A cura di Luisa Generali
Sebbene si pensi che l’apice dell’arte fiorentina sia principalmente relativo al periodo del Rinascimento, anche nel Seicento la città di Firenze vive un momento di grande splendore, riportato all’attenzione della critica e del pubblico solo nel secolo passato grazie alle ricerche di grandi studiosi che hanno realmente “riscoperto” un periodo storico-artistico quasi del tutto dimenticato.
Lambita solo in parte dalle novità del Barocco romano, la scuola fiorentina progredì sulla scia di un certo rigore ancora strettamente legato agli insegnamenti della tradizione e ai grandi maestri della Controriforma: tocca la vetta più alta di questo momento artistico Carlo Dolci (1616-1686), considerato uno dei maggiori esponenti del Seicento fiorentino in pittura, che iniziò la sua formazione nella bottega di Jacopo Vignali, a sua volta maestro tra i capifila dello stile controriformato in ambito toscano, e grazie al quale entrò subito nelle grazie della famiglia Granducale dei Medici.
Fanno parte dei primi lavori documentati di Carlo Dolci i ritratti di Stefano della Bella e Fra’ Ainolfo de’ Bardi (fig.1-2), personaggi protetti dei Medici, oggi rispettivamente alla Galleria Palatina e agli Uffizi, entrambi realizzati dall’artista in precocissima età. Dai dipinti emerge già la piena padronanza della tecnica pittorica nell’uso del colore e nella modulazione delle luci e delle ombre, carattere distintivo del pittore anche nella sua fase più matura. Oltre all’indagine psicologica che emerge dai volti dei due personaggi in un atteggiamento naturale e al contempo nobile e fiero, che li esalta nel loro ruolo di protetti della famiglia Granducale, si nota inoltre una peculiare attenzione ai dettagli che già spiccano nei particolari delle vesti.
Tra gli anni Trenta e Quaranta del Seicento va consolidandosi quello che sarà l’impronta stilistica propria del Dolci, che si specializza nella rappresentazione in prevalenza di soggetti religiosi-devozionali a figure singole o con pochi personaggi, caratterizzati nelle forme da una poetica dolcezza: al contempo la tecnica dell’artista si affina privilegiando una materia pittorica densa a colori smaltati che negli incarnati raggiunge il nitore dell’alabastro. Tra le tante raffigurazioni sacre che hanno per soggetto la Madonna col Bambino (fig.3), e che fanno parte del catalogo attribuito al pittore, portiamo come esempio l’opera conservata al Musée des Beaux-Arts di Houston datata agli anni Trenta, in cui emergono i tratti distintivi della maniera del maestro: bellezza eburnea, atteggiamento raccolto e affettuoso, attenzione scrupolosa ai dettagli, il tutto purificato da una pellicola pittorica impeccabile.
Tra i dipinti più noti ricordiamo il ciclo dedicato alle Virtù di cui fanno parte La Carità di Palazzo Alberti a Prato e La Pazienza, in collezione privata, (fig.4-5), opere a figure singole caratterizzate da una meticolosa attenzione alla perfezione dell’immagine, in cui la fervente spiritualità espressa dai volti languidi delle allegorie inizia a volgere piuttosto verso un intenso pietismo. Le espressioni estatiche delle Virtù sono accompagnate dagli attributi, più celati nella raffigurazione della Pazienza, avvolta da un rigoglioso panneggio violetto ed incatenata ad una roccia in attesa della sua liberazione, mentre appaiono platealmente esibiti nella Carità, nell’atto di allattare un neonato e di mostrare al riguardante un cuore ardente.
Arrivata la sua fama fino in Inghilterra, appartiene alla Royal Collection of the United Kingdom una delle opere più rappresentative del Dolci: Salomè con la testa di Battista (fig.6). La scena è completamente focalizzata sulla figura femminile di Salomè, candida quanto spietata mentre mostra sul piatto la testa del Santo. Spicca sullo sfondo scuro, che isola la scena, il ricco abito blu indossato dalla giovane insieme ai preziosismi gioielli: uno splendore che contrasta terribilmente con la macabra scena del martirio appena avvenuto.
Ricalca un’impostazione simile ma con protagonista un personaggio biblico maschile anche David con la testa di Golia (fig.7), opera conservata alla Pinacoteca di Brera di Milano: calato nel contesto paesaggistico dove è avvenuto lo scontro, l’eroe posa fieramente mostrando la spada e il suo trofeo con ancora il sasso in mezzo alla fronte del gigante. Dolci prosegue sulla scia della mitizzazione di David, già esaltata in pittura e scultura da precedenti illustri, per cui la bellezza del giovane vincitore diventa metafora di forza e coraggio; così anche l’abbigliamento diventa un pretesto per nobilitare il suo valore, ammantato da una veste arancio arricchita di particolari, tra cui emerge la resa materica decisamente naturalistica della bisaccia in pelle maculata.
A proposito dell’attenzione del pittore verso la natura, si trova proprio a Firenze alla Galleria degli Uffizi la tela raffigurante Vaso di fiori e bacile (fig.8), che testimonia la straordinaria capacità di Carlo Dolci di cimentarsi anche nella nature morte ed in particolare nei ritratti floreali. L’opera, commissionata dal cardinale Giovan Carlo de’ Medici nel 1662, fu realizzata con lo scopo di riprodurre fedelmente ogni fiore con una precisione botanica esemplare, a cui il pittore, oltre al fine estetico, unì anche un significato morale paragonando il rigoglio dei fiori e la loro fragilità al destino della vita umana, come raffigura il tulipano appassito caduto sul tavolo. Ancora una volta quest’opera formalmente perfetta conserva lo stile del maestro all’apice della consacrazione, che non manca mai di particolareggiare i suoi soggetti con un tocco di eleganza e sontuosità data spesso dalla verosimiglianza delle stoffe e dei materiali: la tovaglia in velluto rosso, il bacile smaltato bianco (forse porcellana) e il magnifico vaso dorato e cesellato a motivi decorativi con al centro lo stemma della famiglia Medici.
È del 1663 un’altra celebre opera di Carlo Dolci, Gesù bambino con una ghirlanda di fiori (Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza), la cui fortuna iconografica ha contribuito notevolmente a intensificare il culto proprio di questa tenera immagine del Redentore fanciullo (fig.9). La scena presenta Gesù all’età di circa sei anni seduto sui gradini d’ingresso ad un giardino, mentre sembra accogliere chi guarda esibendo una ghirlanda di fiori. Il soggetto, non particolarmente frequente prima del Dolci, si presta a varie letture simboliche, tra cui l’esortazione a cogliere le virtù cristiane, ognuna delle quali espresse dai fiori che compongono la ghirlanda: un’altra interpretazione, più devozionale, potrebbe invece indicare l’invito di Gesù a varcare le porte del Paradiso per quelle anime prossime al trapasso che vengono accolte dal volto rassicurante del Bambino.
Chiude questa rassegna dedicata a Carlo Dolci la Santa Cecilia conservata a Dresda (Gemäldegalerie) e datata al 1671, opera tra le più identificative della maniera dell’artista nonché una delle più riprodotte successivamente in copie e riproduzioni (fig.10). La composizione vede la Santa nei canoni tipici della bellezza dolciana, colta di profilo mentre suona l’organo: questo attributo identifica e accompagna l’iconografica di Cecilia, nobildonna romana e martire cristiana votata alla musica e per questo proclamata patrona dei musicisti. Il primo piano sul volto della donna e sullo strumento è contestualizzato in uno spaccato di vita quotidiana, in un ambiente sobrio e raccolto, rafforzando così lo scopo votivo dell’opera che si prestava ad essere adorata soprattutto in ambito domestico: proprio questa immediata e facile lettura ha permesso la fortuna delle opere di Dolci che incontrarono il gusto degli artisti e dei fedeli nei secoli avvenire. Anche in questo caso, oltre alla bellezza incantevole della Santa, è protagonista indiscusso il suo abito tessuto da sfarzose stoffe, mentre un velo leggero che le copre le spalle va a chiudersi sul petto da una spilla-gioiello, altro dettaglio abituale nella produzione del pittore. Contribuiscono alla grazia della scena anche i gigli bianchi posati sulle ginocchia di Cecilia, i dettagli lignei decorativi dell’organo, e il drappo rosso utilizzato per proteggere lo strumento, in questo caso raccolto di lato a ornamento dell’ambiente.
Acclamato come il più grande pittore del Seicento fiorentino, Carlo Dolci supera il suo tempo prendendosi il merito di aver dettato i canoni e i modelli di un vero e proprio genere devozionale che ha ispirato generazioni di artisti alle prese con il tema del sacro.
Bibliografia
Carlo Dolci, 1616 – 1687, Catalogo della mostra a cura di Sandro Bellesi e Anna Bisceglia, (Palazzo Pitti, Galleria Palatina, 30 giugno – 15 novembre 2015), Livorno 2015.
Francesco Saracino, Il bambino in paradiso: Carlo Dolci e l’immaginazione devota, in Gregorianum, 101,2 (2020), pp. 445-466.
Francesca Baldassari, La collezione Piero ed Elena Bigongiari: il Seicento fiorentino tra “favola” e dramma, Milano 2004.
Sitografia
Biografia Carlo Dolci: https://www.treccani.it/enciclopedia/carlo-dolci_%28Dizionario-Biografico%29/#:~:text=Figlio%20di%20Andrea%20e%20di,(pubblicata%20postuma%20nel%201728)
Sul ritratto di Ritratto di fra’ Ainolfo de Bardi: https://www.uffizi.it/opere/ainolfo-de-bardi
Natura morta Vaso di fiori e bacile: https://www.uffizi.it/opere/dolci-fiori-bacile
Sono nata a Empoli (FI) nel 1991, e dopo aver vissuto per qualche anno a Vinci, sono residente da tempo a San Miniato (PI). Ho studiato storia e tutela dei beni culturali per poi proseguire conseguendo la laurea in storia dell´arte all´Università degli di Studi di Firenze con una tesi in arte moderna. La mia passione per le arti figurative e la cultura in senso lato mi porta ad essere spesso curiosa, andando alla ricerca di meraviglie e splendidi capolavori, anche negli angoli meno pensati.
Per storia dell´arte sono la referente della regione Toscana.
Email: [email protected]
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