A cura di Andrea Bardi
Dopo aver tracciato, nel precedente elaborato, la storia documentaria dei lavori relativi alla cappella, nei seguenti articoli si intende offrire un focus sulla decorazione pittorica al suo interno che la rende uno degli spazi più eloquentemente espressivi dell’ondata di innovazione portata dal nord Italia da Annibale Carracci e da Caravaggio.
Descrizione
La cappella Cerasi è collocata in fondo alla navata di sinistra della chiesa, fiancheggiando l’altare maggiore. Essa si compone di due spazi, un’anticamera e lo spazio vero e proprio della cappella, separati da un arco impostato su pilastri, a loro volta decorati con rilievi in stucco dorato narranti episodi della vita dei due santi titolari, Pietro e Paolo; ai quali si aggiunge un ulteriore rilievo, la lapidazione di Santo Stefano, la cui presenza si spiega alla luce della tomba di Stefano Cerasi, fratello del tesoriere Tiberio.
L’anticamera
I monumenti
L’ambiente che precede lo spazio principale, o anticamera, custodisce, sulle pareti opposte di destra e di sinistra, rispettivamente i monumenti di Stefano [Fig. 1] e Tiberio Cerasi [Fig. 2].
Le due tombe si presentano analoghe nel formato: a una cornice quadrangolare, che inscrive una placca di marmo sulla quale è incisa una lunga iscrizione commemorativa, viene assommato un timpano emiciclico spezzato, interrotto dal busto del defunto, leggermente aggettante ed inserito in una cornice ovale in marmo. In un contributo degli anni Cinquanta per il “Burlington Magazine”, Leo Steinberg accetta una proposta già avanzata da Bruhns, il quale aveva individuato proprio nell’aggetto dei due busti una novità di concezione nella scultura funeraria dell’epoca: rivolgendosi all’altare, essi intrecciavano con l’ambiente in cui si inserivano un rapporto di “perpetua adorazione”[1]
La volta
Stando a Giovanni Baglione, sia le lunette laterali [Figg. 3 – 4] che la piccola volta a botte dell’anticamera della cappella Cerasi [Fig. 5] vennero dipinte a fresco dal pittore novarese Giovanni Battista Ricci:
“Alla Madonna del Popolo dentro la cappella de’ Cerasi (tra l’altar maggiore, e l’altra cappella di Santa Catherina di figure di stucco, e di pitture da Giulio Mazzoni Piacentino abbellita) il Novara ha la volta di quella a fresco con varii Santi colorita”[2]
Tra i “varii santi” di cui ci informa il Baglione, quelli illustrati sulle lunette sono Padri della Chiesa. La lunetta di destra è abitata da Ambrogio, al quale un angelo sul retro porta la mitria, e Girolamo, affiancato dal leone che, secondo la leggenda, venne da questi guarito dai rovi. Sul lato opposto, la colomba si poggia sulla spalla di Gregorio Magno, incoronato da un angelo con la tiara pontificia, mentre Agostino risulta identificabile dal saio nero dell’ordine.
Nella volta vera e propria, separati da stucco dorato, i quattro Evangelisti, affiancati dai consueti simboli iconografici (toro, leone, angelo ed aquila) si radunano invece attorno al tondo centrale con la colomba dello Spirito Santo.
Le pale laterali di Caravaggio
Come è noto dai documenti, già menzionati nel precedente elaborato, Caravaggio si impegnava, il 24 settembre 1600, nel portare a termine, entro otto mesi, due grandi quadri su legno di cipresso di dieci palmi per otto (233 x 178 cm ca.). La scelta da parte di Cerasi del cipresso in luogo della tela era dovuto alle caratteristiche fisiche delle sue fibre le quali, molto resinose, impedivano le infiltrazioni d’acqua[3]. Successivamente, anche Annibale decise di adottare il formato ligneo per la sua Assunta.
Sempre dal contratto conosciamo i soggetti delle due pale: dagli accordi Caravaggio avrebbe dovuto collocare su di una parete una Crocifissione di San Pietro, e dirimpetto ad essa una Conversione di Saulo. Giovanni Baglione, tra i primi biografi del Merisi, ci dice, nella vita dedicata al pittore, che
“Nella Madonna del Popolo a man dritta dell’altar maggiore dentro la cappella de Signori Cerasi su i lati del muro sono di sua mano la Crocifissione di s. Pietro; E di rincontro ha la Conversione di s. Paolo. Questi quadri prima furono lavorati da lui in un’altra maniera, ma perché non piacquero al Padrone, se li prese il Cardinale Sannesio; e lo stesso Caravaggio vi fece questi, che hora si vedono, a olio dipinti, poiché egli non operava in altra maniera; e (per dir così) la Fortuna con la Fama il portava”[4]
I quadri originariamente concepiti per la cappella, dunque, non vennero mai installati in loco e nel 1642 – data di pubblicazione delle Vite – si trovavano nella raccolta del cardinal Sannesio, che ottenne la porpora nel 1604[5]. Sui motivi che spinsero “il Padrone” a sostituire le prime pale la critica non è ancora giunta ad un accordo: Roberto Longhi, tra i massimi studiosi del Caravaggio e tra i principali artefici della sua riscoperta critica nel secolo scorso, ipotizzò che la sostituzione delle tavole fu voluta dal pittore stesso, maggiormente a suo agio con la pittura ad olio[6] che provvide a dotare di un’armatura di travi lignee che “isolassero” la tela dalla parete[7]. Luigi Spezzaferro, altro grande studioso del Caravaggio, ritenne invece che in seguito alla sostituzione delle tavole Cerasi avrebbe trovato un nuovo accordo economico col Merisi, il quale – nell’ipotesi di Stephen D. Pepper – avrebbe sentito sulle sue spalle il peso della sfida “gomito a gomito”[8] con Annibale andando così a sostituire delle prove che, a suo giudizio, non erano all’altezza dell’Assunzione del bolognese[9], per il quale, del resto, non aveva mai nascosto una sincera ammirazione. Circa la pala con Santa Margherita, commissionata ad Annibale per la chiesa di Santa Caterina dei Funari da monsignor Gabriele Bombasi, Bellori scrisse che
«Michel Angelo da Caravaggio dopo essersi fermato lungamente a riguardarlo, si rivolse, e disse: mi rallegro che al mio tempo veggo pure un pittore, intendendo egli della buona maniera naturale, che in Roma, e nell’altre parti ancora affatto era mancata[10]»
Qualunque sia il motivo dietro la sostituzione delle opere originarie, sta di fatto che, al 1604, esse erano già nella casa del Sannesio. Il nipote del cardinale, Francesco, unico erede dei beni Sannesio, vendette i “doi quadri grandi in tavola che rappresentano san Pietro crocifisso e l’altro la Conversione di san Paolo scorniciati e filettati d’oro” (presenti nell’inventario del 1644) a Juan Alfonso Enriquez de Cabrera[11]. Mentre l’originaria Crocifissione è andata perduta, la Conversione venne acquistata nel 1682 da Francesco Maria Balbi per poi finire nella collezione Balbi Odescalchi di Roma [Fig. 6].
Nella prima versione del dipinto, Caravaggio narra l’episodio riportato in più momenti negli Atti degli Apostoli (9, 1 – 9; 22, 6 – 11; 26, 12 – 18). Nella pala Odescalchi Saulo, scalzato dalla cavalcatura, porta le mani al volto, incapace di sopportare la luce divina in tutto il suo fulgore. Negli Atti non si fa menzione della presenza effettiva, corporea di Cristo, bensì solo della sua voce:
“Mentre ero in viaggio e mi stavo avvicinando a Damasco, verso mezzogiorno, all’improvviso una grande luce dal cielo sfolgorò attorno a me; caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: “Saulo, Saulo, perché mi perséguiti?”. Io risposi: “Chi sei, o Signore?”. Mi disse: “Io sono Gesù il Nazareno, che tu perséguiti”. Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono la voce di colui che mi parlava. Io dissi allora: “Che devo fare, Signore?”. E il Signore mi disse: “Àlzati e prosegui verso Damasco; là ti verrà detto tutto quello che è stabilito che tu faccia”. E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni giunsi a Damasco.”
(Atti degli Apostoli, 22, 6 – 11)
La presenza fisica di Cristo, pur non essendo attestata dalle fonti scritte, può tuttavia vantare una grande fortuna nel panorama artistico nazionale[12] (si pensi a uno degli arazzi disegnati da Raffaello per la Sistina, o all’affresco di Michelangelo nella Cappella Paolina).
La conversione di Saulo
Incrociando la Conversione Odescalchi con la seconda versione su tela [Fig. 7], collocata sulla parete destra della cappella, si fatica a trovare un’espressione più sintetica ed efficace di quella data dal Bellori, che nella vita del pittore parla a buon diritto di una
“historia affatto senza attione”[13]
Già da una prima ricognizione le parole dello storico risultano estremamente calzanti: Saulo sembra quasi accogliere, e non fuggire, l’emanazione di luce che lo colpisce. Del resto, anche la caduta pare attenuarsi in quanto a forza, ben lontana dal disarcionamento violento, da quel dramma temporaneo che nella pala Odescalchi si consuma in un istante. Il futuro principe della Chiesa spalanca le braccia, tiene chiusi gli occhi; il soldato, che nella Odescalchi non esitava a puntare la picca contro il Salvatore, qui pare aver deposto per sempre la lancia ritirandosi a vita privata nei campi. È una conversione che si consuma in una stalla, la “conversione di un cavallo”, come ebbe a dire anche Roberto Longhi, in cui anche le brevi reminiscenze paesistiche, che avevano accompagnato il Merisi sin dai primi tempi, si dissolvono nella più pacata ombra notturna.
Le indagini radiografiche effettuate sul dipinto hanno svelato una prima idea compositiva, sempre a colore, per la figura del santo, più anziano e ancora in atto di coprirsi il volto dal misterioso bagliore[14].
La crocifissione di Pietro
Sulla parete fronteggiante la Conversione, Caravaggio fece collocare l’episodio centrale della vita dell’apostolo Pietro, ovvero la sua crocifissione. Condannato al martirio da Nerone, Pietro riuscì a fuggire dal carcere. Imbattutosi, lungo la via Appia, in Cristo in persona, gli domandò dove fosse diretto (l’episodio noto come Domine quo vadis?, frescato da Innocenzo Tacconi sulla botte della volta). Cristo, accusandolo di pavidità e vigliaccheria, gli disse che sarebbe stato disposto a farsi crocifiggere una seconda volta. Fu a quel punto che Pietro ritornò sui suoi passi e, non considerandosi degno di un epilogo simile a quello del suo maestro, si fece crocifiggere a testa in giù. Nella pala Cerasi Caravaggio sceglie di immortalare il momento esatto in cui degli ignari mestieranti stanno per tirare su la croce. Pietro, il cui sviluppo diagonale bilancia la direttrice uguale e contraria dei due aguzzini, sembra ripensare fino all’ultimo ai continui e immeritati tradimenti nei confronti di Gesù. È una morte che porta con sé un pentimento inascoltato, un lamento sordo ai torturatori, indifferenti e indaffarati in una qualsiasi giornata di lavoro.
Note
[1] L. Steinberg, Observations in the Cerasi chapel, p. 184.
[2] G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti, p. 149.
[3] C. Viggiani, La cappella Cerasi, p. 514.
[4] G. Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti, p. 137.
[5] C. Viggiani, La cappella Cerasi, p. 515.
[6] R. Longhi, Caravaggio, p. 55.
[7] C. Viggiani, La cappella Cerasi, p. 515.
[8] E. Riccomini, Annibale studiosa letizia di dipingere all’italiana, p. 4.
[9] Stephen D. Pepper, Caravaggio, Carracci and the Cerasi Chapel, p. 111.
[10] G. P. Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, p. 32.
[11] L’inventario dei beni di Francesco Sannesio è contenuto anche in L. Spezzaferro, Caravaggio, Carracci, Maderno. La Cappella Cerasi in S. Maria del Popolo a Roma, p. 111.
[12] C. Viggiani, La cappella Cerasi, p. 528.
[13] G. P. Bellori, Le vite, p. 207.
[14] C. Viggiani, La cappella Cerasi, p. 528.
Bibliografia
AA.VV., Caravaggio, Carracci, Maderno. La cappella Cerasi in Santa Maria del Popolo a Roma, Milano, Silvana, 2001.
Giovanni Baglione, Le vite de’ pittori, scultori et architetti, Roma, Andrea Fei, 1642.
Giovan Pietro Bellori, Le vite de’ pittori, scultori et architetti moderni, Roma, per il success. al Mascardi, 1672.
AA.VV., The Drawings of Annibale Carracci, Washington, National Gallery of Art, 1999.
Daniele Benati, Eugenio Riccomini (a cura di), Annibale Carracci, Milano, Electa, 2006.
Maurizio Calvesi, Caravaggio, “Art Dossier”, Firenze, Giunti, 1986.
Roberto Longhi, Caravaggio, Roma, Editori riuniti, 1982.
Denis Mahon, Egregius in Urbe pictor: Caravaggio revised, in “The Burlington Magazine”, vol. 93, no. 580, Londra, Burlington Magazine Publications, pp. 222-235.
Stephen D. Pepper, Caravaggio, Carracci and the Cerasi Chapel, in AA.VV., Studi di storia dell’arte in onore di Denis Mahon, Milano, Electa, 2000, pp. 109-122.
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Leo Steinberg, Observations in the Cerasi Chapel, in “The Art Bulletin”, vol. 41, no. 2, New York, College Art Association, pp. 183-190.
Claudia Viggiani, La cappella Cerasi, in Maria Richiello, Ilaria Miarelli Mariani (a cura di), Santa Maria del Popolo. Storia e restauri, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2009, pp. 511-531.
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Sitografia
http://www.smariadelpopolo.com/it/
https://www.treccani.it/enciclopedia/tiberio-cerasi_(Dizionario-Biografico)/
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https://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-battista-ricci_(Dizionario-Biografico)/
https://www.treccani.it/enciclopedia/innocenzo-tacconi_(Dizionario-Biografico)
Riferimenti fotografici
Fig. 1 – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=75063979
Fig. 2 – By Never covered – Own work, CC BY-SA 4.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=46859047
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Fig. 4 – Di Sailko – Opera propria, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=76699470
Fig. 5 – Di Giovanni Battista Ricci (Italian painter, 1537 – 1627) – Carlos Goulão, CC BY-SA 2.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=46860406
Fig. 6 – By Caravaggio – Own work, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=10293565]
Fig. 7 – By Sailko – Own work, CC BY 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=76699462
Fig. 8 – By Caravaggio – Credits: By Sailko – Own work, Public Domain, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=76699469
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