A cura di Denise Lilliu
Una vita tra Italia e Argentina
Lucio Fontana è stato senza dubbio uno dei più grandi artisti della storia dell’arte contemporanea, non solo italiana. Fontana nacque nel 1899 a Rosario di Santa Fe, in Argentina, da genitori di origine italiana – il padre lavorava come scultore mentre la madre era un’attrice – che vivevano lì da circa dieci anni.
All’età di sei anni, Lucio si trasferì in Italia dagli zii per intraprendere il percorso scolastico. Dopo aver ottenuto la licenza elementare, proseguì frequentando un istituto tecnico, cominciando un apprendistato e avvicinandosi contemporaneamente alla scuola dei maestri edili dell’Istituto tecnico Carlo Cattaneo di Milano. Nel 1916, con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Fontana fu costretto ad abbandonare gli studi, arruolandosi nell’esercito che abbandonò due anni dopo – nel 1918 – dopo essere rimasto ferito in battaglia. Tornato a Milano, l’artista decise di proseguire gli studi, riuscendo a diplomarsi come perito edile. Il 1921 fu invece l’anno del ritorno in patria. A Rosario iniziò a lavorare nello studio del padre, e ad avvicinarsi alla scultura. Dopo essersi messo in proprio, nel 1927 Fontana partì nuovamente alla volta di Milano, dove cominciò a studiare presso l’Accademia di Belle Arti di Brera. Al 1930 risale la sua prima mostra, nonché la partecipazione alla diciassettesima edizione della Biennale di Venezia, che lo vide protagonista con due opere scultoree, Eva e Vittoria fascista.
Alla prima stagione milanese fa seguito il trasferimento a Parigi, attorno alla metà degli anni ’30. Nella capitale francese Fontana aderì al gruppo Abstraction-Creation, realizzando molte sculture dal taglio espressionista in bronzo e in ceramica. Dal 1935 al 1939, poi, intraprese un percorso da Ceramista presso la manifattura dell’amico Giuseppe Mazzotti ad Albisola, prima di effettuare un altro viaggio in Argentina (1940), motivato dalla partecipazione al concorso per il Monumento Nacional a la Bandera. Allo stesso periodo risale la redazione del Manifiesto Blanco, in cui Fontana, coadiuvato da altri artisti, mise nero su bianco la volontà di superamento della pittura, della scultura, della poesia e della musica.
Nel 1947 l’artista fece nuovamente ritorno in Italia, ad Albisola, riprendendo la sua attività di ceramista, entrando in contatto con artisti come Giorgio Kaisserlian, Beniamino Joppolo e Milena Milani, firmatari, con lui, del Manifesto dello Spazialismo. La premessa dello Spazialismo, come esplicitato dalla seconda stesura del Manifesto (1948), andava ricercata nella volontà di superare l’arte del passato, di far uscire il quadro dalla cornice e la scultura da una sorta di “campana di vetro” con l’obiettivo di creare nuove forme d’arte, originali e alternative rispetto ai modelli precedenti.
Il 1949 è l’anno in cui Fontana inizia ad approfondire la sua personale ricerca pittorica; nella serie dei Buchi – presentati per la prima volta nel 1952 in occasione della mostra Arte Spaziale, alla Galleria del Naviglio – egli aggiunse, in seguito all’intervento cromatico vero e proprio, dei fori sulla superficie, eseguiti con un punteruolo. L’anno successivo fu il turno di un altro concorso, quello preliminare alla realizzazione della quinta porta del Duomo di Milano, indetto dalla fabbrica del Duomo stesso. Nel 1950 e nel 1951 nascono rispettivamente il terzo e il quarto Manifesto dell’Arte Spaziale, che coinvolgono altri artisti (Anton Giulio Ambrosini, Giancarlo Carozzi, Roberto Crippa, Mario De Luigi, Gianni Dova, Virgilio Guidi, Beniamino Joppolo, Milena Milani, Berto Morucchio, Cesare Peverelli, e Vinicio Vianello), mentre il 1952 – anno in cui Fontana si unì in matrimonio con Teresita Rasini – vide la nascita del Manifesto Spaziale per la Televisione. Il sodalizio di Fontana con il nuovo medium venne confermato dalla partecipazione in trasmissioni sperimentali della Rai di Milano.
Chiusa la stagione dei Buchi, Fontana intraprende il ciclo delle Pietre, con cui crea la serie dei Barocchi e dei Gessi. Nel 1958, invece, i tempi sono maturi per la serie più iconica del maestro argentino, ovvero quella dei Tagli, presentati per la prima volta in una personale – anche questa alla Galleria del Naviglio – del 1959, prima di essere esposti in altre occasioni a San Paolo, a Parigi, Roma, Dusseldorf, Londra e Kassel.
Due anni dopo è la volta della prima mostra in terra americana, esponendo i suoi lavori alla Martha Jackson Gallery di New York, inaugurando – sempre nello stesso anno – una nuova tipologia di lavori in metallo, delle lamiere squarciate e tagliate in superficie. A cinque anni dalla prima personale americana, nel 1966, il successo di Fontana è tale da renderlo il protagonista di due grandi esposizioni americane (Walker Art Center di Minneapolis, Marlborough Gallery di New York) e di una mostra alla Galleria Alexander Jolas di Parigi. Nello stesso anno, Fontana viene omaggiato anche in Italia, e in occasione della trentatreesima edizione della Biennale di Venezia, a due anni dal clamoroso trionfo di Robert Rauschenberg e della Pop americana, Fontana ottiene una sala personale, l’Ambiente Ovale allestito insieme a Carlo Scarpa.
Nel 1968 Fontana si trasferì a Varese, dove morì, all’età di sessantanove anni, il 7 settembre, lasciando un patrimonio artistico di indiscusso valore, oggi presente in più di cento musei in tutto il mondo.
L’arte di Lucio Fontana
Fontana è un autore di un’opera poliedrica, diversa, che varia nei contenuti, nelle forme che di primo acchito sarebbe anche difficile da attribuire ad un unico artista. La sua opera pare racchiudere più artisti ma è anche vero che questa fu molto condizionata dalla dittatura fascista, perché la politica culturale del regime portò già nel 1922 all’organizzazione degli artisti in sindacati fascisti di Belle Arti, e l’adesione a questa organizzazione era il presupposto per la partecipazione alle mostre nazionali e internazionali. Allo stesso tempo, il regime promuoveva una massiccia attività artistica attraverso l’attribuzione di premi e incarichi pubblici. In seguito, la ricerca spazialista di Fontana iniziò a voler proiettare la forma e il colore nello spazio, servendosi in particolare delle celebri tele che venivano completamente graffiate o squarciate, come quelle che compongono la serie di concetto spaziale e attese. Quello di Lucio Fontana è, assieme a quello di altri autori, uno degli esempi più eloquenti di come talvolta il nome di un artista vada a legarsi in maniera esclusiva a un gesto, in questo caso Il buco o il taglio, concepito da un presupposto fondamentale: Fontana, infatti, considerava la carta come una materia plastica, dalle potenzialità spaziali rimaste ancora esplorate. A partire dalla realizzazione dei primi Buchi, infatti, tutte le sue opere recano il titolo di concetto spaziale.
I buchi erano di varie dimensioni, ornamentali o disposti a caso, davanti o sul retro del quadro. Spesso, poi, l’effetto spaziale era forzato dall’inserimento di lustrini o frammenti di vetro colorato. I buchi furono una tarda scoperta del suo lavoro, infatti furono realizzati quando lui aveva già cinquant’anni e aveva alle spalle una carriera di più di 20 anni trascorsi perlopiù come scultore.
Lo Spazialismo
Verso il 1947, Fontana lanciò lo spazialismo, una corrente artistica che faceva proprie le idee del Futurismo. Il raggio d’azione di questo gruppo era circoscritto al Nord Italia. Radicato nel Futurismo, come già anticipato, questo movimento faceva parte di quell’insieme di fenomeni artistici del dopoguerra per cui Peter Burger arrivò a coniare il termine di Neoavanguardia.
Fontana allestì il suo primo ambiente spaziale nel febbraio del ’49, alla galleria del Naviglio di Milano. L’impressione sembrava essere quella di una grotta, dove la luce violacea rendeva l’atmosfera complessiva particolarmente spettrale. Non c’erano confini e tutto riportava alle zone dell’inconscio. Anche le pareti della galleria erano nere. Dal soffitto, inoltre, pendeva un allestimento di elementi tondeggianti in cartapesta, dipinti con colori fluorescenti. L’ illuminazione della stanza con i raggi ultravioletti faceva risaltare come lampi nel buio le forme dipinte. Per l’installazione al neon, Fontana trasse ispirazione da una fotografia pubblicata nella rivista AZ arte d’oggi. Essa ritraeva Picasso intento a praticare il light painting, a tracciare in aria le linee di un disegno, grazie alla luce di una lampadina tascabile.
Il manifesto tecnico dello Spazialismo riprese, altresì, la questione tipicamente barocca della rappresentazione di tempo e spazio, e l’esemplarità tutta futurista del dinamismo plastico.
Bibliografia
Barbara Hess, Fontana, Taschen, 2017.
Sitografia
Fondazione Lucio Fontana – Home, consultato il 24/08/22 e 31/08
Sono nata a Cagliari, nel Sud Sardegna. La mia passione per la Storia dell‘arte é nata solo recentemente, quando frequentavo le superiori.
Ora frequento il terzo anno di Beni culturali e spettacolo all’università di Cagliari, di preciso seguo il percorso Storico Artistico e mi sento legata particolarmente alla Storia dell‘arte contemporanea. Amo la fotografia e ho deciso di aderire al progetto per dare maggior risalto in termini di ricerca e immagine al patrimonio che offre la mia regione.
Per il progetto Discovering Italia ricopro il ruolo di redattrice per la regione Sardegna.
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