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A cura di Francesca Strada

 

Introduzione storica

Nel corso del quindicesimo secolo la signoria di Faenza cominciò ad aprirsi verso nuovi orizzonti, entrando in contatto progressivamente con la città di Firenze, allora sotto il comando della famiglia Medici e siglando con essa una solida alleanza. I contatti sempre più frequenti tra il piccolo centro romagnolo e la Nuova Atene portarono alcuni degli artisti più influenti del periodo a spostarsi tra Faenza e la Toscana; è questo il caso di personalità come Giuliano da Maiano, i Della Robbia e di Donatello, che lasciarono importanti testimonianze disseminate per la città manfreda. Il linguaggio del Rinascimento fiorentino sarà però veicolato sapientemente dalle mani del maestro Biagio d’Antonio Tucci, che giungerà in Romagna negli anni ’70 del Quattrocento.

 

Biagio d’Antonio

Figura assai operosa è quella di Biagio d’Antonio, la cui produzione artistica incarna perfettamente i nuovi ideali proposti dall’Umanesimo; nelle sue pale la rappresentazione dei committenti comincia ad assumere un ruolo centrale, creando così un legame tangibile tra la sfera del sacro e l’umanità. Il maestro si formò presso la bottega del Verrocchio e in quella di Domenico Ghirlandaio, dal quale gli deriva quel ricercato naturalismo che è divenuto tratto distintivo di molte delle sue opere. Sebbene alcuni dei suoi lavori siano sparsi tra i musei della Francia e degli Stati Uniti d’America, Faenza conserva nella sua pinacoteca la testimonianza del passaggio dell’artista “de Florencia populi Sancti Laurentii” [1].

 

Le opere nella pinacoteca di Faenza

La produzione artistica del Tucci per la città manfreda è estremamente significativa; è possibile trovare quadri e affreschi del maestro fiorentino e della sua bottega non solo nella pinacoteca cittadina, ma anche nel Museo Diocesano e nel Duomo, segno della grande portata del suo intervento nell’area.

 

La lunetta dell’Annunciazione è uno dei capolavori più celebri del Tucci, si tratta di un’opera del 1476 dalla forte inflessione fiorentina, rassomigliante all’omonima leonardesca, prodotta negli stessi anni. Sembra esserci un riferimento a Filippo Lippi nei due angeli a sinistra, spettatori passivi della scena, uno dei quali mostra la sua fisicità allo spettatore tramite un panneggio svolazzante, sapientemente modellato sul corpo della creatura celeste. La lunetta coronava probabilmente un polittico.

 

Al 1483 risale uno sfarzoso trittico commissionato dai domenicani della chiesa di Sant’Andrea. Da quest’olio su tavola traspare un forte realismo, evidente nelle dettagliate fisionomie, dove anche i segni dell’anzianità vengono minuziosamente riprodotti. Il pannello di sinistra mostra San Domenico, riconoscibile dalla veste dell’Ordine, e Sant’Andrea con la croce simbolo del martirio e il pallio verde elegantemente rifinito in oro. La tavola centrale si presenta con un’accentuata spazialità creata dal trono marmoreo e dalle figure angeliche ai lati di esso. Il Bambino stringe nella mano sinistra una rondine, mentre con la destra compie un gesto di benedizione. Nel terzo pannello vengono rappresentati San Giovanni Evangelista e San Tommaso d’Aquino, il quale regge un libro aperto, recante la scritta: “Veritatem meditabitur guttur meum,et labia mea detestabuntur impium”. Si tratta del settimo versetto del libro di Proverbi, utilizzato da Tommaso come introduzione della Summa contra Gentiles, un testo volto a spiegare la verità della fede cattolica.

 

Nella produzione del Tucci si può annoverare un Cristo in Pietà, la cui composta bellezza rimane inalterata nonostante la morte. Il pittore riprende l’idea dell’omonima opera per il Duomo di Faenza, di cui si è parlato in un precedente articolo, ma la arricchisce con un’architettura accennata da una colonna di richiamo classico alle spalle dell’angelo di destra. A differenza della tavola sorella, questo Cristo presenta perdite di sangue dalle ferite sulle mani e al costato.

 

Una tavoletta a scopo devozionale di un privato è giunta in pinacoteca: si tratta della Madonna col Bambino tra San Giovannino e Sant’Antonio da Padova. L’opera, databile intorno al 1480, mostra la Vergine assorta nella lettura di un libro, accompagnata dai due santi e dal bambinello, seduto su un cuscino rosso e recante una rondine nella mano sinistra.

 

Un’altra opera di pregevole fattura è la Pala dei Camaldolesi, che presenta una Madonna seduta in trono con fondo oro e santi; ai lati del seggio due angeli paiono intenti a spostare un drappo per mostrare allo spettatore la Vergine colta in un tenero gesto d’affetto materno con il Bambino. Il quadro, una tempera su tavola, è arricchito da altre sei personalità: a destra, i santi Girolamo, Giovanni Evangelista e Romualdo; a sinistra, un santo vescovo, forse San Maglorio, San Giovanni Battista e San Benedetto. La scena si svolge al difuori del tempo e dello spazio, non è quindi presente quella ricercata spazialità che avevamo trovato in opere come l’Annunciazione del 1476.

 

La carriera faentina di Biagio si conclude con la Madonna col Bambino per la vedova Bazzolini, databile al 1504 e inquadrabile nella pittura contemporanea della Romagna. Il Giovanni Evangelista, accompagnato dall’aquila, è raffigurato a mani giunte mentre attende il dono della croce da parte del bambinello; a destra, Sant’Antonio da Padova, raffigurato con una forte carica patetica, si porta la mano al petto. Le opere di Biagio d’Antonio, pur mantenendo un’ottima qualità artistica, avevano ormai perso la carica innovativa che aveva caratterizzato il suo primo periodo, finendo per assumere un’impostazione troppo classica per il tempo. Venne dunque ben presto superato da Marco Palmezzano, artista richiestissimo che con le sue opere era riuscito a dare nuovo impulso al Rinascimento romagnolo, consentendo alla città di Faenza di rimanere aggiornata sulle novità artistiche. Palmezzano e molti altri artisti forlivesi trovarono però davanti sé un sentiero, almeno in parte, già battuto dal maestro fiorentino, che aveva preparato la strada ai grandi personaggi che si susseguirono nella storia dell’arte romagnola.

 

 

 

Le foto sono state scattate dall’autrice dell’articolo.

 

 

Note

[1] www.pinacotecafaenza.it/collezioni-e-storia/artisti/d-antonio/

 

Bibliografia

Storia delle arti figurative a Faenza, volume III, Il Rinascimento; Anna Tambini, Edit Faenza.

 

Sitografia

www.pinacotecafaenza.it/collezioni-e-storia/artisti/d-antonio/

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