4.3
(9)
A cura di Arianna Canalicchio

 

Tra problemi e critiche

“Natura ed arte unite insieme non potevano ideare una situazione più incantevole, una passeggiata più deliziosa di questa”[1].

Così Guido Carocci, celebre cronista fiorentino, descrive nella sua guida sui dintorni della città le appena concluse Rampe di Giuseppe Poggi. Quella del Carocci fu però una delle poche voci che si alzarono in difesa del lavoro dell’architetto, accusato di aver fatto un’opera “di puro lusso”[2], senza una reale utilità pratica, una “passeggiata in carrozza del Re”[3] costata una discreta cifra al Comune. 

 

Il lavoro di Poggi fu innegabilmente molto dispendioso ma allo stesso modo utile e non soltanto frutto di una ricerca a fini estetici e decorativi. Stando ai conti dell’architetto, i lavori per l’ingrandimento di Firenze, fatti a partire dal 1865 in occasione della sua nomina a capitale del Regno d’Italia, costarono al Comune circa 33 milione e mezzo di lire, di cui 15 milioni per gli effettivi lavori di abbattimento delle mura e di costruzioni delle nuove parti di città e i restanti 18 milioni per gli espropri.[4] Di questi 15 milioni, ben 2.582.000 di lire servirono unicamente per la realizzazione di Piazzale Michelangelo, delle rampe e del viale dei Colli, l’elegante strada che collega il piazzale con un lato e l’altro della città. Se si aggiunge anche la somma stimata per gli espropri in questa specifica zona il totale degli interi lavori ammontava a circa 3 milioni e mezzo di lire. Scendendo invece nello specifico, il costo dei lavori per le Rampe fu stimato intorno alle 298.773,95 lire.[5]

L’elevato costo dei lavori destò non poco scalpore tra i cittadini e tra gli stessi funzionari comunali. Il progetto del Poggi risultava effettivamente molto ampio, anche più di quanto non fosse realmente necessario, soprattutto alla luce del fatto che la capitale era già stata spostata a Roma. Come racconta l’architetto, al momento della fine dell’esperienza del capoluogo toscano come capitale, la motivazione addotta per riuscire comunque a portare avanti i lavori, che di fatto erano a metà, si fondava sulla necessità di tener conto anche di futuri ingrandimenti. Nel caso di alcuni interventi, tra cui proprio le Rampe, in molti non riuscirono ad andare oltre la forte apparenza estetica finendo per non coglierne l’effettiva utilità. In breve tempo si guadagnò l’appellativo dispregiativo di “passeggiata in carrozza del Re”[6]. Lo stile del Poggi infatti, non soltanto in questa zona di città ma nel complesso di tutti i suoi interventi, risulta sempre caratterizzato da una forte impronta neoclassica ed estetizzante; le Rampe nascevano come passeggiata suburbana nel verde, di carattere estremamente ottocentesco e non come una semplice via di congiunzione tra due parti di città Tra i sostenitori del suo progetto troviamo il già citato Guido Carocci, all’epoca giovane cronista, e Franco Borsi, architetto e storico dell’architettura, che dedicò, alcuni anni più tardi, dei volumi allo studio del suo piano urbanistico, all’interno dei quali definì Poggi

“l’unico urbanista moderno che Firenze avesse mai avuto”[7].

 

Dietro al lavoro delle Rampe si celava però anche un motivo tecnico, trattandosi infatti di un vero e proprio intervento di consolidamento della collina di San Miniato. Poiché questa era da tempo soggetta a smottamenti e fenomeni franosi, l’ultimo dei quali, nel 1853, aveva gravemente danneggiato la chiesa di San Salvatore al Monte, si era ormai reso necessario un intervento tecnico. Già a quel tempo Poggi aveva preso parte, insieme a Gaetano Bianchi, Luigi Passerini e Pasquale Poccianti alla commissione incaricata di trovare una soluzione al problema di stabilità della collina; dunque, era perfettamente a conoscenza delle criticità del posto. Tornato a lavorarci alla fine degli anni ’60 dell’800 ne fece uno dei punti chiave del suo intervento, cercando delle soluzioni con l’aiuto dello storico e archivista Cesare Guasti. I grandi muraglioni delle Rampe vennero quindi pensati per rafforzare la collina e frenare le spinte franose, rendendo maggiormente sicuro il versante.

Il progetto delle Rampe doveva quindi essere considerato in primo luogo come un intervento tecnico di consolidamento delle pendici della collina, nel corso del quale, tuttavia, Poggi non rinunciò ad aggiungere una componente più prettamente estetica nella decorazione dei muraglioni. Eppure, l’opinione pubblica criticò pesantemente il lavoro, tanto che l’architetto fu costretto a giustificarsi nel suo resoconto sui lavori del 1882: “È vero che questi rivestimenti e decorazioni apparvero un lavoro di lusso; ma trattandosi di opere pubbliche, poste in posizione e condizioni speciali, era una necessità per l’artista che le dirigeva da presentarle in modo da conseguire il duplice risultato della solidità e dell’effetto estetico”[8].

Del resto, secondo l’architetto la ricerca di un connubio tra utilità ed estetica nelle costruzioni architettoniche era da considerarsi di fatto una prerogativa dell’arte italiana da molti secoli. Dunque, non doveva mancare una ricerca estetica neanche in casi in cui il lavoro avesse come scopo primo quello tecnico e funzionale. Un lavoro “non di lusso davvero, ma di necessità”, scriveva Poggi, che non per questo doveva essere misero o brutto.

 

Già in un rapporto per l’Amministrazione Municipale datato 1870 Poggi aveva riportato, a giustificazione del suo intervento, il giudizio di alcuni illustri artisti-ingegneri che nei secoli avevano avvertito dell’instabilità del colle; tra questi spiccano il commento espresso da Leonardo da Vinci, quello di Giuliano da Sangallo e quello di Jacopo del Pollaiolo. Prima della realizzazione delle Rampe presero quindi avvio i lavori di consolidamento che vennero affidati alle ditte Lazzeri e Ciampi, entrambe già al servizio di Poggi per la costruzione del viale dei Colli. Le due ditte, come si legge nel contratto, firmarono successivamente anche il progetto per la costruzione delle Rampe, datato 20 luglio 1872 con il quale si impegnavano a concludere il lavoro in appena due anni anche se l’inaugurazione avvenne solo nel settembre 1975.

 

Per quanto sia stato il protagonista assoluto dei lavori inerenti agli ampliamenti in occasione di Firenze capitale, Poggi non ha mai goduto di particolare stima tra i fiorentini, né durante né tantomeno dopo la conclusione degli interventi. Forse per le ingenti spese, forse per il suo gusto ancora troppo legato a un’estetica neoclassica o più probabilmente per l’imperdonabile fatto di aver abbattuto le mura a cui i fiorentini erano tanto attaccati, il suo lavoro di architetto è rimasto per anni decisamente sottostimato.

 

 

Note

[1] G. Carocci, I dintorni di Firenze. nuova guida illustrazione storico-artistica, tipografia Calletti e Cocci, Firenze 1881, p. 237.

[2] Citato in G. Morolli, La città giardino di Giuseppe Poggi. Dal “Quartiere di collina” al “Viale dei Colli”, in F. Petrucci (a cura di), Il disegno della città. L’urbanistica a Firenze nell’Ottocento e nel Novecento, catalogo della mostra Firenze, novembre-dicembre 1986, Alinea Editrice, Firenze 1986, p. 67.

[3] Citato in M. Cozzi (a cura di), Le rampe del Poggi. Storia e recupero, volume realizzato per la conclusione del progetto “Il grande Restauro delle Rampe del Poggi”, Mandragora, Firenze 2019, p. 45.

[4] Il conto è riportato da Poggi in G. Poggi, Ricordi della vita e documenti d’arte. Per cura dei nipoti, con prefazione di Isidoro del Lungo, Bemporad e Figlio, Firenze 1909, p. 17.

[5] Tutti i conti sulle specifiche spese sono riportati in G. Poggi, Sui lavori per l’ingrandimento di Firenze (1864-1877), Tipografia Barberà, Firenze 1882 p. 157.

[6] Citato in Cozzi 2019, p. 45.

[7] F. Borsi, La capitale a Firenze e l’opera di G. Poggi¸ Colombo Editore, Roma 1970, p. 67.

[8] Poggi 1882, p.144.

 

 

Bibliografia

Borsi, La capitale a Firenze e l’opera di G. Poggi¸ Colombo Editore, Roma 1970.

Carocci, I dintorni di Firenze. nuova guida illustrazione storico-artistica, tipografia Calletti e Cocci, Firenze 1881.

Cozzi (a cura di), Le rampe del Poggi. Storia e recupero, volume realizzato per la conclusione del progetto “Il grande Restauro delle Rampe del Poggi”, Mandragora, Firenze 2019.

Maccabruni, P. Marchi, Una capitale e il suo architetto. Eventi politici e sociali, urbanistici e architettonici. Firenze e l’opera di Giuseppe Poggi, catalogo mostra per il 150° anniversario della proclamazione di Firenze a Capitale del Regno d’Italia, Archivio di Stato di Firenze, 3 febbraio – 6 giungo 2015, Edizioni Polistampa, Firenze 2015.

Paolini, Il sistema del verde. Il Viale dei Colli e la Firenze di Giuseppe Poggi nell’Europa dell’Ottocento, Quaderni del servizio educativo, Edizioni Polistampa, Firenze 2004.

Petrucci (a cura di), Il disegno della città. L’urbanistica a Firenze nell’Ottocento e nel Novecento, catalogo della mostra Firenze, novembre-dicembre 1986, Alinea Editrice, Firenze 1986.

Poggi, Ricordi della vita e documenti d’arte. Per cura dei nipoti, con prefazione di Isidoro del Lungo, Bemporad e Figlio, Firenze 1909.

Poggi, Sui lavori per l’ingrandimento di Firenze (1864-1877), Tipografia Barberà, Firenze 1882.

Quanto ti è piaciuto l'articolo?

Fai clic su una stella per votarla!

Media dei voti: 4.3 / 5. Totale: 9

Nessun voto finora! Sii il primo a votare questo post.