzate dall’autrice dell’articolo.
Note
[1] Citazione liberamente tratta dalla prima strofa della canzone “Sole Sole” di E. Bennato. Testo consultabile su www.testiecanzoni.mtv.it
[2] Odissea, libro XII, vv. 39-46. Trad. di G. Paduano. Consultabile online: https://ime.mondadorieducation.it/extra/978888332768/extra/978888332730_leggo_perche_epica/02_laboratorio/le-sirenebr-odissea/
[3] La citazione è liberamente tratta da altritaliani.net che la riprende testualmente da “Matilde Serao – Leggende napoletane “del 1881.
[4] “e chi la guarda se ne innamora e tutto il mondo sta a guardare e nessuno la può svegliare”. Citazione liberamente tratta da “Sole Sole” di E. Bennato. Testo consultabile su www.testiecanzoni.mtv.it
Sitografia
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