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A cura di Daniele Mennella

 

Introduzione

Sul crinale della collina che guarda verso il litorale ligure, tra Sanremo e Coldirodi, aggrappata al declivio, svetta la Villa Luca. Ubicata nel comune di Coldirodi, l’edificio custodisce gelosamente la collezione pittorica e libraria che Padre Stefano Rambaldi destinò al borgo natio.

 

 

Paolo Stefano Rambaldi

L’impetuosa ricerca della bellezza

 

Paolo Stefano Rambaldi, nato a Coldirodi nel Natale del 1803, appena adolescente, si trasferì nella vivace Firenze, capitale dell’arte e della cultura italiana durante i primi anni dell’800. Fervente attivista risorgimentale, per mezzo delle sue epistole entrò in contatto con le personalità politiche e culturali ottocentesche più influenti come Alessandro Manzoni, Vincenzo Gioberti e Silvio Pellico. Da sempre sensibile e attento agli sviluppi dell’arte figurativa ottocentesca, anche durante la sua prima giovinezza, raccolse un considerevole numero di dipinti. Fu però la carica di rettore del Seminario Maggiore di Piazza di Castello, che ricoprì dal 1841 al 1849 e il contatto con rilevanti circoli culturali come l’Accademia Valdarnese e la Società Promotrice di Belle arti, che gli permise di arricchire in modo considerevole la sua collezione. La fama da dissidente e i rapporti di amicizia stretti con Pellico e Gioberti, costarono tuttavia, al nostro, la rimozione dalla carica di rettore per mano degli Austriaci, che occuparono Firenze nel 1849. Visse da allora in una grave condizione di indigenza, non rinunciando ad acquistare e raccogliere morbosamente opere d’arte e pregiati manoscritti, come riportato nell’articolo pubblicato alla sua morte da ‘La Nazione’ di Firenze il 9 aprile del 1865:

«a forza di privarsi del necessario, spendendo in essi quanto a cittadino dovizioso parrebbe troppo».

La sua ferma volontà di donare i suoi beni artistici e librari al comune di Colla, oggi Coldirodi, è ben chiara nel suo testamento, dove dichiara inoltre che le tele e i manoscritti non potranno in futuro superare i confini della città natale. Il 18 giungo del 1865, la giunta comunale, riunitasi in assemblea straordinaria e sollecitata dal sindaco, decise di acquistare la raccolta del Rambaldi ed estinguere i debiti che infelicemente accompagnavano i beni.

 

La collezione pittorica

Le cento tele

 

Grazie all’inventario compilato dal pittore Alessandro Petrini, alla morte del Padre Rambaldi, riusciamo a risalire sommariamente al numero di tele possedute dal sacerdote durante l’acquisto da parte del comune di Coldirodi. Dopo la prima collocazione all’interno del palazzo del municipio e il furto delle tele sventato nel 1953, la collezione pittorica conta ad oggi cento opere. Dal 2006 la raccolta è custodita all’interno della suggestiva villa Luca. Appoggiata sul crinale della collina, la villa ospita nelle sue sette sale le opere pittoriche comprese tra il XV e il XIX secolo. Le ariose

sale, affrescate a grottesca dal pittore ligure Giovanni Morscio, guardando verso la baia di Ospedaletti, creano la possibilità di una affascinante commistione. Sembra, infatti, che il contesto storico artistico fiorentino che le opere rievocano si unisca con il panorama ligure di ponente, dove il Rambaldi ha vissuto gli anni della sua prima adolescenza. 

 

Grazie ad una importante campagna di valorizzazione e restauro, compiuta da Martino Oberto, intorno agli anni Sessanta del Novecento è possibile ad oggi apprezzare le tele in un ottimo stato conservativo. Tra le opere di argomento religioso, alle quali padre Rambaldi per sua vocazione era istintivamente legato, degne di nota

sono: San Sebastiano soccorso dalle Pie donne di Michele Rocca, la Sacra Famiglia di Fra Bartolomeo della Porta e la Santa Famiglia in faccende domestiche di Jacopo Vignali. Da considerare è anche l’attenzione di Stefano Rambaldi verso opere di stampo laico e borghese, raffiguranti principalmente nature morte e paesaggi, tra cui si annoverano alcune tele di Giuseppe Recco e di Carlo Markò

 

Madonna con Bambino Lorenzo di Credi  

Le gloriose maestranze fiorentine a Coldirodi

 

Esposta nella prima sala, che accoglie prevalentemente artisti toscani del Cinquecento, La Madonna con Bambino attribuita a Lorenzo di Credi, è considerata l’opera più antica della collezione Rambaldi. Realizzata probabilmente tra il 1475 e il 1480, restituisce la tecnica, le influenze e il prestigio che caratterizzavano l’affollata bottega di Andrea Del Verrocchio durante gli ultimi anni del Quattrocento. La Vergine è raffigurata all’interno di una stanza, intenta a reggere sulle ginocchia Gesù, al quale porge una ciliegia. Dal colore rosso vivo, il frutto potrebbe simboleggiare un rimando alla futura passione di Cristo. Sullo sfondo, oltre la finestra, si scorge un paesaggio collinare, dove campeggia, tra i folti alberi, un fiume. La monumentalità e la rigidità delle figure è chiara eredità del maestro fiorentino, Andrea del Verrocchio, ma è nella finezza dei volti, la luminosità dei colori e l’abilità nel panneggio che si nota la personalità artistica di Lorenzo di Credi.

L’influenza di Leonardo da Vinci, assiduo frequentatore della bottega, è riscontrabile nel paesaggio sfumato, eco della prospettiva aerea e nell’idea di legare dinamicamente le figure tramite la vezzosa contesa delle mani, acme e centro del dipinto.

 

Tentazioni di Sant’Antonio Salvator Rosa

La meravigliosa rappresentazione dell’orrore

 

L’indocile e ostinato pittore napoletano, Salvator Rosa, nelle tentazioni di Sant’Antonio, dipinge con estrema chiarezza e acuto ingegno l’orrore del maligno. La prima versione, dipinta dal Rosa per i granduchi di Firenze, conservata a Palazzo Pitti è databile intorno al 1646. Quella posseduta dal Rambaldi, realizzazione originale più tarda, presenta dimensioni ridotte e una resa più cupa e drammatica. In un luogo deserto e roccioso, Sant’ Antonio, intento a meditare, viene sopraffatto da un’orda di creature demoniache. Il santo, per contrastare l’orda di bestie, si torce vigorosamente sopra la stuoia, impugnando con forza una croce di legno. La resa della luce guida la composizione pittorica: in primo piano il teschio e un libro aperto, simbolo dell’attività meditativa appena interrotta e alle spalle di Sant’Antonio, risalta per le sue dimensioni, la creatura mostruosa ermafrodita. Il suo terrificante corpo è frutto dell’unione di vari animali: lo scheletro sembra ricordare un rapace in posizione eretta, il cranio ricorda quello di un cavallo con lunghe zanne di cinghiale, mentre, la sinuosa coda sembra quella tipica dei ratti. La distanza dalla tradizione figurativa, che ha come oggetto, le tentazioni di Sant’Antonio, raffigurate nel corso dei secoli da svariati artisti, rende la tela un unicum nel panorama artistico seicentesco.

 

 

 

Le immagini presenti sono state realizzata dall’autore dell’articolo

 

 

 

Bibliografia

Catalogo Pinacoteca Rambaldi di Coldirodi – Schede 1-70 ( numeri inventario : 56408-56477).

«Rivista Ingauna e Intemelia» 1958, I-II.

Perelli, M., Bragaglia, E., Grossi, T. (2006). Salvator Rosa: l’uomo, l’artista, l’antesignano. Italia: Antiga.

 

Sitografia

http://pinacotecarambaldi.it consultato il 25/07/2022

https://www.beniculturali.it/luogo/pinacoteca-rambaldi-villa-luca consultato il 26/07/2022

https://www.info-sanremo.com/pinacoteca-rambaldi.html consultato il 30/07/2022

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