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A cura di Marco Bussoli

 

Nella scelta compiuta da Anna Banti per scrivere Quando anche le donne si misero a dipingere tante dovettero essere le artiste escluse, per i più svariati motivi, come Artemisia Gentileschi, esclusa dall’autrice che già le aveva dedicato una monografia nel 1947; a chiusura del libretto viene però scelta un’artista, l’unica conosciuta personalmente dalla critica e storica, Edita Walterowna Zur Muehlen, che così viene descritta:

“Alta, fragile, il suo sorriso bianco sotto i capelli biondissimi aveva qualcosa di infantilmente incantato e anche di spontaneamente affabile.”[1]

Con estrema sintesi, Banti restituisce un ritratto preciso della scrittrice, oramai anziana, che chiusa nelle sue stanze non ha bisogno di mostrare i suoi quadri, che evoca col pensiero, nitidamente, lasciando impressionata la sua ospite.

 

Una vita europea

Nata a Smiltene, nell’odierna Lettonia, nel 1880 Edita Zur Muehlen resta nel suo paese d’origine fino ad inizio ‘900, quando, in seguito alla prima Rivoluzione russa, si trasferisce prima a Berlino e poi a Königsberg, dove studia per un breve periodo all’Accademia di belle Arti, che lascerà dopo un breve periodo per trasferirsi a Parigi.

Durante la breve permanenza parigina, a cavallo del 1910, la pittrice ha modo di avvicinarsi al vivace ambiente artistico della città che in quel momento era la principale fucina europea di nuove idee e di nuovi modi di fare arte. In questo momento, Edita è profondamente influenzata dalle avanguardie, soprattutto dalle opere del Blaue Reiter, e le sue opere testimoniano la vicinanza ad un astrattismo e un espressionismo che resteranno nelle sue opere fin dopo il suo trasferimento in Italia.

 

Proprio a Parigi la pittrice inizia ad accarezzare l’idea del viaggio in Italia, che si concretizza già dal 1912, decidendo poi di stabilirsi definitivamente a Roma. Già subito dopo il trasferimento a Roma inizia ad esporre le sue opere, comparendo alla mostra della Secessione romana nel 1913 con tre tele ed esponendovi nuovamente anche nel 1914. 

Lo scoppio del conflitto mondiale porta Edita a chiudersi in se stessa, ad isolarsi e, in quegli anni, anche a smettere di dipingere. Nel 1917 avvenne però l’incontro fortuito con Mario Broglio, giovane pittore rivoluzionario, da cui non si separerà più.

 

I valori plastici dei Broglio

Quando i due si conoscono, Mario sta già lavorando al progetto di Valori Plastici, una rivista d’arte che ha la funzione di promuovere le idee del suo fondatore e di un ampio gruppo di pittori, come De Chirico, Savinio e Carrà. Edita si unisce al gruppo ed inizia a lavorare alla rivista, che verrà pubblicata a partire dal 1918. 

 

Da inizio secolo le avanguardie avevano rappresentato un momento esplosivo per la produzione artistica europea; l’orrore del conflitto mondiale aveva però segnato enormemente molti dei suoi protagonisti, che si erano quindi appellati a quello che viene chiamato Ritorno all’ordine o, usando le parole di Mario Broglio, Ritorno al mestiere. Se la mira delle avanguardie era rivolta al futuro, il ritorno all’ordine guarda al passato, cercando di ritrovare nella pittura un momento di grande razionalità individuata soprattutto nella pittura del primo Rinascimento. 

Il pregio che va riconosciuto a Valori Plastici di Valori è quello di essersi fatto portatore di un pensiero molto complesso e sfaccettato, ospitando le dispute teoriche che vedevano contrapposti i gruppi di De Chirico e Carrà. Il padrone di casa, poi, ebbe sempre un ruolo neutrale nella disputa, occupandosi soprattutto di critica, senza entrarvi nel merito. Nei quindici numeri pubblicati, Edita, che prese il cognome del compagno, ebbe numerose occasioni per presentare suoi quadri, soprattutto dipinti anteriori alla guerra, causando però il fastidio di Carlo Carrà in particolar modo. Ciò che il pittore non riusciva ad accettare, delle opere della Broglio, era il carattere astratto delle opere, il forte carattere espressivo.

Proprio in quel periodo, però, le riflessioni di Edita Broglio, perdurate per tutto il conflitto mondiale, vengono ad una sintesi, che la porta anche a riprendere la produzione di disegni e dipinti. Il modo di fare arte di Edita si asciuga, diventa più aderente alla realtà, meno espressionista ma con un carattere più trasognato anche nella scelta dei soggetti, una serie di vedute paesaggistiche dei borghi ciociari, come se questi fossero sospesi nel tempo e dello spazio. Pian piano questi modi più “plastici” si avvicinano sempre più alle opere di Morandi, spostando la sua produzione sulle nature morte.

 

La maniera chiara di Edita Broglio contraddistingue gran parte della sua produzione, soprattutto dopo la presentazione di queste opere con le altre di Valori Plastici. L’adesione alle forme più nette e solide, che contraddistinguevano il gruppo, trova però in Broglio una declinazione diversa, più lontana dalla realtà, che rende i suoi soggetti lievi, diafani, come se si svuotassero dal loro peso per incarnarne uno nuovo, simbolico. I gomitoli e Le bottiglie sono un esempio di questo modo di rappresentare ciò che la circonda, facendo perdere all’immagine il suo valore di realtà.

 

Edita Broglio ed il Realismo Magico

Proprio per le caratteristiche della pittura dell’artista italo-russa è impossibile parlare di Realismo Magico senza che essa venga citata in prima persona. Le opere che sotto questo nome vengono raggruppate sono tutte accomunate dall’essere solide, concrete, ma allo stesso tempo trasognate nello spirito, irreali, talvolta stranianti e sorprendentemente accurate, facendo emergere la soggettività celata nella realtà e rileggendola in concerto con l’ideale.

Tutti questi caratteri sono ben presenti nelle opere di numerosi pittori, come in quelle del marito, Mario Broglio, ma sono ancor più chiare nelle nature morte di Edita. Le scarpe, opera in cui l’artista riesce ad astrarre un suo ritratto, sono evidentemente studiate, ma allo stesso tempo lievi, quasi un tutt’uno con lo sfondo, affidando ai tipi di scarpe ed ai piccoli dettagli di fattura il racconto della propria soggettività. 

 

Già a partire dalla metà degli anni ’20 questo tipo di pittura inizia a mutare nei colori e nelle forme, acquistando pian piano una solidità mai avuta. Già nei Carciofi, del 1926, le figure sono più solide e definite, ma nell’Autoritratto del 1938 si giunge definitivamente al culmine di questa ricerca.

 

Dipingendo sè stessa nel 1938, Broglio approda ad una concretezza mai posseduta, innanzitutto nel modo di rappresentarsi, usando dei contorni netti e ben evidenti, ma soprattutto utilizzando come sfondo una tarsia lignea, la cui decorazione spinge, in qualche modo, in fuori la figura umana. Se si analizza l’opera La Merenduola, dipinta oltre un decennio prima, ci si accorge come, non tanto la scelta di personificare nelle maschere teatrali sé e il marito, ma l’uso del colore e della luce, denuncino il nuovo approdo della poetica di Broglio.

 

Il secondo dopoguerra

Come durante il primo conflitto mondiale Edita Broglio smette di dipingere durante il secondo, chiudendosi in una riflessione che però rafforza le credenze acquisite nei precedenti decenni, radicando ulteriormente nel suo classicismo purezza ed equilibrio. Finita la guerra, Broglio riprende a dipingere, e, nel 1959, di esporre anche alla Quadriennale romana. 

Nel 1967 viene coinvolta da Carlo Ludovico Ragghianti per partecipare ad Arte italiana 1915-1935, mostra tenutasi a Firenze che ne accresce ancor di più la fama. Da quel momento in particolar modo, sebbene anziana, Edita Broglio compare sempre più spesso nelle mostre italiane, sino al 1973, quando viene addirittura presentata con una testimonianza di Giorgio de Chirico.

 

 

Le foto dalla 2 alla 6 sono state scattate dal redattore

 

 

 

Bibliografia

Anna Banti, Quando anche le donne si misero a dipingere, Milano, Abscondita, 2011

Emanuele Greco, «Un culto della realtà compresa come specchio di umana trasfigurazione». Ragghianti e la riscoperta di Edita Broglio, 1967-1971, in Paolo Bolpagni, Mattia Patti (a cura di), Carlo Ludovico Ragghianti e l’arte in Italia tra le due guerre. Nuove ricerche intorno e a partire dalla mostra del 1967 “Arte moderna in Italia 1915-1935”, Atti del Convegno (Fondazione Ragghianti di Lucca, Università di Pisa) 14-15 dicembre 2017, Edizioni Fondazione Ragghianti Studi sull’arte, Lucca, 2020

Elena Pontiggia, Figure di artiste nel panorama italiano tra le due guerre, in Maria Antonietta Trasforini (a cura di), Donne d’arte, storie e generazioni, Roma, Meltemi editore, 2006

Renato Barilli, Dalla Metafisica agli anni Venti, in Renato Barilli, Franco Solmi (a cura di), La Metafisica, gli anni Venti. Volume primo, pittura e scultura, catalogo della mostra (Bologna, Galleria Comunale d’Arte Moderna, maggio-agosto 1980), Grafis, Bologna 1980

Roberto Daolio, Edita Broglio, in Renato Barilli, Franco Solmi (a cura di), La Metafisica, gli anni Venti. Volume primo, pittura e scultura, catalogo della mostra (Bologna, Galleria Comunale d’Arte Moderna, maggio-agosto 1980), Grafis, Bologna 1980

L. Parmesani, Edita Broglio, in Lea Vergine (a cura di), L’altra metà dell’avanguardia, 1910-1940. Pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche, catalogo della mostra (Milano, Civico Museo d’Arte Contemporanea, 1980), Mazzotta, Milano 1980

Maurizio Fagiolo dell’Arco, Edita Broglio, in Maurizio Fagiolo dell’Arco (a cura di), Realismo magico: pittura e scultura in Italia, 1919-1925, catalogo della mostra (Milano, Palazzo Reale, 16 febbraio – 2 aprile 1989), Mazzotta, Milano 1988

 

 

MARCO BUSSOLI

Sono nato a Termoli (CB) nel 1997 e dopo il liceo mi sono trasferito a Ferrara per studiare architettura. Sto per concludere il mio percorso con una tesi in Restauro dei monumenti, uno degli ambiti che più mi interessa, insieme alla storia dell’architettura e dell’arte. A ciò si aggiunge la mia passione per la lettura, abbracciando soprattutto opere otto-novecentesche e, nell’ultimo periodo, contemporanee. La mia adesione a questo progetto ha una precisa finalità: far conoscere la regione che non c’è: il Molise.

 

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