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A cura di Luisa Generali

Introduzione

Descrittada Maurice Howlett come “la città che è impossibile nascondere”, San Miniato è nota per il suo simbolo, la rocca federiciana, che domina svettante sulla sommità del colle su cui si estende il borgo. Circondato da una visuale panoramica che verso nord si affaccia sulla piana della Valdarno inferiore, mentre a sud si apre alle verdi colline tipiche della Toscana, San Miniato non può sfuggire alla curiosità dei turisti per la sua ricchezza paesaggistica e storico-artistica oltre che gastronomica, già nota grazie alla Mostra Nazionale del tartufo bianco che si svolge ogni anno nel mese di novembre,giunta alla sua 49° edizione.Si ricordano inoltre le importanti iniziative teatrali promosse dalla Fondazione Istituto Dramma Popolare di San Miniato attiva dal 1947, che ogni anno nel mese di luglio propone una prima assoluta riguardo a tematiche moralmente impegnate, d’ispirazione spirituale-cristiana,messe in scena nei luoghi più suggestivi del paese (si rimanda al sito: www.drammapopolare.it).

Storia di San Miniato

Fin dall’epoca etrusco-romana, la posizione strategica dell’altura favorì lo sviluppo del primo nucleo fortificato, che col passare dei secoli divenne sede dei vicari imperiali ottoniani (X-XI secolo), tra cui in particolare si ricorda Bonifacio, marchese di Toscana e padre di Matilde da Canossa: da qui la dedica del nome di un antico torrione del castello detto appunto “di Matilde”, in seguito divenuto l’attuale campanile del duomo.

È proprio a causa della prolungata presenza dei vicari del regno germanico in questa terra che sarebbe nato l’appellativo di San Miniato “al Tedesco”, per distinguere il paese dalla zona fiorentina di San Miniato al Monte. Con la reggenza di Federico II di Svevia, più volte dimorante a San Miniato, la prima fortificazione si arricchì ulteriormente grazie alla costruzione della rocca (fra il 1217 e il 1223), innalzata sul vertice del colle, in modo da sfruttare l’ampia visuale sul territorio toscano, in una posizione centrale, equidistante da importanti centri cittadini quali Pisa, Firenze,Lucca e Volterra. La rocca divenne un ottimo strumento militare-difensivo e una prigione politica, dove probabilmente fu detenuto anche il segretario imperiale Pier delle Vigne,accusato di tradimento, che Dante rese celebre nel canto XII dell’Inferno. La torre, così come la possiamo ammirare oggi, fu fedelmente ricostruita e inaugurata nella primavera del 1958, dopo che il passaggio della guerra nel ’44 distrusse l’originaria struttura duecentesca.

Tra i complessi religiosi più antichi risalenti al XIII secolo, si annoverano due importanti monasteri:il Convento di San Francesco,ben distinguibile sul declivio del colle grazie alla sua imponente mole rossastra simile a una fortezza,e il Convento di Santa Chiara, oggi sede della Fondazione Conservatorio Santa Chiara, che ospita un importante spazio espositivo inserito nel sistema museale del paese.

Dopo la dominazione sveva la storia di San Miniato continuò nei secoli a venire prima come libero comune di ordinamenti guelfi, ed in seguito sottomesso al potere centrale di Firenze: di questo lungo periodo si segnalano gli affreschi trecenteschi per la Sala del Consiglio del Palazzo Comunale e l’Oratorio del Loretino, al piano terra dello stesso palazzo,contraddistinto dalla presenza di un grande altare in legno dorato, gioiello d’arte cinquecentesca, a cui lavorarono nei comparti pittorici artisti come Francesco d’Agnolo Lanfranchi, detto lo Spillo, fratello di Andrea del Sarto e Giovanni Larciani, identificato con il misterioso Maestro dei Paesaggi Kress.

Il passaggio nel dispiegarsi della storia si legge ancora oggi nel volto architettonico del borgo, esplicito nei monumenti, nelle chiese e nelle abitazioni, oltre che nelle opere pittoriche e in quelle scultoree: è proprio grazie alle storie raccontate da alcune testimonianze in marmo che proveremo a dare una lettura storico-artistica del trascorso illustre di San Miniato, a cominciare dal lato occidentale del borgo, nella chiesa sconsacrata di San Martino, oggi auditorium e spazio polivalente per eventi prevalentemente culturali.

La chiesa di San Martino

Con un paramento in mattoni di tonalità rossastra, peculiarità che accomuna diversi edifici sanminiatesi, al suo interno la chiesa si presenta ad aula unica, impreziosita da altari votivi e pitture: dando le spalle alla porta d’ingresso, dietro l’altare laterale destro trova posto un tabernacolo murario quattrocentesco a forma di edicola (fig.1). Questo oggetto, di primaria importanza, costituisce l’unico esempio di tabernacolo marmoreo presente a San Miniato, oltre che una testimonianza di valore rispetto alle influenze artistiche rinascimentali fiorentine nel contado. Costruito su più livelli, la parte alta è terminata da un frontone in cui Dio Padre Benedicente (nella mano mutila) si stacca in forte aggetto, sorreggendo un libro su cui un tempo erano rappresentate le lettere greche alfa e omega, simboli dell’Eterno. Il corpo centrale si struttura intorno allo sportello del tabernacolo, creando un ambiente profondo, in cui le linee di fuga si riflettono nella volta decorata a rosette: ai lati dello sportello due angeli reggi-candelabro sono inseriti entro due nicchie, anche queste rese di scorcio. L’intento dello scultore era quello di ricreare uno spazio illusoriamente profondo, giocando con le possibilità scultoree del rilievo e alternando parti in schiacciato ad altre più aggettanti, con lo scopo di imitare le novità prospettiche pittoriche: qui in particolare la citazione diretta si rifà all’ambiente voltato in cui è ambientata la Trinità di Masaccio in Santa Maria Novella. La parte conclusiva del tabernacolo presenta delle volute di raccordo decorate a fiori e girali, mentre al centro un grazioso angelo, con un’acconciatura a cuffia sulle tempie, è intento nella lettura di un sacro libro. L’opera marmorea è attribuita dalla critica alla bottega di Bernardo e Antonio Rossellino, attivi a Firenze nella metà del ‘400, di cui restano testimonianze anche nella vicina Empoli. L’impianto compositivo dell’opera sanminiatese è quello tipico delle edicole a muro di scuola post-donatelliana, esattamente a metà strada fra il Tabernacolo di Sant’Egidio, realizzato dalla bottega dei Rossellino intorno al 1450 e il celebre Tabernacolo del Sacramento attribuito a Desiderio da Settignano nel 1461 per la Basilica di San Lorenzo, oggi collocato nella navata destra. Entrambi questi esempi conservano caratteri comuni con il tabernacolo sanminiatese e condividono un tipo di impostazione simile nella resa dello spazio e negli elementi decorativi. L’attribuzione alla bottega dei Rossellino, e in particolare ad Antonio, acquista credibilità alla luce dalla conoscenza degli scultori fiorentini con Giovanni Antonio Chellini, medico e umanista sanminiatese che volle essere sepolto nella chiesa domenicana dei Santi Iacopo e Lucia in Piazza del Popolo: qui oltre a una innumerevole serie di pregevoli pitture, fra cui si ricorda il bellissimo mare quattrocentesco, popolato da fantasiosi mostri marini, si trova anche il sepolcro marmoreo del Chellini. L’opera si trova nella prima cappella della navata destra, vicino all’altare maggiore, e si presenta come un tipico sepolcro murario quattrocentesco, composto su più livelli (fig.2). La lavorazione del monumento si prolungò dal 1462 fino agli anni ‘80 del Quattrocento, benché l’assetto che vediamo oggi sia frutto di un ulteriore rimaneggiamento settecentesco, che andò a modificarne la parte superiore. L’attribuzione alla mano di Antonio Rossellino  nasce dal busto ritratto raffigurante fedelmente il Chellini, oggi al Victoria &Albert Museum di Londra, e firmato proprio come opera di Antonio (fig.3). La stessa accortezza interpretativa si ritrova nel ritratto del Chellini sul letto di morte, mentre ai lati due lesene decorate segnano i confini strutturali del sepolcro,terminante con un frontone. Le differenze stilistiche rispetto alle decorazioni a candelabro nelle lesene superiori con motivi a girali, e in quelle inferiori, ornate con vasi e bacili sovrapposti, indicano la presenza di maestranze diverse, forse attive a distanza di tempo.

Il Museo Diocesano di Arte Sacra

Salendo nella parte dell’antica cittadella di San Miniato, nei locali della vecchia sagrestia accanto al Duomo, si trova il Museo Diocesano di Arte Sacra, che raccoglie un’importante collezione di opere provenienti dal territorio. Due lastre marmoree musealizzate nella prima stanza costituivano un antico pulpito, firmato dal lapicida lombardo Giroldo da Como: entrambe scolpite in bassorilievo, la lastra più grande rappresenta l’Annunciazione, mentre quella più piccola esibisce un’iscrizione su fondo liscio, in cui compare la dedica del committente con il relativo stemma gentilizio, la firma dell’artista e l’anno di esecuzione, risalente al 1274 (fig.4). Nell’Annunciazione lo stile di Giroldo scava in maniera arcaizzante le due figure, unite nella stessa lastra ma separate da due riquadri circoscritti: mentre l’arcangelo si trova in uno spazio indefinito, reso attraverso lo sfondo neutro della lastra, l’ambiente che avvolge Maria diventa invece reale e architettonico, consolidato dalla presenza dell’arco trilobato sostenuto da colonne, insieme alla piccola figura di un’ancella che assiste in disparte all’evento. Anche le due frasi che illustrano la scena acquisiscono un senso fisico, come si deduce dalle parole pronunciate da Maria, scritte nel verso contrario: questa scelta volutamente eseguita dall’artista aveva forse lo scopo di richiamare concretamente il mistero dell’Incarnazione, del Verbo che si fece Carne.

Spostandosi verso il Duomo, intitolato a Santa Maria Assunta e San Genesio, si nota il tipico paramento murario in laterizio, arricchito in facciata da vari bacini ceramici raffiguranti animali, che avevano lo scopo di animare cromaticamente la superficie dell’edificio. All’interno, fra le opere in marmo di notevole interesse,nella prima cappella sul lato sinistro della chiesa si trova la Fonte battesimale di Giovan Battista Sandrini (terminata nel 1637), l’unica opera nota di questo artista poco conosciuto, nato a Fiesole e attivo a Pisa nella prima metà del XVII secolo (fig.5). La fonte è costituita da un grande bacino semisferico, scolpito con motivi decorativi graziosi, quali teste di cherubino, motivi foliacei, fiori e ghirlande.

Fa invece parte del ri-allestimento ottocentesco la scelta di rinnovare l’interno del duomo celebrando le glorie cittadine sanminiatesi in un significato civile e cristiano, come dimostrazione concreta dei progetti divini realizzati grazie all’intelletto umano: per dare nuovo lustro alla  chiesa con un rinnovamento in stile purista,fra il 1862 e il 1864 vennero realizzati quattro monumenti alla memoria di illustri concittadini, richiamando idealmente i Sepolcri foscoliani: così vennero ricordati il poeta Pietro Bagnoli, lo storico Iacopo Buonaparte, il vescovo Giovanni Francesco Maria Poggi, e il chimico Gioacchino Taddei, rappresentati dall’allegoria delle loro discipline e dai rispettivi busti-ritratto, su progetto dello scultore Giovanni Dupré e della figlia Amalia (fig. 6). I quattro bassorilievi allegorici, incassati in una spessa cornice di marmo grigio e illustrati da una dedica, si trovano simmetricamente a gruppi di due, nelle navate laterali del duomo: le figure allegoriche rappresentate (la Poesia, la Storia, la Religione e la Chimica), sono contraddistinte da uno stile calligrafico, in linea con i modi scultorei della giovane Amalia Dupré, mentre i tre busti (escluso quello del Bagnoli, scolpito da Tommaso Masi) sono assegnati dalla critica alla mano impeccabile di Giovanni. Le allegorie si stagliano di profilo sullo sfondo liscio, drappeggiati all’antica in una ambientazione indefinita, scevra di qualsiasi forma di decorativismo, che le connota di un’impronta nobile e solenne: gli unici dettagli sono quelli funzionali al riconoscimento delle discipline, identificati con precisi oggetti, come la lira, simbolo della poesia, la storia intenta nella scrittura, il messale, e gli apparecchi del chimico.

Per la medesima chiesa, Amalia eseguì anche i rilievi del nuovo pulpito marmoreo, di forma poligonale su base a calice, in sostituzione di quello di Giroldo da Como (rimosso nel 1860), e collocato in mezzo alla navata centrale (fig.7): i compartimenti neutri del pulpito sono occupati da sacri personaggi a figura intera, fra cui si riconoscono al centro Maria e Cristo Risorto, contraddistinti da un algido rigore.

Scendendo le scale che dal Duomo riportano nel borgo, si apre Piazza della Repubblica o del Seminario, così chiamata per la presenza del palazzo seminariale, ottenuto dalla fusione di più case che seguivano l’andamento delle vecchie mura preesistenti, e per questo di andamento leggermente semicircolare.La facciata dell’edificio venne dipinta dal pittore fucecchiese Francesco Chimenti nei primi anni del XVIII secolo, con figure allegoriche incorniciate da finti prospetti architettonici, motti e medaglioni, su un fondale aranciato in sintonia con il colore rossastro dei vicini edifici. Fino al 1799, prima dell’assalto dei giacobini, al centro di questa piazza, era collocata la statua di Maria Maddalena d’Austria (moglie del Granduca Cosimo II de’Medici), per omaggiare la regnante che nel 1622 aveva elevato San Miniato a diocesi e città. L’unica testimonianza di questa monumentale statua, realizzata dalla bottega di Antonio Susini, valente scultore fiorentino della scuola del Giambologna, si trova oggi nel cosiddetto Canto di Sant’Andrea in via Rondoni, contraddistinto dalla presenza di un edificio ad angolo, su cui si trova un crocifisso in ceramica realizzato dal pittore sanminiatese Dilvo Lotti. Ai piedi del crocifisso un blocco di marmo identifica quella che fu un frammento della scultura (fig.8): secondo le fonti storiche l’opera doveva essere composta dalla figura intera della regnante con in pugno uno scettro, e la presenza di un leone (simbolo di San Miniato), accompagnato dal blasone dei Medici e degli Asburgo.

Proseguendo lungo Via Vittime del Duomo, sulla sinistra davanti al palazzo comunale, si apre una scenografica scalinata che conduce al Santuario del SS. Crocifisso, progettato da Antonio Maria Ferri nel 1718. Fra le statue che animano le rampe, nella nicchia centrale si trova il Cristo Risorto, scolpito da Francesco Baratta nel 1723. L’immagine di Cristo trionfante, è colta nell’attimo appena successivo alla resurrezione,ancora avvolto per metà dal sudario, mentre il volto leggermente ruotato e incorniciato dai capelli emana un’austera sacralità. La scultura richiama influenze stilistiche tipicamente berniniane, che continuarono ad essere reinterpretate anche a distanza di tempo e che tradiscono una formazione romana dell’artista, proveniente da una celebre famiglia di scultori carraresi, i cui avi si formarono proprio a stretto contatto con Gian Lorenzo Bernini. Il manto che si espande nello spazio, avvolgendosi su sé stesso, è tipico del gusto barocco, così come il fascio di raggi che indica l’avvenuta resurrezione. Oggi snaturalizzata dal suo contesto di appartenenza, in origine la scultura venne eseguita per l’altare maggiore della chiesa di San Francesco, ideata per essere avvolta dalla luce naturale da retro, e favorire quindi quell’effetto di bagliore miracoloso reso ancor più evidente dalla corona di raggi e dallo splendore del marmo. (La scalinata con le relative statue è attualmente in restauro. Per le fotografie si rimanda alla pagina web in sitografia)

Concludiamo questo viaggio attraverso il marmo proseguendo per Via Rondoni e Via de’ Mangiadori che si apre su Piazza Buonaparte (denominata così per la presenza del palazzo di famiglia dei Buonaparte, parenti di Napoleone che si fermò in visita a San Miniato nel 1796). Al centro della piazza (fig.9),delimitata da un’elegante ringhiera, si trova la statua di Leopoldo II, detto il “Canapone” (così chiamato per il colore dei suoi capelli), scolpito dal Luigi Pampaloni nel 1843 (sono di Pampaloni anche i Quattro evangelisti nelle nicchie sotto la cupola del SS. Crocifisso e gli Angeli Tubicini in terracotta sulla relativa scalinata). L’omaggio marmoreo venne creato per celebrare il governo granducale, che con la restaurazione dei Lorena dette un impulso positivo alla vita socio-economica della città. La scelta dell’artista ricadde su Pampaloni,scultore d’impostazione purista, che nel ritrarre il Granduca seppe giustamente calibrare caratteristiche ideali e reali. La figura marmorea di Leopoldo si mostra in piedi,coperto da un’abbondante toga, richiamando i ritratti imperiali della statuaria romana, mentre il volto, con un’espressione pacifica e al contempo autorevole, acquisisce veridicità per l’acconciatura alla moda e le caratteristiche basette. L’atteggiamento dignitoso della statua è finalizzato anche a sottolineare le virtù morali del regnante, qui riferite specificatamente nel cartiglio esibito nella mano destra “motu proprio 2 agosto 1838”, riferito alla riforma del sistema giudiziario voluta da Leopoldo; l’opera venne infatti posta davanti alla sede del Tribunale Collegiale di Prima Istanza che trovò collocazione proprio nell’antico palazzo Buonaparte.

 

Bibliografia

  1. H. Hewlett, The Road in Tuscany, Londra – New York 1904.
  2. Scappini, La chiesa di San Martino alle carceri, in San Miniato: immagini e documenti del patrimonio civico della città, a cura di Roberta Roani Villani e Luigi Latini, Ospedaletto 1998, pp. 129-145.
  3. Roani,Episodi d’arte e di restauro nella chiesa di San Francesco e nella Cattedrale di San Miniato, in San Miniato nel Settecento: economia, società, arte, Cassa di Risparmio di San Miniato, Ospedaletto 2003, pp. 199-240.
  4. Bitossi, M. Campigli, Per frammenti rimasti. Pittura e scultura in cattedrale dalle origini al XVII secolo, in La cattedrale di San Miniato, Cassa di Risparmio di San Miniato, Ospedaletto 2004, pp. 81-124.

S.Renzoni,La ristrutturazione della cattedrale tra Ottocento e Novecento, in La cattedrale di San Miniato, Cassa di Risparmio di San Miniato, Ospedaletto 2004, pp. 187-238.

  1. Roani Villani,“Sotto gli occhi del padre Giovanni: Sculture di Amalia Dupré nel duomo di San Miniato al Tedesco”, in Paragone, 55.2004, Ser. 3, 58, pp. 52-68.
  2. Nanni, I. Regoli, San Miniato. Guida Storico Artistica, Ospedaletto 2007.
  3. Marconi, “La statua di Leopoldo II a San Miniato ed altri monumenti di Luigi Pampaloni: spunti di riflessione per l’iconografia degli uomini illustri nell’800”, in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti della Città di San Miniato, 86.2008, 75, pp. 129-152.
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  5. Pasqualetti, “La chiesa della SS Annunziata di San Miniato (San Martino alle Carceri)”, in Bollettino dell’Accademia degli Euteleti di Città di San Miniato, 92.2014, 81, pp. 413-427.
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Sitografia

  1. Fiumalbi,Basettone (prima parte) – La celebrazione di Canapone, 2012:

www. smartarc.blogspot.com

 

  1. Fiumalbi,Basettone (seconda parte) – Canapone per San Miniato, 2012:

www. smartarc.blogspot.com

 

  1. Fiumalbi,La “restaurazione” di Maria Maddalena d’Austria, 2013:

www.smartarc.blogspot.com

 

F.Fiumalbi, Il Cristo Risorto di Francesco Baratta il Giovane nella scalinata del Santuario del SS. Crocifisso-a San Miniato, 2016:

www.smartarc.blogspot.com

<h3><strong>GALLERIA FOTOGRAFICA</strong></h3>

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