A cura di Fabio D’Ovidio
STORIA ARCHITETTONICA DI PALAZZO TOBIA PALLAVICINO
I lavori di edificazione di palazzo Tobia Pallavicino, sito in Strada Nuova, furono avviati nel 1581 sotto la supervisione di Giovan Battista Castello, detto il Bergamasco, e dietro la commissione di Tobia Pallavicino, uno degli uomini più ricchi della Genova del suo tempo grazie al commercio dell’allume delle cave di Tolfa (che gli fruttò alla morte una disponibilità economica di circa 400 mila scudi d’oro).
Il Castello, che in questa occasione è anche presente in qualità di maestro frescante e stuccatore, progettò il palazzo secondo il tradizionale lessico che Galeazzo Alessi stava impiegando nelle ville aristocratiche extra-cittadine: volume cubico diviso su due piani, il terreno e il primo piano nobile, cui si aggiungono due piani ammezzati e un cortile, ormai perduto, che sorgeva in luogo dell’attuale piazza del Ferro.
Nel corso del 1704 il palazzo venne ceduto alla famiglia Carrega che a partire dal 1710 fino al 1714 decise di rinnovare la morfologia del palazzo: per prima cosa venne rifatto il tetto, si aggiunsero gli infissi e infine l’intero complesso venne aumentato in altezza con l’aggiunta di un piano. Tutte queste modifiche furono rese possibili grazie agli indennizzi ottenuti in seguito al bombardamento navale da parte della Francia di Luigi XIV, il Re Sole, negli anni ’80 del XVII secolo.
Nel 1830 il palazzo venne acquistato dalla famiglia Cataldi ed infine nel 1922 dalla Camera di Commercio cittadina che, ad oggi, ne è l’attuale proprietaria ed ha elevato l’edificio a sua sede.
Il 13 luglio 2006 una commissione UNESCO riunita a Vilnius inserì fra i siti Patrimonio dell’umanità le Strade Nuove insieme a 42 dei 163 palazzi iscritti almeno in una delle cinque liste ufficiali della Repubblica di Genova (Rolli del 1576, 1588, 1599, 1614 e 1644), tra cui Palazzo Tobia Pallavicino, secondo il tradizionale tour che si effettua durante una delle giornate degli ormai famosi Rolli Days.
I criteri adottati per la selezione sono stati il II e il IV:
II) L’insieme delle Strade Nuove e dei palazzi ad esse collegate mostra una valenza importante per lo sviluppo dell’architettura e dell’urbanistica del XVI e del XVII secolo. Il loro esempio fu divulgato dalla trattatistica architettonica del tempo, rendendo le Strade Nuove e i palazzi tardo-rinascimentali di Genova un punto di riferimento fondamentale per lo sviluppo dell’architettura manierista e barocca europea.
IV) Le Strade Nuove di Genova costituiscono un esempio eccezionale d’insieme urbano di palazzi aristocratici di grande valore architettonico, che illustra l’economia e la politica della città mercantile di Genova all’apice del suo potere nel XVI e XVII secolo. Il progetto propose uno spirito nuovo e innovativo che caratterizzò il Siglo de los Genoveses (1528-1640). Nel 1576 la Repubblica di Genova stabilì delle liste, o Rolli, legalmente vincolanti, che riconoscevano i palazzi più importanti come dimore ufficiali per i visitatori illustri.
PERCORSO ARTISTICO
Il ciclo decorativo presente nel palazzo si snoda cronologicamente in due distinte fasi: la prima risale al momento della costruzione dell’intero palazzo e vede come assoluto protagonista il Bergamasco coadiuvato da artisti locali tra cui Luca Cambiaso, la seconda invece è da ascrivere alle committenze della famiglia Carrega durante il primo Settecento, tra cui spicca la figura di Lorenzo De Ferrari (1680-1774).
L’ingresso-atrio è un ampio vano rettangolare connotato da una spettacolare e magnificente ricchezza delle decorazioni a stucco, modulate secondo il gusto delineato da Raffaello a inizio XVI secolo a Roma, presente lungo tutte le pareti. Gli affreschi della volta, lunettata alla base, vedono al centro, contornati da decorazioni a grottesca, due riquadri con all’interno di uno Giunone, mentre dell’altro Leda e il Cigno (uno degli amori di Giove). Alla base della volta si possono osservare altri otto riquadri di minori dimensioni con altrettante figure tratte dal pantheon greco-romano, tra cui Diana, Mercurio, Saturno, Giove. Non si conosce la precisa motivazione che spinse il pittore a raffigurare proprio questi personaggi: probabilmente si ritiene che questi siano le personificazioni dei giorni della settimana, ipotesi condivisa da molti studiosi locali dato che nel vicino Palazzo della Meridiana si trova una soluzione figurativa analoga volta proprio ad indicare i giorni settimanali.
Il salone del piano terreno presenta un’imponente decorazione ad affresco sia al centro della volta che alla sua base. Il grande affresco centrale è, allo stato di conservazione attuale, il capolavoro di Giovan Battista Castello nel palazzo. Il tema iconografico è quello del Parnaso con Apollo musagete, raffigurato mentre suona la cetra, attorniato dalle nove Muse divise in tre gruppi, mentre in cielo volano tre amorini. Presente assieme al dio delle arti e alle divinità femminili Pegaso, che scalciando verso il terreno dà vita al fiume Acheronte, sacro alle Muse stesse.
Nelle lunette che si trovano alla base della volta sono inseriti busti di gusto romano che mostrano la volontà diffusa di presentare Genova, che nel secondo Cinquecento era la prima potenza economica europea, come novella antica Roma. Al di sopra di questi busti si trova la narrazione di un mito classico la cui lettura iconografica è ancora oggi molto dubbia, complice lo stato di conservazione: probabilmente è il mito incentrato sulla storia di Aracne e della sua trasformazione in ragno, dato che in uno di questi riquadri è presente un telaio.
Salendo lo scalone situato sulla destra, con le spalle rivolte all’ingresso, si arriva al primo piano nobile, area dove è possibile osservare il passaggio dalla decorazione artistica di fine Cinquecento, dietro committenza Pallavicino, a quella della famiglia Carrega a inizio ‘700.
Appena giunti al piano si entra in un vano le cui modalità decorative sono le stesse presenti al piano inferiore: stucchi modellati a lesena che corrono lungo le pareti e volta con le tradizionali grottesche di derivazione raffaellesca in cui troviamo nuovamente figure mitologiche. Al centro dell’intera volta è nuovamente rappresentato Apollo: in questa occasione si trova in cielo con tre Muse al suo fianco mentre suona la cetra. Nei grandi medaglioni ai suoi lati si hanno figure femminili musicanti.
Nella parete posta di fronte a quella di accesso al vano si apre una porta che conduce ad una stanza, modesta per dimensioni rispetto agli altri ambienti, che è nota con il nome di salotto di Tobia Pallavicino: attualmente è occupato da uno degli uffici della Camera di Commercio, le decorazioni parietali sono coperte da scaffali ma, sulla volta del soffitto, si apre un riquadro cinquecentesco dove è raffigurato Amore che veglia Psiche.
Con questo termina la sezione decorativa che aveva contraddistinto il palazzo in cui Tobia Pallavicino ed i suoi eredi avevano vissuto fino a tutto il XVII secolo; oltrepassando questa zona si entra “fisicamente” nella seconda parte della storia di questo edificio, avvenuta in seguito all’acquisto da parte della famiglia Carrega.
Il primo salone a presentare la nuova decorazione appare sostanzialmente spoglio: nessun motivo architettonico decorativo a stucco sulle pareti, totalmente bianche, e nessun affresco sulla volta ribassata del soffitto. In realtà prima del passaggio di proprietà settecentesco sulla volta doveva essere rappresentato uno degli episodi finali dell’intero mito di Amore e Psiche, dipinto sempre dall’équipe di Giovan Battista Castello, creando una continuità iconografica e narrativa tra il precedente salotto di Tobia Pallavicino e questo ambiente. Oggigiorno, in luogo di questo affresco vi è una “semplice” (si fa per dire) decorazione a stucco bianco che corre lungo la base della volta da cui, dagli angoli, si diramano due diagonali che si intersecano al centro in corrispondenza del grande lampadario centrale. Attualmente questa stanza, come il sottostante salotto con l’affresco del Parnaso, è adibito a sala conferenze.
Ancora da ascrivere al nucleo architettonico di XVI secolo, ma decorato secondo quella sensibilità tipica di pieno Settecento, è la cappella gentilizia presente in un salotto posto sul lato destro del grande salone precedente. Questa è chiusa da una porta costituita da due ante in legno rivestite di tela su cui Lorenzo De Ferrari dipinse un motivo decorativo a grisaille con al centro due medaglioni, uno per anta, con la Natività e l’Annunciazione. All’interno della cappella si conserva la cosiddetta Madonna Carrega, opera di Pierre Pouget, scultore francese che a fine ‘600 si trasferì a Genova in virtù delle grandi committenze che avrebbe ricevuto nel capoluogo ligure dalla grande aristocrazia cittadina. Il gruppo che raffigura una Vergine con Bambino presenta una plasticità di eco michelangiolesco e berniniano che unisce sapientemente in un risultato raffinato echi della tradizione scultorea rinascimentale e barocca. L’opera venne, stando alle fonti, con ogni probabilità commissionata dalla famiglia Balbi, dato che nel 1717 figurava in una delle loro residenze, ma verso la metà del XVIII secolo venne acquistata dai Carrega che la collocarono entro la cappella gentilizia la cui decorazione interna venne affidata al già citato De Ferrari. Il pittore genovese creò una quinta architettonica in stucco dorato molto suggestiva alternando i rilievi plastici ad una riproduzione pittorica di come doveva apparire Strada Nuova in quel periodo. Nella piccola cupola che conclude questo spazio si ha invece un raffinatissimo volo di amorini, che mostra tutta l’abilità e la sensibilità pittorica dell’artista.
L’ultima stanza in analisi, quella che conclude la visita del palazzo durante l’evento dei Rolli Days, rappresenta il dulcis in fundo, la meraviglia delle meraviglie, ossia la camera aurea o galleria dorata. Alla stanza si accede passando su un piccolo balconcino in ferro battuto: la nascita avviene in seno a quei lavori di rinnovamento ed ampliamento voluti nel secondo decennio del ‘700 da Giovan Battista Carrega, l’ideatore e l’esecutore per la parte pittorica fu Lorenzo De Ferrari. La camera ha una pianta rettangolare alquanto stretta ed è chiusa alla sommità da una volta a botte lunettata; all’interno però, grazie al sapiente gioco di specchi e decorazioni in legno dorato, la luce si riflette da una superficie all’altra dilatando notevolmente lo spazio e dando l’impressione al visitatore di essere in uno spazio molto più esteso. Se a questo ci si aggiunge che in pieno Novecento è stato aggiunto un importante tavolo ellittico tutto specchiato, l’effetto di amplificazione è assicurato.
I soggetti dipinti appartengono alle storie di Enea con un intento dichiaratamente celebrativo. Il grande affresco centrale della volta raffigura Venere che intercede presso Giove per salvare il figlio Enea dalla furia vendicativa di Giunone. Nei quattro tondi, disposti a coppie, applicati a mezza altezza sui lati minori e collocati entro stucchi, si trova altrettanti episodi della biografia dell’eroe troiano narrati nell’Eneide: Enea che fugge da Troia, Enea e Didone, Venere nella fucina di Vulcano ed Enea che uccide Turno.
Bibliografia
Alizeri “ Guida artistica per la città di Genova”, Genova 1847
Gavazza “Lorenzo De Ferrari (1680-1774)”, Milano 1965
Torriti, “Tesori di Strada Nuova, la via aurea dei genovesi”, Genova, Cassa di risparmio di Genova e Imperia 1970.
Poleggi, “Strada Nuova una lottizzazione del Cinquecento a Genova”, Genova, Sagep Editrice, 1972.
Gavazza “La grande decorazione a Genova”, Genova 1974
Poleggi (a cura di), “Una Reggia Repubblicana Atlante dei Palazzi di Genova 1530-1664”, Torino, Umberto Allemandi & C., 1998.
Bartolini, E. Manara, “Palazzo Tobia Pallavicino”, Genova, Sagep Editori, 2008
VV. “Genova. PALAZZO TOBIA PALLAVICINO. Camera di Commercio”, Genova Sagep, 2013
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