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A cura di Alice Savini

 

 

 

La Fondazione Giuseppe Mozzanica di Pagnano (frazione di Merate LC) nasce nel 2007 per far conoscere al pubblico l’arte dello scultore e pittore Giuseppe Mozzanica (1892 -1983), protagonista dimenticato dell’arte lombarda del Novecento. Il progetto nasce per iniziativa dei tre figli di Giuseppe, Dario, Ivo e Angela, che hanno assecondato il desiderio del padre di valorizzare e far rivivere la sua opera.

La Fondazione ha il suo cuore nella Gipsoteca (aperta nel 2014), edificio fatto costruire dallo stesso artista nel 1959, scrigno e laboratorio dove sono esposti i gessi relativi alla sua produzione tra gli anni ’30 e gli anni ’60. Altrettanto importante è il Polo Museale dove è possibile ammirare oggetti di lavoro, modelli, disegni, dipinti e lastre fotografiche. Infine, a completare la serie di edifici in cui si snoda la Fondazione, vi è un laboratorio dove è possibile partecipare a progetti per bambini e adulti qui organizzati.

 

Il percorso di visita (che si può prenotare dal sito internet Fondazione – Fondazione Giuseppe Mozzanica) inizia dal chiostro, dove è possibile vedere due bronzi unitamente a tre opere marmoree; da qui si entra in una serie di stanze dove sono custoditi gli oggetti di lavoro che lo scultore fabbricava da sé: martelli, scalpelli, raspe per modellare l’argilla, modellini, gessi, che riassumono il processo creativo e costitutivo delle sue opere.

 

Sempre dal chiostro è possibile accedere a una serie di stanze dedicate alla pittura dove sono conservati disegni preparatori, alcuni ritratti, vedute, paesaggi e nature morte. Proseguendo nel percorso attraverso il giardino, accompagnati da alcune teste di bronzo e da una nuotatrice pronta a tuffarsi, si arriva, dapprima, ai laboratori ludici e didattici e infine alla Gipsoteca: un luogo magico, un candido mondo di forme classiche, bianche e levigate valorizzate dalla luce naturale proveniente dalle grandi vetrate.

 

Giuseppe Mozzanica: vita di uno scultore di provincia

 

Grazie al lavoro della Fondazione è stato possibile tracciare la personalità artistica di Giuseppe Mozzanica, uno di quegli scultori lombardi della prima metà del Novecento rimasti, per necessità o per scelta, ai margini delle vicende maggiori della scultura nazionale e internazionale. Artista per certi tratti schivo e poco incline all’autopromozione, Giuseppe Mozzanica decide di lavorare nel paese di origine, dove può dedicarsi alla sua produzione indisturbato e protetto dalle verdi colline della Brianza.

Nato a Sabbioncello nel 1892 da una famiglia di contadini, scopre ben presto la passione per la scultura, a cui si avvicina grazie al lavoro nella cementeria di Carsaniga di Merate. Tra il 1907 al 1912 studia disegno libero e ornato presso le scuole domenicali di Merate, al termine delle quali decide di iscriversi alla scuola di Plastica del Castello di Milano dove studia fino al 1916 (cercando in tutti i modi di frequentarne le lezioni nonostante il divieto del padre, che lo voleva impiegato nei campi, e il capostazione che, in accordo con il padre, gli impediva di prendere il treno). A partire dal 1921 segue i corsi di plastica della figura tenuti da Giuseppe Graziosi presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. È qui che lo scultore affina la sua tecnica, il suo stile intriso di naturalismo e verità, nutrito dalla passione per l’arte greco-romana e rinascimentale; impara anche ad usare la fotografia, mezzo che sarà molto utile durante il processo creativo delle sue sculture.

Nel 1923, terminato il corso a Brera, entra per la prima volta nell’ambiente artistico nazionale esponendo alcune sue sculture alla Permanente di Milano. Pur muovendosi all’interno di quella corrente accademica ancora tenacemente ancorata all’ideale classico del naturalismo e ai dogmi del simbolo e del vero, non rimane, però, ininfluente all’arte di Rodin e Medardo Rosso come testimonia la Testa di Anziana (1924), caratterizzata dalla ricerca del vero espressivo e abbracciante la poetica del non finito. La sua produzione di questi anni sembra oscillare tra verismo e classicità.

 

Da questo momento in poi partecipa a numerose manifestazioni artistiche: nel 1925 all’Esposizione Nazionale d’Arte a Milano, nel 1926 alla XV Biennale di Venezia, nel ’33 e ’35 alle Esposizioni nazionali della Permanente di Milano dove il comune acquista alcune sue opere (oggi conservate alla Galleria d’Arte Moderna).

Sono questi gli anni di massima affermazione dell’artista. Nel 1926 viene chiamato da Pietro Lingeri e Giuseppe Terragni a collaborare per la parte plastica del Monumento ai Caduti di Como; sebbene il progetto si fosse imposto come favorito, il comune della città scelse di guardare altrove. Anche la possibilità di esporre due statue, il Calciatore e il Vogatore, per lo Stadio dei Marmi a Roma, venne meno. Le opere erano destinate a fare da corona allo Stadio dei Marmi nel Foro Mussolini di Roma. Il progetto prevedeva 60 statue raffiguranti le diverse discipline sportive, ma all’artista venne contestato il fisico dei due atleti, che non corrispondeva ai canoni estetici della virilità fascista che voleva l’uomo più assomigliante ad un perfetto David di Michelangelo. Giuseppe, infatti, aveva preso spunto da corpi reali di giovani del posto per cui erano più vicini alla realtà che all’ideale estetico del regime.

Dopo gli anni ’40 Mozzanica si isola progressivamente dall’ambiente artistico nazionale privilegiando manifestazioni di carattere locale e privato, in cui le commissioni di carattere funerario sono più numerose.

 

La scultura

Mozzanica ha una forte propensione per un’arte che sia più vicina possibile al vero, arte che si coniughi con l’identità classica nutrita di armonia, purezza formale, pulizia e levigatezza. Nelle sue opere vi è una tensione bipolare tra il vero e l’ideale che gli permette da un lato di non cadere nel classicismo tradizionale e retorico e dall’altro di non cedere ad un eccesso di realismo, troppo diretto e crudo per le sue preferenze. Il suo linguaggio rimane quindi ancorato alla tradizione ma intriso di una vivacità e leggerezza personali, non perseguendo una classicità atemporale lontana dal quotidiano e dalla storia ma una classicità che dialoga col presente.

In grado di toccare con grande abilità tutti i generi, dal ritratto, al nudo fino alla statuaria funebre, il suo processo creativo non inizia con un disegno, ma preferisce modellare la creta direttamente guardando il modello dal vero.  È solito non lavorare a un unico lavoro, ma a più opere contemporaneamente, in modo da evitare la monotonia dell’attività quotidiana e portare una variatio. Non amando lavorare con la luce artificiale preferisce quella diffusa naturale, motivo per cui costruisce la sua gipsoteca con una serie di finestre che si aprono lungo tutto il perimetro. Amante della musica è solito ascoltare musica classica nelle sue interminabili giornate di lavoro.

Per imbastire le sculture a figure intera utilizza inizialmente la creta, mantenuta umida grazie all’aggiunta di panni bagnati, mentre per le figure minori predilige la plastilina.

L’artista aveva messo a punto un sistema formato da due torchi girevoli, legati da una catena, che potevano ruotare contemporaneamente in modo da mettere direttamente a confronto il modello umano e l’opera.  Su uno si metteva il modello nudo, mentre sull’altro la struttura in ferro sul quale modellava la creta, poi pressata e mantenuta umida, dalla quale si otteneva il gesso con la forma anatomica finale. Qualora la statua andasse rivestita, il posto del modello veniva occupato dal nudo che poi veniva ricoperto con abiti veri appuntati da spilli, si proseguiva lavorando sul modello di creta su cui modellava gli abiti e i drappeggi del suo manichino.

 

Un analogo sistema veniva utilizzato per i volti: il modello veniva fatto sedere su una sedia girevole e la creta posta su un tavolino anch’esso girevole in modo da aver modo di cogliere ogni angolazione e sfaccettatura del volto. Per le mani utilizzava calchi in gesso dal vero, in una serie di combinazioni che poi riutilizzava nelle sue composizioni.

L’elemento più importante delle sue opere restano i volti, di cui lui sceglieva quello più adatto a seconda del soggetto e dell’occasione da un suo archivio: una serie di teste, che si possono ammirare nella gipsoteca, di persone a lui vicine.

 

Una volta elaborata la struttura finale il modello era pronto per la fusione in bronzo, per la trasposizione in marmo o terracotta. Anche se per lui l’opera perfetta rimaneva sempre il modello in gesso, così come era uscito inizialmente dalle sue mani d’artista. I modelli che arrivavano nello studio erano persone molto umili, come i contadini e le contadine di Merate, fino al 1935, ed operai ed operaie delle fabbriche dopo il trasferimento a Lecco.

 

Nella prima fase della carriera predilige opere di carattere pubblico (monumenti ai caduti) e privato (ritrattistica), mentre nel dopo guerra si cimenta nella realizzazione di opere a carattere funerario, abbracciando così tutti i generi scultorei.

Nella sua produzione ritroviamo, quindi, busti e teste ritraenti bambini, adulti, vecchi, statue di corpi femminili nude e vestite come Al Sole (1937), in cui è ritratta la moglie Maria, L’Aurora, La bagnante, e corpi virili e atletici come il Vogatore, Il Naufrago, Il calciatore.

 

Anche i temi del ricordo e della morte sono trattati dallo scultore con la stessa sensibilità dei suoi nudi. Tra la sua produzione troviamo, infatti, numerosi monumenti dedicati ai Caduti e monumenti funebri.

Inizia a realizzare i primi monumenti per i caduti subito dopo la Prima guerra mondiale, nei primi anni ’20 quando studia ancora a Brera. Mozzanica, che aveva combattuto per sei mesi sull’Altopiano d’Asiago, rielabora il trauma dell’esperienza nelle sue sculture, non utilizzando il monumento ai caduti con logica celebrativa e nazionalistica, come era in voga negli anni dell’Italia fascista, ma vi raffigura i caduti nella desolata sorte di sofferenza e morte che nemmeno la vittoria può riscattare, guerra che è umiliazione e perdita. Non ritrae una vittoria o la disfatta, ma si sofferma sulla sconfitta dell’uomo in quanto tale.

 

Il tema della morte è trattato dall’artista nei numerosi monumenti funebri realizzati tra il 1930 e il 1960 lasciati dall’artista in numerosi cimiteri come quello di Como, Bergamo, Milano; anche se il gruppo più cospicuo si trova nel museo monumentale di Lecco, in cui sono conservate 55 tombe.

 

La pittura

Centocinquanta sono i dipinti catalogati dalla Fondazione, realizzati principalmente tra gli anni ’50 e ’60, anche se le prime testimonianze di interesse verso il disegno sono rintracciabili nelle esercitazioni degli anni alla Accademia di Brera, come testimoniano alcuni disegni ancora conservati.

Anche nella pittura l’artista spazia da un genere all’altro: dal ritratto ai nudi dove può concentrarsi nella figurazione o nell’introspezione psicologica, alla pittura di paesaggio, che diventa più un passatempo; senza dimenticare le nature morte di piccolo formato, a cui si dedica durante l’inverno non potendo godere del bel tempo per ritrarre i paesaggi verdeggianti.

 

 

 

 

Le foto presenti sono state scattate dall’autrice dell’articolo

 

 

 

 

Bibliografia

Il cimitero monumentale di Lecco. / Giuseppe Mozzanica, Cinisello Balsamo: Silvana Editoriale, 2012

La pittura. / Giuseppe Mozzanica, Cinisello Balsamo: Silvana Editoriale, 2013

Anna Chiara Cimoli, Giuseppe Mozzanica 1892-1983: la scultura, Cinisello Balsamo: Silvana Editoriale, 2007

Giuseppe Mozzanica: tra classicità e naturalismo, Banca Popolare di Sondrio, 2014

 

Fondazione Giuseppe Mozzanica

ABCittà (abcitta.org)

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