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A cura di Marco Bussoli

 

La riflessione già affrontata in questa sede sul programma decorativo del Castello di Gambatesa, a partire dall’atrio, è molto articolata. Se gli affreschi dell’atrio, per quanto lacunosi, possono fornire degli spiragli interpretativi, per le altre stanze del castello non si può dire lo stesso, soprattutto a causa dei danni e delle lacune pittoriche. Il percorso seguito di descrizione e analisi che verrà qui seguito ricalca quello museale, partendo dall’atrio e dirigendosi verso il Salone delle Virtù attraverso le stanze minori.

 

La sala del camino

Il nome attribuito a questa sala, detta del camino, può portare in errore. La sala infatti non nasce con un camino su una delle quattro pareti, e questo fu probabilmente costruito nell’ottocento. Di ridotte dimensioni, tre delle pareti di questo ambiente sono caratterizzate da aperture che conducono ad altre sale, facendo così studiare all’artista una decorazione che si potesse adattare bene a questa morfologia. Lo spazio è stato, quindi, diviso in due parti: quella superiore è decorata da gigantesche e colorate foglie di acanto, mentre quella inferiore è occupata da un motivo di arazzi affrescati e clipei incorniciati da finte modanature.

 

Se la parte alta è quella che stupisce maggiormente l’avventore per i suoi decori così inusuali, quella inferiore presenta dei curiosi accorgimenti, come i chiodini dipinti per fissare gli arazzi o la tenda, dipinta in modo da far trasparire la sua pesantezza, che, accanto alla porta, sembra accompagnare verso la stanza successiva. Accanto a questa tenda così finemente dipinta, è possibile vedere parte di uno dei clipei, su cui è ritratto il profilo di un guerriero con in testa un elmo, su un fondo dorato. Valente identifica nel profilo un ritratto del committente, Vincenzo di Capua, e Carrozza vi vede, invece, una celebrazione di Giovanni di Capua, morto nella battaglia di Seminara del 1495. Queste ipotesi non trovano però nessun solido indizio per essere confermate.

 

Sala dei Paesaggi

La sala dei Paesaggi prende questo nome dagli affreschi che ne caratterizzano il registro più alto, che raffigurano delle ampie vedute di città, rovine ed ambienti naturali. Il registro basso della decorazione, invece, ospita fasce di bugne in pietra che si alternano a intarsi di pietre colorate.

 

Il registro alto della decorazione è caratterizzato da dei quadri riportati in affresco, con le loro cornici dipinte, e da delle modanature a fasce con rosette. Solo due dei paesaggi sono quasi interamente leggibili e raffigurano l’incendio di una città, che dà un nome alternativo a questa stanza (sala dell’incendio) e un paesaggio collinare con alte torri diroccate e un tempietto. Soprattutto sull’episodio dell’incendio, le ipotesi figurative sono più di una. Carozza individua l’incendio di Sodoma, con la piccola figura in primo piano che indicherebbe la trasformazione in statua di sale di Sara, moglie di Lot. Valente, invece, vede un’evocazione del Sacco di Roma nel 1527. Se la prima ipotesi sembra essere più calzante, entrambe non sembrano essere convincenti del tutto, confermando tuttavia la posizione di Donato Decumbertino nel panorama romano.

 

A metà del ‘500 una serie di pittori fiamminghi come Jan van Scorel e Marten van Heemskerck, diffusero un nuovo tipo di rappresentazione del paesaggio, con ampie vedute dall’alto, a volo d’uccello, più ariose e luminose, anche in notturna. Il pittore di Gambatesa, quindi, fa propri questi modelli e li ripropone nel castello, introducendo un elemento che fino agli anni ’80 del secolo non sarà presente da nessun’altra parte: la grande dimensione di queste viste e la scelta della tecnica ad affresco.

 

Sala delle Maschere

Della sala delle maschere si è già abbondantemente parlato introducendo i temi del Castello, proprio perché questo spazio è affrescato con una serie di simboli che rimandano alle capacità del committente, ma soprattutto perché qui il pittore appone la sua firma, qualificandosi attraverso i simboli della ragnatela e del pappagallo. Se i fregi decorati sono, quindi, già stati analizzati, lo stesso non si può dire per le viste che questi incorniciano.

 

Le pareti nord ed est sono decorate con viste di paesaggi fluviali e collinari all’interno dei quali trovano posto delle antiche rovine antiche, mentre sulle pareti ovest e sud campeggiano due vedute cittadine, con figurette abbigliate alla maniera del secolo. L’affresco posto a sud è quello che più incuriosisce l’attenzione degli studiosi, dato che riporta una chiara rappresentazione del Vaticano, che però contiene una serie di elementi non riscontrabili nella realtà. Il pittore sembra fissare un momento della costruzione della Cattedrale di san Pietro, soprattutto in due elementi, il tamburo della cupola ed un campanile, arrivando a dipingere anche i ponteggi. La Roma rappresentata non è però mai esistita: il tamburo della cupola e il campanile disegnato non sono mai esistiti, ma sono come delle suggestioni dei progetti sangalleschi del cantiere. Antonio da Sangallo il Giovane è, infatti, stato l’architetto papale per dieci anni, dal 1536 alla morte di Peruzzi, e se molti dei suoi interventi su san Pietro non ci sono pervenuti a causa delle demolizioni di Michelangelo, suo successore nella fabbrica e suo accanito detrattore, ci sono arrivati i suoi disegni ed il suo modello ligneo. Ciò che Donato dipinge non è quindi il cantiere vero e proprio della Cattedrale romana, quanto piuttosto una serie di rimandi ai disegni ed ai modelli visti durante la sua permanenza nell’urbe, al tempo in cui operava nello studio di Vasari.

 

Sala del Pergolato

L’ultima delle sale minori del Castello, la sala del Pergolato, è tutta incentrata sulla finzione di uno spazio aperto, come una sorta di terrazzino, chiuso da un ordine in pietra e coperto da un pergolato ligneo, che si apre su diverse viste. Il soffitto, allusivo del pergolato, raffigura piccole travi lignee cui si intrecciano rami di vite e da cui pendono grappoli d’uva, ed è ispirato al modello fornito da Giovanni da Udine in una loggia del palazzo Apostolico. La quinta architettonica dell’ordine corinzio, sormontato dall’architrave e chiuso da una balaustra, si apre ad ovest su uno dei tanti paesaggi fluviali dipinti a Gambatesa; qui oltre alle antiche rovine è anche rappresentato, con un ribaltamento non del tutto corretto, un ponte in legno sul fiume, visto dal basso.

 

Ciò che qui incuriosisce è però la parete nord, che non si apre sullo stesso paesaggio di quella ovest, ma guarda verso una laguna in cui sta infuriando una battaglia navale. Il suggestivo riferimento per la battaglia, sembra essere la Battaglia di Otranto del 1481, in cui Alfonso d’Aragona libera la città dall’assedio turco, che aveva già portato alla morte di ottocento martiri cristiani. L’evento era particolarmente caro ai di Capua, dal momento che, durante gli scontri, aveva eroicamente perso la vita Matteo, loro antenato. Pietro Antonio di Capua, vescovo di Otranto e fratello di Vincenzo, aveva inoltre da poco avviato la beatificazione dei martiri otrantini. L’elemento di dubbio, che rende questa ipotesi incerta, è però l’esecuzione dell’affresco: alla rapida manualità che spesso Donato e i suoi aiuti manifestano, non corrisponde una caratterizzazione evidente di ciò che si sta dipingendo: la mezzaluna che corona la lanterna di poppa delle navi ottomane o il disegno della città salentina, non rendono evidentemente manifesto il soggetto del dipinto.

 

A chiudere le decorazioni di questa stanza restano un camino su cui è apposto lo stemma ducale dei di Capua – dal Balzo e una finta libreria, in cui sono affrescati non solo libri, ma anche elementi di lavoro, come una lavagnetta ed una lampada ad olio. La presenza di questi simboli e del camino, unita all’invenzione pittorica del pergolato, fa supporre che questo ambiente potesse essere lo studio del duca, un ambiente piccolo e riscaldato, capace però di trasportare la mente di chi vi staziona in altri luoghi.

 

Le stanze minori del castello danno un’idea della cifra stilistica del pittore scelto per le decorazioni: Donato Decumbertino è capace di attingere ad una serie vastissima di modelli, di combinarli tra di loro e di riuscire, in questo modo, ad innovare, senza mai lasciare da parte la molteplicità di significati che ognuno degli elementi porta con sè, come fa, evidentemente, nella sala delle Maschere.

 

 

 

 

Bibliografia

A. Pinelli, La tela del ragno e l’eloquenza del pappagallo. Le intriganti trame visive di Donato Decumbertino a Gambatesa, in E. Carrara (a cura di), Gli affreschi di Donato Decumbertino nel Castello di Gambatesa, 1550, Roma, Carocci, 2020

A. Monciatti, Una misconosciuta immagine di San Pietro in Vaticano, tra Antonio da Sangallo il Giovane, Michelangelo e Vasari, in E. Carrara (a cura di), Gli affreschi di Donato Decumbertino nel Castello di Gambatesa, 1550, Roma, Carocci, 2020

D. Ferrara (a cura di), Il Castello di Capua a Gambatesa. Mito, Storia, Paesaggio, Campobasso 2011.

 

Sitografia

https://www.musei.molise.beniculturali.it/musei?mid=870&nome=castello-di-capua (25-10-2021)

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