5
(3)
A cura di Federica Gatti

 

Mentre il Cinquecento è stato il secolo della riforma luterana e del manierismo, il Seicento è stato quello della Controriforma cattolica e del barocco. In questo clima di cambiamenti la Chiesa individuò come strumento principale per la diffusione dei nuovi dogmi l’arte, la quale assunse un ruolo di maggiore importanza. 

Era necessario che l’arte seicentesca avesse la forza necessaria ad imporsi, penetrare le coscienze, sedurre, commuovere, ma soprattutto suscitare sentimenti. La soluzione fu quella di guardare al teatro come all’esempio più persuasivo: si venne a creare una rete di scambio reciproco tra le singole arti, fino a che la forma, ovvero l’ornamento, non ebbe il sopravvento sulla funzione, ovvero la struttura.

Fu proprio in questo nuovo clima artistico che crebbe Gian Lorenzo Bernini.

Nato a Napoli nel 1598, Gian Lorenzo si trasferì a Roma con il padre Pietro, artista che aveva già lavorato a Firenze, a Roma e in Campania e che nel 1606, con l’elezione al pontificato di Paolo V Borghese, decise di lasciare Napoli per trasferirsi la città eterna. Proprio in questi anni Gian Lorenzo iniziò ad assistere all’evoluzione stilistica del padre, ancora radicato alla tradizione rinascimentale toscana, ma attento alle innovazioni conseguenti la riforma cattolica. Questa collaborazione precoce con il padre permise a Gian Lorenzo di consolidare la sua padronanza tecnica, riscontrabile già nelle sue prime opere come la Capra Amaltea con Giove bambino e un fauno, databile tra il 1609 e il 1615: in questa opera si può riscontrare come la sua attività fosse orientata verso una riscoperta della realtà. 

 

Fondamentale fu anche il precoce avvicinamento ai cantieri artistici: imparò fin da subito l’importanza di fondere architettura, scultura e pittura, ma anche l’importanza dell’organizzazione di una bottega e la capacità di delegare. Influente punto di riferimento artistico fu anche la pittura contemporanea, come ricorderà lo stesso Bernini, soprattutto quella di Annibale Carracci e Guido Reni. Bernini non esercitò molto questa pratica artistica, anche se è importante sottolineare come la novità delle sue esigue pitture non sia riscontrabile nel tema o nel motivo, ma piuttosto nel modo in cui venivano elaborate: 

«Che nel ritrarre alcuno non voleva che ei stesse fermo, ma ch’eri si muovesse e che ei parlasse perché in tal modo, diceva egli, che si vedeva tutto il suo bello e lo contraffaceva come egli era […] asserendo che, nello starsi al naturale immobilmente fermo, egli non è mai tanto simile a se stesso quanto egli è nel moto, n cui quelle qualità consistono che son tutte sue e non di altri e che danno la somiglianza al ritratto» [1].

Questa tecnica descritta dal Baldinucci può essere rilevata in una delle sue prime incursioni nel campo della pittura, l’Autoritratto databile al 1623 e conservato alla Galleria Borghese, ma anche nei busti marmorei, i quali non vennero più presentati frontali.

In quest’opera il punto di vista è molto ravvicinato, come se il protagonista si stesse voltando all’improvviso verso lo spettatore. L’attenzione viene posta sullo sguardo teso dell’artista, grazie anche all’uso sintetico ed economico dei colori e della luce [2].

 

Ad eccezione delle poche opere dipinte, il pittoricismo innato in Gian Lorenzo si rivelò anche nelle opere architettoniche e scultoree, sia per la varietà di toni chiaroscurali, sia per la tendenza al cromatismo.

Le sue qualità artistiche attirarono l’attenzione di amatori d’arte come Maffeo Barberini o il cardinale nipote Scipione Caffarelli Borghese, e la sua fama lo portò a diventare il successore di Carlo Maderno nell’incarico di primo architetto della Fabbrica di San Pietro. Fu soprattutto durante gli anni del pontificato di Urbano VIII Barberini e di Alessandro VII Chigi che si venne a palesare l’aderenza dell’arte berniniana alle idee controriformistiche della Chiesa: portò avanti i piani urbanistici volti ad incrementare la grandiosità e la potenza della Chiesa stessa e si dedicò alle opere commissionate dai pontefici per l’esaltazione della loro personale magnificenza.

Nel 1627 Urbano VIII commissionò al Bernini la realizzazione del proprio sepolcro, che venne concluso tre anni dopo la morte del papa, nel 1647. Originariamente, il monumento doveva essere collocato nell’abside di San Pietro, di fronte al Monumento a Paolo III Farnese di Guglielmo Della Porta, istituendo un legame storico tra il pontefice del Concilio di Trento e Urbano VIII, intento a difendere il primato della Chiesa. Il modello di partenza per le figure è quello delle tombe medicee realizzate da Michelangelo nella basilica di San Lorenzo a Firenze; alle sue figure però il Bernini dona dinamicità e una varietà cromatica e delle pose.

La Carità e la Giustizia sono rappresentate in piedi appoggiate al sarcofago, sul quale svetta la figura bronzea del pontefice benedicente. Sopra alla tomba è posto uno scheletro alato, simbolo della morte, intento a scrivere il nome del papa sul libro nero a ricordare come la morte sia nel destino di ogni uomo, anche di un pontefice che possiede il potere assoluto [3]. La collocazione della Morte al centro del sarcofago recupera un’idea michelangiolesca, ma favorisce anche l’accordo di colore tra il marmo e il bronzo, riallacciandosi cromaticamente anche al Baldacchino e alla Cattedra. Si può dire che Bernini interrompa la tradizione dei monumenti funerari cinquecenteschi, realizzando monumenti completi grazie alla fusione delle varie arti, in cui il defunto viene rappresentato vivo e non più disteso sul sarcofago.

La supervisione dell’opera fu affidata al cardinale Angelo Giori da Camerino, di cui possiamo leggere il nome in un’iscrizione posta dietro la figura della Carità: ANGELI CARDINALI GIORII/ PROBATAE FIDEI AC SPECRATAE VIRTVTI/ SEPVLCHRALE HOC OPVU/ SIBI EXTRVENDVM MANDAVIT/ VRBANVS PP. VIII [4].

La realizzazione delle varie sculture, create partendo da modelli compiuti dallo stesso Bernini [5], venne affidata dalla bottega dell’artista. Nel 1647, quando l’opera venne parzialmente collocata in situ, Bernini si rese conto che il sarcofago era troppo sporgente rispetto alla navata, impedendo di trovare una giusta interazione con le figure delle virtù; lo fece quindi arretrate di circa 20 cm addossandolo al piedistallo, in modo che il colloquio tra il sarcofago e le virtù fosse più coerente. 

Partendo da questo monumento funebre, l’artista ne realizzò uno per papa Alessandro VII, commissionatogli già durante i primi anni del suo pontificato, anche se alla morte del pontefice i lavori non avevano ancora avuto inizio. Il suo successore, Clemente IX Rospigliosi, avrebbe voluto collocare entrambi i sepolcri nel coro della basilica di Santa Maria Maggiore, ma a seguito della sua morte precoce il successore Clemente X Altieri decise invece di rispettare il desiderio di Alessandro VII di collocarli in San Pietro.

Il sepolcro del papa Chigi venne collocato al di sopra di un’apertura e Bernini utilizzò un drappo di diaspro per coprire l’architrave della porta sottostante. Lo scheletro che regge in mano la clessidra è la personificazione della Morte, mentre le virtù raffigurate a figura intera sono la Carità e la Verità; dietro si trovano invece Giustizia e Prudenza. 

 

Al di sopra di un piedistallo verde è collocata la statua di Alessandro VII inginocchiato in preghiera [6]. Bernini, ormai ottantenne, elaborò il progetto e attuò un intervento di ritocco sul viso del papa, mentre il resto del monumento venne realizzato dalla sua bottega [7].

Per realizzare questo monumento funebre l’artista, come anticipato, parte dal modello del sepolcro di Urbano VIII, ma ne moltiplica l’effetto teatrale che nell’altra tomba è relegato alla morte vivificata: qui le virtù assistono, assieme a noi, alla preghiera del pontefice alla sommità del monumento. Inoltre, tutte le figure sono unificate dal drappo in diaspro che in parte le copre e che è da considerare come una soluzione che costituisce l’elemento sorpresa e teatrale.

La fusione di architettura, scultura e pittura, una tendenza tipicamente barocca che venne perseguita da Bernini fin dalle prime opere [8], è esemplificata nella Cappella Cornaro nella chiesa di Santa Maria della Vittoria, dove si assiste ad una vera e propria rappresentazione teatrale.

 

Quest’opera venne realizzata da Bernini all’interno della chiesa di Santa Maria della Vittoria negli anni dal 1647 al 1652, periodo in cui l’artista si dedicò prevalentemente a commissioni private poiché Innocenzo X Pamphilj prediligeva Francesco Borromini. L’Estasi di Santa Teresa venne collocata in una nicchia sopraelevata e, ai due lati della cappella, vennero posti due rilievi nei quali furono ritratti i membri della famiglia committente, identificati come veri e proprio spettatori dell’estasi assieme ai visitatori.

Riprendendo un passo scritto dalla stessa Santa Teresa – «anima mia si riempiva tutta di una gran luce, mentre un angelo sorridente mi feriva con pungente strale d’amore» – Bernini rappresenta la santa accasciata su una coltre di nuvole con le vesti scomposte, la bocca socchiusa e le palpebre abbassate, mentre un angelo sorridente tiene in mano una freccia che sta per scagliarle addosso.

 

Il gruppo, realizzato a partire da un unico blocco di marmo, è illuminato dalla luce proveniente da un oculo posto sulla cupola della cappella, risaltata dai raggi dorati posti dietro le due figure.

Come precedentemente accennato, sulle pareti laterali vennero realizzati due finti balconi in marmo nero e giallo dai quali sono rappresentati affacciati otto membri della famiglia Cornaro [9], che diventano i testimoni attivi dell’estasi della santa. L’obiettivo è quello di creare un’opera totale: le sculture, infatti, sono collegate tematicamente con gli stucchi e le pitture della volta, nella quale sono rappresentati episodi della vita della santa, in parte celati dalla gloria di angeli. La cappella Cornaro, impresa che costò oltre 12.000 scudi, rappresenta il culmine dell’idea berniniana di totalità e di integralità dell’arte: come scriveva Filippo Baldinucci: «il Bernino medesimo era solito dire […] essere stata la più bell’opera che uscisse dalla sua mano» [10].

Durante il pontificato di Alessandro VII Chigi, successore di Innocenzo X, Bernini portò avanti il progetto papale di abbellire e migliorare il tessuto viario della città: di questo progetto l’opera cardine fu la risistemazione di San Pietro e della piazza antistante la basilica. 

 

Il Colonnato, che venne commissionato nel 1657, si compone di 248 colonne e 88 pilastri, disposti su quattro file. A coronamento della struttura vi è un architrave sormontato da una cornice marmorea, sopra la quale si innalza una balaustra dove sono collocate 140 statue di santi, martiri, papi, vescovi e fondatori degli ordini religiosi [11]. La struttura del colonnato ha una forma ad ellisse e si accosta alla basilica tramite due ali laterali divergenti: capovolgendo l’effetto prospettico, la facciata della basilica sembra più vicina e più grande.

 

Bernini stesso, riferendosi al colonnato, scrisse: «essendo San Pietro quasi matrice di tutte le chiese doveva haver un portico che dimostrasse di ricevere a braccia aperte maternamente i Cattolici per confermarli nella Credenza, gli Eretici per riunirli alla Chiesa, e gli infedeli per illuminarli alla vera fede». I due bracci del colonnato fanno infatti pensare a un abbraccio simbolico.

La struttura, come si vede in un’incisione seicentesca di Giovan Battista Falda, doveva essere completata da un’altra porzione di colonnato posta di fronte alla basilica, concludendo la forma dell’ellisse e lasciando aperti due passaggi non in asse con la facciata stessa. Questo stratagemma avrebbe portato il visitatore ad accorgersi gradualmente della grandezza della basilica e del colonnato stesso .

Le due ali del colonnato non sono una costruzione compatta, ma permettono un continuo collegamento tra la basilica e la città e creano visioni multiple: si ha, quindi, una concezione di spazio dinamico, in contrapposizione con la staticità rinascimentale. La novità principale apportata con quest’opera da Bernini sta però nell’aver concepito una macrostruttura simbolica che sottopone a una relazione tutti gli elementi che la circondano.

Nelle ultime sue opere la ricerca di Bernini si incentrò sulla rappresentazione emozionale dei soggetti per portare lo spettatore a commuoversi: questa caratteristica si può vedere nella Beata Ludovica Albertoni, antenata del principe Angelo Paluzzi Albertoni Altieri, nipote adottivo di papa Clemente X e committente dell’opera, realizzata a partire dal 1671 e collocata in una cappella laterale della chiesa di San Francesco a Ripa.

 

Per realizzare questo spazio teatrale Bernini parte dall’estasi della santa, sottoponendola però ad una vista a tutto tondo, collegando così il soggetto al quadro di Giovan Battista Gaulli, la Madonna con Bambino e S.Anna, e a due figure di santi affrescati. L’estasi è espressa con un maggiore patetismo e un’incontenibile passionalità: la Beata viene rappresentata nell’atto della morte, con il volto riverso e le labbra spalancate ad esalare l’ultimo respiro, stesa su un letto sul quale si riversano le pieghe della veste. Il forte panneggio riflette lo spasmo della beata e del suo trapassare. Il letto è collegato al pavimento grazie ad un drappo di diaspro colorato che crea un continuum visivo ma anche una variazione nel materiale e nei colori. Per ottenere il massimo effetto desiderato, Bernini rifece la cappella, creando quindi una luce che potesse partecipare e aumentare il dramma in atto. Attorno all’opera pittorica di Gaulli vennero posti dei putti cherubini in stucco, per creare un ulteriore movimento nella scena e nella luce.

Gian Lorenzo Bernini morì a Roma il 28 novembre del 1680.

 

 

 

 

Note

[1] F. Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio Lorenzo Bernino scultore, architetto e pittore, Stamperia di Vincenzio Bangelisti, FIrenze, 1682.

[2] La pennellata viene definita dalla critica sintetica e incisiva come un colpo di scalpello e per questo possiamo trovare somiglianze tra i capelli dell’Autoritratto e quelli del Busto di Costanza Bonarelli (1636, Museo Nazionale del Bargello, Firenze).

[3] Nelle pagine del libro nero si scorgono le iniziali dei nomi appartenenti ai predecessori di papa Urbano VIII: la G di Gregorio XV Ludovisi e la P di Paolo V Borghese.

[4] «Alla provata fedeltà e alla sperimentata virtù del cardinale Angelo Giori, papa urbano VIII affidò la costruzione di questo suo sepolcro».

[5] Nei bozzetti relativi allo Studio per il monumento di Urbano VIII si nota come si siano applicate modifiche nella realizzazione delle virtù e nell’inserimento della Morte per risolvere il problema del sarcofago che nel bozzetto appare come troppo vuoto.

[6] In un disegno preparatorio il pontefice era inginocchiato davanti al sarcofago; ai suoi lati erano collocate delle figure che piangevano la sua morte mentre in alto era posto un angelo per celebrare la gloria del defunto.

[7] Realizzarono questa opera corale Michele Maille, Giuseppe Mazzuoli, Lazzaro Moerelli, Giulio Cartari, Carlo Baratta e Girolamo Lucenti.

[8] Quello che nel 1682 Filippo Baldinucci definì “bel composto”.

[9] Si tratta di sette cardinali, tra cui il committente Federico Cornaro e il doge Giovanni, padre di Federico.

[10] F. Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio Lorenzo Bernino scultore, architetto e pittore, Stamperia di Vincenzio Bangelisti, FIrenze, 1682.

[11] Le gigantesche statue in travertino furono realizzate da un cantiere di 14 scultori berniniani diretti dallo stesso Bernini.

 

 

Bibliografia

F. Baldinucci, Vita del Cavaliere Gio Lorenzo Bernino scultore, architetto e pittore, Stamperia di VIncenzio Bangelisti, FIrenze, 1682.

P. D’ Achiardi, Due ritratti sconosciuti di G.L. Bernini, in “L’Arte”, XI, 1908.

V. Mariani, Gian Lorenzo Bernini, Società editrice napoletana, Napoli, 1974.

I. Lavin, Bernini e l’unità delle arti visive, Edizione dell’Elefante, Roma, 1980.

P. Adorno, L’arte italiana. Le sua radici medio-orientali e greco-romane. Il suo sviluppo nella cultura europea. Dal classicismo rinascimentale al barocco, G. D’Anna, Firenze, 1986.

R. Wittkower, Bernini: lo scultore del Barocco romano, Electa, Milano, 1990.

M. Locci, Gian Lorenzo Bernini. Scena retorica per l’immaginario urbano, Testo e Immagine, Torino, 1998.

Associazione Culturale Arcada, Bernini e il “grand teatro” di Roma, a cura di, Skira editore, Milano, 1999.

M. Bussagli, Bernini, Giunti, Firenze, 2000.

I. Lavin, Bernini in San Pietro, in Basilica di San Pietro in Vaticano, a cura di A. Pinelli, Franco Cosimo Panini Editore, Modena, 2000.

O. Brunetti, S. C. Cusmano, V. Tesi, Bernini e la Toscana da Michelangelo al barocco mediceo e al neocinquecentismo, a cura di, Gangemi Editore, Roma, 2002.

T. Montanari, Bernini Pittore, Silvana Editoriale, Milano, 2006.

M. G. D’Amelio, “Il bello, il proprio, il necessario” nel colonnato di San Pietro a Roma: architettura, economia, cantiere, in “Mélanges de l’école française de Rome”, 119-2, 2007.

D. Pinton, Bernini scultore e architetto, ATS Italia Editrice, Roma, 2009.

C. Mangne, Like Father, Like Son: Bernini’s Filial Imitation of Michelangelo, Association of Art Historians, 2014.

O. Ferrari, Bernini. Arte e dossier, Giunti, Firenze, 2016.

C. Mangone, Bernini scultore pittoresco, in Material Bernini, Routledge, Londra, 2016.

G. Cricco, F. P. D Teodoro, Itinerario nell’arte. Dal gotico internazionale all’età barocca, Zanichelli, Bologna, 2017.

Sitografia

https://www.sanfrancescoaripa.it/project/estasi-della-beata-ludovica-del-bernini/

https://www.collezionegalleriaborghese.it/opere/autoritratto-in-eta-giovanile

https://www.artribune.com/arti-visive/archeologia-arte-antica/2021/10/restauro-cappella-cornaro-estasi-santa-teresa-bernini/

https://www.finestresullarte.info/opere-e-artisti/gian-lorenzo-bernini-estasi-di-santa-teresa-santa-maria-della-vittoria

https://www.artesvelata.it/cappella-cornaro-estasi-santa-teresa/

https://www.raiscuola.rai.it/storiadellarte/articoli/2021/12/Il-qui-ed-ora-nellEstasi-di-Bernini-4f1fc32a-4c61-4cbf-a904-9e84056c997a.html

https://www.geometriefluide.com/it/cappella-cornaro-bernini/

http://www.apicolturaonline.it/apeartebernini.pdf

https://metropolitanmagazine.it/gian-lorenzo-bernini/

 

FEDERICA GATTI

Nata a Firenze nel 1995, ho conseguito la laurea triennale in Storia e tutela dei beni culturali e successivamente magistrale in Storia dell’Arte presso l’Università di Firenze. 

La mia passione per la storia dell’arte e soprattutto per la storia dell’architettura, alla quale si va ad aggiungere la mia passione innata per la fotografia, nasce grazie alla mia professoressa di storia dell’arte del liceo. Per me l’arte è libertà in ogni sua sfaccettatura, libertà che spero di trasmettere a chi legge.

All’interno del progetto Storia dell’Arte sono redattrice per la regione Toscana.

Quanto ti è piaciuto l'articolo?

Fai clic su una stella per votarla!

Media dei voti: 5 / 5. Totale: 3

Nessun voto finora! Sii il primo a votare questo post.