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A cura di Rossana Vitale

Una seconda chiesa: la cripta di san Nicola

Nella grande fabbrica basilicale di San Nicola a Bari, sotto l’intero transetto e in corrispondenza del largo presbiterio, si estende la cripta, una vera e propria seconda chiesa sotterranea, che vide i lavori per la sua edificazione concentrarsi tra il 1087 e il 1089. Tutto il progetto della basilica fu attuato per volontà dell’abate Elia, che aveva preso in consegna le reliquie del Santo all’arrivo, nel pomeriggio del 9 Maggio 1087, della spedizione di marinai che le trafugò in una chiesa a Myra.

Due anni dopo, nel 1089, lo stesso abate Elia accolse il papa Urbano II che durante il Concilio consacrò la cripta e le reliquie, che furono riposte sotto l’altare appena costruito.

Nella cripta si accede tramite due scalinate collocate nelle navate laterali della Basilica, protette da antichi plutei traforati che un tempo chiudevano l’iconostasi. Queste scalinate rappresentano un vero e proprio rito di passaggio per il visitatore: dal grande spazio austero e maestoso dell’impianto superiore si passa infatti ad una ricchezza fatta di ex voto in argento e oro, dipinti e una selva di colonne, tutta racchiusa in uno spazio alquanto serrato.

Fig. 1

La pianta a base rettangolare – 30 mt per 14,81 mt – racchiude il ritmo di nove navate scandito da ventisei tozze e pesanti colonne che sostengono trentasei campate coperte da altrettante volte a crociera, delimitate da robusti sottarchi: due di marmo numidico, due di breccia corallina, una di marmo caristio e ventuno di marmo greco. Sulle colonne è presente una svariata serie di capitelli – di riporto, bizantini o tardo medievali, ma comunque per la maggior parte eseguiti appositamente per la cripta – che rappresentano al meglio quello che era il primo cantiere nicolaiano: un’unione di esperienze dove maestranze bizantine si fondevano con esperienze nuove, provenienti dal nord, che portavano con sé modelli nuovi o la presenza occasionale di scultori forestieri di passaggio da Bari.

Fig. 2 – credits: Mariantonietta Luongo.

I modelli e le forme tutte diverse per ogni capitello danno l’idea che vi fossero presenti due gruppi di scultori: gli uni “educati” dai bizantini e quindi abituati a lavorare secondo modelli orientali e a trattare temi paleocristiani come pavoni e cornucopie, gli altri erano anonimi portatori di esperienze diverse, meno raffinati, ma sapienti nel dare alle forme scultoree un’impronta espressiva per quel tempo senza eguali.

Si riconoscono leoni con un’unica testa in comune che occupano lo spigolo, le maschere di leonessa inquadrate tra sottili sagome di uccelli, antichi pavoni, tra pigne e grappoli, alternati a volpi che azzannano lepri, e grifi che artigliano pantere.

Alcuni dei temi, come il tralcio con fogliame a forma di ventaglio che nasce da un piccolo vaso rotondo, accomunano questi capitelli a quelli degli stipiti del portale Sud della Basilica – il famoso Portale dei Leoni -, confermando la tesi di una esecuzione contemporanea nello stesso cantiere.

Meritano attenzione i quattro capitelli nella zona centrale della cripta di fronte alla tomba del Santo, poiché presentano caratteristiche romaniche con forme riscontrabili anche in altre sculture ed elementi presenti nella Basilica, come ad esempio nella famosa Cattedra dell’abate Elia. Questi tre capitelli li potremmo descrivere e denominare:

  • Capitello dei Leoni e degli Arieti: due leoni con una testa – che fa da angolo al capitello – e tra i due corpi, su tutte le facce, spunta la testa di un ariete. Trasmettono un sentimento di aggressività. Il chiaroscuro viene utilizzato in maniera sapiente, riuscendo a conferire una maggiore forza agli animali rappresentati.
Fig. 3 – credits: Mariantonietta Luongo.
  • Capitello dei Leoni e dei Pavoni: è in linea con il precedente. Anche qui i pavoni vengono rappresentati ad ogni angolo con i due becchi che convergono. Fra i loro corpi ci sono le teste di leoni: contrariamente al precedente, trasmettono un senso di serenità.
Fig. 4 – credits: Mariantonietta Luongo.
  • Capitello dei Pavoni e del Grifo: si trova in diagonale rispetto agli altri due e quindi un po’ più lontano dalla tomba del Santo. E’ il più vario della cripta poiché le scene degli animali variano su ciascuna delle quattro facce: due pavoni che bevono alla medesima coppa – simbolo dell’universale mezzo di salvezza che è l’acqua battesimale e Dio -, due pavoni non più in armonia – uno becca l’altro e l’altro reagisce beccandolo a sua volta -, un grifo alato che azzanna un leprotto dall’espressione dolorante e infine un levriero che azzanna un coniglio.
Fig. 5 – credits: Mariantonietta Luongo.

Prevalgono strutture piene e plastiche, modelli che diverranno dominanti a partire dalla metà del XII secolo. A chiudere il quadrilatero non c’è un capitello figurato, ma uno raffigurante tutt’intorno delle pigne, con quattro rettangoli sovrastanti che incorniciano dei disegni ornamentali.

Il problema dei pavimenti

In questa chiesa sotterranea il problema delle maree ha avuto un ruolo dominante nella scelta del pavimento e delle colonne: trovandosi quasi 50 centimetri sotto il livello del mare, il pavimento venne, dopo molti anni, sollevato con l’ovvia conseguenza di nascondere la base delle colonne. Gli allagamenti del 1599 fecero scomparire il mosaico e tutto fu sostituito da lastre di pietra. Un altro intervento pose un nuovo pavimento per volere di Nicola II di Russia, che visitò la cripta nel 1892.

Solo i recenti restauri di Schettini (1953-1957) hanno riportato la cripta al primitivo splendore: l’ultimo pavimento aggiunto è stato rimosso, le basi sono tornate nuovamente visibili, il tutto protetto da iniezioni di cemento. L’antico pavimento era, molto probabilmente, a mosaico con caratteri geometrici, come dimostra l’area che circonda la tomba di San Nicola e i frammenti alla base della “colonna miracolosa” in marmo rossiccio – secondo la leggenda sarebbe stata collocata alla vigilia della consacrazione della cripta da San Nicola stesso, per supplire alla mancanza di una colonna (e quindi di un sostegno) -.

Fig. 6

Caratteristiche uguali anche a quelle del mosaico presente nel presbiterio delle chiesa superiore, sotto l’altare e il ciborio voluti da Eustazio, successore di Elia.

Dietro la cancellata che chiude il presbiterio campeggia la grande icona donata da Uroš di Serbia, in cui su un fondo totalmente dorato spicca San Nicola a figura intera che risalta da questo fondo grazie alla sua carnagione e ai lati della sua testa, in piccolo, ci sono rappresentati Gesù e la Madonna.

Fig. 7

Il Santo con tre dita della mano sinistra regge il Vangelo mentre la destra è in segno benedicente (unico elemento “movimentato” della rappresentazione che esce dalla staticità complessiva della figura). I paramenti episcopali – dorati anch’essi – presentano delle croci verdi che danno punti di fuga dal dorato predominante, e ai piedi del Santo le figure del re Uros III e della regina Maria sono ben visibili, ma sono la seconda e la terza versione dell’icona: infatti questa opera è stata più volte trasformata, rimaneggiata, per rispondere alle esigenze dei sovrani slavi che di generazione in generazione si avvicendavano.

La cornice che corre lungo tutto il perimetro è in argento.

Sotto questa ricchissima icona, l’altare in pietra che custodisce le reliquie del Santo stride di contro per la sua semplicità. La tomba, sobria e austera, fu rivestita d’argento e nel 1319 assunse la sua conformazione definitiva con la copertura donata, per l’appunto, dallo zar di Serbia Uroš II Milutin.

Durante l’epoca barocca questo altare fu considerato “antiquato” e quindi venne fuso con altri argenti, rinascendo dalle mani di due artisti napoletani: Marinelli e Avitabile. La porticina antistante, vegliata da due angeli con due bottiglie di manna, era concepita per potersi introdurre, venerare le reliquie ed estrarre la manna. Per fortuna, con l’epoca dei Grandi Restauri di metà Novecento, il nuovo altare argenteo fu spostato nel transetto destro della Basilica superiore, ridando all’“antiquato” altare e alla tomba l’originale aspetto severo in pietra: rialzato su due scalini, dove ci si inginocchia per pregare e, attraverso una piccola grata nera, si può ammirare una raffigurazione del Santo giacente che riceve l’ultima benedizione alla presenza delle tre fanciulle salvate con la sua donazione e dei bambini risorti per mano sua – di cui si parlerà in seguito – e un tappeto preziosissimo di raso rosso con decorazioni dorate che copre e protegge le ossa del Santo.

E’ attraverso questa grata che ogni anno si apre e si raccoglie la manna dalle ossa.

Le reliquie del Santo

Ossa conservate che rappresentano il 65% dell’intero scheletro e si trovano all’altezza del piano di calpestio, racchiuse in blocchi di cemento: le ossa mancanti sono sparse nel mondo (tra cui anche a Venezia) e quindi, al loro arrivo a Myra, nella famosa domenica di maggio, i marinai trafugatori baresi si accontentarono delle ossa più grandi e del liquido sacro in cui erano immerse. La famosa manna di San Nicola è appunto un liquido che veniva e viene tuttora raccolto e distribuito ai fedeli in fiale, bottiglie, ampolle o medagliette.

Nella notte tra il 5 e il 6 maggio 1953 fu eseguita, con la presenza della Commissione Pontificia, la ricognizione Canonica di questi resti scheletrici, avvenimento eccezionale, visto che per 866 anni nessuno aveva potuto né vedere né toccare le ossa del Santo Taumaturgo: di queste analisi ne rimane menzione nella relazione del Prof. Martino, docente di Anatomia Umana dell’Università di Bari e del suo collega Dott. Ruggeri, facenti parte della commissione scientifica e medica.

Molto interessante è leggere qualche passaggio di quello che è stato il risultato dell’analisi:

“Il loculo mostrò nel suo fondo rettangolare ossa sparse senza alcun particolare ordine sistematico (il che dimostrava che non era stato di certo un conoscitore di anatomia ad averle precedentemente deposte), con il cranio situato al centro di una estremità del loculo, e con i pezzi, in parte frammentari, di ossa lunghe e di ossa brevi accumulate irregolarmente di torno; il cranio era ben collocato con la base poggiata in basso. Insieme ai minuti frammenti ossei, presenti in gran numero, abbiamo trovato anche del piccolo pietrisco, che presumibilmente dovette essere stato trasportato nel momento del frettoloso trafugamento delle ossa effettuato dai coraggiosi marinai baresi.

Tutti i pezzi ossei si trovavano immersi in un liquido limpido, simile ad acqua di roccia, occupante il fondo del loculo per l’altezza di circa 2 cm; le parti delle ossa che sovrastavano al pelo dell’acqua risultavano tutte umide.

[…] Lo scheletro è risultato appartenente ad un solo e ad uno stesso individuo ed è costituito da ossa molto fragili e molto frammentate. Il cranio é di esso la parte meglio conservata, il che fa credere che sia stata anche oggetto di maggiore attenzione e pertanto la parte maggiormente protetta durante le operazioni di trafugamento. Il cranio è completo nei suoi segmenti e manca soltanto della metà posteriore della emimandibola sinistra; i denti sono presenti in gran numero ed alcuni si trovano ancora infissi nei loro alveoli[1].

Tutto lo spazio chiuso dell’altare e della tomba è pavimentato da un sontuoso tappeto in sectile di chiara impronta bizantina, dove fasce marmoree annodate seguono un complesso disegno geometrico e gli spazi sono stati realizzati con preziosi marmi antichi molto colorati; molto simile il sectile che pavimenta la piccola cappella che corrisponde alla torre di sud-est.

Questa cappella orientale rappresenta a livello visivo la vocazione ecumenica esistente tra la città di Bari e San Nicola e la conciliazione tra le due chiese cattolica e ortodossa. La Basilica di San Nicola a Bari diviene la prima chiesa latina con una cappella al suo interno in cui celebrare anche il rito ortodosso: ogni giorno, anche contemporaneamente, si svolgono le liturgie cattolico-cristiane nella chiesa superiore e la liturgia ortodossa nella cripta. Una coesistenza che rende la Basilica incantevole anche sotto questo aspetto: i canti e le preghiere, continue litanie in slavo ecclesiastico, riempiono l’intero spazio della cripta e affascinano il visitatore.

L’iconostasi della cappella è stata eseguita da un artista croato, Zlatko Latkovic, e attira l’attenzione e la curiosità dei fedeli per la scritta INBI, anziché INRI (Iesus Nazarenus Rex Iudeorum): una scritta che trae in inganno ad una prima visione, ma che in realtà è assolutamente corretta visto che in greco la parola “re” –Rex – è Basileus.

Sulla parete di fronte, opposta all’altare, è posizionata un’altra grande icona del Santo, anche questa dono dello zar, che, protetta da una griglia e da una parete in plexiglass, accoglie le offerte dei devoti che ogni giorno ne fanno visita.

Le pareti laterali tutt’intorno sono occupate da sei lunette dipinte con scene della vita del Santo, realizzate durante la stagione delle trasformazioni barocche; le figure rappresentate hanno tratti in comune con quelle rappresentate sul soffitto della Basilica superiore.

A partire dalla parete di destra in corrispondenza della colonna miracolosa troviamo:

  1. la “Nascita di San Nicola”: il bambino è rappresentato in preghiera mentre la sua nutrice tenta di lavarlo in una bacinella e la madre, dal suo letto, spazialmente racchiuso nella lunetta, lo osserva assorta nei pensieri;
  2. San Nicola e la dote alle tre fanciulle”: la scena più caratteristica e tipica dell’iconografia nicolaiana poichè corrispondente alle tre palle d’oro e al numero tre ricorrente. La scena rappresenta il momento della carità del Santo verso tre fanciulle molto povere, destinate alla prostituzione per volere del diavolo;
  3. Resurrezione dei tre bambini”: il Santo è colto nell’atto di resuscitare tre bambini uccisi da un oste. Le creature gli rendono grazie mentre l’oste guarda sbalordito la scena; una figura dietro di lui, immersa nell’ombra e del quale non si scorge fisionomia, rimanda il giudizio dell’uomo a Dio (la mano, chiara e perfettamente visibile, punta verso l’alto);
  4. I tre innocenti condannati a morte”: anche loro immersi nella penombra, piegati su loro stessi e con il torace nudo, tre uomini attendono il colpo che li decapiterà. Al centro della scena, con il corpo incurvato a seguire l’andamento curvo della lunetta, San Nicola ferma la mano del carnefice;
  5. La colonna miracolosa”: la scena descrive la leggenda raccontata prima circa la posa della colonna miracolosa da parte del Santo, per sopperirne la mancanza, facendosi aiutare da quattro angeli. Il gesto di spingerla con il piede rimanderebbe alla scena della colonna gettata nel Tevere durante un suo viaggio a Roma;
  6. La morte del Santo”: l’ultima lunetta rappresenta San Nicola spogliato e morente nel suo letto, sorretto alle spalle da un angelo, sul quale il Santo abbandona la testa. Tre uomini a sinistra assistono pregando alla scena, mentre i paramenti episcopali giacciono ordinati ai piedi del letto.

Infine, a vegliare sul Santissimo Sacramento, c’è la lampada uniflamma, bellissima a forma di caravella, segno inconfutabile dell’arrivo del Santo a Bari e segno dell’unica fede, cattolica e ortodossa, alimentata dalle due tradizioni occidentale ed orientale – i cui simboli sono riportati ai lati del Santo.

Unite nel nome e nella figura di San Nicola, intercessore Taumaturgo, patrono e simbolo della città di Bari.

Fig. 9

 

Note

[1] Il passo riportato dalla relazione del prof. Martino è stato pubblicato nel Bollettino di San Nicola, numero speciale, aprile-dicembre 1957.

 

Sitografia:
www.basilicasannicola.it
www.caminvattin.it

 

Bibliografia:
G. Cioffari, La cripta di San Nicola, Bari, 1989.
P. Belli D’Elia, La Basilica di San Nicola a Bari, Galatina, 1985.
G. Dotoli-F. Fiorino, Storia e leggenda della Basilica di San Nicola a Bari, Bari, 1987.

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