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A cura di Alessandra Apicella

 

 

Sin dall’antichità, per celebrare un evento storico di rilievo, come una battaglia o una conquista territoriale, si è sviluppata l’usanza di dare vita ad opere architettoniche che fossero in grado di raccontare quel momento, di fargli onore e permetterne il ricordo nei secoli a venire. Dagli edifici, agli archi, dalle porte monumentali alle colonne, queste strutture imponenti avevano il compito di ricordare e celebrare eventi importanti per la storia del luogo o imprese legate a personaggi illustri: basti pensare all’arco di Costantino a Roma, innalzato per celebrare la vittoria dell’imperatore nella battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio nel 312 d.C.

Nell’ambito di queste imprese architettoniche dal carattere memoriale, a Napoli non si può non ricordare la ricostruzione di Castelnuovo con l’innesto dell’imponente arco marmoreo per volere di Alfonso d’Aragona.

La contesa tra Angioini ed Aragonesi per il trono napoletano si concluse nel 1442, quando Alfonso V d’Aragona, prendendo il potere con il titolo di Alfonso I di Napoli, mise fine al breve regno di Renato d’Angiò. Tra i primi interventi attuati dal sovrano ci fu la ricostruzione di Castelnuovo, la cui fondazione risaliva circa al 1266 (al tempo di Carlo I d’Angiò), voluto per completare il sistema difensivo della città, che prevedeva già il Castel dell’Ovo – all’epoca ormai obsoleto per le nuove tecniche di guerra – e Castel Capuano, in posizione poco strategica. Fu proprio per il rapporto con i due precedenti più antichi che l’edificio venne forgiato con il nome di Castelnuovo.

Le motivazioni che spinsero il sovrano ad intervenire su questa struttura furono molteplici: dalla necessità d’intervento a causa di parziali distruzioni avvenute durante la guerra, al desiderio di avere una dimora che fosse degna dell’unico sovrano della penisola italiana di allora, fino alla volontà di ricordare l’impresa che era stata attuata.

Attualmente, Castelnuovo è comunemente chiamato “maschio angioino”. Il termine “maschio” è una declinazione del termine “mastio”, utilizzato per indicare, inizialmente, una torre che nei castelli medievali era più alta delle altre e fungeva da punto nevralgico, come ultima difesa in caso di attacco, è passato poi ad indicare generalmente una fortificazione. L’aggettivo “angioino”, invece, è dovuto alle sue origini, da far risalire alla suddetta dinastia. Il castello, rinnovato sul progetto dell’architetto catalano Guglielmo Sagrera, mostra, per alcuni aspetti, dei caratteri ancora medievali, sebbene una maggiore tendenza alla simmetria e le decorazioni artistiche siano immagine dei tempi mutati. L’edificio, che si presenta con una pianta trapezoidale, è delimitato da cinque torrioni cilindrici costruiti in piperno, con l’eccezione della Torre dell’Oro, sul lato sud, che come il resto delle cortine è in tufo. Le possenti torri rotonde, rese più alte attraverso dei grossi basamenti merlati sottostanti, furono collegate tra loro attraverso corridoi, i cosiddetti rivellini, per permettere lo spostamento delle truppe da un punto all’altro con maggiore facilità. Nel fossato sottostante erano posti ambienti legati necessariamente al funzionamento della corte. Sul lato est, un tempo lambito dal mare, rinserrata da contrafforti poligonali si erge la Cappella Palatina, seguita, all’interno, dalla Sala dei Baroni, voluta da Roberto d’Angiò come sala del trono, e che prende questo nome in seguito ad una congiura fatta da parte di alcuni baroni contro Ferrante I negli anni Ottanta del Quattrocento, che qui furono arrestati.

Nella struttura architettonica, così come nei dettagli decorativi, si possono scorgere stili differenti: da particolari ancora medievali, ad interventi legati al nuovo modo di fare la guerra con le armi da fuoco, dalla nuova attenzione per la decorazione rinascimentale artistica alla ripresa dell’elemento antico ed infine alle influenze catalane, dovute tanto all’origine del sovrano quanto all’architetto di riferimento. Varcato l’ingresso nel cortile quadrangolare centrale, sulla destra, si scorge un porticato caratterizzato dagli archi ribassati tipicamente aragonesi; la scala esterna, che porta alla Sala dei Baroni, così come gli archi stellari, a cinque chiavi, o il rosone della Chiesa Palatina sono invece di chiara ascendenza catalana.

 

Per quanto riguarda, invece, la ripresa dell’elemento antico classico, tipico del contesto rinascimentale di allora, non si può non fare riferimento all’arco marmoreo d’ingresso.

 

Eretto a partire dal 1451, secondo un gusto albertiano, l’arco rispondeva al desiderio di Alfonso di celebrare la sua vittoria sugli Angioini ed il suo conseguente insediamento sul trono napoletano. La prima idea, probabilmente risalente al 1444, prevedeva un innalzamento nel centro della città di un arco isolato. Tale ipotesi venne sostituita però dal progetto di costruzione di un arco trionfale monumentale che fungesse da ingresso al castello. I documenti pervenutici attestano un cantiere di carattere internazionale, che coinvolgeva artisti come il catalano Pere Johan, il milanese Pietro di Martino, passando per Antonio da Pisa e Andrea dell’Aquila. Una prima versione del nuovo progetto è documentata da un disegno di un artista norditaliano, probabilmente presente, all’epoca, nella città partenopea. Il progetto si caratterizzava dalla predominanza di caratteri medievali, tendenti al gotico, che sono del tutto spariti poi nell’edificio costruito, come un arco acuto ed un fastigio tipico delle cimase gotiche. La mancanza di attestazioni certe in un cantiere così dinamico ha portato gli studiosi ad avanzare una serie di ipotesi, circa la paternità dell’operato, dando vita ad un dibattito che purtroppo non ha ancora portato ad esiti condivisi.

L’ingresso, sviluppato su più registri, attraverso la sovrapposizione di due archi, si trova stretto tra due torri e guarda a numerosi modelli di riferimento: non solo gli archi trionfali degli imperatori romani, ma anche le porte fortificate delle cinte murarie urbane. Tra i modelli identificati, le porte urbiche di Perugia, caratterizzate da importanti elementi decorativi, o ancora l’arco di Federico II a Capua. Partendo dal basso, la struttura presenta due coppie di colonne binate corinzie poste su alti piedistalli che da un capo all’altro della fornice reggono una trabeazione continua. Al di sopra della trabeazione sorge un rilievo con la rappresentazione dell’entrata trionfale di Alfonso al momento della conquista, mentre incede sul carro, condotto dalla Fortuna, preceduto da suonatori di tromba e scortato da un fedele e nobile seguito. La gerarchia sociale dei personaggi è ribadita attraverso la collocazione della scena su due piani: quello più alto è destinato al sovrano, mentre quello inferiore al suo seguito. I nomi proposti per il rilievo trionfale sono Pietro da Milano e Francesco Laurana.

                                                                     

Il registro superiore presenta un secondo arco, anch’esso a tutto tondo, ridotto di dimensione, affiancato da due colonne binate di ordine ionico, prive di piedistallo e in proporzione rispetto a quelle sottostanti. Al centro di questo secondo arco, facendo riferimento al progetto, vi doveva essere posto per un monumento equestre di Alfonso, fuso in bronzo, probabilmente ispirato al Gattamelata padovano. La commissione fu infatti affidata a Donatello, che, però, non terminò mai la statua, di cui ci resta soltanto la protome equina, attualmente conservata al Museo Archeologico Nazionale, che ci permette soltanto di immaginare quella che doveva essere la magnificenza del progetto. Il livello finale presenta quattro nicchie conchigliate con delle statue indicanti le quattro Virtù cardinali (Temperanza, Giustizia, Fortezza, Magnanimità). Per concludere, un frontone dall’inusuale forma tondeggiante custodisce due statue raffiguranti divinità che mantengono simboli di abbondanza, divenendo allegoria e augurio di prosperità; infine, come ultimo estremo, si erge la statua di San Michele.

 

Tra i vari modelli che sono stati ravvisati nella struttura architettonica si è ipotizzato uno sguardo, per quanto riguarda l’arco inferiore, all’Arco dei Sergi a Pola, e per l’arco superiore, invece, all’Arco di Traiano a Benevento, visto anche come antenato spirituale dello stesso Alfonso, per l’origine iberica. Per quanto concerne le decorazioni scultoree è percepibile l’influenza delle tombe reali angioine nella Chiesa di Santa Chiara e di San Giovanni a Carbonara.

L’arco trionfale di Alfonso non è un semplice esempio di creatività locale, per quanto straordinaria sia la commistione di elementi differenti, ma rappresenta una delle creazioni più originali della metà del Quattrocento; la sua decorazione scultorea dimostra una conoscenza matura del dettaglio all’antica e ne fa un simbolo unico dell’arte rinascimentale a Napoli.

Con la caduta di Ferdinando II e Federico I d’Aragona e la creazione del vicereame di Napoli, il castello perse la sua funzione di residenza reale per diventare semplice sede militare. In particolare, ristrutturazioni ed eliminazioni di elementi più marcatamente Angioini ed Aragonesi furono attuati dai successivi proprietari Borbone. L’ultimo restauro consistente risale agli inizi dell’Ottocento, mentre nel corso del Novecento furono attuate delle sistemazioni della zona circostante il castello, come ad esempio la creazione di un giardino.

Dimora di re e regine per molto tempo, il castello resta un simbolo emblematico della città, di cui se ne può visitare la bellezza ed i meandri. Al suo interno ospita la Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria ed un Museo Civico, che si amplia per tre piani all’interno dell’edificio ed ospita una ricca collezione di sculture, oggetti e dipinti che vanno dall’epoca medievale al tardo Ottocento. Inoltre, molto spesso, l’edificio offre i suoi spazi e le sue stanze ricche di storia come sede per mostre ed eventi.

 

 

Bibliografia

Anthony Blunt, Architettura barocca e rococò a Napoli, edizione italiana a cura di Fulvio Lenzo, Mondadori, 2006

Salvatore Settis e Tommaso Montanari, Arte. Una storia naturale e civile, volume 3. Dal Quattrocento alla Controriforma, Einaudi scuola, 2019

 

Sitografia

http://www.medioevo.org/artemedievale/Pages/Campania/CastelNuovo.html

https://www.napolike.it/turismo/place/castel-nuovo-maschio-angioino-napoli/

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