CHIESA DI SAN FRANCESCO D'ASSISI A GERACE

Nel bellissimo borgo di Gerace, in provincia di Reggio Calabria, uno dei più suggestivi della Calabria, è presente una delle più importanti architetture appartenente all’ordine mendicante dell’Italia meridionale.

L’edificio di san Francesco d’Assisi a Gerace, realizzato tra la fine del Duecento e gli inizi del Trecento sui resti di un precedente edificio romanico, faceva parte di un complesso conventuale di cui restano solo il pozzo e una parte del chiostro oggetto di un restauro recente.

L’apparato architettonico vanta un portale lapideo ad arco acuto con triplice archivolto risalente al trecento riccamente adornato da decorazioni geometriche e fitomorfe di chiara provenienza arabo-sicula, arricchito da una modanatura e da capitelli tra cui è inserita una svastica, la rappresentazione stilista del sole.

Il portale è a ghiera multipla archiacuta posto su due piedritti polistili con colonnine addossate di cui quelle esterne reggono capitelli a crochets, quelle interne invece si legano direttamente alla cornice intermedia di imposta dell’arco, decorata a palmette in successione paratattica disposte su due registri.

L’interno è composto da una navata principale costituita da un ampio ambiente rettangolare coperto da un tetto a capriate, illuminato da una serie di monofore che si susseguono lateralmente, composte da lancette centrali e da due oculi che la affiancano.

Nel presbiterio quadrangolare, coperto da una volta stellata a otto vele, è collocato il sarcofago lapideo di Nicola Ruffo di Calabria, datato 1372-1374. È un’opera attribuita ad un discepolo dello scultore senese Tino da Camaino, il personaggio principale è vegliato da Santa Maria de Jesu affiancata ai lati da due angeli e i Santi Pietro, Elena, Caterina e Paolo.

L’arco trionfale, che mette in comunicazione l’aula con il presbiterio e l’altare maggiore del XVII secolo, sono eccezionali esempi di barocco calabrese, composti da tessere marmoree policrome, con formelle che riproducono elementi fitomorfi, zoomorfi ed elementi paesaggistici, oltre che elementi floreali stilizzati.

Il complesso di San Francesco d’Assisi a Gerace mantiene la sua sacralità fino al 1806, furono i francesi che costrinsero i frati ad abbandonare l’edificio portando con loro il vasto patrimonio artistico che era qui conservato. Dal 1997 la chiesa, sconsacrata, è stata adibita a sala polifunzionale per eventi di interesse culturale.

 

Sitografia

www.comune.gerace,rc.it

www.beniculturali.it

www.paesionline.it

www.viaggiart.com

www.locride.it

A.M. Spanò, Insediamenti francescani nella Calabria angioina. Il paradigma Gerace, Soveria Mannelli 2006, pp. 39-50.


LE CASTELLA A ISOLA DI CAPO RIZZUTO

Le fortezze medievali calabresi: le Castella

Posizionato su un isolotto in provincia di Crotone, ad Isola Capo Rizzuto, il complesso de “le Castella” rappresenta una chicca del panorama di fortezze medievali calabresi.

Le origini di Castella sono antichissime, notizie che si confondono con il mito e che rimandano alla presenza di due o tre isolotti non lontane dalla terra ferma, una delle quali dimora, con molta probabilità, di Calipso, la quale avrebbe trattenuto Odisseo per molto tempo nella sua abitazione, così come ce lo tramandano gli scritti di Omero.

Per quanto riguarda l’origine del nome “Le Castella”, usato al plurale, si rimanda alla tradizione locale secondo cui fossero presenti più edifici militari sui suddetti isolotti, sprofondati col tempo negli abissi, così come dimostrano i resti ritrovati su due secche sottomarine. La definizione più importante è quella di Torre o Mura di Annibale, così come ci tramanda Plinio nella sua opera “Naturalis Historia”, secondo cui durante la prima guerra punica venne costruita la prima torre a difesa dei romani.

La posizione storica, geografia e strategica

Il trattato di amicizia tra Roma e Taranto del 304 a.C. prevedeva il divieto di navigazione ad oriente di Capo Lacinio, inducendo Taranto a creare una vedetta sull'isolotto per sorprendere le navi romane che giungevano da Tirreno e puntavano verso Taranto stessa; da qui si capiscee l'importanza di Punta Castella. Poco più tardi, circa un secolo dopo, le fonti vogliono che agli sgoccioli della seconda guerra punica, tra il 208 ed il 202 a.C., Annibale, inseguito dall’esercito romano, fece costruire nel luogo dove oggi sorge il castello aragonese un accampamento o una torre di vedetta. Quando Annibale lasciò il territorio, i Romani istituirono un Castra, da cui deriva l’attuale denominazione.

Con l’occupazione degli Arabi tra il IX e il secolo XI, che già controllavano la vicina Squillace, si impone la dominazione sull’intero golfo. Superata questa dominazione sorgono le prime chiese, una dedicata a Santa Maria e l’altra a San Nicola. Inoltre, diversi documenti testimoniano la presenza di pubblici ufficiali, da cui deriva una florida attività commerciale oltre che sociale.

La pace del borgo fu turbata da un feroce scontro tra Angioini e Aragonesi, che portò al saccheggio di Le Castella da parte dell'ammiraglio Ruggiero di Loria nel 1290; la resistenza degli abitanti del borgo fu di 8 giorni prima di cedere all'assalto.

Gli scontri non finirono qui: qualche tempo più tardi il capitano angioino Guglielmo Estendard volle riconquistare i territori persi appostandosi lì dove le navi nemiche facevano scalo nel golfo e tendendo loro una trappola, ma invece di prendere di sorpresa il nemico, ne fu sopraffatto. Ruggero vinse costringendo Guglielmo alla resa, che ferito cadde prigioniero.

Nel 1459 continuarono gli scontri, che videro contrapposti da una parte  il re Ferdinando d'Aragona, dall'altra il nobile feudatario Antonio Centelles. I conflitti porteranno al dominio sul territorio della famiglia napoletana Carafa, nella persona del nobile Andrea Carafa.

Nel 500 i territori rientrano così nel feudo di Santa Severina segnandone il lento declino, e soprattutto a causa della presenza ottomana si registra una diminuzione degli abitanti, con conseguente riduzione del commercio e dell’attività produttiva delle campagne circostanti.

È nel 1553 che iniziano gli attacchi al borgo, tre anni più tardi le navi turche bombardano la costa sotto il comando del temibile Ariadeno Barbarossa, il terrore dei mari. Tra i prigionieri dovuti alle loro spietate azioni abbiamo un giovane pescatore di nome Giovan Dionigi Galeni, destinato a diventare il famoso Kiligi Alì meglio noto come Uccjalì.

Una leggenda aleggia sulla sua vicenda, tanto da dedicargli un busto nella città e una serie di appellativi dovuti ad una patologia che lo accompagnava dalla nascita, la tigna. Da promesso prete a sostenitore dell’Islam, indosserà il copricapo tipico della pirateria e, sposata la figlia di Chiafer Rais, otterrà il grado di nostromo in una nave corsara.

Le Castella: l'interno

Da un punto di vista architettonico, l’impianto originale è databile alla seconda metà del XIII secolo, così come testimonia la torre merlata circolare al cui interno presenta una scala a chiocciola in pietra che si sviluppa su tre piani.

La struttura presenta un maschio con finestre dette ‘a bocca di lupo’, strette all’esterno e larghe all’interno utili per fare gli avvistamenti senza essere notati, sicuramente collegato alle altre torri di difesa dislocate sul territorio.

Quando Federico d’Aragona consegna la fortezza ad Andrea Carafa, esso la restaura dotandolo di ulteriori bastioni. Con i lavori di restauro terminati ormai venti anni fa, sono stati portati alla luce ulteriori fasi costruttive del castello, che hanno confermato l’ipotesi di una sua costruzione molto più antica rispetto a quella definita in precedenza; all’interno infatti si possono vedere i resti di mura greche, un porto dello stesso periodo, mura romane, una cappella e un antico borgo del XVI secolo.

Lo stabile rientra all’interno dell’area marina protetta di Isola Capo Rizzuto, tanto è vero che una delle sale del castello ospita una mostra ad essa relativa oltre all’attrezzatura necessaria per la visita virtuale dei fondali. La fortezza diviene un Museo statale, come da DM 23 dicembre 2014 secondo la volontà del Ministro Franceschini, il quale indica l’attività dei musei statali diretta alla tutela del patrimonio culturale. Il passaggio sotto la direzione del Polo Museale di Cosenza viene, però, ufficialmente formalizzato solo nel 2019, vestendosi di una nuova identità, facendolo rientrare nel circuito museale di tutta la Calabria.

 

Sitografia e bibliografia

www.prolocolecastella.it

www.lecastella.info

www.beniculturale.it

  1. Valente, Le Castelle (Isola Capo Rizzuto): una storia millenaria, Catanzaro 1993.

R, Mango, Le Castella: arcaica, archeologica, medievale, Catanzaro 1999.

 

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IL CONVENTO DOMENICANO DI SORIANO CALABRO

La nascita di un paese: Soriano Calabro e il suo convento

Soriano Calabro è un piccolo paese montano del vibonese che deve la sua fondazione prevalentemente alla realizzazione del Convento domenicano nel 1510. Il Santuario raggiunse il suo massimo splendore tra la seconda metà del XVI secolo e la prima metà del secolo XVII, soprattutto grazie alla miracolosa apparizione del Quadro di San Domenico, ritenuta un’opera di origine divina consegnata dalla Madonna ad un frate il 14 settembre 1530. Uno dei maggiori centri di culto domenicano, non solo nel Meridione ma a livello europeo, rimase distrutto nel 1659 durante uno dei terremoti che nei secoli hanno segnato la Calabria. Sui resti dell’antico santuario ne fu edificato un nuovo per volere del Re di Spagna Filippo IV. Lo studio fu affidato al certosino e architetto Padre Bonaventura Presti che basò il progetto sul modello dell’Escorial di Madrid.

Il convento domenicano di Soriano Calabro: descrizione

L’imponente convento si estendeva per una superficie di oltre ventimila metri quadrati, distribuiti in quattro edifici claustrali. La basilica, immensa, culminava in una cupola ottagonale che si innalzava sul transetto raggiungendo un’altezza di oltre cento metri. La navata centrale era a croce latina e ai sui suoi lati si sviluppavano quattro cappelle a destra e quattro a sinistra, comunicanti, ed intervallate da pilastri cruciformi con basi in granito dalla chiusura ad archi e, infine, un'ampia abside. Al presbiterio si accedeva attraverso dei gradini, qui si trovava l’altare maggiore e subito dopo la cappella del santo Gusmano dove era stato collocato il Quadro di San Domenico.

L’interno e la facciata rispecchiavano la maestosità della complessa struttura; le pareti erano finemente decorate da stucchi e rivestite con marmi pregiati sormontate da capitelli, medaglioni con Santi e Beati dell’Ordine, bassorilievi, puttini, statue, pale d’altare,cherubini e da motivi ornamentali tipici del Seicento barocco. Nel 1783 un altro terremoto rase al suolo l’edificio riducendolo al rudere che è oggi.

Una parte è stata recuperata per riedificare la chiesa che custodisce il quadro del santo, inoltre ivi si trova il MuMar, un museo in cui sono custoditi i marmi provenienti dagli scavi effettuati nel rudere, tra cui è presente una testina femminile attribuita al Bernini.

    

 

Bibliografia

https://turismosorianocalabro.org/2014/06/16/i-ruderi-dellantico-convento-di-san-domenico-in-soriano-calabro-tra-storia-e-innovazione/

DOPPIA CORSIA n. 25 (lug-ago 2013) TESTO DI Giovanna Tenuta[/vc_column_text][/vc_column]

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IL PARCO ARCHEOLOGICO DI SCOLACIUM

A cura di Felicia Villella

Il Parco archeologico di Scolacium

Il Parco Archeologico di Scolacium si trova in località Roccelletta di Borgia, in provincia di Catanzaro. Qui sorgeva per l’appunto l’antica città di Scolacium, in seguito conosciuta anche come Minervia, luogo che ha dato i natali al senatore e storico Cassiodoro in epoca bizantina. Località collegata alle vicende relative alla guerra di Troia, secondo le leggende fu fondata da Ulisse, naufragato durante il ritorna verso Itaca, o da Menesteo di ritorno da Troia; verosimilmente la fondazione si collega storicamente alla colonia di Crotone che si contendeva con Locri Epizefiri il controllo dell’istmo di Catanzaro e dei traffici marittimi.

Inizialmente si trattava di un presidio prettamente militare, che conobbe un periodo di serie difficoltà durante il IV secolo a.C. e la portò a passare sotto il dominio dei Brettii. Una forte ripresa si ebbe con la fondazione della colonia romana sotto Gracco, portandola ad un notevole sviluppo economico, urbanistico e architettonico. Sotto Nerva, infine, fu fondata la colonia di Minervia nel 96-98 a. C.

Il collasso definitivo si deve alle incursioni saracene dal 902 d.C., con il conseguente spostamento della popolazione presso le alture circostanze, tra cui l’attuale Santa Maria di Catanzaro, alcuni dei centri abitativi che contribuirono alla formazione dell’odierna città di Catanzaro.

Il sito

Il sito mostra poco dell’impianto abitativo romano, i resti visibili danno comunque un’idea di quello che doveva essere la sua configurazione; sono tuttora visibili le strade lastricate, gli acquedotti, alcuni mausolei e zone sepolcrali, oltre alla basilica e all'impianto termale. Il pendio della collina ha ceduto il posto al teatro che poteva ospitare fino a quasi 5000 spettatori; la struttura risalente al I secolo d.C. è stata oggetto di diversi rifacimenti a causa dell’ampliamento della città. È possibile evidenziare almeno tre fasi costruttive: una di età repubblicana, una Giulio-Claudia e infine un’ultima relativa al II secolo d.C.

La maggior parte del materiale archeologico, frammenti marmorei e gruppi scultorei, esposti nel museo provengono proprio dagli scavi effettuali all'interno del teatro, mentre i resti dell’adiacente anfiteatro, risalente all'epoca dell’imperatore Nervi, non sono stati ancora esplorati.

Il museo è stato allestito in un edificio del 1800 appartenente alla famiglia dei baroni Mazza, una struttura oggetto di recente ristrutturazione proprio per essere destinato a sede museale. I materiali ivi esposti vanno dalla preistoria, passando per l’età greca e romana, fino all'epoca medioevale e provengono tutti dal parco archeologico.

Gli scavi iniziarono nel 1965 da Ermann Arslan, grazie al ritrovamento di un’epigrafe che localizzava la zona; ancora oggi secondo un programma annuale gli scavi vengono portati avanti dalla Soprintendenza, interessandosi soprattutto dei monumenti più evidenti a partire dal foro, dal teatro e dalla basilica normanna.

Gli studi hanno evidenziato pochissime strutture murarie di epoca greca, questo perché probabilmente perfettamente sovrapposte al centro romano successivo.  Pochi sono i reperti di origine greca: qualche frammento di vasellame proveniente dalla zona delle sepolture e una porzione di un capitello dorico in calcarenite, impiegato come materiale di riempimento, risalente probabilmente al IV secolo a.C.

Il parco è organizzato in percorsi, seguendo l’itinerario che è indicato dai pannelli didattici espositivi si arriva ai resti della basilica normanna di S. Maria della Roccella, voluta da Ruggero d’Altavilla, passando per un miscuglio di stili perfettamente in equilibrio fra loro, in cui sono evidenti influenze bizantine e arabe.

Superati il frantoio e l'antiquarium, in direzione del mare si arriva al foro, pavimentato con laterizi quadrati, circondato da un colonnato tuscanico e destinato ad ospitare 3500 spettatori, il monumento è stato realizzato in due fasi costruttive tra il I e il II secolo d.C. Ai confini della piazza sono stati già scavati un caesareum, la curia e un ambiente termale; sono visibili inoltre un tempietto, una fontana monumentale e un tribunale. Nel 1982 tutta l'area è stata espropriata dallo Stato per costituire il Parco Archeologico della Roccelletta.

Fig. 9: Parco archeologico di Scolacium, Basilica medievale

 

Bibliografia e sitografia

Roberto Spadea, Da Skylletion a Scolacium: il parco archeologico della Roccelletta. Roma, ed. Gangemi, 1989.

http://www.kaulon.it/skylletion.htm

http://www.beniculturalicalabria.it/

 


BASILICA DI SAN FRANCESCO DA PAOLA

A cura di Felicia Villella

Il comune di Paola in provincia di Cosenza vanta l’essere luogo di nascita del patrono della Calabria intera, San Francesco da Paola appunto. La cittadina oltre a custodire la casa storica di nascita del santo, risalente al 1300, è il luogo in cui sorge la basilica a lui dedicata. Precedentemente Santuario e poi elevata al rango di basilica minore nel 1921 da papa Benedetto XV, l'edificio rappresenta un esempio di monumento architettonico religioso dal gusto barocco e gotico, di fattura tardo rinascimentale. La costruzione risale al XVI secolo e vi si accede dopo l'attraversamento di un ampio piazzale lambito da un lato da un torrente su cui si affaccia parte di un edificio religioso adiacente alla chiesa e dall'altro da un palazzo che accompagna lo sguardo direttamente verso la facciata del monumento principale. La basilica ad oggi è definita antica, per differenziarla dalla nuova basilica postmoderna inaugurata in occasione del Giubileo del 2000.

Prima di accedere direttamente ai locali liturgici si attraversa una imponente facciata a doppio ordine sormontato da una nicchia in cui è collocata la statua del santo ritratto nella sua tradizionale posa mentre regge il bastone e porta la mano sinistra al petto.  Il primo livello della facciata è tripartito da tre ingressi, di cui il centrale più ampio, separati da colonne in stile dorico; il secondo livello ripropone la stessa tripartizione, ma cambia l'ordine delle colonne, in stile corinzio ed in più presenta una balconata in ferro battuto a mo' di loggetta. Superata l’imponente facciata, si sosta in un primo androne che prepara al silenzio dei devoti prima di accedere al secondo spazio che permette di scegliere tra l’ingresso a destra nella chiesa o verso il chiostro, oltre che ad una piccola cappella dedicata a San Nicola e ad un'altra stanza di preghiera. La chiesa è composta da un’unica aula principale non particolarmente adornata costituita da una navata centrale su cui capeggia l’organo e un crocifisso ligneo che scende in prossimità della zona dedicata all'altare, lateralmente invece si accede ad una seconda navata sulla destra scandita da quattro cappelle recentemente restaurate fino al raggiungimento della cappella barocca dedicata alle reliquie del santo in corrispondenza della zona absidale. Qui sono conservati gli abiti e i frammenti di alcune sue ossa, il resto del corpo riposa in Francia. 

Particolarmente interessante è anche il chiostro adiacente l'edificio che preserva un roseto protetto da una serie di vetrate che danno su una sequenza di affreschi fortemente danneggiati che raccontano la vita di San Francesco da Paola, dalla nascita alla sua morte, includendo numerosi miracoli attribuiti dalla tradizione. Fiancheggia il chiostro il romitorio, si tratta di una serie di angusti spazi sotterranei che hanno costituito il primo cenobio in cui si riunivano il santo e il suo ordine. Superato il percorso che guida lungo il romitorio si giunge al ponte detto del diavolo legato ad un episodio della vita del santo, oltre il quale si arriva alla fonte di acqua, il cui sgorgare è anch’esso attribuito ad un episodio miracoloso, incorniciata da una delicata struttura che ricorda molto quello dei tempietti di stile romano composto da un pavimento in travertino su cui poggiano quattro colonne doriche che sorreggono una copertura semisferica su cui culmina una croce metallica. Proseguendo sono visibili i resti dell'antico acquedotto del convento su cui poggia la moderna basilica francescana, qui è conservata una bomba inesplosa risalente alla Seconda Guerra Mondiale, fino al raggiungimento della fornace che conclude il percorso, un ambiente circolare al quale si accede attraverso una consumata scalinata.

Il luogo, oltre ad essere una importante meta di pellegrinaggio, rappresenta un piccolo scrigno di storia e arte del territorio calabrese, una meta che non deve mancare negli itinerari turistici della regione.

 


IL BASTIONE DI MALTA A LAMEZIA TERME

A cura di Felicia Villella

Introduzione: il Bastione di Malta, stemma araldico della città di Lamezia Terme

L’imponente bastione medievale che si trova a guardia della città di Lamezia Terme accoglie con la sua maestosità i visitatori che si dirigono in città provenendo dal litorale costiero. Protagonista indiscusso della storia della città lametina, è stato scelto dal pittore Giorgio Pinna, molto attivo nella piana lametina nel secolo scorso, per essere rappresentato sullo stemma araldico della stessa. Si tratta di uno dei monumenti architettonici meglio conservati della zona e rientra nella schiera di torri riferite al sistema difensivo di epoca medievale delle coste calabresi.

L’edificio risale al XVI secolo: sotto le pressioni del viceré di Napoli Pedro da Toledo che lo volle fortemente, fu eretta una struttura possente che potesse far fronte alle sempre più frequenti incursioni saracene che sopraggiungevano dal mare.

Attualmente il bastione di Malta risiede nel territorio di Gizzeria lido, un tratto di costa che all'epoca della sua realizzazione rientrava nella giurisdizione dell’abbazia benedettina di Sant’Eufemia Vetere; nello specifico il monumento godeva della potestà degli Ospitalieri di San Giovanni di Gerusalemme, meglio noti con il famoso nome di Ordine dei Cavalieri di Malta, gestori del vicino feudo di Sant’Eufemia Vetere. È proprio al loro ordine che si deve la costruzione materiale della struttura e delle altre torri che si snodano ad intervalli più o meno regolari lungo la costa.

Descrizione architettonica del bastione di Malta

L’edificio è composto essenzialmente da un tronco di piramide a base quadrata costituito da spesse mura, svasato al primo livello. Presenta quattro caditoie ricavate nel coronamento liscio senza archeggiature e beccatelli in rilievo. Fatta eccezione per pochissimi interventi visibili anche ad occhio nudo, come nel caso di due strutture presenti sul terrazzo e qualche apertura nella scarpa, la torre è stata realizzata in un unico periodo edilizio.

Il primo livello è composto da un solo ambiente sormontato da volte a botte, mentre è nel secondo livello che si può apprezzare quello che doveva essere l’ingresso originario. Sul prospetto principale è, infatti, presente uno stemma a scudo che campeggia proprio sull'ingresso; si tratta dello scudo del Balì Fra Signorino Gattinara, recante un'iscrizione datata 1634 che gli attribuisce il merito di aver armato il bastione di macchine belliche a difesa delle incursioni da parte dei corsari, ammodernandolo.

Il livello superiore, composto da tre ambienti dalle dimensioni più ridotte rispetto al precedente piano, presenta una merlatura esterna che lo circonda interamente; su di esso si sviluppa un’ampia terrazza all'interno della quale è fissato un punto trigonometrico noto. Non a caso, vista l’imponenza e la sua posizione a ridosso della strada principale, già in passato le popolazioni lo consideravano un punto di riferimento fondamentale per l’orientamento; partendo dall'entroterra, infatti, chi si metteva in viaggio per raggiungere la zona marina lo chiamava “a vesta a campana”, paragonando la sua forma svasata alla “la gonna a campana”, che ricorda le ampie gonne degli abiti folkloristici indossate dalle donne locali.

Leggende e curiosità

Non di rado ci si trova di fronte a monumenti su cui i popoli hanno fantasticato, tramandando dicerie che col tempo sono diventate vere e proprie leggende; anche in questo caso, per così dire, la storia si ripete. Durante gli scavi archeologici che hanno interessato il vicino castello normanno-svevo di Nicastro, infatti, il rinvenimento di un'ampia cisterna ha fatto credere ai non esperti del settore che si trattasse di un enorme passaggio segreto scavato nel sottosuolo, direttamente collegato al bastione di Malta, così che, in caso di incursioni, un messo potesse raggiungere con una via preferenziale il palazzo e avvisare i castellani; si tratta ovviamente di una mera invenzione.

Il bastione di Malta fu usato anche durante la seconda guerra mondiale assolvendo il suo ultimo compito da fortezza militare in quanto fu usato come postazione antiaerea.

Attualmente il Bastione di Malta è proprietà del comune di Lamezia Terme, mentre precedentemente, con la vendita dei beni ecclesiastici imposta da Giuseppe Bonaparte del Regno di Napoli, era diventato di proprietà privata.

 

Bibliografia e sitografia

Casiello De Martino S., San Giovanni a Mare: storia e restauri, Arte Tipografica 2005;

Castanò F., Rossi P, Drawings and archive documents of Hierosolomytan Castles in Southern Italy. In: González Avilés, Ángel Benigno (Ed.). Defensive Architecture of the Mediterranean. XV to XVIII Centuries: Vol. VI: Proceedings of the International Conference on Modern Age Fortifications of the Mediterranean Coast, FORTMED 2017. Alacant: Publicacions Universitat d’Alacant, 2017, pp. 161-168;

De Sensi Sestito G., Tra l'Amato e il Savuto - Volume 1, Rubbettino editore 1999, pag. 305;

Mazza F., Lamezia Terme: storia, cultura, economia, Rubbettino editore 2001;

Occhiato G., Rapporti culturali e rispondenze architettoniche tra Calabria e Francia in età romantica: l'abbazia normanna di Sant'Eufemia, Mélanges de l'école française de Rome 1981, pp. 565-603;

www.comune.lamezia-terme.cz

 

 

 

 

 

 

Bibliografia

www.comune.lamezia-terme.cz.;

Castanò F., Rossi P, Drawings and archive documents of Hierosolomytan Castles in Southern Italy. In: González Avilés, Ángel Benigno (Ed.). Defensive Architecture of the Mediterranean. XV to XVIII Centuries: Vol. VI: Proceedings of the International Conference on Modern Age Fortifications of the Mediterranean Coast, FORTMED 2017. Alacant: Publicacions Universitat d’Alacant, 2017. ISBN 978-84-16724-76-5, pp. 161-168;

Occhiato G., Rapporti culturali e rispondenze architettoniche tra Calabria e Francia in età romantica: l'abbazia normanna di Sant'Eufemia, Mélanges de l'école française de Rome 93.2 (1981): 565-603;

<h3><strong>GALLERIA FOTOGRAFICA</strong></h3>

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IL DUOMO DI MESSINA

A cura di Felicia Villella
Di Abxbay - Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=11473455

La cattedrale di Messina si fa risalire al 1150, si tratta dunque di un edificio normanno, ma fu consacrata sotto gli Svevi nel settembre del 1197 alla presenza dell’imperatore Enrico VI, figlio di Federico detto Barbarossa e Costanza d’Altavilla. Da quel momento il duomo è stato oggetto di continue modifiche, fino al massimo rifacimento avvenuto sotto il dominio spagnolo, in pieno barocco. Solo nei primi anni del 900, a seguito del violento terremoto del 1908, fu restituita al monumento l’originale sobrietà tipica delle cattedrali normanni, a discapito dei pesanti stucchi e decori barocchi. Le vicissitudini, però, non finirono lì. Il duomo di Messina fu bombardato dagli americani durante la Seconda Guerra Mondiale e fu devastato anche da un incendio: ne seguì un rapido intervento di restauro che seguì i dettami di quello avvenuto precedentemente, tale da essere riaperto molto velocemente al pubblico ed elevato al rango di Basilica da Pio XII sotto l’Arcivescovo Angelo Paino.

Da un punto di vista architettonico, la facciata presenta tre portali tardo gotici originali, il più importante è sicuramente quello centrale, ricco di decori che rimandano al sacro e al profano, datato tra il 300 e il 500. Sono presenti anche due ingressi laterali della prima metà del 500. Bisogna soffermarsi sull'imponente campanile dotato di un sofisticato orologio meccanico e astronomico progettato dalla ditta Ungerer di Strasburgo e inaugurato nel 1933; a mezzogiorno il complesso sistema meccanico permette alle statue di bronzo dorato di muoversi. Sono presenti il carosello dei giorni della settimana, composto da divinità pagane portate su un carro trainato da diversi animali: ogni carro cambia alla mezzanotte (Apollo guidato da un cavallo, Diana da una cerva, Marte da un cavallo, Mercurio da una pantera, Giove da una chimera, Venere da una colomba e infine anche Saturno da una chimera). Segue il carosello delle età, composto da quattro statue che rappresentano le fasi della vita ( infanzia-bambino, giovinezza-giovane, maturità-guerriero, vecchiaia-vecchio, morte-scheletro). Dopo di che è rappresentata la chiesa di Montalto, luogo in cui secondo la tradizione apparve la Madonna in sogno a fra’ Nicola chiedendo la costruzione della chiesa. Si prosegue con una serie di scene bibliche, che variano in base al calendario liturgico, tra cui l’adorazione dei pastori e dei re Magi, la risurrezione di Gesù e la discesa dello Spirito Santo sugli apostoli. Terminate le scene bibliche il posto è ceduto alla patrona di Messina, la Madonna della Lettera. La parte relativa all'orologio è il luogo di un’altra coppia di statue, Dina e Clarenza, che battono le ore e i quarti, due eroine che difesero la città dall'assalto delle truppe Angioine. Il gallo, alto 2.20 metri rappresenta il risveglio che a seguito dei tre ruggiti del leone, alto 4 metri e simbolo della provincia di Messina, di mezzogiorno, batte le ali e solleva la testa cantando il classico chicchirichì per tre volte. Infine sono presenti anche i quadranti delle ore, il calendario perpetuo, il planetario e la luna.

L’interno ripropone la tripartizione già visibile esternamente, le tre navate sono scandita da una doppia fila di 13 colonne che sorreggono archi a sesto acuto, dettagli che danno un senso verticistico all'edificio. Nell'abside centrale è proposto un Cristo Pantocratore, riproduzione di quello trecentesco. Le 12 cappelle sono occupate dalle statue degli apostoli, copie delle originali andate perse durante i bombardamenti. Tra le particolarità spicca sicuramente l’organo polifonico a cinque tastiere, secondo, in Italia, solo a quello del duomo di Milano. L’altare maggiore è dedicato alla patrona di Messina, la Madonna della Lettera, un’opera maestosa a cui contribuirono Juvarra e Guarini.

Bibliografia e sitografia

  • La Farina, Messina e i suoi monumenti, Messina, Stamperia G. Fiumara, 1840.
  • di Marzo, I Gagini e la scultura in Sicilia nei secoli XV e XVI; memorie storiche e documenti, Conte Antonio Cavagna Sangiuliani di Gualdana Lazelada di Bereguardo, Volume I e II, Palermo, Stamperia del Giornale di Sicilia.

LA STAUROTECA DI COSENZA

A cura di Felicia Villella

Introduzione

Secondo la tradizione, Federico II di Svevia giunto a Cosenza per la consacrazione della Cattedrale, ricostruita dopo il terremoto del 1184, donò al Capitolo “una reliquia della Croce custodita in una croce aurea gemmata”, probabilmente la stauroteca giunta fino ai giorni nostri. A supporto di questa teoria Luca Campano ne attesta l’uso per la liturgia del Venerdì Santo nel “Liber usuum Ecclesiae Cusentinae” del 1213, anche se non è da escludere la possibilità che fosse un altro reliquiario presente tra i suppellettili della Cattedrale.

La documentazione sulla stauroteca di Cosenza

I primi documenti attendibili custoditi presso l’archivio diocesano e quello di Stato della città risalgono alla prima metà del 1500, in essi si parla di una “cruce d’oro con lo pede d’avorio, nella quale ci è lo lignu Crucis, in la quale ci sono vintunu buttuncini d’oro”. Gli studiosi, inoltre, identificano la stauroteca con la croce d’oro che Carlo V baciò quando, nel 1535, entrò nella città. Da un punto di vista crono-stilistico, è importante soffermarsi sul piedistallo in argento dorato in stile tardo barocco. Lo stesso è stato sicuramente realizzato contemporaneamente al reliquiario, come dimostra la presenza di un incastro che sporge dalla base del fusto che si accorda perfettamente al piedistallo: dunque non si tratta di un supporto realizzato per un altro oggetto, come per esempio un ostensorio, ma appositamente realizzato per sorreggere la stauroteca.

Diverse sono le ipotesi riguardo la committenza, seppure si faccia risalire con certezza al periodo aragonese ad opera di un argentiere iberico; da un lato si rimanda al Cardinal Niccolò o Taddeo Gaddi, facendo riferimento allo stemma contenente la croce gigliata, o più realisticamente primitivo emblema dell’ordine dei Predicatori diffuso in Spagna; dall'altra si ritrovano rimandi al Cardinale Torquemada giunto a Cosenza al seguito di Carlo V in  base al blasone cardinalizio in cui è presente una torre che brucia, anche se potrebbe trattarsi di otto torri intorno ad una luna crescente e al cui centro è posto uno scudo incorniciato da un clipeo irradiato dalle fiamme, simboli che potrebbero indicare la famiglia dei De Luna o De Luny. Le informazioni attendibili sono, quindi, molto scarse. Certo è che la stauroteca venne scoperta in occasione della mostra di Orvieto nel 1896, e posta all'attenzione della critica come importante testimonianza di arte bizantina nel meridione. Datata al XII secolo, è il risultato magistrale delle officine del Tiraz reale, alcuni la fanno risalire al regno di Ruggero II (1130-1154), un’altra corrente di pensiero la rimanda al regno di Guglielmo II (1166-1189) a causa del realismo dei volti tipici delle miniature siciliane.

Per una dettagliata descrizione tecnico-stilistica è necessario parlare di un recto e di un verso del reliquiario. Da un punto di vista orafo, la lavorazione è sicuramente occidentale, come dimostra la filigrana a vermicelli e l’incastonatura a castello delle gemme, tipica dell’oreficeria medio bizantina; un tempo, inoltre, l’intero perimetro del manufatto e le placche interne erano contornate da un filo di perle scaramazze. La struttura in legno è rivestita in lamine d’oro e placche assemblate secondo un sistema di incastri, privo di perni e saldature. La morfologia è quella tipica della croce latina con bracci potenziati, avvallando la teoria della manifattura siciliana.

Recto della stauroteca di Cosenza

L’iconografia dei medaglioni smaltati e il ricco decoro dell’intera opera è riconducibile al concetto cristiano di albero della vita, mentre i granati incastonati rappresentano la valenza salvifica del sangue di Cristo. Gli ovali presentano i quattro evangelisti, Giovanni e Marco, in alto e a destra, Luca e Matteo in basso e a sinistra. Al centro è raffigurato Cristo sul trono.

Tra i quattro evangelisti, solo Luca sembra essere colto in un’azione più complessa rispetto agli altri. Nello specifico è ritratto con un rotolo di pergamena sulle ginocchia e uno sul leggio mentre intinge lo stiletto non nel calamaio, ma in una vaschetta divisa in più sezioni, probabilmente perché ripreso nell'atto di miniare immagini, proprio perché patrono dei miniatori e pittore di santi.

Verso della stauroteca di Cosenza

Sulla croce poggia il corpo del Cristo nella tradizionale rappresentazione bizantina col corpo ricurvo. Le estremità del reliquiario riportano un Arcangelo discoforo, forse San Michele, in alto e in successione le allegoria della Passione, della Resurrezione e dell’Eucarestia, e a destra San Giovanni Battista. Questo lato della Stauroteca racchiude in sé una duplice interpretazione. Se da un lato presenta Cristo nel suo aspetto umano, tesi determinata dal concilio di Costantinopoli del 692, sintetizzando simbolicamente il concetto di Crocifissione, dall'altro lato l’interpretazione rimanda al concetto Eucaristico da un punto di vista liturgico, in cui l’altare riunisce il sacrificio di Cristo Re.

 

Riferimenti bibliografici

Appunti e immagini del corso di Storia dell’arte calabrese aa 2008-09 Università della Calabria – Scienze e tecniche per il restauro e la conservazione dei BB CC.

 


IL CASTELLO DI SAN MAURO DI CORIGLIANO

A cura di Felicia Villella

Introduzione

Il castello-masseria di S. Mauro di Corigliano Calabro è un imponente complesso che rappresenta uno dei più interessanti modelli di architettura rinascimentale dell’intera Calabria. Il fabbricato odierno, risalente al XVI secolo, dovrebbe insistere sui resti di un edificio medievale, probabilmente un monastero. Secondo le fonti questo edificio fu costruito presso la distrutta Copia-Turio, probabilmente edificata intorno al 190 a. C. dal Senato Romano, i cui ruderi fornirono le pietre usate per la costruzione delle sue mura.

La trasformazione in palazzo fortificato avvenne nel XVI secolo ad opera dei Principi Sanseverino. I lavori di recupero e riammodernamento della struttura furono eseguiti sotto il Ducato di Giacomo Saluzzo, per tutto il Seicento ed il secolo successivo. Gli interventi cercarono di mantenere inalterati gli ornamenti originali, come lo stemma dei Sanseverino rimasto intatto presso l’ingresso.

Castello San Mauro

Vengono ripristinate tutte le coperture, sostituite le travi ormai logore con nuove e ampliata la sacrestia della Chiesa di S. Antero.

Nel 1828 con il passaggio di proprietà sotto Giuseppe Campagna, ha inizio il lento abbandono della masseria. Solo il vecchio frantoio viene convertito in concio nel 1829 per la lavorazione della liquirizia, attivo solo fino al 1836.

Alla fine dell’Ottocento furono installate alcune macchine per la lavorazione dei cereali, sostituendo il mulino-frantoio con quello proveniente dal convento dei carmelitani, all’ingresso del centro abitato.

Ne seguono pochi interventi di manutenzione, così come riportato da un’iscrizione datata 1875 posizionata nel muro attiguo alla facciata principale.

Ad aggravare ulteriormente la situazione di declino a cui il monumento è stato sottoposto, sono da aggiungere gli inadeguati lavori di sbancamento risalenti agli anni 90 che non hanno rispettato il paesaggio che da più di 500 anni costituiva un tutt’uno con la masseria.

Da un punto di vista strutturale il fabbricato è composto da due corpi di fabbrica contigui a doppia corte, circondati da muri di cinta chiusi dal torrione merlato a forma quadrata, in cui sono visibili frammenti di pitture. In particolare nel primo frammento è visibile lo stemma dei Sanseverino, in parte ricoperto dall’intonaco, in un secondo frammento, invece, è visibile il capo di una Madonna con bambino, il resto dell’opera è stato modificato a causa dell’ampliamento del portone.

Nel corpo occidentale, in cui è situato un ingresso, spicca un torrione adornato da beccatelli e merlature che dà su un ampio cortile addossato al palazzo residenziale. Ad est della corte si sviluppa il corpo orientale in cui ritroviamo un ampio spazio quadrangolare ad uso frutteto.

Nel complesso si tratta di una struttura quadrangolare che poggia su un ampio tratto pianeggiante, posto ad occupare circa un ettaro di terreno, circondato da un cospicuo aranceto.

Al primo piano del palazzo residenziale è collocato l’alloggio padronale al quale è possibile accedere per mezzo di una scala a doppie braccia realizzata in pietra di Genova. Gli ambienti sono tutti voltati, vanno sicuramente menzionate la sala del trono, la camera degli specchi finemente decorata e una sala con camino.

L’esterno ha una ripartizione ritmica costituita da marcapiani, cornici e finestre, oltre ad una sola loggia coperta alla quale si accedeva attraverso due rampe di scale, di cui oggi ne esiste solo una.

Probabilmente la parte sinistra dell’ingresso è stata danneggiata da un incendio come ne testimoniano i segni impressi sulla facciata. Il piano inferiore, invece, era occupato da locali di servizio come la cucina, i magazzini e la cantina. Il cotto della pavimentazione, o meglio i sui resti, lasciano intravedere una serie di archi detti gattaiolati, che isolavano il pavimento da terra con una sorta di camera d’aria.

Il fabbricato nella sua completezza si affaccia, in ultimo, su un’ampia corte quadrangolare il cui ingresso è caratterizzato da una torre quadrata munita di piombatoi per la difesa. La corte era delimitata sui restanti tre lati da ventidue sottani, occupati dagli alloggi dei salariati e dal massaro. Il materiale usato per la costruzione delle arcate è quello più facilmente reperibile nel territorio, si tratta di mattoni d’argilla e ciottoli di fiume ben incastonati, oggi a vista a causa dell’inevitabile degrado dell’intonaco. Anche se la composizione degli archi rimanda ai classici chiostri, la tipologia è differente, infatti a sud sono presenti pilastri a base quadrata con archi a tutto sesto, a nord, invece, una prima serie di pilastri a base ottagonale così da formare quattro archi a tutto sesto, una seconda serie di pilastri a base cruciforme che vanno a formare nove archi su cui insiste una cuspide triangolare che lascia immaginare quello che doveva essere l’enorme copertura del magazzino.

Ad incorniciare il tutto è presente un muro perimetrale merlato costituito da una serie di inferriate e due porte d’accesso al giardino collegate alla corte del palazzo da un grande portale con contrafforti, corrispondenti ai magazzini a destra del palazzo.

Biografia e sitografia

  1. Grillo, Antichità storiche e monumentali de Corigliano Calabro, Cosenza, 1965
  2. Perogalli, M. P. Ichino, S. Bazzi, Castelli italiani: con un repertorio di oltre 4000 architetture fortificate, Bibliografica, 1979
  3. Barillaro, Calabria, Guida artistica e archeologica, L. Pellegrini, 1972

https://www.bisignanoinrete.com/il-castello-di-san-mauro-dei-principi-sanseverino-a-corigliano-calabro/

https://iluoghidelcuore.it

http://icleonetti.it/sito-storico/ipertesti/schiavonea/sanmauro.html

Appunti personali lezioni di restauro A.A. 2008-09


TORTORA E I SUOI PORTALI MISTERIOSI

A cura di Felicia Villella

Introduzione

Tortora è il primo paese nord-occidentale della Calabria, vanta una notevole vista sul Mar Tirreno e possiede una posizione geografica strategica grazie al confine con la Basilicata. Il territorio rientra nel territorio del Parco Nazionale del Pollino ed è suddiviso in tre realtà, il centro storico, le frazioni montane e la zona marina, sostanzialmente il paese si estende lungo il Golfo di Policastro, fino ad arrivare a Laino Borgo. 

Da un punto di vista storico, il territorio è stato soggetto alla presenza dell’uomo già dal Paleolitico inferiore, come attestano i numerosi reperti rinvenuti nella zona nota come il Rosaneto risalenti a circa centocinquantamila anni fa. Dal VI al IV secolo a.C., Tortora, meglio nota con il nome di Blanda, fu in seguito abitata dagli Enotri, un popolo preromano. 

L’attuale denominazione del paese è successiva e deriva dalla cospicua presenza dell’omonimo volatile nella zona, che ne ha fatto il simbolo principale dello stemma araldico comunale.

I portali di Tortora

Il centro storico vanta una ricca collezione di portali lapidei, a partire dal più misterioso appartenente alla Cappella del Purgatorio, una costruzione di modeste dimensioni risalente al 1200 circa il cui impianto originario è costituito da un’unica navata quadrata di 8mt circa di lato e da una piccola abside posta di fronte l’ingresso.  Sormontata da un tavolato ligneo dipinto raffigurante le anime del Purgatorio, la navata conduce alla zona presbiteriale ed è separata da essa da un arco a tutto sesto. La facciata, presenta un unico ingresso incorniciato da un mirabile e laborioso portale scolpito con raffigurazioni esoteriche, una nicchia sovrastante lo stesso e due aperture laterali, il tutto capeggiato da un campanile a vista. 

Il portale, del 1688 che con il portone ligneo rappresenta l’unico esempio di arte basiliano-calabrese si presenta come un arco a tutto sesto, la cui parte superiore poggia su due pilastri dalla forma squadrata e nell’insieme rappresentano la volta celeste. I pilasti culminano in due capitelli decorati da un quadrifoglio e una figura animalesca, adagiati su due piedritti, mentre alla base sono scolpiti due leoni accovacciati, a guardia dell’ingresso.

Un ulteriore portale è quello di Palazzo Feudale, che si presenta come un arco a tutto sesto, nella cui chiave di volta è inserito lo stemma in ceramica smaltata della famiglia spagnola Vargas, in esso è rappresentato un braccio che afferra una clava, al di sopra di uno scorcio di mare stilizzato il tutto incorniciato da una bordatura giallo oro e un drappeggio cremisi. L’arco poggia su due mensole lineari mentre i piedritti terminano su due muretti. Il Palazzo, posto in Corso G. Garibaldi, è appartenuto al Principe Vargas Muchaca di Casapesenna, una famiglia feudataria di origine spagnola.

Situato in Via Bruzia, Portale Arleo incornicia l’ingresso di un palazzotto a più livelli, attualmente sfruttato ad uso abitativo. Nessuna notizia storica ci permette di delineare i contorni di una precisa indagine anamnestica, in conformità con il resto dei portali presenti nel territorio dal punto di vista stilistico, si fa risalire intorno alla seconda metà del X secolo, prima metà dell’XI. Oggetto di un errato restauro che ha ulteriormente assottigliato le morfologie dei decori presenti, il portale si presenta come un arco a tutto sesto, culminante in una chiave di volta dalle sembianze antropomorfe, ma dalla funzione apotropaica, si tratta probabilmente di una gorgone o di una Marcolfe. È formato da quattro parallelepipedi smussati ad angolo vivo, e una coppia di piedritti sormontati da due capitelli decorati da una colomba o da una tortorella in alto rilievo, il tutto sorretto da due pilastrini quadrangolari anch’essi decorati da una coppia di cani da guardia. Il resto delle decorazioni si rifà a motivi floreali stilizza che accompagnano nell’insieme l’intero portale. 

Ad incorniciare un suggestivo sottopassaggio sito in Vico Giuseppe Garibaldi troviamo Portale Leoncini, realizzato sfruttando il congiungimento tra due palazzotti privati, dei quali però non si hanno notizie storiche attendibili, così come nulla è stato tramandato riguardo la manovalanza e la data di realizzazione del portale. In conformità con quanto detto precedentemente, per somiglianza stilistica, anche questo portale si fa risalire al periodo compreso fra il X e l’XI secolo.

Realizzato come un arco a tutto sesto, il portale è capeggiato da una chiave di volta apotropaica su cui aleggia il blasone, ricondotto ad una casata familiare che ha come stemma un leone rampante colto di profillo sorretto da un albero posto al centro del blasone. L’arco si sviluppa su due basi quadrangolari squadrate decorate su due facce da croci templari e capitelli recanti una coppia di colombe incastonate in una cornice ottagonale. I piedritti sono decorati da fiori penduli stilizzati che si raccordano specularmente nella chiave di volta. 

Procedendo per Corso Giuseppe Garibaldi, all’entrata di un’ampia corte di un palazzotto signorile, Portale Lomonaco risale all’alto Medioevo e fu testimone nel 1860 della sosta di Giuseppe Garibaldi nel palazzo. L’elemento architettonico presenta un arco a tutto sesto costituito da sei conci decorati da motivi floreali stilizzati che si arrampicano lungo l’intero profilo dell’arco, culminando in una chiave di volta anch’essa floreale. Le mensole sono circondate da ghirlande lapidee, mentre i piedritti sono formati da tre conci in cui si ripete un motivo di foglie alternate a fiori. Il blasone posto in alto rispetto al portale raffigurante lo stemma di famiglia, è stato posto in un secondo momento rispetto alla costruzione del portale. In esso sono raffigurati due leoni rampanti posti ai lati di un albero centrale.

Infine, preso la Chiesa dedicata all’Annunziata, in una zona esterna al centro abitato, di fianco all’entrata nella chiesetta è presente un portale lapideo dalle semplici fattezze, precedente un lungo corridoio affrescato che conduce all’antico chiostro. Il portale si presenta costituito da conci squadrati privi di decorazioni, sui quali è incisa la data di fine lavori, 1628.

 

 

Celico G., Moliterni B., Luoghi di Culto e di Mistero, p. 133-162, Grafica Zaccara, 2003.

Cooper J. C., Dizionario dei Simboli, p.    Franco Muzzio Editore, 1988.

Salem G. N., Leon L. M., I Quattro Soli - Dal Simbolo al Mito - Appunti di Antropologia Iniziatica, p. 49-94 , L’Oleandro Arga Editore, 2008.

Giacomini A., Il libro dei segni sulle pietre, Carmagnola, 2001.

Celico G., Scalea tra duchi e principi, mercanti, filosofi e santi, Soveria Mannelli, pp. 15 e 17, 2000.

Tesi di Laurea triennale della Dott.ssa Daniela Sarubbo - SIMBOLI E MISTERI TRA LE INCISIONI

Progetto di Valorizzazione del Comune di Tortora, AA 2013/14 Università della Calabria

<h3><strong>GALLERIA FOTOGRAFICA</strong></h3>";

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