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A cura di Marco Bussoli

Dal 5 febbraio al 15 maggio al Museo di Arte Contemporanea di Termoli MACTE sarà possibile vedere la mostra Le 3 ecologie, prima mostra curata dalla direttrice del museo Caterina Riva.

“[…] soltanto un’articolazione etico-politica – che io chiamo ecosofia – fra i tre registri ecologici (quello dell’ambiente, quello dei rapporti sociali e quello della soggettività umana) sarebbe capace di far adeguata luce su questi problemi”[1]

Con queste parole nel 1984 il filosofo francese Felix Guattari introduce il concetto di molteplicità dell’ecologia, di pluralità delle ecologie, aggiungendo ulteriore profondità ai temi di sviluppo indiscriminato che tanti studiosi, a partire dagli anni ’70, stavano portando avanti. Sono proprio le tre ecologie del filosofo il punto di partenza per la riflessione che la mostra del MACTE vuol far scaturire.

Il percorso espositivo ha inizio con l’opera Ipogea di Piero Gilardi, che la concepisce a partire da molteplici suggestioni, come il rumore di un fiume sotterraneo e la molteplicità di miti sulle caverne su cui si fonda la cultura europea; l’opera è pensata come un luogo di immersione per l’avventore, che illuminandola dall’interno fa nascere rumori e punti luminosi della caverna. Il percorso passa poi per i 19 pannelli in gesso di Micha Zweifel, Calendar, artista svizzero, che detta una sorta di ritmo evolutivo, un tempo in cui l’umanità si sviluppa e cresce. Il concetto di evoluzione è poi richiamato dall’opera Tuslava di Len Lye, un’animazione del 1929, in bianco e nero, che però procede in modo diverso: l’evoluzione è totale e da un organismo unicellulare si sviluppa un organismo più complesso, con le sue tradizioni e i suoi modi, slegandosi dalla figura umana.

Nella grande sala circolare del museo, oltre a queste opere è presente anche la doppia proiezione di Francesco Simenti, chiamata Corpi, del 2021, definendo così un luogo in cui i cambiamenti non abbiano in alcun modo un’accezione negativa, ma piuttosto costituiscano un’origine, un punto di partenza neutrale.

Spostandosi nelle sale il panorama è già cambiato, ci si trova catapultati nell’oggi, in un mondo di cambiamenti repentini: sullo sfondo della carta da parati disegnata da Francesco Simenti, Hawkweed (2016), i disegni a penna di Nicola Toffolini ci mostrano degli scorci, suggestivi e inquietanti, si tratta di Pòst #2 e di Palma e tetrapodi e Banano e tetrapodi, due disegni in cui i vegetali sono ormai protetti dall’aggressione del mare solo da dei frangiflutti.

I documentari Wutharr: Saltwater Dreams (2016), del Karrabing Film Collective, e Wild Relatives di Jumana Manna, del 2018, fanno spostare l’osservatore in tutto il mondo: il primo è infatti ambientato nei Territori del nord-ovest, in Australia, mettendo in relazione cambiamenti ambientali, sociali e mistici, mentre il secondo segue le semenze, dalla Siria alla Norvegia, tra problemi climatici e socio-economici.

Le opere della serie Boutade di Silvia Mariotti costruiscono luoghi naturali inediti, frutto di un lavoro di montaggio di elementi fotografici, per creare nuovi immaginari, fatti di vegetazione mutevole e affollata.

Nell’ultima sala, infine, si confrontano due artisti: Francis Offman usa materiali di riuso, estremamente variegati, per comporre delle opere che parlano di migrazioni e che presentano ad un’attenta riflessione una serie di significati inediti; Jonatah Manno invece con le sue sculture e le sue cianotipie porta in mostra il mare ed il suo paesaggio.

Come di consuetudine sono poi esposte opere di proprietà della Fondazione MACTE appartenenti al Premio Termoli, che ponendosi a metà del percorso di visita cercano di dialogare con le opere temporanee in mostra.

Abbiamo fatto alcune domande alla Direttrice del museo e curatrice della mostra, Caterina Riva, per meglio comprendere ed approfondire il significato della mostra, che si presenta denso ed aperto a molteplici interpretazioni.

Il tema dell’ecologia è, fortunatamente, sempre più presente nelle vite di tutti, in modi molto diversi tra loro e con intensità molto variabile. L’idea di portare in mostra questo tema dove e quando nasce o, più esattamente, come si è concretizzata?

CR: Da una necessità di pensare ad ogni aspetto della vita come un continuum e una mostra d’arte come qualcosa di più che una semplice evasione. In realtà l’idea di questa mostra aveva già fatto capolino nel programma che avevo presentato nel concorso che mi ha portato alla direzione del MACTE nel 2020. Nel frattempo la pandemia non solo ha posticipato la mostra a più riprese e ne ha reso l’organizzazione difficoltosa, ma l’ha fatta cambiare e crescere, come fosse essa stessa un organismo che si muta.

La struttura della mostra all’interno degli spazi del MACTE si integra alla perfezione, definendo due grandi spazi principali: quello della sala principale e quello delle salette, in cui sono esposte opere che ci dicono cose molto diverse. Le opere nell’emiciclo ci parlano di origine e di evoluzione, di ideali incontaminati che man a mano diventano più complessi, definendo una sorta di punto di partenza. In qualche modo dopo aver percorso tutta l’esposizione ed aver conosciuto diversi panorami in cui le ecologie possono operare, ci si auspica un ritorno ad un’origine o comunque ad un equilibrio?

CR: La ringrazio molto di questa lettura de Le 3 ecologie, non avevo pensato tanto in termini dialettici di evoluzione nella costruzione curatoriale della mostra, ma più, come faccio sempre, facendomi guidare dalle opere e cercando un dialogo tra di esse e gli spazi del museo.

Un punto di partenza della mostra è stato per me l’animazione di Len Lye del 1929 Tusalava, che ho ottenuto in prestito dalla Nuova Zelanda e che è presentata in Italia per la prima volta e che letteralmente ci porta agli antipodi. Nelle sale del MACTE si alternano opere che richiedono di essere guardate lentamente e con attenzione ed altre più immersive, che colpiscono subito la retina, ma che devono comunque essere scoperte e interrogate. Non so se si ritorna a un equilibrio a fine mostra, temo questo sia solo l’inizio di un cammino e non sarebbe del tutto corretto immaginare di trovare le risposte che cerchiamo in una mostra d’arte, quello che m’importa piuttosto è offrire al pubblico diversi punti di vista, delle sensibilità o strategie che i visitatori possono portare con sé fuori dal museo. Anche i laboratori didattici e il public program che offriremo in parallelo alla mostra, alimenteranno dei filoni di approfondimento e riflessione sulle ecologie al plurale.

Questa mostra si occupa di temi estremamente sensibili per il mondo contemporaneo, potrebbe anche essere la prima di una serie che si avvicinano sempre più ai temi stringenti per la società?

CR: Più che una serie di mostre preferisco immaginarmi un modo organico di pensare al museo MACTE come ad un’entità nel mondo dove si portano esperienze e ricerche che guardano alla nostra complessa contemporaneità. Gli artisti rivolgono a volte domande scomode, più che fornire risposte pacificanti, e portano con sé una molteplicità di esperienze; il compito di un museo di arte contemporanea è, secondo me, di portare alcune di queste domande davanti al pubblico (che intenderei però come non omogeneo per definizione).

Al momento al MACTE stiamo ospitando dei laboratori pratico-teorici con l’artista Nico Angiuli, con il quale abbiamo vinto un bando del Ministero della Cultura per un progetto di performance collettiva che verrà presentata a Termoli a giugno 2022, quest’ opera sociale che si sta costruendo insieme uscirà dalle mura del museo, rendendolo, spero, poroso.

Note

[1] F. Guattari, F. La Cecla, Le tre ecologie, Milano, Sonda, 2019, p. 14

Bibliografia

Guattari, F. La Cecla, Le tre ecologie, Milano, Sonda, 2019

Sitografia

https://www.fondazionemacte.com/it/programma/le-3-ecologie

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