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A cura di Federica Gatti

 

 

L’organizzazione del secondo piano del Chiostro degli Aranci è difficile da determinare.

Il livello delle logge non corrisponde a quello dei piani interni, i quali vennero rimodellati molte volte dopo la loro costruzione. Le attuali scale e porta di accesso al Chiostro sono datate al XVII secolo; originariamente, una porta si apriva sulla campata più a nord della loggia orientale e conduceva alla loggia Nord, dove ha inizio il ciclo di affreschi con le storie di San Benedetto.

Le scale originali del coro probabilmente si collegavano a questa porta, la quale venne resa inutilizzabile una volta che le scale vennero demolite durante il XVII secolo. La nuova porta e le nuove scale vennero installate nella campata adiacente nella stessa loggia est e la porta originale venne riempita con la tomba di Francesco Valori, difensore di Savonarola ucciso nel 1489, che venne spostata dalla chiesa.

 

Quattro finestre forano la parte bassa del muro della loggia occidentale e danno luce a un piano intermedio, di sconosciuta funzione, tra il refettorio sottostante e i dormitori soprastanti. Queste aperture fanno parte del piano originale del chiostro, il che è dimostrato dal fatto che vennero incorporate negli affreschi dipinti attorno ad esse verso la metà degli anni Trenta del Quattrocento.

Nella campata situata a nord-ovest esisteva un’altra porta, che probabilmente conduceva agli alloggi dell’abate attraversando il lato nord del chiostro, per arrivare fino ai dormitori del lato ovest e agli alloggi degli ospiti e all’infermeria dietro il dormitorio.

 

Un passaggio conduce a una scalinata che permette di accedere al terzo piano terrazzato. La presenza di questa porta nel XV secolo è provata dalla sua incorporazione nella quinta scena del ciclo della vita di San Benedetto, dove l’artista ha dipinto un arco a sesto acuto depresso in finta pietra grigia con una faccia in finto rilievo nella chiave di volta per sormontare l’architrave della vera porta.

 

Nel secondo piano del Chiostro, partendo dalla campata nord-est della parete settentrionale, troviamo un ciclo di affreschi che raffigura le storie di San Benedetto, leggibili in ordine antiorario, e che si conclude nella prima campata della parete meridionale.

Furono scelte appositamente delle scene simboliche della vita del santo che potessero mostrare a coloro che abitavano il monastero la sua vita esemplare. Nelle scene è enfatizzata in particolare l’autorità dell’abate, la cui autonomia è dettata dalla regola benedettina. Infatti, in tutto il ciclo San Benedetto appare come un leader fiducioso, legato molto alla disciplina, un efficiente amministratore, un padre amorevole ma anche severo. Le storie non solo celebrano la vita esemplare di Benedetto, ma creano plausibilmente anche un collegamento con la figura dell’abate Gomezio, uomo responsabile di aver salvato la Badia dal collasso attraverso la sua riforma spirituale e strutturale. Lo scopo degli affreschi era quello di ispirare i monaci a lavorare al servizio di Dio, contemplando ed emulando le virtuose abitudini del santo, ma anche quello di autenticare e difendere l’autorità dello stesso abate. Molti di questi episodi mostrano come l’autorità di Benedetto, associata all’obbedienza incondizionata dei suoi discepoli, gli consentì di effettuare i miracoli e conseguentemente di assicurare il successo del suo ordine. È anche per questo che spesso, in tutto il ciclo, la figura di Benedetto è raffigurata con un libro in mano per ricordare agli osservatori che la sua supremazia è autorizzata dalla regola benedettina.

 

Gli affreschi sono contenuti nelle lunette create sulle pareti delle volte a crociera di ogni campata, i cui peducci vengono inglobati negli elementi decorativi di ogni scena: essi servono come capitelli di pilastri fittizi, dipinti di grigio per intonarsi con le modanature in bugnato dell’edificio. I finti pilastri, corrispondenti alle colonne del loggiato, terminano su uno zoccolo dipinto che imita una ricca parete realizzata con intarsi marmorei.

 

La prima parte di questa zona è decorata con motivi vegetali intrecciati che si collegano ad un clipeo centrale con cornice rotonda oppure polilobata, nel quale a sua volta sono rappresentati i busti di personaggi benedettini di rilievo e altri santi. La posizione dei personaggi rappresentati cambia: alcuni sono visti frontalmente, altri sono posti di profilo, mentre altri sono raffigurati di tre quarti. In alcuni zoccoli non vengono rappresentati motivi vegetali ma geometrici. Al disopra e al disotto di questa prima parte dello zoccolo compaiono il più delle volte iscrizioni in caratteri gotici, spesso lacunose, che esprimono concetti legati alla vita monastica ed i nomi dei personaggi raffigurati. L’uso di elementi architettonici dipinti è comune nei cicli murali italiani, ma nel Chiostro degli Aranci le specifiche forme scelte e il modo in cui gli elementi vengono combinati fanno sì che si raggiunga un risultato armonioso e ingegnoso. Se si guardano le scene della loggia nord dall’opposta loggia sud, oppure la loggia ovest da quella orientale, è possibile vedere ogni scena dipinta e distinguere gli elementi che ne fanno da cornice. Il parapetto bianco del secondo piano del Chiostro, con al termine la cornice marcapiano di bugnato, serve come base visuale o cornice inferiore per ogni lunetta. Allo stesso modo le arcate del prospetto della loggia nord, oppure ovest, rappresentano la cornice superiore delle scene.

Gli affreschi sono ispirati da precise fonti scritte, ovvero dal Vita St. Benedictii scritta da San Gregorio Magno, e interpretati utilizzando ed aggiornando una tradizione iconografica che si apre a Firenze con un analogo ciclo di Spinello Aretino nell’abbazia di San Miniato al Monte, databile all’ultimo ventennio del XIV secolo, per rinnovarsi nella seconda metà del XV secolo nel ciclo dell’abbazia vallombrosana di Passignano.

 

All’autore dei dipinti di Badia non è ancora stato possibile dare un nome, ma si possono riassumere molto schematicamente le ipotesi avanzate dalla critica. Il ciclo, in massima parte unitario, – esclusa la quarta scena aggiunta da Agnolo Bronzino nel Cinquecento e le ultime due di un collaboratore – presenta una sintesi dei motivi desunti dalle maggiori personalità artistiche attive a Firenze tra gli inizi del Quattrocento e il 1436-1439, anni in cui sarebbero documentati dei rimborsi per le spese di colori ad un certo Giovanni di Consalvo. Nel ciclo sono tuttavia visibili anche caratteristiche individuali non fiorentine, come nell’ambientazione spaziale, nei paesaggi, nelle architetture e nella tavolozza cromatica. Tutte queste caratteristiche hanno diviso gli studiosi in due correnti: la prima, insistendo sulle presenze non fiorentine negli affreschi, ne individua l’autore in Giovanni di Consalvo, portoghese e compatriota dell’abate Gomezio; la seconda corrente ribadisce come fiorentina l’anonima personalità del pittore, qualitativamente eccellente, distinguendola con l’appellativo di “Maestro del Chiostro degli Aranci”. Le ultime due scene vengono attribuite da parte della critica a quello che viene chiamato “Il secondo Maestro del Chiostro degli Aranci”, perché vi si riconosce una mano diversa rispetto alle prime dieci scene e soprattutto una qualità inferiore.

Le scene ritratte negli affreschi sono: San Benedetto parte da Norcia, San Benedetto ripara il vaglio rotto della nutrice, San Benedetto a Subiaco, San Benedetto vince la tentazione della carne, San Benedetto rompe un bicchiere con il segno della croce, San Benedetto libera un monaco dal diavolo, il recupero del falcetto caduto nel lago, San Mauro cammina sull’acqua salvando Placido, Il miracolo del pane avvelenato, San Benedetto solleva una pietra tramite la preghiera, San Benedetto resuscita un monaco schiacciato dalla caduta di un muro, il mascheramento del finto re Totila, la profezia per re Totila.

 

Durante una campagna di restauri portata avanti da Leonetto Tintori, dal 1956 al 1958, vennero rimossi gli affreschi danneggiati con il metodo dello strappo che permise di scoprire le sinopie realizzate sull’arriccio sottostante. In queste sinopie si può vedere come ogni lunetta sia frutto di un intenso e complesso processo di creazione del quale rimane, negli affreschi, solamente la tappa finale. La composizione delle prime dieci sinopie è veloce: i tratti rapidi indicano la sicurezza e la competenza dell’artista e suggeriscono che la composizione venne prima lavorata tramite una serie di piccoli disegni che vennero poi ingranditi a mano libera sulla superficie dell’arriccio. Le ultime due, invece, sono molto lavorate, mostrano sperimentazioni ed alterazione e rivelano come l’artista sperimentò la sua composizione direttamente sulla superficie del muro. Le differenze che intercorrono tra le sinopie avvalorano l’ipotesi che il ciclo sia stato dipinto da due gruppi di artisti che avevano competenze e stili diversi.

Nelle pareti delle campate rimaste vuote sono ora esposte alcune delle sinopie ritrovate sotto gli affreschi: su dodici pezzi solo sei rimangono nel Chiostro, mentre gli altri sette sono nei depositi delle Gallerie.

 

 

 

 

Bibliografia

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Salvestrini, P. D. Giovannoni, G. C. Romby, Firenze e i suoi luoghi di culto dalle origini a oggi, Pisa, Pacini Editore, 2017

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